mercoledì 29 ottobre 2014

Samain, Ovvero la Celebrazione del Ritorno

La festa di Samain era una celebrazione sacra, l'addio all'estate che moriva, al vecchio anno. E la consapevolezza delle incombenti tenebre del lungo  inverno che avrebbero portato freddo, fame e morte, (confusi, nelle trascrizioni delle antiche Storie, con i tributi in vite umane dovuti agli orrendi nemici, i mostruosi Fomòri, annidati nella loro isola nebbiosa dell'estremo Nord). Viene spesso definito "Il Capodanno Celtico", ma del nostro Capodanno ha ben poco. Era il momento del terribile incontro con il Sacro, dove "terribile" sta per alto, misterioso e meraviglioso.
I Druidi accendevano il rinnovato fuoco sacro, ed una fiammella, conservata in un tronco cavo, era portata nel focolare di ogni casa, come segno di speranza nel ritorno della Luce.

"Druids Bringing in the Mistletoe", Edward Atkinson Hornel


Il termine Oltretomba non esisteva presso gli antichi Celti. Il loro "Altrove" era anche il luogo da cui provenivano, ed era assolutamente parallelo, nel Tempo e nello Spazio, alla loro realtà. Ed esistevano molti "Altrove". Nelle Saghe, in un tentativo di storicizzare l'Invasione dell'Isola sacra da parte dei Figli di Mil, tentativo ampiamente corrotto dai redattori cristiani, si favoleggia di Terre indiscutibilmente assimilabili al nostro Oltretomba, identificate con la Spagna o la Grecia. Ma "Altrove" erano anche le Isole degli Eternamente Giovani, le Isole che chiamavano e accoglievano gli Eroi, le Isole mobili, a tratti visibili, che ammaliavano i pescatori, e le stesse Fortezze invisibili dei Re Sìde, speculari ai Forti dei Re mortali.
A Samain questi Luoghi paralleli, ma non in sincronia, si toccavano, il Tempo, che scorreva in modo fatalmente diverso  per i mortali, fermava il suo corso, e gli Dèi esiliati e gli Eroi potevano visitare gli Uomini. Oppure, agli uomini capitava di ritrovarsi in una Terra meravigliosa e terribile.
I famigliari trapassati potevano visitare le proprie case. Case che, negli antichi Tempi, erano anche il luogo del Riposo, poiché i morti venivano seppelliti sotto le pietre del focolare, e, a Samain,  i focolari restavano accesi tutta la notte e le tavole lautamente imbandite perché i Visitatori si sentissero ben accolti.
A volte, in quella notte sacra, i bardi cercavano un sogno visionario presso la Stele che ricordava un antico Druido che aveva portato via con sé il segreto di un Canto. E' così - si narra - che venne ritrovata la memoria dell'Iliade celtica.

Mab

martedì 28 ottobre 2014

Un Sogno, W.B. Yeats


Maximilian Pirner


Sentii i cani ululare nel chiarore lunare;
Andai alla finestra per vedere la scena;
Tutti i morti che mai avevo conosciuto
Se ne andavano, uno a uno, due a due.
Andavano, avanti andavano;
Tutti concittadini, dal primo all'ultimo;
Nati nel chiarore lunare del sentiero,
Nuovamente spenti nella pesante ombra.
Compagni di scuola, a passo di marcia come quando giocavamo
Un tempo ai soldati - ma più composti ora;
Ma la vista più strana erano per me
Quelli che sapevo annegati nel terribile mare.
Gente dritta e bella, e gente debole e curva,
Alcuni che amai, e tremai nel parlargli;
Alcuni morti solamente da un giorno;
Alcuni di cui non sapevo la morte.
Una lunga, lunga folla - dove ciascuno sembrava solo!
Eppure fra tutti una, solo una,
Alzò la testa e guardò verso di me.
Indugiò un momento - non poteva fermarsi.
Quanto a lungo vidi in seguito la sua pallida faccia!
Ah! Cara madre! Potessi solamente chinare
La mia testa sul tuo seno, riposare un momento
Con la tua mano posata sulla mia guancia bagnata di lacrime!
Avanti, avanti, formarono un mobile ponte
Sul flusso lunare da ombra a ombra
Giovani e vecchi, uomini e donne
Da tempo dimenticati, ma ora tornati alla mente.
E dapprima si udì una amara risata;
Un attimo dopo rumore di pianto;
E poi una musica così alta e festosa,
Che ogni mattina, giorno dopo giorno
Mi sforzo di poterla richiamare alla mente.


Le Streghe di Iban Barrenetxea













Jean Baptiste Monge e Halloween




























venerdì 24 ottobre 2014

Esprateva (Puglia)

'era una volta una fanciulla di nome Esprateva, che viveva sola con la mamma. Erano molto povere e si sostenevano con le sole uova che faceva la loro gallina. Un giorno la mamma uscì, nel frattempo andò a casa una zingara che tanto pregò e supplicò Esprateva, finché la convinse a darle la gallina.
Prima di andare via, la zingara disse alla fanciulla che un giorno sarebbe diventata regina. Quando la mamma tornò, andò nel pollaio per vedere se la gallina avesse fatto l'uovo. Non trovandola chiese alla figlia dove era finita ed ella disse che non sapeva niente.


Von Blaas E.



La mamma, arrabbiatissima, picchiò forte la figlia e la cacciò fuori di casa.
Un Principe che abitava di fronte, aveva assistito a tutta la scena e, rivolto alla fanciulla, disse:
"Esprateva, Esprateva, la gallina con l'uovo desti via, ma il figlio del Re non sposasti".
"Chi ha fede in Dio non muore mai, tu sposo mio sarai", rispose la fanciulla.
Il Principe le rispose che lei, essendo povera, non poteva sposare un figlio di Re. Andarono avanti con questi battibecchi per parecchio tempo; il Principe si era innamorato di Esprateva, ma non poteva sposarla perché, essendo figlio di Re, doveva sposare una principessa.
Giunse il giorno delle nozze del Principe e, mentre si banchettava, la sposa disse che si sentiva male e si fece accompagnare dalla governante in camera.
Appena chiusa la porta, confidò alla governante che lei aveva amato un altro prima del Principe, perciò le disse di andare a trovare una giovane che non aveva mai amato nessuno, perché si coricasse con il Principe quella prima notte e, come ricompensa, avrebbe ricevuto da lei tutti i gioielli e molto denaro.
La sposa tornò nei saloni, la governante chiamò Esprateva e le spiegò quello che doveva fare se voleva diventare ricca. La ragazza accettò, la governante le fece indossare la camicia di seta della Principessa e mise i gioielli sul comodino.
La Principessa si mise sotto il letto e quando entrò il Principe gli disse di non accendere la luce perché si sentiva male. Egli si spogliò al buio e si coricò. Poi, contento, mise i gioielli al posto pensando che fosse sua moglie e si addormentò… La Principessa uscì da sotto il letto e si coricò, mentre Esprateva se ne uscì in silenzio con la camicia di seta e i gioielli. Giunta a casa si spogliò e conservò tutto.


