giovedì 24 aprile 2014

I Tre Capelli d'Oro del Diavolo, Grimm n. 29

’era una volta una povera donna che diede alla luce un maschietto: e, poiché il neonato aveva indosso la camicia della fortuna*, gli predissero che a quattordici anni avrebbe sposato la figlia del re. Dopo pochi giorni il re in persona giunse nel villaggio e, senza farsi riconoscere, domandò che cosa vi fosse di nuovo.
"Oh,- gli risposero - è nato un bambino con la camicia della fortuna: a quattordici anni sposerà la figlia del re." 
Al Re la notizia non piacque, così andò dai poveri genitori e domandò se volessero vendergli il loro bambino. Dapprima questi rifiutarono, ma poi, siccome lo sconosciuto insisteva tanto offrendo oro in quantità e loro non avevano neanche il pane quotidiano, finirono con l’accettare e pensarono: 'E’ un figlio della fortuna, non gli mancherà nulla'. 
Il Re prese il bambino, lo mise in una scatola e prosegui a cavallo finché giunse a un corso d’acqua profonda; vi gettò dentro la scatola e pensava: 'Così non diventerà il marito di mia figlia'. 
Ma la scatola galleggiò e, per grazia di Dio, non vi entrò neanche una goccia. Fu trascinata dalla corrente fino a un mulino, a due miglia dalla capitale, e là s’impigliò nella diga. Il garzone del mugnaio la vide e la tirò a riva con un uncino; pensava di trovarci dentro del denaro, tanto era pesante, invece, quando l’aprì, trovò un bel bambino allegro e vispo. 
Il mugnaio e sua moglie non avevano figli perciò furono contenti e dissero: 
"E’ un dono di Dio". 
Così ebbero cura del trovatello, e questi crebbe pieno di virtù. Quando furono trascorsi circa tredici anni, un giorno il Re capitò per caso al mulino e domandò ai mugnai se quel ragazzo fosse loro figlio. 
"No - risposero questi - Il garzone lo ha trovato in una scatola che era arrivata galleggiando fino alla diga." 
"Quanti anni fa è successo?” domandò il Re.
"Circa tredici anni fa." 
"Sentite - egli proseguì - il ragazzo non potrebbe portare una lettera a Sua Maestà la Regina? Mi renderebbe un gran servizio e, per questo, sarei disposto a ricompensarlo con due monete d’oro."
"Come comanda Sua Maestà " disse il mugnaio. 
Ma il Re, accortosi che era proprio quel figlio della fortuna, scrisse una lettera alla Regina nella quale si diceva: 
"Appena arriverà il ragazzo con questo scritto, sia ucciso e seppellito, e tutto ciò sia fatto prima del mio ritorno." 
Il ragazzo s’incamminò con la lettera, ma si smarrì e la sera si trovò in una gran foresta. Nell’oscurità vide un lumino, vi si diresse e giunse a una casetta. Dentro non vi era altri che una vecchia che si spaventò nel vederlo entrare e disse: 
"Donde vieni e dove vai?" 
"Vado da Sua Maestà la Regina; le devo portare una lettera, ma mi sono smarrito e vorrei pernottare qui." 
"Povero ragazzo - disse la donna - sei capitato in una casa di briganti, quando saranno di ritorno ti uccideranno." 
"Sono così stanco che non ce la faccio a proseguire" rispose egli. 
Mise la lettera sul tavolo, si sdraiò su di una panca e si addormentò. Quando rientrarono i briganti e lo videro, domandarono chi fosse lo sconosciuto. 
"L’ho accolto per compassione - disse la vecchia - deve portare una lettera alla Regina e si è smarrito." 
I briganti presero la lettera, l’aprirono e lessero che il ragazzo doveva essere ucciso. Allora il capobanda la stracciò e ne scrisse un’altra dove si diceva che il ragazzo, al suo arrivo, doveva sposare la figlia del Re. Poi lo lasciarono riposare fino al mattino, quindi gli diedero la lettera e gli indicarono il cammino per arrivare dalla Regina. Non appena ebbe letto il messaggio, questa fece preparare le nozze, e, poiché il figlio della fortuna era di bell’aspetto, la figlia del re lo prese volentieri come marito, ed essi vissero felici insieme. 
Qualche tempo dopo, il Re fece ritorno al castello, e, quando vide che la profezia si era avverata e che il figlio della fortuna era sposo di sua figlia, domandò sbigottito: 
"Come sono andate le cose? Che ho scritto nella lettera?" 
"Caro marito - disse la Regina - qui c’è la tua lettera, leggila tu stesso." 
Il Re lesse e capì subito che era stata scambiata e domandò al giovane che ne fosse stato dello scritto che gli aveva consegnato. 
"Non ne so nulla - rispose - devono avermela scambiata mentre dormivo." 
Ma il Re incollerito disse: 
" No, così non va! Chi vuole mia figlia deve riportarmi dall’Inferno i tre capelli d’oro del Diavolo; se me li porti potrai tenerti mia figlia." 
"Li avrò" rispose il figlio della fortuna. 
Si accomiatò da sua moglie e incominciò il suo viaggio. Arrivò a una gran città; sulla porta la sentinella gli chiese quale fosse il suo mestiere e che cosa sapesse. 
"So tutto" rispose il figlio della fortuna. 
"Dicci allora, per favore, - replicò la sentinella - perché la fontana della piazza, da cui di solito sgorgava vino, ora non dà più nemmeno acqua. Se ce lo dici, ti daremo in ricompensa due asini carichi d’oro." 
"Volentieri - rispose il giovane - aspettate che io torni." 
Proseguì e giunse davanti a un’altra città, e anche questa volta la sentinella gli chiese: 
"Qual è il tuo mestiere e che cosa sai? " 
"So tutto" rispose. 
"Allora dicci, per favore, perché un albero che di solito portava mele d’oro, adesso non mette neppure le foglie." 
"Volentieri, - rispose il giovane - Aspettate ch’io torni." 
Proseguì la sua strada e arrivò a un gran fiume che doveva attraversare. 
Il barcaiolo gli chiese: 
"Che mestiere fai e che cosa sai?" 
"So tutto" rispose. 
"Allora dimmi, per favore, - disse il barcaiolo - perché devo sempre remare senza che nessuno mi dia il cambio; te ne sarò riconoscente." 
"Volentieri, - rispose il giovane - aspetta ch’io torni." 