Chassériau T.


Con i soldi che le aveva dato la Principessa costruì un palazzo proprio di fronte al castello del Principe.
Egli, quando vide il palazzo, si meravigliò e voleva sapere chi aveva dato i soldi ad Esprateva per costruirlo e ogni volta che la vedeva le diceva:
"Esprateva, Esprateva la gallina con le uova la desti, ma il figlio del Re non lo sposasti".
"Chi ha fede in Dio non muore mai, tu sposo mio sarai", gli rispondeva Esprateva.
"Tu sei scema - le rispondeva il Principe - non vedi che mi sono sposato?"
Passò qualche mese e il Principe si accorse che Esprateva ingrassava giorno per giorno. Siccome era geloso, mise due guardie vicino al palazzo, per sapere chi riceveva in casa Esprateva; ma le guardie non videro mai nessuno, né giorno né notte, solo la mamma della ragazza andava ogni due giorni per fare la spesa. Passarono altri mesi e nacque un bambino. Il Principe le mandò a dire se poteva andare a farle una visita; Esprateva rispose che lo avrebbe ricevuto.
Esprateva indossò la camicia di seta e al bambino mise tutti i gioielli.
Quando il Principe entrò e vide i suoi gioielli, sguainò la spada per ucciderla, perché pensava che li avesse rubati. Esprateva lo fermò, gli raccontò tutto il fatto e gli ripeté tutte le parole che le aveva detto nel letto la sua prima notte di nozze; poi gli disse ancora:
"Ti alzasti, mi desti tanti baci e mi mettesti i gioielli, te l'ho sempre detto che chi ha fede in Dio non muore mai e che tu saresti stato il mio sposo".
Allora il Principe capì che il bambino di Esprateva era suo figlio, andò da sua moglie e le chiese se voleva andare a fare una visita a sua madre. Ella, contenta, salì sulla carrozza insieme al Principe e partirono.
Giunti a casa della suocera, il Principe la chiamò e le disse: "Tieniti tua figlia, perché io devo sposare colei che non ha amato mai nessun altro fuorché me e tua figlia si sposi con l'uomo che ha amato prima di me".
Così il Principe sposò Esprateva e vissero felici e contenti insieme al figlioletto.

Fiaba pugliese, raccolta a Taurisano e scritta da  Lino Di Turi.

giovedì 23 ottobre 2014

Åse delle Oche, la Pietra Parlante e la Verginità Persistente

La norvegese "Åse delle Oche" si allontana dalle due fiabe precedenti: Åse è realmente una guardiana d'oche e la trama si dipana secondo il canovaccio de "Il Vaso di Maggiorana" o di "Sapia Liccarda", ovvero la storia della popolana che, per vie misteriose, sa che conquisterà inevitabilmente il Principe e dà il via ad un gioco di risposte, rimandi e punzecchiature, irridendo il figlio del Re. Le aspiranti regine, tutte Principesse dal nobilissimo sangue, vengono a sapere (da lei!) che il Principe possiede una pietra parlante che tiene accanto al letto: la novella sposa dovrà salire sulla suddetta pietra, che, nell'eventualità di qualche macchia sull'onore della sposa, non esiterà a denunciarla. Le Principesse si terrorizzano e supplicano la piccola guardiana d'oche (perché proprio lei? E' l'unica vergine del Regno?) di sostituirle nel letto del Principe in occasione della prima notte. Naturalmente, la pietra dichiara l'illibatezza della ragazza che trascorre la notte con lo sposo. Verso l'alba, la Principessa si corica con il figlio del Re e Åse se ne va. Però, il mattino dopo. al momento di alzarsi, la "sposa" è costretta a salire nuovamente sulla pietra parlante... che declama al Principe il numero degli amanti collezionati dalla ex-pulzella.
Sorprendentemente, o il Principe non consuma mai (ma i fatti smentiranno questa ipotesi), o la verginità di Åse si moltiplica per tutte le notti trascorse con lui, dal momento che la pietra parlante la trova immancabilmente illibata. E allora? Åse è la vergine per eccellenza, una portatrice insana di illibatezza? Ciò spiegherebbe anche la strana pulsione che spinge le Principesse, l'una dopo l'altra, a scegliere lei, solo ed esclusivamente lei, per sostituirle nel letto del Principe.
Tralasciando certi "dettagli", è ovvio che la verginità sia al centro anche della fiaba tedesca e di quella svedese, o vogliamo credere alla Principessa che si rende conto all'improvviso di essere talmente brutta da non essere in grado di reggere il giudizio del pubblico o all'altra, che si ammala giustappunto alla vigilia delle nozze? Per non parlare della collana donata al momento delle nozze, che diventa una cintura nella fiaba svedese, ma un particolarissimo tipo di cintura con un lucchetto che solo il Principe sarà in grado di aprire. Vabbé parlare per metafore...


Maxence E.


p.s.
Ovviamente la pietra parlante che riconosce l'illibatezza della sposa regale echeggia Lia Fail, la sacra pietra che rimbombava solo sotto i piedi del vero Ard Rì, il re dei re o Re Supremo d'Irlanda. Pietra che, secondo la leggenda, fu prestata al Re d'Inghilterra ma non venne mai restituita ed è ancòra nell'Abbazia di Westminster, nel punto in cui vengono incoronati i sovrani britannici.

Mab



mercoledì 22 ottobre 2014

La Vergine Malvina e Åsa o Åse delle Oche


Se accettiamo la premessa che questo tipo fiabesco sia di origine scandinava, dovremmo partire confrontando la versione dei Grimm con la svedese "La Principessa nel Globo di Terra".
La vergine Malvina viene segregata, anzi, sigillata,  nella torre oscura a causa della sua ribellione nei confronti del Re suo padre.
La Principessa svedese, invece, viene nascosta nel "globo di terra" per proteggerla dalla guerra imminente.


Francis Sydney Muschamp 


Di fatto, in entrambe le fiabe, l'Eroina si identifica con "la fanciulla nella torre": Propp elenca i personaggi che storicamente venivano segregati dal mondo, primi fra tutti, le "persone regali", ovvero lo stesso Re. Poi, i suoi figli, quindi, gli eredi al trono. A parte, tratta il motivo della "segregazione della fanciulla" (che non esclude - bontà sua - dalle precedenti categorie di reclusi).
Nella fiaba tedesca, il Principe è un innamorato rifiutato dal padre dell'amata. In quella svedese, al contrario, è addirittura suo alleato contro il Nemico.
In entrambe le fiabe, non esiste la Regina madre. Non se ne parla affatto. Circostanza che riguarda anche il futuro sposo.
In entrambe le fiabe, il Re padre muore subito, e di morte violenta. In entrambe le fiabe, la Principessa, trascorsi i canonici sette anni, riemerge alla vita e al mondo solo dopo la morte del padre. E diventerà Regina.
E' la storia di una successione regale. Una volta, diventata "adulta" (l'innamoramento ed il fidanzamento), la Principessa è pronta per il trono, il che significava - storicamente - la morte del vecchio Re. Siamo già in epoca tarda rispetto alla successione matrilineare e alle nozze con un componente della stessa tribù o clan (materna/o), siamo già al matrimonio esogamico: per questo - dice Propp - spunta, nelle fiabe, il "suocero ostile". Un'ostilità inspiegabile all'interno della logica fiabesca. spiegabilissima se teniamo presente che l'arrivo dell'estraneo, dello Sposo, significava la morte del vecchio Re. Ed è per questo che ritengo molto più credibile la fiaba tedesca: il Re si oppone con tanta veemenza al matrimonio della figlia da seppellirla viva. Sorprendentemente, nella seconda parte, è la fiaba svedese a denunciare questo conflitto in modo del tutto evidente: in entrambe le fiabe, sappiamo che la Principessa entra in un altro regno, il regno dell'ex fidanzato, ma, durante il lento e lungo percorso verso la chiesa dove si celebreranno le nozze, la "falsa sposa" svedese riconosce i luoghi della propria infanzia e prima giovinezza, e, nominandoli, se ne riappropria: il castello dove ha vissuto, ridotto in rovina, il tiglio sotto il quale ha scambiato promesse d'amore, e la chiesa stessa, quella in cui era solita recarsi prima del "seppellimento".


Stokes M.


La Principessa non si è mossa - non fisicamente - dal suo Regno. Il Nemico, l'Invasore che ha ucciso il Re è il promesso Sposo. Il che potrebbe spiegare il motivo per cui la Principessa non si rivela immediatamente (cosa glielo impedisce? Perché creare la "vera sposa"?).
E, quindi, la segregazione acquista un valore aggiunto rispetto alle precauzioni usate nei confronti delle persone regali: è l'iniziazione alla vita adulta, e, nel suo caso, alla regalità.
E qui veniamo all'ancella. Inutile. La compagna della vergine Malvina si perde dopo l'arrivo nella città del Principe. Non se ne fa più cenno. L'ancella della Principessa svedese muore. La Principessa indossa i suoi abiti umili e le scippa il nome, Åsa. E la resuscita per fingere di parlare con lei ed eludere le domande dello sposo durante il corteo nuziale. Apparentemente, l'esatto contrario di ciò che accade ne "La Guardiana d'Oche".
Åsa o Åse condivide la radice del termine che designa gli Dèi del padre Odino, gli Asi o Aesir. E' un nome che contiene la radice della divinità. ed è curioso che, per scelta o per costrizione, sia il nome del "doppio" della Principessa. E, come sempre accade al termine di una Iniziazione, l'Iniziata deve farsi riconoscere, deve dimostrare di avere attraversato e compiuto con successo quel processo.
E nasce la necessitò di contrapporre la vera alla falsa sposa.
E sara sempre un'Åsa, norvegese questa volta, "Åsa delle Oche" a chiarire un altro punto falsamente oscuro - il pretesto per la sostituzione - e il suo significato.


Strudwick J. M.


Mab


martedì 21 ottobre 2014

La Principessa nel Globo di Terra (Svezia)

nticamente c'era al mondo un Re, che abitava in un certo reame ai confini della terra. Aveva una figlia così bella e rosea e con la pelle così trasparente che le si poteva vedere il midollo passare da un osso all'altro come le perle quando si sfilano. Quando crebbe, molti principi e cavalieri si contesero la sua mano, e tra loro c'era il figlio di un re. Si incontrarono, si parlarono a lungo e subito si giurarono reciproco amore.
D'improvviso scoppiò una guerra e il reame fu travolto da quel tragico evento. I nemici occuparono il Paese con un possente esercito e il Re fece costruire un gran globo di terra dove nascondere la Principessa e proteggerla dai pericoli dell'invasione. Le diede un'ancella per servirla, un cane per difenderla e un gallo per aiutarla a distinguere la notte dal giorno. Nel globo vennero immagazzinati viveri che bastassero per un lungo periodo.
Poi il Re riunì la sua armata e si preparò alla battaglia, accompagnato dal giovane Principe che aveva deciso di stargli a fianco. Separarsi fu molto difficile per i due giovani rampolli reali, soprattutto per la Principessa.


Stokes M.