Passato il fiume trovò l’Inferno: là dentro era tutto nero e fuligginoso e il Diavolo non era in casa, c’era soltanto sua nonna, seduta in una gran poltrona. 
"Che vuoi?" gli chiese. 
"I tre capelli d’oro del diavolo - rispose il ragazzo - se no, non posso tenermi la mia sposa." 
"Mi fai pena - diss’ella - se viene il Diavolo ti ucciderà; ma voglio vedere cosa posso fare per te." 
Allora lo trasformò in una formica e disse: 
"Nasconditi fra le pieghe della mia sottana, là sei al sicuro." 
"Sì, - rispose quello - Vorrei anche sapere perché una fonte da cui di solito sgorgava vino, non dà più nemmeno acqua; perché un albero che di solito portava mele d’oro, ora non mette più nemmeno le foglie; e perché un barcaiolo deve sempre remare senza che nessuno gli dia il cambio." 
"Sono tre domande difficili - rispose la vecchia - ma sta’ zitto e fa’ attenzione a quello che dice il Diavolo quando gli strappo i tre capelli d’oro." 
Non molto tempo dopo, sul far della notte, il Diavolo tornò a casa . Fiutò a destra e a sinistra e disse: 
"Sento odore, sento odore di carne umana; c’è qualcosa che non va!" 
Allora rovistò e guardò dappertutto, ma invano. La nonna lo sgridò e disse: 
"Non buttarmi tutto per aria, ho appena spazzato; siedi e mangia la tua cena, hai sempre l’odore di carne umana nel naso!” 
Allora il Diavolo mangiò e bevve; poi posò la testa in grembo alla nonna, disse che era stanco e le chiese di spidocchiarlo un po'. Non tardò ad appisolarsi, soffiando e russando. Allora la vecchia strappò un capello d’oro, lo strappò e se lo mise accanto.
"Ahi! - gridò il Diavolo - che c’è?"
"Ho fatto un brutto sogno - rispose la nonna - e allora ti ho preso per i capelli."
"Cos’hai sognato?" 
"Ho sognato che una fontana da cui di solito sgorgava vino è asciutta e non dà più nemmeno acqua. Come mai?"
"Ah, se lo sapessero! - rispose il Diavolo - Nella fontana, sotto una pietra, c’è un rospo; se lo uccidono riprenderà a scorrere il vino." 
La nonna si rimise a spidocchiarlo finché egli si addormentò e russava da far tremare i vetri. Allora gli strappò il secondo capello. 
"Uh, che fai?" gridò il diavolo, furente. 
"Non andare in collera! - ella rispose - L’ho fatto in sogno." 
"Cos’hai sognato di nuovo?" 
"Ho sognato che in un regno c’è un albero da frutta che prima portava mele d’oro e ora non mette più nemmeno le foglie. Come mai?" 
"Eh, se lo sapessero! - rispose il diavolo - C’è un topo che rosicchia la radice: se lo uccidono, darà di nuovo mele d’oro; se invece il topo continua a rosicchiare, l’albero si seccherà del tutto. Ma lasciami in pace tu e i tuoi sogni; se mi svegli un’altra volta ti buschi una sberla!" 
La nonna lo spidocchiò nuovamente finché egli si addormentò e si mise a russare. Allora gli afferrò anche il terzo capello d’oro e lo strappò. Il Diavolo saltò per aria e voleva fargliela pagare, ma essa lo calmò e disse: 
"Sono brutti sogni!" 
"Ma cosa hai sognato ?!"
"Ho sognato un barcaiolo che doveva sempre andare su e giù senza che mai nessuno gli desse il cambio. Come mai?" 
" Eh, il babbeo! - rispose il Diavolo - Quando uno va per attraversare il fiume, deve mettergli in mano la pertica; allora lui sarà libero, e l’altro dovrà fare il barcaiolo. Ma spidocchiami adesso che possa riaddormentarmi!" 
Allora la nonna lo lasciò dormire, e allo spuntar del giorno il Diavolo se ne andò. Quando si sentì al sicuro, ella tolse la formica dalle pieghe della sua gonna e ridiede sembianze umane al giovane. Poi gli diede i tre capelli d’oro e disse: 
"Hai sentito ciò che ha detto il Diavolo?" 
"Sì, - rispose il figlio della fortuna - e terrò tutto a mente." 
"Non ti occorre altro - disse ella - ora vai per la tua strada." 
Egli ringraziò la nonna del Diavolo, e lasciò l’Inferno. Quando giunse dal barcaiolo, che doveva trasportarlo dall’altra parte del fiume, questi voleva avere la risposta promessa. 
"Portami prima dall’altra parte, - disse il ragazzo - poi te la dirò." 
E, come scese dalla barca, gli diede il consiglio del Diavolo:
"Quando viene qualcuno che vuole essere portato sull’altra riva, mettigli la pertica in mano e scappa." 
Poi il giovane proseguì e giunse alla città dove si trovava l’albero rinsecchito, e anche la sentinella gli chiese la risposta. Allora egli disse quello che aveva sentito dal Diavolo: 
"Uccidete il topo che rosicchia le radici, e l’albero tornerà a dare mele d’oro." 
La sentinella lo ringraziò e, come ricompensa, gli diede due asini carichi d’oro che dovettero seguirlo. Infine arrivò alla città della fontana prosciugata, e anche lì la sentinella volle avere la risposta. Nuovamente egli riferì le parole del Diavolo: "C’è un rospo sotto una pietra; cercatelo e uccidetelo, e la fontana tornerà a dare vino." 
La sentinella lo ringraziò e gli diede altri due asini carichi d’oro. Il figlio della fortuna giunse finalmente a casa da sua moglie che si rallegrò di cuore rivedendolo e sentendo che tutto era andato bene. Egli diede i tre capelli d’oro del Diavolo al Re, cosicché questi non trovò più nulla da ridire. E, quando vide i quattro asini carichi d’oro, disse tutto contento: 
"Ma dimmi, caro genero, da dove viene tutto quell’oro? E’ un’immensa ricchezza." 
"L’ho trovato vicino a un fiume - rispose il figlio della fortuna - e ce n’è ancora." "Posso prenderne anch’io?" domandò il Re, pieno di avidità. 
"Quanto ne volete! - rispose il giovane - Sul fiume c’è un barcaiolo; fatevi traghettare da lui, dall’altra parte c’è oro in abbondanza!" 
Allora il vecchio Re si precipitò in fretta e furia, e, quando giunse al fiume, fece cenno al barcaiolo che lo prese con sé. Ma come furono dall’altra parte e il Re volle sbarcare, il barcaiolo gli mise in mano la pertica e saltò a terra. Così il vecchio dovette remare come punizione dei suoi peccati. Lo fa ancora? Come no? Certo nessuno gli avrà tolto il remo.