"Ho il presentimento - disse al Principe - che non ci vedremo per molto tempo. Devo perciò rivolgerti una preghiera, che ti chiedo di non rifiutare. Devi giurarmi di sposare solo chi sarà capace di lavare le macchie dal mio asciugamano e tessere fino alla fine questo panno dorato". Con queste parole diede al Principe un asciugamano e un pezzo di tessuto, riccamente ricamato di seta e oro. Il Principe accettò questi due pegni e giurò di non dimenticare mai le parole della sua cara. Così si dissero addio.
La Principessa si chiuse nel suo globo di terra, e il Principe e il vecchio Re partirono  per difendere il Paese dal nemico.
Quando i due eserciti si scontrarono, ci fu un'aspra battaglia all'ultimo sangue.
La stella della fortuna non protesse il Re che cadde in combattimento, e il giovane Principe fu costretto a battere in ritirata e rifugiarsi nella sua terra. I nemici invasero il Paese e misero tutto a ferro e fuoco. Il castello del Re venne incendiato e, dopo il loro passaggio, il reame divenne una terra desolata. Non c'erano tracce della figlia del Re, e non si sapeva se fosse morta o fosse finita prigioniera.
Intanto la Principessa viveva nel suo globo di terra con l'ancella e aspettava che il Re tornasse a casa, ma i giorni passavano, uno dopo l'altro, e nessuno veniva a liberarle dalla loro prigionia. In tal modo trascorsero sette lunghi anni. Le provviste erano finite e le due donne, non avendo di che sopravvivere, furono costrette ad ammazzare il gallo. Da quel giorno vissero nell'oscurità del globo, ignorando il trascorrere dei giorni e non distinguendo più l'alba dal tramonto.
Poco dopo l'ancella morì e la Principessa rimase tutta sola nella sua cella. La poveretta non sapeva come sfuggire alla morte che sicuramente l'aspettava. Spinta dalla disperazione, prese un coltello e cominciò a scavare un buco fra le travi di legno del soffitto, lavorando giorno e notte senza interruzione.
All'alba del terzo giorno era sfinita, ma, a forza di intaccare il legno delle travi, spaccò la terra che ricopriva il globo e all'improvviso apparve uno spiraglio di cielo azzurro. Allargando la fessura, scivolò all'aperto, e dopo tanti anni l'aria fresca colorò di rosa le sue pallide gote.
Senza indugiare, indossò gli abiti dell'ancella e, con il cane alla corda, prese a vagare in quel terreno deserto. Dopo aver camminato a lungo senza incontrare anima viva, vide un film di fumo levarsi tra gli alberi e si imbattè in un uomo che bruciava legna per far carbone.
Si avvicinò al carbonaio, gli chiese qualcosa da mangiare e disse che lo avrebbe aiutato volentieri nel suo lavoro. L'uomo le diede un boccone di pane e in cambio lei lo aiutò a bruciar carbone.
Lavorando, cominciarono a parlare e la Principessa interrogò il vecchio sulle sorti della guerra e sugli ultimi avvenimenti. Venne così a sapere della sconfitta subita dall'esercito del suo Paese e della morte del Re.
Provò una profonda tristezza, capì di essere sola al mondo e mai come in quel momento le parve vero il vecchio proverbio che diceva che ha pochi amici chi può contare molte verdi tombe.
Passò qualche tempo e, quando fu pronta una bella provvista di carbone, l'uomo consigliò alla ragazza di andare a cercar lavoro in qualche castello, dato che gli sembrava non fosse abituata ai lavori pesanti. La Principessa ringraziò e disse:
"Se mi benedici, vado, e, se non mi benedici, vado lo stesso!"



Stokes M.


Decise così di partire e, come una viandante, si mise in cammino con una borsa a tracolla. Allegri gli uccelli cantavano, minacciosi i leoni ruggivano, finché giunse alla costa. Sedette afflitta lungo la riva del mare spumeggiante ed ecco che dal bosco sbucò un lupo. E disse:

"Dammi il tuo cane,
e in cambio scanserai le fiere
quando usciranno dalle tane!"

 A malincuore, la Principessa si vide costretta ad assecondare il desiderio del lupo e gli diede il cane. Mangiato che ebbe a sazietà, il lupo le disse:

"Tu siedimi sul dorso,
che verso un altro reame drizzerò il mio corso!"

La Principessa sedette sul dorso del lupo che la portò in un altro reame, mentre la giovane, vivida luna nasceva in cielo.
Lungo la riva sorgeva un castello.



Laurel Long


Dalle insegne sulla bandiera che svettava sulla torre più alta la Principessa lo riconobbe per quello del Principe che un tempo le aveva giurato eterno amore e fedeltà.
Mentre la Principessa era stata prigioniera nel suo globo di terra, il padre del Principe era morto e lui a sua volta era diventato Re. Con il passare degli anni, i baroni volevano che il nuovo Re prendesse moglie, ma questi non li ascoltava: pensava alla bella Principessa alla quale aveva giurato fedeltà in gioventù.
Erano passati sette anni da allora e non aveva saputo nulla di lei, tanto che ormai la riteneva morta. Si lasciò convincere dunque ad emanare un editto che diceva che sarebbe diventata sua sposa chi era capace di smacchiare alla perfezione un asciugamano e di portare a termine la tessitura di un panno ricamato di seta e oro. Giunsero in lunghe file molte fanciulle da Oriente e Occidente, perché tutte volevano diventare la sua regina. Ma nessuna fu capace né di lavare né di tessere a dovere.
Proprio in quei giorni era arrivata una nobile fanciulla che voleva tentare la fortuna. La Principessa disse di chiamarsi Asa, si offrì come ancella e venne assunta dalla giovane straniera. Nessuno immaginava chi fosse lei in realtà.
La padrona di Asa tentò di ultimare la tessitura del panno, ma fallì come tutte le altre. Era disperata e non sapeva cosa fare.
Un giorno che la padrona era fuori, la falsa Asa sedette al telaio e compose con arte un bel pezzo di tessuto. Quando la padrona tornò a casa e se ne accorse, le chiese chi l'avesse aiutata nel lavoro. All'inizio la Principessa non voleva rivelare la verità, ma dovette ammettere di essere lei l'artefice dell'opera. La padrona si rallegrò e le disse di andare avanti. Nessuno avrebbe immaginato che in realtà era l'ancella a tessere la stoffa per la padrona.
Al castello si diffuse la voce che la forestiera era capace di intrecciare con maestria i fili dell'ordito, con un mirabile risultato, e si riparlò del progetto di matrimonio. Lo stesso Re andava spesso in camera della fanciulla a vedere come procedeva la tessitura. Ma, quando entrava, il telaio era sempre fermo e nessuna mano di donna intrecciava i fili d'oro. Al Re pareva bizzarro, e chiese alla fanciulla perché non sedesse mai al telaio in sua presenza.
"Signore, sono troppo timida per lavorare al suo cospetto", rispondeva con malizia la fanciulla.
Il Re dovette accontentarsi di questa risposta e, entro breve tempo, il tessuto fu pronto.
Come secondo compito, toccava ora alla fanciulla lavare l'asciugamano macchiato, ma più strofinava, più le macchie scurivano. Era disperata e non sapeva cosa fare.
Un giorno che la padrona era fuori, Asa, ovvero la Principessa travestita, si mise a lavare l'asciugamano.
Appena la toccò con le sue abili mani, la stoffa cominciò a sbiancare. Quando la padrona tornò a casa e se ne accorse, le chiese chi l'avesse aiutata a lavare. All'inizio, la Principessa non voleva rivelare la verità, ma dovette poi ammettere di essere lei l'artefice del lavoro. La Principessa si rallegrò e le disse di andare avanti. Nessuno sospettava che in realtà fosse l'ancella a lavare la stoffa per la padrona.
Al castello si diffuse la voce che la forestiera era anche capace di lavare a dovere, e si riparlò del progetto di matrimonio. Lo stesso Re andava spesso in camera della fanciulla a vedere come procedeva la prova. Ma quando entrava, nessuno aveva le mani in acqua. Al Re parve bizzarro, e chiese alla fanciulla perché non lavasse mai in sua presenza. Il Re ottenne la stessa risposta elusiva e dovette accontentarsi. Entro breve tempo, la stoffa risultò completamente pulita.
Al diffondersi di questa notizia, si fece festa nel Reame, e si apprestarono i preparativi per le nozze del Re.
Ma il giorno del matrimonio la sposa si ammalò improvvisamente e non fu in grado di compiere, alla testa del suo seguito, la lunga cavalcata fino alla chiesa. Tenne segreta la sua malattia, e si confidò soltanto con la sua ancella, pregandola di andare lei in sua vece. La Principessa accettò e indossò l'abito da sposa. A cavallo aveva un nobile portamento eretto e nessuno poteva mettere in dubbio che si trattasse della futura sposa. Il corteo nuziale percorreva le strade intorno al castello, secono una vecchia usanza, accompagnato dal tripudio della folla. Poi si sarebbero allontanati verso la chiesa, che era la stessa chiesa dove la Principessa si recava prima della guerra. Suoni e canti non servivano ad attutire il dolore della poverina, che doveva sostituire la sposa alle nozze con l'uomo che un tempo le aveva giurato fedeltà e amore.
La Principessa sedeva pallida sul suo destriero con la corona d'oro in testa, e accanto a lei cavalcava lo sposo ignaro del dolore che le spaccava il cuore. Quando ebbero percorso un tratto di strada, giunsero a un ponte che, secondo una profezia, sarebbe caduto se l'avessero attraversato sposi che non erano di sangue reale. La Principessa pronunciò le seguenti parole:

Bel ponticello, reggi quando cavalcando
due nobili rampolli ti stanno attraversando.

"Cosa dici, mia cara fidanzata?", domandò il Re.
"Niente, niente! - replicò la sposa - Parlavo con Asa, la mia ancella."
Cavalcarono per un po' finché giunsero al castello dove la Principessa aveva abitatato. Ma l'edificio era bruciato, e al suo posto crescevano sterpi e rovi. Lì la Principessa disse:

Crescono spini e cardi
dove prima era oro fino;
ci sarà cibo per porci più tardi,
dove un tempo versavo idromele e vino!

"Cosa dici, mia cara fidanzata?", domandò nuovamente il Re.
"Niente, niente! Parlavo con Asa, la mia ancella."
Continuarono a cavalcare finché giunsero a un bel tiglio. Lì la Principessa disse:

Sei qui, mio vecchio tiglio
Ai tuoi rami ho legato
anelli d'oro, e mi ha offerto un giglio
il mio amato.

"Cosa dici, mia cara fidanzata?", domandò di nuovo il Re.
Ma la sposa rispose come prima:
"Niente, niente! Parlavo con Asa, la mia ancella."
Il corteo nuziale doveva raggiungere la chiesa. D'un tratto arrivarono al volo due colombe. La sposa disse allora:

Tu voli felice con tuo marito,
ma io lo sto perdendo in questo sito!

"Cosa dici, mia cara fidanzata?", chiese il Re un'altra volta.
"Oh, parlavo con Asa, la mia ancella!", disse la Principessa. Quando ebbero cavalcato ancora un po', cantò il gallo. Allora lei disse:

Il gallo ha cantato sul pino,
nella stalla la sposa ha un bambino.

"Cosa dici, mia cara?", chiese il Re.
"Oh, nulla! - disse la sposa - parlavo solo con Asa, la mia ancella."
Il corteo proseguì finché penetrò nell'oscurità della foresta, dove c'era il globo di terra. Passandoci davanti, il Re domandò alla sua giovane sposa di raccontare una fiaba per accorciare il cammino. La Principessa sospirò e disse:

Nel globo di terra sette anni ho passato,
fiabe e indovinelli ho raccontato,
carbone ho bruciato
e lacrime ho versato,
dolori ho attraversato
e il lupo ho cavalcato.
Per la mia giovane padrona
vado sposa con in testa la corona.

A questo punto, il Re fu incuriosito e disse:
"Cosa stai dicendo, mia cara fidanzata?"
"Oh, nulla! Parlavo solo con Asa, la mia ancella."
Stavano arrivando alla chiesa dove il matrimonio avrebbe avuto luogo. La Principessa disse:

Qui mi battezzarono, Maria, Rosa e Stella.
Ora mi chiamo Asa, come la mia ancella.