L.Dudaite



*Il riferimento è alla superstizione riguardante la placenta e il destino fortunato dei neonati che nascevano avvolti dalla stessa.


Grimm n.29, "Der Teufel mit den drei goldenen Haaren ".
Classificazione: Aa Th 461 [Three Hairs from the Devil] AaTh 930 [The Prophecy That a Poor Boy Will Marry a Rich Girl].

Il testo originale è nella pagina: Brüder Grimm.

Vedi:
"Il Predestinato"
"Il Khodr e il Principe"

mercoledì 23 aprile 2014

Il Predestinato

Calvino, nella sua raccolta di cui ho spesso parlato, sceglie una versione abruzzese, "Mandorlinfiore (Mànnela-fiurite)", e queste sono le note che la accompagnano:
 "Questa versione abruzzese della diffusa storia medievale del "predestinato", si distingue per la viva, rapida scenetta iniziale d'una superstizione che accompagna la nascita. Ebbe larga fortuna letteraria e gli studiosi distinguono quattro tradizioni: in India (dal secolo III d.C.), Etiopia, Europa occ. (dal secolo XIII), Turchia. Secondo il racconto riportato da Giovanni Villani nella Cronica è la storia di Arrigo II, figlio di Leopoldo di Baviera e succeduto a Corrado sul trono imperiale. Ma la sua fortuna nel folklore è legata a un antico libretto popolare: "Historia di Florindo e Chiarastella, di cui il Pitrè cita un'edizione veneziana del 1555."
Tra le varie versioni italiane di cui Calvino dà conto c'è questa, ligure, di Andrews, che ho preferito alle altre perché segue, anche nei nomi dei protagonisti, il libretto medievale. Non posso fare a meno, però, di riportare l'inizio di "Mandorlinfiore", proprio per la "viva, rapida scenetta iniziale d'una superstizione che accompagna la nascita":

"C'era una moglie e un marito, e stava per nascergli un bambino. Il padre andò alla porta, a vedere chi passava per via, perché il primo che sarebbe passato, così sarebbe diventato il figlio. Passarono delle donne cattive, e il padre gridò alla moglie: "Non farlo nascere ora, non farlo nascere ora!" Passarono dei ladri e il padre ancora gridò: "Non farlo nascere ora! Non farlo nascere ora!" Poi passò il Re e in quel momento nacque il bambino; ed era un maschio. Allora padre, madre, nonna e zie si misero a gridare: "E' nato il Re! E' nato il Re!" Il Re udì e volle entrare in casa. Domandò, e gli spiegarono ogni cosa. Allora il Re disse che il bambino voleva prenderselo con sé e allevarlo lui. Il padre e la madre lo benedissero e glielo diedero. Per strada il Re ci ripensò. 'Perché devo allevare uno che non s'augurerà altro che la mia morte?' Trasse un coltello, lo piantò in gola al bambino e lo lasciò in mezzo a un campo di mandorli in fiore..."


Wyeth N.C.




ll'epoca in cui Genova era sotto l'influenza spagnola, un misero contadino del luogo ebbe la ventura di incontrare il re di Spagna. Il contadino, cui era appena nato un figlio, se ne stava sulla porta della sua casupola a contemplare le stelle. Passa il re di Spagna con il suo seguito e gli chiede cosa stesse facendo.
" Guardo le stelle perché mi è appena nato un figlio e cerco di sapere che cosa diventerà da grande."
Il re scoppia a ridere e dice:
"Ah, e secondo voi cosa prevedono le stelle per vostro figlio?"
E il contadino tranquillo risponde:
"Secondo le stelle mio figlio diventerà re di Spagna".
"Se le cose stanno così, datemi il bambino perché possa ricevere l'istruzione di cui avrà bisogno."
"Come volete, anche se ciò che Dio promette è destino che si realizzi in ogni caso."
Il re prende il bambino, ma il giorno dopo lo affida a un servo perché lo porti nel bosco e lo ammazzi. Il servo, come spesso succede nelle fiabe, non ha il coraggio di eseguire l'ordine, abbandona il bambino sotto un cespuglio fiorito e torna dal re assicurando di aver fatto ciò che doveva. Il bosco apparteneva a un signore che tutte le mattine vi si recava a caccia con i suoi cani.
Avvicinandosi a quel cespuglio sentì piangere. "Che strana selvaggina è mai questa?".
Prese il piccolo, tornò a casa e, poiché non aveva figli, disse a sua moglie: "Guarda che cosa ho trovato questa mattina sotto un cespuglio fiorito; teniamolo con noi!".
Lo fecero battezzare e gli misero nome Fiorindo, perché era stato trovato sotto dei fiori. Fiorindo divenne grande e ricevette l'istruzione necessaria e credeva di vivere con suo padre e sua madre. Ma un giorno a scuola scoppiò un litigio e un compagno gli disse: "Taci, tu sei solo un bastardo! Se ti chiami Fiorindo è solo perché ti hanno trovato sotto dei fiori".
Tornato a casa non volle mangiare e si mise in testa di andare a cercare i suoi genitori e non ci fu verso di fargli cambiare idea. Così gli diedero un cavallo, del denaro e lo lasciarono andare come voleva. Viaggiò finché arrivò in Spagna e si mise al servizio del re, che, vedendolo così educato e coraggioso, gli volle subito bene. Il re aveva una figlia di nome Chiara Stella che si innamorò subito di Fiorindo; lui, non c'è nemmeno bisogno di dirlo, ricambiò questo amore.
Il re aveva un fratello che era re del Portogallo e che, siccome stava preparando una grande festa della durata di tre giorni, scrisse al re di Spagna di mandargli la figlia. Questa non voleva, per non lasciare Fiorindo, ma alle insistenze del padre finì per acconsentire, dopo avere promesso all'amato che subito dopo i tre giorni sarebbe stata di ritorno.

Bussière G.

La partenza di Chiara Stella gettò Fiorindo nella più grande tristezza: egli si aggirava malinconico per il palazzo e tornò a meditare di andare alla ricerca dei suoi genitori. Il re, vedendolo di così pessimo umore, gliene domandò la ragione e Fiorindo raccontò per filo e per segno tutta la sua storia. Allora il re fece chiamare il servo:
"Devi dirmi tutta la verità, perché altrimenti chiamo le guardie e ti faccio tagliare la testa".
"Maestà, non avete che da comandare."
"Ti ricordi il bambino di quel contadino che stava a guardare le stelle? Cosa ne hai fatto? L'hai ucciso o no?"
" Maestà, a dire il vero, non ne ho avuto il coraggio, ma ho lasciato alle bestie feroci del bosco il compito di divorarlo."
"Capisco."
Allora il re fece venire Fiorindo e gli disse:
"Visto che desideri tanto andare alla ricerca dei tuoi genitori, va' pure; ma prima fammi un favore: prendi questa lettera e portala a mio fratello, il re del Portogallo, ma bada di consegnarla a lui direttamente."
Il giovane partì tutto contento di questa occasione per rivedere Chiara Stella. Contento, sì, perché ignorava il terribile contenuto della lettera. Questa non portava scritte che poche parole:
"Caro fratello, ti prego di fare impiccare immediatamente la persona che ti consegnerà questa lettera".
È appena arrivato al palazzo che incontra Chiara Stella; questa è felice, ma stupita di vederlo. Quando Fiorindo gliene spiega la ragione, la ragazza, incuriosita, vorrebbe prendere la lettera e vedere che c'è scritto, ma lui non vuole:
"Vostro padre mi ha raccomandato di consegnarla personalmente a suo fratello". Non ha finito di dirlo che la ragazza, lesta, gli strappa la lettera di mano e si mette a leggerla. Il suo volto non tradisce le tremende emozioni che il contenuto della missiva le ha provocato, ma scappa via e di nascosto da Fiorindo sostituisce la lettera nella busta con un'altra che dice:
"Caro fratello, visto che al tuo castello si stanno svolgendo grandi feste, sarà questa l'occasione per celebrare il matrimonio di mia figlia Chiara Stella. Lo sposo è la persona che ti consegnerà questa lettera".
Fiorindo consegna la lettera al re e questi fa chiamare la nipote per dirle:
" Ecco qui il marito che tuo padre ha scelto per te; ne sei contenta?"
Chiara Stella nasconde un sorrisetto e a occhi bassi risponde :
" Ciò che mio padre decide è sempre ben fatto".
Il re del Portogallo organizza delle nozze davvero sfarzose e i due sposi, raggiunto il loro scopo, si sentono al colmo della felicità. Lo stesso non può dirsi del re di Spagna che, appena lo viene a sapere, diventa furibondo. Monta a cavallo e corre dal fratello:
" Come hai potuto dare mia figlia al figlio d'un contadino, che per di più io t'avevo scritto di fare impiccare?"
Il re del Portogallo casca dalle nuvole e mostra al fratello la lettera che aveva ricevuto. A questo punto il re di Spagna racconta tutta la storia, a cominciare dall'incontro con il contadino che guardava le stelle e che aveva detto, affidandogli il figlioletto, che ciò che Dio promette è destino che si realizzi in ogni caso.
Risponde il fratello: "E' vero; al destino stabilito da Dio tutti indistintamente sono soggetti".
A questo punto al re di Spagna non resta che far venire i due giovani e dar loro il suo perdono. E al momento di porre sulla testa di Fiorindo la corona di principe dice:
"Ah, tuo padre è stato un birbante che ha saputo leggere giusto nelle stelle!".