Il corteo fece il suo ingresso trionfale in chiesa. Lo apriva in testa il suonatore di flauto, seguito dal violinista, dal tamburo e da altri suonatori. Poi venivano i paggi e i cavalieri e ultima la sposa con le damigelle d'onore, accompagnata dal Re. La giovane coppia sedette nel banco riservato agli sposi e la cerimonia si svolse con gran solennità, come si conveniva a gente di stirpe reale. Tutto filò liscio e nessuno sospettò dell'avvenuta sostituzione.


Stokes M.


La sera, il Re era seduto a conversare con la giovane moglie nel suo appartamento. Parlando, il Re le domandò:
"Dimmi, mia bella amica, che hai detto quando attraversavamo il ponte? Vorrei proprio saperlo!"
"Mio caro, l'ho dimenticato, ma aspetta che lo chiedo ad Asa, la mia ancella".
Andò dall'ancella e le chiese cosa aveva  detto strada facendo. Poi tornò pronta dallo sposo e disse:
"M'è venuto in mente. Ecco:

Bel ponticello, reggi quando cavalcando
due nobili rampolli ti stanno attraversando.


"Perché l'hai detto?", chiese il Re.
La sposa tacque. Dopo un attimo, il Re domandò:
"Dimmi, mia bell'amica, che hai detto quando ci siamo avvicinati al castello in rovina? Mi farebbe piacere saperlo."
"L'ho completamente dimenticato, ma lo chiederò ad Asa, la mia ancella."
Ritornò dall'ancella e le chiese cosa aveva detto strada facendo. Poi ritornò dal Re e disse:

Crescono spini e cardi 
dove prima era oro fino; 
ci sarà cibo per porci più tardi, 
dove un tempo versavo idromele e vino! 

"Perché l'hai detto?", chiese il Re.
La sposa tacque. Dopo un po', il Re domandò:
"Dimmi, mia bella amica, che hai detto quando abbiamo sorpassato a cavallo il tiglio? Mi farebbe piacere saperlo!"
La sposa non poteva rispondere neanche a questa domanda, ma dovette rivolgersi all'ancella. Poi ritornò e disse:

Sei qui, mio vecchio tiglio
Ai tuoi rami ho legato
anelli d'oro, e mi ha offerto un giglio
il mio amato.

"Perché lo hai detto?", chiese il Re.
Ma la sposa non rispose.
Tutto questo parve assai strano al Re, che continuò a interrogare la sposa su ciò che era stato detto strada facendo, e ogni volta la fanciulla doveva rivolgersi all'ancella.
Si era fatta notte ed era tempo per gli sposi di andare in camera da letto.
"Dimmi, mia bell'amica, dov'è la cintura che ti ho dato quando siamo usciti dalla chiesa?"
"Quale cintura? - chiese la sposa impallidendo - Beh, ma... l'ho data ad Asa, la mia ancella."
Si mandò a chiamare l'ancella, e quando essa giunse dal Re, aveva la cintura alla vita, chiusa da un lucchetto che solo il Re poteva aprire. La sposa bugiarda si vide scoperta. Sparì dalla stanza e fuggì per sempre dal castello.
Il Re riconobbe la sua vera sposa e la Principessa gli raccontò tutto ciò che le era successo durante i lunghi anni di separazione. Ci fu gaudio tra gli ospiti, e il Re sentì di essere stato ricompensato per tutte le sue sofferenze.
La coppia venne condotta in camera da letto, preceduta da paggi e damigelle che portavano delle candele, come si usava un tempo. Quando il Re e la sua giovane sposa furono a letto, i giovani del corteo nuziale intonarono in coro la vecchia canzone:

Spegni la candela sulla corona
e alla sposa il tuo amore dona.

Ci fu un gran festeggiamento, perché Dio aveva voluto che i due innamorati, che avevano avuto la felicità a portata di mano, finalmente ne entrassero in possesso.

Raccolta e tradotta da Annuska Palme Sanavio.




lunedì 20 ottobre 2014

Perché la Vergine Malvina Non E' "Certamente" Scandinava e: Perché Deve Essere Così Vergine?

Sono partita da Biancaneve - dalla seconda parte di Biancaneve, che si prolunga toccando tipi fiabeschi molto diffusi, nelle varianti popolari - per giungere attraverso Il Coltello, La Bambola e la Pietra Pazienza, alla principessa perseguitata, fidanzata spodestata-sostituita de "La Guardiana d'Oche".
Soffermarsi su "La Vergine Malvina" è d'obbligo perché, secondo me, rappresenta un tipo fiabesco a sé, rispetto alle solite fidanzate-spose sostituite. Mi aveva convinto, all'epoca, l'affermazione di Annuska Palme Sanavio, che in "Fiabe Popolari Svedesi", a proposito della consorella "La Principessa nel Globo di Terra", definisce quest'ultima "una delle poche fiabe di cui è indubbia l'origine scandinava, poiché tutte le annotazioni che la riguardano riportano ai paesi nordici. Un ricercatore di fiabe svedese, Waldemar Ljungman, ha dimostrato [...] che questo tipo di fiaba si è sviluppato nel Trecento ed è stato tramandato da Saxo Gramaticus".
Con tutto l'affetto, le fiabe non sono nate quando i Paesi nordici hanno imparato a scrivere; così trovo altrettanto tenero e arrancante il Calvino che, nella sua raccolta, assegna (democraticamente) a Regioni del Nord fiabe che venivano raccontate in tempi mitologici e in Regioni "mitologiche" della Magna Grecia - quasi certamente in versi - quando il Calderolus dell'epoca annusava l'orsa che corteggiava in una grotta, prima che un suo discendente snaturato decidesse che era meglio farle fuori tutte, 'ste immigrate pelose...
E, dopo la fiaba tedesca e quella svedese, posterò una Pulzella pugliese, tanto per chiarire.


"Athena", Liebenwein M.