Fortescue Brickdale E.


J.B.Andrews, "Contes Ligures", Genova.
Dalla raccolta: "Fiabe della Liguria" di Guido Ferraro
Vedi:  Il Khodr e il Principe
I Tre Capelli d'Oro del Diavolo

martedì 15 aprile 2014

Sfortuna, Fiaba Siciliana Raccolta dal Pitrè

na volta si racconta che c'era un re e una regina; questo re e questa regina avevano sette figlie femmine, e la più piccola si chiama Sfortuna. Al padre fu dichiarata una gran guerra; perse, lo tolsero dal trono e lo presero prigioniero. Mentre il re era prigioniero, i suoi vennero a perdere anche la casa. La regina dovette lasciare il palazzo e si dovette affittare una casa al risparmio. Le cose andavano sempre peggio e si ridussero a uno stato che era un miracolo se avevano da mangiare.
Un giorno passò un fruttarolo, la regina lo chiamò per comprare due fichi; mentre comprava questi fichi, passò una vecchia e le domandò la carità:
"Ah!Vecchia madre, - disse la regina - se io potessi, altro che carità vi farei, ma non posso ché sono poverella!"
"E come mai siete poverella?" le domandò la vecchia.
"Ah!Vecchia madre, non sapete che sono la regina di Spagna e per una guerra che fecero a mio marito sono sprofondata nella più nera sfortuna?"
"Poverina! Avete ragione. Ma lo sapete il motivo per cui ogni cosa vi va storta? In casa avete una figlia che è davvero sfortunata e non avrete più lustro finché lei sarà in casa."
"Allora è mia figlia che devo mandare via?"
"Sissignora."
"E qual è la figlia sfortunata?"
"Quella che dorme con le mani incrociate, quella dovete mandar via. Mandate via lei, riavrete il regno che avete perduto."

Anker A.

A mezzanotte la regina pigliò un lume e passò accanto a tutte le figlie, nessuna aveva le mani incrociate. All'ultimo trovò Sfortuna con le mani incrociate.
"Ah! Figlia mia, proprio te devo mandar via?!" E, mentre diceva così, Sfortuna si svegliò, vide sua madre e gli occhi che le piangevano. "Che avete, mamma?" "Niente, figlia mia. È venuta una vecchia, così e così e mi ha detto che posso avere ricchezze soltanto se mando via da casa la figlia sfortunata che dorme con le mani in croce... e questa sfortunata sei tu!"
"E piangete per questo? - disse Sfortuna - ora mi vesto e me ne vado." Si vestì, si fece il fagotto e se ne andò.
Cammina cammina arrivò in un posto solitario dove c'era una sola casa di un solo piano. In questa casa terragna sentì tessere e guardò dentro. Una di quelle che tessevano disse: "Vuoi entrare?"
"Sissignora" le disse Sfortuna.
"E ci vuoi servire?"
"Sissignora!" E si mise a scopare e a lavorare.
La sera, le donne le dissero:
"Senti Sfortuna, noialtri la sera usciamo e ti chiudiamo dal di fuori, poi tu ti chiudi da dentro. E quando noi torniamo tu ci apri; ma sta attenta che non rubino la seta, i ricami e ciò che abbiamo fatto." E se ne andarono.
Arrivata mezzanotte Sfortuna sentì un fruscio di forbici e vide una donna che con le forbici tagliava tutta la roba d'oro dal telaio; e questa era la sua mala sfortuna. All'indomani vennero le padrone; aprirono di fuori e lei aprì da dentro; entrarono e come videro tutta questa vendetta per terra: "Ah! Svergognata, questa è la ricompensa per quello che ti abbiamo fatto!... Fuori!" E con un calcio la buttarono fuori.
La sventurata cominciò a camminare per la campagna. Entrò in un paese, si fermò davanti a una bottega dove si vendeva pane, legumi, vino e tante altre cose. Domandò la carità, e la padrona della bottega le diede un bel pezzo di pane, un po' di formaggio e un bicchiere di vino. La sera, le fece pena e la fece restare dentro alla bottega in mezzo a un po'di sacchi. Ritornò il marito, mangiarono e si coricarono. La notte sentirono un chiasso del diavolo: le botti tutte stappate e il vino sparso per tutta la casa. Il marito, vedendo questo disastro, si alzò e vide la ragazza, coricata, che si lamentava: "Ah! Svergognata, a far questo devi essere stata tu!" Pigliò un bastone e glielo ruppe in testa e la mandò via. La poveretta, piangendo, se ne andò senza sapere dove andare né dove sbattere. Quando fu chiaro, vide in un campo una donna che lavava:
"Che hai che guardi?"disse questa donna.
"Mi sono persa."
"E sai lavare?"
"Sissignora ."
"Allora resta qui a lavare con me; io lavo col sapone e tu risciacqui."
Poverina, lei cominciò a risciacquare la roba e poi si mise a stendere. Quando si asciugava lei la stirava. Poi si mise a rammendarla, poi la inamidò e alla fine la stirò. Diciamo che questa roba era del reuccio. Come il reuccio la vide gli parve assai bella. "Signora Francesca - disse - quando mai m'avete fatto così le cose!? Per questo, vi voglio fare un regalo." E le diede dieci monete.


Anker A.

La signora Francesca con queste monete vestì bella pulita Sfortuna; poi comprò un sacco di farina e fece il pane e in mezzo agli altri ne fece due con granelli di anice che sembravano dire Mangiami Mangiami.
L'indomani si rivolse a Sfortuna e le disse: "Con questi due con l'anice vai in riva al mare e chiama la mia sorte: 'Ah! Sorte della signora Francesca, Sorte della signora Francesca ' per tre volte. Alla terza volta lei s'affaccia, le dai un pane e me la saluti. Poi ti fai insegnare dove sta la tua sorte e lei te lo mostra."
Sfortuna ticch ticch , se ne andò in riva al mare. "Ah! Sorte della signora Francesca! Ah! Sorte della signora Francesca! Ah! Sorte della signora Francesca!!!"
Venne la Sorte della signora Francesca e Sfortuna le fece l'ambasciata e le diede la ciambella. Poi le disse: "Sorte della signora Francesca, vossia, mi volete fare la carità di insegnarmi dove sta la mia sorte?"
"Ascolta che devi fare: piglia questa viuzza: cammina un pezzo, poi trovi un forno, vicino allo scopazzo c'è una vecchia smagarata, prendila con le buone; dalle la ciambella: quella è la tua sorte. Se vedi che quella ti fa dei cattivi sgarbi e non la vuole, tu lasciala e vattene."
Sfortuna andò, arrivò al forno, trovò la vecchia e le faceva pure ribrezzo a vederla, tanto era sporca, puzzolente, cisposa e brutta. Le diede il pane e le disse: "Sorticella mia, prendilo!"
"Vattene, vattene! Che non voglio il pane" disse la vecchia e le voltò la faccia. Sfortuna posò la ciambella e se ne andò e tornò dalla signora Francesca. L'indomani era la fine della settimana e si misero a lavare la roba: la signora Francesca ammollava e insaponava e lei lavava e risciacquava. Come fu asciutta, Sfortuna la rammendò e la stirò. La signora Francesca la mise in una canestra e la portò a palazzo. Il re come la vide disse: "Signora Francesca, ma me la volete contare giusta; queste cose non me le avete mai fatte così". E le diede come ricompensa dieci monete.
La signora Francesca comprò dell'altra farina e dell'altra anice per la sua sorte e mandò Sfortuna con l'ordine di dargliela e poi prenderla con le buone, lavarla, pettinarla, magari per forza. Era ora di preparare la roba, la signora Francesca la portò al re quando fu pronta. Il reuzzo si doveva maritare, e siccome doveva maritarsi gli piaceva che la roba gli venisse così ben fatta; e gli diede una ricompensa di venti monete. La signora Francesca comprò dell'altra farina per il pane, e una bella veste con il suo scialle, la sua gonnella, i suoi fazzoletti fini, il profumo, un pettine e altre bagatelle per la sorte di Sfortuna. Fecero una ciambella. Sfortuna la prese e andò al forno.
"Ah! Sorticella mia, tieni qua, questa ciambella."
La prese, si mise a strofinarsela con la spugna e il sapone, e la pettinò bella pulita. "Senti, Sfortuna - disse la vecchia - per 'sto bene che m'hai fatto ti do questa scatolina per i tuoi bisogni." Era una scatolina come quella dei cerini.
Sfortuna volò a casa della signora Francesca, aprì la scatolina e trovò un palmo di gallone. "Uh! - disse - chissà che mi credevo che fosse!" E lo gettò nel fondo del cassetto. La settimana dopo, lavarono dell'altra roba e la signora Francesca andò a palazzo. Il re era arrabbiato perché nel vestito da matrimonio della fidanzata mancava un palmo di gallone, e in tutto il regno non se ne trovava uno uguale.
Entrò la signora Francesca: "Che avete Reuzzo?"che la signora Francesca era in confidenza con il reuccio.
"E che devo avere? Mi devo sposare e all'abito da matrimonio della sposa manca un palmo di gallone e non si trova."
"E sua maestà, vi confondete? Ora ci penso io!" E che fece? Andò a casa, prese il pezzo di gallone gettato nel fondo del cassettone e glielo portò. Lo fanno combaciare, era lo stesso.
Disse il reuzzo: "Per questa difficoltà da cui mi hai levato voglio pagarti questo pizzo a peso d'oro." Pigliò una bilancia, da una parte ci mise il pizzo, dall'altra l'oro. Ma il gallone non si pareggiava mai. Piglia una stadera; stessa cosa. "Signora Francesca, me la dovete contare giusta... Non può essere che questo pezzettino di pizzo pesi tanto. Di chi è?"
La signora Francesca, stretta a mal partito, gli raccontò tutto il fatto. Il re volle vedere Sfortuna e la signora Francesca la fece vestire bella pulita, che la roba gliel'aveva comprata andando avanti, e gliela portò.


                                                       Anker A.

Come Sfortuna entrò nella camera reale fece una bella riverenza (che l'educazione non le mancava, era figlia di re!). Il reuzzo la salutò e la fece sedere. Poi le chiese: "E tu chi sei?"
"Io sono Sfortuna, la figlia piccola del re di Spagna, quello che fu cacciato dal trono e fu preso prigioniero. La mia mala ventura mi ha fatto andare spersa per il mondo, soffrendo mali disprezzi e bastonate." E gli raccontò tutto. Il re fece chiamare subito quelle che avevano tessuto i ricami a cui poi la mala sorte l'aveva tagliato con le forbici e chiese loro quanto erano costati quei pizzi. Loro gli dissero, mettiamo, duecento monete; allora lui disse: "Questa povera giovane che avete bastonato, era figlia di re; pensate che 'ste cose, di dare bastonate, non si fanno. Avanti!"
Fece chiamare quelle a cui si erano rotte le botti del vino e gli chiese il danno che aveva avuto: "Trecento monete." E il reuccio pagò trecento monete e disse:
"Un'altra volta, 'sta cosa di dar bastonate a una figlia di re, non si fa. Avanti!"
Poi lasciò l'altra fidanzata e si sposò con Sfortuna, e per dama di corte si prese la signora Francesca. Lasciamo il reuccio bello contento e prendiamo la madre di Sfortuna. Dopo la partenza della figlia, la ruota si voltò in suo favore e la stessa cosa successe ai fratelli e ai nipoti che con la forza armata ripresero il regno. La regina con tutti i suoi figli tornò ad abitare nel palazzo antico e là stavano con tutte le belle comodità; ma sempre in pena per Sfortuna, ché di lei non ne sapevano né di nuove né di vecchie. Cerca di qua,dà una voce di là, alla fine seppero l'una dell'altra dov'erano. E come? Il reuzzo come seppe che la madre di Sfortuna aveva vinto il regno, le mandò un ambasciatore e le fece sapere tutto. Considerate la contentezza della madre. Ci andò con cavalieri e dame di corte. Come vide sua figlia le si attaccò al collo e non la lasciò più. Poi vennero le sorelle, considerate pure la sua contentezza; e fecero una festa grande per tutto il regno, e restarono felici e contenti.


Raccontata da Agatuzza Messia, Palermo
Raccolta da Giuseppe Pitrè, n86
Tradotta dalla lingua siciliana da Cecilia Codignola.

Il testo in lingua originale è nella Pagina: "Fiabe Popolari - Italia"




Maclise D.

Calvino scrittore non si discute (almeno, io non lo farò sicuramente) ma come autore della più popolare raccolta di fiabe italiane... Dio lo perdoni! Non ricorrerò alla sua macedonia di frutta se non costretta ...Questa fiaba è la numero 149 della sua raccolta e, se non avessi avuto a portata di mano la fedele traduzione dell'originale, non l'avrei proposta qui. Anche se, per la verità, in questo caso, è stato insolitamente rispettoso (Anche perché aveva pochissime varianti da impastrocchiare insieme per creare una specie di fiaba-Frankenstein).