Intanto, abbandonando certi dati antropologici politicamente scorretti, mi concentrerei sulla "vergine". I termini "fanciulla" e "vergine" erano interscambiabili. E' questione di lana caprina tentare un'ardita traduzione dissonante. La fiaba stessa ci dice che il popolo chiamava la sua principessa vergine Malvina. Una fanciulla, soprattutto se regale e destinata ad un re, soprattutto nelle fiabe, era indiscutibilmente vergine, quindi ancòra una fanciulla. Se ci fate caso, in tutte le fiabe che avete letto, la povera fanciulla perseguitata, una volta regina, non viene mai più chiamata fanciulla, ma la Regina, la giovane Regina, la nuova Regina, la giovane (se le sue disgrazie continuano), ecc.
Perché insistere sulla verginità della sfortunata Malvina se era talmente scontata, e se, poi, la trama non ne tiene conto? Le fiabe sono surreali, mitiche e mitologiche, ma hanno sempre una logica interna, a cui, i cantòri non potevano sfuggire. Naturalmente, sto preparando il terreno al confronto fiabesco tra versioni differenti.
E il senso dell'ancella? Ne "La Guardiana d'Oche" e in altre fiabe, l'ancella (infedele) svolgeva la funzione de "la brutta Saracina" del Basile, o quello della sorellastra altrettanto brutta e cattiva che uccide la buona diventata regina e tenta di farsi passare per lei. Qui, che funzione ha? Arrivate alla città del Principe, se ne perdono le tracce e non se ne parla più.

Mab

domenica 19 ottobre 2014

La Vergine Malvina, Grimm n.198, Traduzione Mia

'era una volta un Re. E questo Re aveva un erede che aveva chiesto la mano della figlia di un potentissimo Monarca. La Principessa veniva chiamata la vergine Malvina, ed era di straordinaria bellezza. Purtroppo, suo padre progettava di darla in sposa ad un altro pretendente, e rifiutò il Principe. Ma  i due giovani si amavano con tutto il cuore e non intendevano rinunciare l'uno all'altra.
Così, Malvina andò dal padre e gli disse:
"Non sposerò altri che lui!".
Allora il padre montò su tutte le furie, ordinò che venisse costruita un'alta torre oscura, in cui non penetrasse mai un raggio di sole o di luna, e, quando fu ultimata, disse alla figlia:
"Rimarrai chiusa qui dentro per sette anni, allo scadere dei quali, verrò in persona ad accertarmi che la tua ostinazione sia piegata"
Poi, nell'alta torre furono stipati cibo e acqua in quantità sufficiente per la durata della prigionia, e la Principessa e la sua cameriera vi furono condotte e murate vive, senza più toccare la nuda terra né vedere il cielo, e, per quei lunghissimi sette anni, sedettero nell'oscurità, senza mai accorgersi se fosse notte o giorno chiaro.
Il Principe non faceva che aggirarsi intorno all'alta torre oscura, chiamando la sua innamorata per nome, ma le impenetrabili mura non lasciavano passare il suono della sua voce.
Che altro potevano fare le povere fanciulle se non piangere e lamentarsi?


Rackham A.


Passarono gli anni, e, dalla scarsa quantità delle provviste di cibo e di acqua, capirono che la liberazione era vicina, tuttavia, non udivano colpi di martello provenire dall'esterno, e neanche la più piccola pietra della torre veniva rimossa.
Poiché non rimaneva loro che un'esigua scorta di cibo, e temevano d'essere state dimenticate e, quindi, destinate ad una fine atroce, la vergine Malvina disse alla sua compagna:
"Non ci resta altro da fare che tentare di aprirci un passaggio nel muro".
Prese il coltello del pane, ed incominciò a scavare nella malta, nel tentativo di scalzare una pietra, e, quando non ebbe più forze, la cameriera scavò al posto suo. Con grandissima fatica, riuscirono a svellere una pietra, poi una seconda, poi un'altra ancòra, e, dopo tre giorni, il primo raggio di luce fendette l'oscurità. Finalmente, allargarono l'apertura nel muro tanto da poter guardare fuori.
Il cielo era di un magnifico azzurro, e una fresca brezza accarezzò loro il volto, ma che spettacolo desolato si offrì ai loro occhi!  Del castello paterno non erano rimaste altro che rovine, e la città e i villaggi erano stati distrutti con il fuoco, e i campi tutt'intorno erano sconvolti e devastati, né si vedeva un essere umano. Quando la breccia nel muro fu abbastanza larga, le fanciulle sgusciarono fuori dalla torre. Ma il nemico aveva devastato città e villaggi e massacrato l'intera popolazione: che potevano fare se non lasciare quei luoghi desolati?
Così si misero in cammino,  e non trovarono mai un tetto sotto cui rifugiarsi, né qualcuno che donasse loro un tozzo di pane, e furono costrette a nutrirsi di ortiche per non morir di fame.


Scevola de G.


Cammina cammina, entrarono in un altro Regno. Cercarono un lavoro, anche il più umile, ma non ricevettero che rifiuti e nessuno ebbe pietà di loro. Infine, giunsero in una grande città, e cercarono un lavoro presso il Palazzo Reale, ma le scacciatono anche da lì. Un giorno, un cuoco ne ebbe pietà e le prese come sguattere.
Il figlio del Re era proprio l'antico fidanzato della vergine Malvina. Il padre gli aveva destinato un'altra sposa, brutta in volto e d'animo. Alla vigilia delle nozze, era arrivata a Palazzo la promessa sposa, ma, a causa della sua grande bruttezza, non usciva dalle sue stanze e a nessuno era permesso avvicinarla: soltanto la vergine Malvina fu ammessa alla sua presenza, perché le era stato ordinato di recarle i pasti dalle cucine.
Giunto il momento di recarsi in Chiesa, la sposa si vergognò della sua bruttezza, e, temendo che, in strada, il popolo la prendesse in giro e la deridesse, disse a Malvina:
"Sappi che ti è toccata una grande fortuna: mi sono rotta un piede e non posso camminare. Tu indosserai l'abito nuziale e ti presenterai in chiesa al posto mio: non potrebbe capitarti onore più grande!".
Ma la vergine Malvina rifiutò, dicendo che non poteva accettare un onore a cui non aveva diritto. Dopo aver tentato inutilmente di comprare il suo consenso offrendole una quantità d'oro, la sposa, infuriata, gridò:
"Se non ubbidirai, perderai la vita: una mia parola e la tua testa rotolerà!"
E così la vergine Malvina fu obbligata ad indossare la magnifica veste nuziale e gli sfolgoranti gioielli della sposa.
Il suo ingresso nella Sala del Trono provocò stupore e ammirazione, e il Re disse al figlio:
"Ecco, questa è la sposa che ho scelto per te e che condurrai all'altare."
Lo sposo, colpito dalla sua grande bellezza, pensò: ' Se non sapessi che la mia vergine Malvina è da anni prigioniera nella torre, e, forse, a quest'ora, è morta, giurerei che sia lei in persona! '