Queste le sue osservazioni su "Sfortuna":
"Una delle più struggenti fiabe meridionali è questa della ragazza perseguitata dalla sua mala sorte, che porta sfortuna a sè e agli altri. Contro il costume di considerare ostilmente la persona portatrice di jettatura, qui essa è vista con profonda pietà, nel quadro di un culto individuale della Sorte, cui vengono tributate offerte votive e impetrate grazie. Della capricciosa psicologia delle Sorti, gli uomini sono in balìa: di scorcio la Messia tratteggia magistralmente il carattere della Sorte cattiva e pazza della protagonista. Ma i personaggi più belli della Messia vengono fuori da tipi come la lavandaia caritatevole, maestra del Culto delle Sorti, vista con così solida simpatia...."

È profondamente sbagliato focalizzare l'attenzione sulla "jettatura"...In questa fiaba, come in moltissime altre, soprattutto meridionali, si parla di Fato, di Destino e di Predestinazione. Sfortuna, (ingenuamente grottesca la scelta del nome), è, in realtà, la Predestinata, quella che, con l'intreccio delle sue vicende, incontrerà un destino di felicità e ricchezza che si estenderà a tutta la sua famiglia. Fiabe simili a questa le ho lette solo in raccolte arabe, non a caso. Ma lì il concetto di fondo è totalmente diverso, o lo è diventato dopo l'avvento dell'Islam ...Una delle virtù prettamente femminili più preziose è la saabr', ovvero la pazienza incrollabile con cui si affrontano le avversità. Ovviamente, l'antico Fatalismo che la rende cugina della fiaba siciliana è ancòra chiaramente leggibile.

Mab's Copyright

lunedì 14 aprile 2014

Mr. Rochester delle Fate, o "l'Essere Fatato Vedovo"

on molto tempo fa, viveva a Towednack una ragazza molto carina di nome Jenny Permuen. Jenny era molto romantica, vestiva spesso alla moda, e amava mettersi dei fiori sui capelli. Per questa ragione ella suscitava l'ammirazione dei giovanotti e, naturalmente, l'invidia delle altre ragazze. Jenny era, senza dubbio, vanitosa e la sua vanità era accompagnata da una notevole insicurezza per quanto concerneva il suo aspetto fisico (i vanitosi considerano questo particolare un po' strano). Ella amava essere adulata e, poiché era una ragazza povera e non molto educata, non riusciva a mascherare le sue debolezze: ogni uomo che le diceva Quanto sei carina! veniva ricambiato con uno sguardo che ammetteva la verità di quella asserzione. Quando qualche ragazza le diceva: Tu sei pazza a credere a tutto quello che ti dicono, le sue labbra e i suoi occhi sembravano rispondere: Sei solo una stupida gelosa.
Non vi era stagno, pozzo o corso d'acqua che ella non avesse consultato per provare a se stessa di essere la ragazza più carina del luogo.



Kinuko Y Craft


Un giorno sua madre la mandò a cercare un lavoro; ella fu felice ma quando arrivò sul Lady Downs si accorse che non sapeva dove andare; guardò prima da una parte e poi dall'altra, poi, completamente confusa si sedette su un masso e si mise a strappare delle fronde di felce, sovrappensiero. Era difficile dire quali fossero le sue intenzioni, se andare avanti o tornare indietro o rimanere seduta là, tanto sembrava indifferente. Alcuni dicono che fosse profondamente assorta in sogni di autocompiacimento. Non passò molto tempo che udì una voce, si girò e vide un giovane:
"Ehi, ragazzina - disse lui - che stai cercando?"
"Sto cercando un posto".
"E dimmi un po' che tipo di posto vorresti, bella fanciulla?", disse lui con il sorriso più affascinante del mondo.
"Non sono un tipo difficile signore. So adattarmi bene".
"Bene, bene. Pensi di saperti adattare ad un vedovo con un bambino?"
"Oh! Io adoro i bambini!".
"Allora cercavo proprio una giovane della tua età che badasse a mio figlio, per un anno e un giorno".

Monge J.B.

"Dove vivete?"
"Non lontano da qui, vuoi venire a vedere dove?"
"Se avete voglia di mostrarmelo, io sono pronta".
"Sì, ma prima, Jenny Permuen...", Jenny rimase attonita quando sentì che l'uomo conosceva il suo nome. Egli era completamente sconosciuto da quelle parti e, allora, come poteva conoscere il suo nome, si chiese lei e lo fissò stupita.
"Ah, capisco, pensavi che non ti conoscessi; ma come puoi credere che un giovane vedovo possa attraversare Towednack senza rimanere colpito da una ragazza carina come te? Ti ho visto un giorno mentre ti facevi le trecce e ti specchiavi in uno dei miei stagni adornandoti i capelli con le violette. E ora, Jenny Permuen, vuoi il posto?"
"Per un anno e per un giorno?"
"Sì, e se saremo entrambi contenti, rinnoveremo il contratto".
"E la paga?"
L'uomo fece tintinnare i soldi che aveva in tasca.
"Per la paga non c'è alcun problema, ti darò quanto vorrai".
Jenny era incantata, davanti ai suoi occhi scorrevano le più rosse visioni e disse senza esitare:
"Certo, Sir, prendo il posto, quando devo venire?"
"Ho bisogno di te ora. Il mio bambino è molto triste e solo, tu potrai renderlo di nuovo felice. Ti va di venire subito?"
"Ma mia madre?"
"Non ti preoccupare, le manderò a dire che sei con me".
"E i miei vestiti?"
"Ti bastano quelli che hai indosso; quando saremo a casa ti darò una livrea bellissima".
"Bene, allora il patto è concluso", disse Jenny.
"Non ancora - rispose l'uomo - ho anch'io una cosa da chiederti, devi fare un giuramento".
Jenny s'impaurì.
"Non ti devi spaventare - le disse lui con dolcezza - voglio solo che tu baci la foglia di felce che hai in mano e dica: Per un anno e un giorno prometto di restare".
"Tutto qui", disse Jenny e fece ciò che lui le aveva detto. Senza dire altro, egli s'incamminò verso una strada che portava ad est ed ella lo seguì.


J. Larriva


Dopo un po', Jenny incominciò a pensare che era molto strano che il suo nuovo padrone se ne stesse muto per tutta quella strada; iniziò a sentirsi anche un po' stanca. Continuarono a camminare, avanti, avanti. Jenny era esausta e aveva un terribile dolore ai piedi e, alla fine, si mise a piangere. Allora l'uomo si voltò:
"Povera ragazza, sei stanca? Siediti un po'", le disse prendendendola per mano e facendola accomodare su uno strato di morbido muschio. Tutta quella gentilezza sopraffece la ragazza che si mise a piangere ancora più forte. Egli la lasciò fare, poi, prese un mucchietto d'erba e disse:
"Devo asciugarti gli occhi".
Passò l'erba rapidamente prima sull'uno e poi sull'altro occhio. Le lacrime se ne andarono e anche la tristezza scomparve. E sebbene non si fosse nemmeno accorta di essersi alzata, Jenny capì che si stava muovendo; le sembrò che la terra si aprisse e, in realtà, andarono velocemente sottoterra.
Poi si fermarono.
"Siamo arrivati, Jenny - le disse - lascia che ti asciughi una lacrima che è rimasta tra le tue ciglia perché nella nostra terra non possono entrare le lacrime degli uomini".
Di nuovo egli le pulì gli occhi con delle foglie e... Oh, ella vide un paese bello come mai aveva visti. Colline e vallate erano ricoperte di fiori variopinti e multiformi. Tutta la terra sembrava cosparsa di gemme che emanavano una luce brillante come quella del sole estivo e dolce come quella della luna. Vi erano fiumi con l'acqua limpidissima che scendevano da colline di granito, cascate e fontane; dappertutto uomini e donne vestiti d'oro e di verde camminavano, giocavano o giacevano su mucchi di fiori, canticchiando o raccontandosi storie.
Era davvero un luogo meraviglioso!



"Siamo a casa", le disse il suo nuovo padrone; Jenny si accorse che egli era un po' cambiato; era il più bell'ometto che avesse mai visto, aveva un vestito di seta verde con ornamenti d'oro.
"Ora - le disse - ti farò conoscere il tuo piccolo incarico" e la condusse in una nobile casa in cui tutti gli oggetti erano d'avorio, intarsiati d'oro e d'argento e tempestati di smeraldi. Dopo essere passati davanti a molte stanze arrivarono in una tutta ornata di trine, leggere come ragnatele e rese più belle dai fiori. Nel mezzo della stanza vi era una piccola culla fatta con stupende conchiglie che riflettevano talmente tanti colori che Jenny faceva fatica a guardarla. Si avvicinò e guardando dentro disse:
"Qua dorme uno dei più dolci angioletti di Dio!" il bimbo era così bello che ne rimase estasiata.

Gilbert A.Y.

"Questo è il tuo compito - disse il padre - Io sono il re di questo paese e ho le mie ragioni per desiderare che mio figlio conosca qualcosa della natura umana. Devi soltanto lavare e vestire il bimbo quando si sveglia, portarlo a passeggiare nel giardino e metterlo a letto quando è stanco".
Jenny imparò presto il suo lavoro, diede e continuò a dare soddisfazione al suo padrone. Ella amava il bambino e anch'egli sembrava amarla cosicché il tempo passò con incredibile rapidità. Per un motivo o per l'altro ella non aveva mai pensato a sua madre e neppure alla sua casa; era felice e soddisfatta di vivere nel lusso e non ricordava quasi più il tempo passato. La felicità, tuttavia, può rendere ciechi di fronte alla realtà e le ore e i giorni si susseguirono; anche il periodo del contratto terminò. Così, un giorno Jenny si svegliò e si accorse che tutto era cambiato: stava dormendo nella stanza da letto della casa di sua madre. Ogni cosa le sembrava estranea ed ella appariva bizzarra a tutti.


 W. MacGregor Paxton

Molti si recarono a trovarla e a ognuno ella raccontò la sua incredibile vicenda. Un giorno venne la vecchia Mary Calineck di Zennor e anch'ella udì la storia del vedovo, del bambino e dello splendido paese.
La vecchia guardò la ragazza con aria saggia e le disse:
"Piega le braccia, Jenny".
Jenny si mise a sedere sul letto e piegò le braccia poggiando le mani sui fianchi.
"E ora di': Spero che le mie braccia non si stendano più se ho detto anche solo una piccolissima bugia".
"Che le mie braccia rimangano piegate per sempre se ho mentito" ripetè la ragazza.
"Stendi le braccia" disse Mary. E Jenny stese le braccia.
"La ragazza non ha mentito. Ella è stata portata via dal Piccolo Popolo in uno dei loro paesi sotto le colline".
"Tornerà come prima?", chiese ansiosamente la madre.
"Tutto a suo tempo -  rispose Mary - Se sarà onesta sono sicura che il suo padrone l'aiuterà a fare ciò che lei desidera".
Tuttavia, Jenny non riuscì più ad adattarsi alla vita degli uomini. Si sposò, ma fu ugualmente scontenta e non potè raggiungere la felicità poiché continuava a rimpiangere quell'uomo. Se Jenny non avesse sognato tutto questo mentre sedeva cogliendo le felci, avrebbe certamente vissuto una singolare avventura.



VladislavPANtic su deviantART


Da: A Dictionary of Fairies, Katharine Briggs (Tratto da Popular Romances of the West of England di Hunt)
Traduzione di C. Casorati e G. Iovane

sabato 5 aprile 2014

"Principesse e il Pisello" Meno Scontate





Brennan P.


Victoria Ying (?)


Lord-and-Taylor


Denyse Klette


Denyse Klette

"Prinipessa e il Pisello", Altre Illustrazioni




Tarrant M.


Birmingham C.



Zorikto Dorzhiev



Copertina di un libro olandese edito da Van Holkema & Warendorf

La Principessa e il Pisello, H.C. Andersen, Traduzione Mia

'era una volta un Principe che voleva sposare una principessa, a patto che fosse una  vera principessa! Viaggiò per il mondo, in lungo e in largo, ma senza trovare ciò che ardentemente desiderava, poiché principesse ce n'erano in abbondanza... ma erano vere principesse? Come poteva scoprirlo senza ombra di dubbio? Ogni volta c'era qualcosa che non lo convinceva. Infine, si risolse a tornarsene a casa, ma era triste e malinconico perché non era riuscito a trovare una vera principessa.
Una notte, mentre infuriava uno spaventoso temporale, con lampi e tuoni e una pioggia torrenziale, qualcuno bussò alle porte della città, e il vecchio Re in persona andò ad aprire. Fuori dalle mura c'era una Principessa, ma - buon Dio!-
come l'avevano conciata la pioggia e il vento! L'acqua le ruscellava dai capelli e dai vestiti, penetrava nelle scarpe dalle punte e ne sgorgava fuori dai tacchi. Tuttavia, ella sosteneva di essere una vera principessa.
'Questo lo vedremo!' pensò la Regina Madre, ma non disse nulla: andò nella camera destinata all'ospite, tolse il materasso dal letto e, proprio sul fondo, nascose un pisello; poi prese venti materassi e li affastellò sul pisello, e poi ancòra, sopra i venti materassi, ammucchiò venti trapunte foderate di piume d'oca. Quella notte la Principessa dormì lì.



Gilbert A.Y.



Il mattino seguente, le chiesero come avesse dormito.
"Oh, malissimo! - si lamentò lei - non ho chiuso occhio! Dio solo sa cosa c'era in quel letto! Mi rigiravo su qualcosa di duro e sono tutta pèsta e piena di lividi! È stato un incubo!"



Spirin G.


Capirono così che era una vera principessa, poiché aveva sentito il pisello attraverso venti materassi e venti trapunte foderate di piume. Solo una vera principessa poteva avere una pelle così delicata!
E il Principe la prese in moglie, finalmente certo di avere incontrato una vera principessa, e il pisello finì in un museo, dove lo si può ancòra ammirare, se nessuno è andato a rubarlo. Ed è una storia vera!



Dulac E.




Classificazione: AaTh 704 [Princess on the Pea]
Traduzione: Mab's Copyright

Una delle fiabe più inutili che siano mai state scritte. Ad una prima lettura, parto mal riuscito della fantasia non-sana di Andersen.
Il razzismo lombrosiano attiene esclusivamente ad una aristocratica "sensibiltà" fisica. Il che, per quanto mi riguarda, è perfino più sopportabile dell'insopportabile moralismo che, sempre, spacca con un'accetta pseudo-mistica il confine tra Bene e Male nelle fiabe/novelle di Andersen.

Prima osservazione: nessuna, e sottolineo nessuna Vera Principessa si lamenterebbe mai delle pessima qualità dell'ospitalità che le è stata generosamente offerta. Preferirebbe essere sgozzata su un letto di piselli. Non a caso, nelle versioni più educate, ancorché infedeli (come tutte le disinvolte "rielaborazioni" delle fiabe più celebri), non è la Principessa a raccontare la notte d'inferno appena trascorsa, ma la Regina Madre scopre la verità interrogando le cameriere.



Hey P.



Seconda osservazione: il motivo della Vera Principessa è rintracciabile nel tipo fiabesco comunemente indicato come diretto discendente di Amore e Psiche, ovvero Lo Sposo Animale. Il Principe squamoso, infatti, non solo pretende una bella sposa, ma esige che sia figlia di Re, come si conviene al suo status di erede al trono. Re Serpente "testa" la mattina dopo le nozze le disgraziate sposine che, immancabilmente, si tradiscono.Le prime due infelici proletarie camuffate da aristocratiche che gli vengono rifilate vengono, nel migliore dei casi, scacciate, quasi sempre uccise.
Dalla fiaba n.144 (Il Re Serpente) dalla raccolta di Calvino:

"...La Regina quando la cameriera le riferì, si domandò: 'Cosa possiamo fare?'
Chiamò un villano loro mezzadro e gli disse
"Ti do quanto vuoi. Basta che mi dai tua figlia".
Si fecero le nozze. Il serpente si mette a tavola al festino. Alla sera gli sposi andarono a dormire. A una cert'ora il serpente si sveglia e chiede alla sposa:
"Che ora è?"
"E' l'ora in cui mio padre s'alza, prende la zappa e va in campagna".
"Ah, figlia di villano sei?", esclamò il serpente, e con un morso alla gola l'ammazzò".

Un altro esempio di "test" è quello a cui viene sottoposta, superandolo brillantemente, la principessa del tipo Fantaghirò. Ma l'intento del Principe è quello di provare che il bellissimo giovane guerriero di cui si è innamorato è una donna. Già non siamo più nel fiabesco, ma nel genere novella. Anche se un illustre antenato è il prode Achille.

giovedì 3 aprile 2014

Il Giardino delle Esperidi, L'Albero-che-Canta

Citando il giardino delle Esperidi, Propp, quasi in chiusura del saggio, ribadisce alcuni punti fermi della sua analisi: il sovvertimento del consueto paradigma Mito-Leggenda-Fiaba come inesorabile percorso cronologico e storico di un racconto, la scoperta conseguente di una dignità e una scientificità della Fiaba, che, spesso unica, tramanda le fasi del Rito (pur avendone smarrito il senso).

"...Nelle concezioni greche lo studioso del folclore non trova molto di nuovo. Ci sono le montagne, l'Olimpo, e il regno sotterraneo, l'Ade, le isole dei beati, il regno sottomarino di Poseidone e il giardino delle Esperidi con le mele d'oro. Citando Gruppe, Radermarcher scopre che il colore d'oro delle mele dimostra che il giardino delle Esperidi un tempo si trovava sotto terra. Egli è incline a credere che l'oro, in questo caso, è segno di ricchezza fiabesca. Ambedue le spiegazioni, alla luce dei nostri materiali, sono errate. Noi dobbiamo ritenere confermata un'altra spiegazione, quella fornita da Dieterich: 'Il giardino è sempre stato immaginato in rapporto con il sole e con il dio del sole; esso si trova là dove il sole sorge, o, secondo una concezione più diffusa, là dove il sole tramonta, all'estremo Occidente'.
Una tale pluralità è già l'inizio della decadenza, della dissoluzione [...]
Tutto il mito di Eracle che si procura le mele delle Esperidi è molto vicino alla fiaba delle mele d'oro; ché anzi la fiaba è persino più arcaica e conserva il potere magico delle mele, mentre nel mito di Eracle esse sono soltanto rarità. [...]


Leighton E.B.

I Greci, probabilmente per  primi, introdussero nell'altro mondo la musica, e non la musica magica dei flauti e dei tamburi ma la normale musica degli uomini; questo elemento si tramandò poi in tutta l'Europa, da Il Fiorellino di Alenka agli angeli che suonano i violini e le trombe ai piedi di Maria. L'isola dei morti è piena di suoni, dice Dieterich. In questa città 'la maggioranza dei beati suona la cetra... Anche sull'isola dei beati, in Luciano, si sente il suono delle cetre e dei flauti e risuonano cantici; persino le foglie degli alberi, mosse dal vento, stormiscono canti... Le Esperidi, che stanno a guardia del giardino del sole, sono chiamate da tempo immemorabile occhi-lucenti, cantatrici'.
Viene in mente, a questo punto, l'albero che canta delle nostre fiabe.


Remnev A.

Questo splendore dorato è proprio degli dèi, dei morti e degli iniziati. Pitagora, quale prova della sua iniziazione e della sua avvenuta divinizzazione, affermava di avere le estremità d'oro e, all'occasione, mostrava una coscia d'oro. Ricorderemo l'eroe della nostra fiaba con le gambe d'oro fino al ginocchio e le mani d'argento fino al gomito. Il volto d'oro, la corona d'oro, il nimbo, l'aureola trovano la loro origine proprio in questa circostanza. Trova anche spiegazione il fatto che l'oro veniva impiegato nel culto dei defunti non soltanto in Grecia ma anche in altri paesi.


Herter A.

[...] Tutto ciò spiega con una certa fondatezza l'origine del motivo che sta alla base del desiderio di possedere rari oggetti d'oro. Si tratta di oggetti che hanno perduto la magica funzione di oggetti provenienti dall'altro mondo, che danno longevità e immortalità. Conservarono tale funzione le mele d'oro; l'hanno perduta invece le varie anatre dal ciuffo d'oro.

Burne Jones E.

Da: "Le Radici Storiche dei Racconti di Magia", V. Propp.

Concludendo la sua analisi con "l'ultimo ostacolo", ovvero la fuga magica che segue il furto dell'oggetto d'oro e/o meraviglioso, Propp ricorda che solo in alcune fiabe, (e io includo tra queste Vasilisa!), si riflette il Rito, laddove l'oggetto magico derivava da un dono o da una semplice presa di possesso. Nelle fiabe più tarde e nel Mito, che riflettono una società in cui è nato e ha preso radici il concetto di proprietà privata, interviene il furto, e, di conseguenza, la fuga.
"Nel Rito, il mezzo magico viene dato e il ritorno avviene sempre pacificamente. Nel Mito, invece, il mezzo spesso è stato sottratto e il ritorno assume la forma di fuga".

H.J. Ford