Ethel Leontine Gabain


La prese per mano e la condusse in chiesa.
Lungo la strada, c'era una pianticella di ortica, e la sposa disse:
"O pianticella d'ortica, tu, pianticella di ortica! Un tempo, né lessata né arrostita, ma amara e cruda ti ho colta e ti ho mangiata!"
"Cosa hai detto?", chiese il Principe.
"No, niente, niente - rispose - pensavo alla vergine Malvina."
Lo sposo si meravigliò che la sua promessa conoscesse la vergine Malvina, ma tacque. Quando arrivarono in prossimità del cimitero, la sposa disse ancora:
"Ti prego, strada, non sprofondare, anche se non è la vera sposa quella che senti arrivare!"
"Cosa hai detto?", chiese il Principe.
"No, niente, niente -  rispose - pensavo alla vergine Malvina."
"Come? La conosci?".
"No, come potrei? Ne ho sentito parlare."
Giunta sulla soglia della chiesa, la sposa disse ancora:
"O porta, non crollare anche se non è la vera sposa quella che vedi entrare!"
"Cosa hai detto?", chiese il Principe.
"No, niente, niente. Pensavo alla vergine Malvina."
Il Principe prese una collana di inestimabile valore e gliela mise al collo. Gli sposi entrarono in chiesa, e, sull'altare, il sacerdote unì le loro mani e li dichiarò marito e moglie.
Sulla via del ritorno, la vergine Malvina non disse una parola. Salita in gran fretta nella camera nuziale, si tolse le ricche vesti ed i gioielli e indossò nuovamente i suoi stracci: ma tenne per sé la preziosa collana che le aveva donato il Principe.
Al calar della notte, la vera sposa fu condotta nella stanza nuziale, e  non alzò il velo che le nascondeva il volto, perché lo sposo non si accorgesse dell'inganno. Appena furono lasciati soli, il Principe le chiese:
"Che cosa hai detto alla pianticella d'ortica lungo la strada?"
"Una pianticella di ortica? - si stupì lei - io non parlo mica con le ortiche!"
"Se all'ortica non hai parlato, non sei la donna che ho sposato!", ribattè il Principe.
La sposa si spaventò e disse:
"Aspetta! Chiederò alla mia serva, che è la custode dei miei pensieri."
Quindi, si precipitò dalla vergina Malvina e le chiese:
"Cosa hai detto alla pianticella di ortica lungo la strada?"
E la fanciulla rispose:
"Ho detto soltanto:O pianticella d'ortica, tu, pianticella di ortica! Un tempo, né lessata né arrostita, ma amara e cruda ti ho colta e ti ho mangiata!"


Hughes A.



La sposa tornò dal Principe e gli disse:
"Adesso ricordo cosa ho detto all'ortica." e ripeté esattamente le parole che aveva appena appreso dalla vergine Malvina.
Poco dopo, il Principe le chiese:
"Cosa hai detto alla strada per il cimitero?"
"Alla strada? Io non parlo con le strade."
"Se alla strada  non hai parlato, non sei la donna che ho sposato!"
Ed ella rispose ancora:
"Aspetta! Chiederò alla mia serva, che è la custode dei miei pensieri."
E si precipitò dalla vergine Malvina e le chiese:
"Cosa hai detto alla strada per il cimitero?"
"Ho detto soltanto: 'Ti prego, strada, non sprofondare, anche se non è la vera sposa quella che senti arrivare!' "
"Questo ti costerà la vita!" gridò la sposa, e ritornò dal Principe, e gli disse:
"Adesso ricordo cosa ho detto alla strada", e ripeté esattamente le parole che aveva appena appreso dalla vergine Malvina.
"Cosa hai detto alla porta della chiesa?", la incalzò il Principe.
"Alla porta della chiesa? Io non parlo con le porte."
"Se alla porta  non hai parlato, non sei la donna che ho sposato!"
E così la sposa si precipitò fuori dalla camera e interpellò nuovamente la vergine Malvina.
"Ho detto soltanto, 'O porta, non crollare anche se non è la vera sposa quella che vedi entrare!' "
"Giuro che me la pagherai! Ti farò tagliare la testa!" gridò la sposa, pazza di rabbia, e corse dal Principe e gli ripetè le parole che aveva appena ascoltato.
"E dov'è la collana che ti ho donato in chiesa?"
"Che collana? Non mi hai regalato nessuna collana!"
"Ma se te l'ho allacciata io stesso! Se la collana non hai rammentato, non sei la donna che ho sposato!", disse il Principe, e  le strappò via il velo che le nascondeva il volto, e, quando vide la sua spaventosa bruttezza, fece un balzo indietro, e gridò: "Chi sei? Da dove vieni?"
"Sono io la tua sposa, ma avevo paura che mi deridessero per il mio aspetto e ho ordinato alla sguattera di indossare la mia veste nuziale e di recarsi in chiesa, in mia vece."
"Dov'è la ragazza? - chiese il Principe - Voglio vederla: va' a cercarla e portala qui."
Uscita dalla camera, la sposa ordinò ai servi di condurre la sguattera nella corte e di mozzarle la testa, poiché era una truffatrice. I servi l'afferrarono e tentarono di trascinarla al supplizio, ma la vergine Malvina invocò aiuto gridando forte: il Principe, udì le sue grida e accorse, scacciando i servi.
Guardandola alla luce, egli si accorse della collana che portava al collo e disse: "Tu sei la mia vera sposa, quella che ho condotto in chiesa e che ho sposato sull'altare. Vieni nella mia camera."


Greiffenhagen O.


Una volta soli, il Principe disse:
"Andando in chiesa, hai  nominato la vergine Malvina, che fu la mia promessa sposa. Se osassi sperare nell'impossibile, giurerei di vederla davanti a me poiché tu le assomigli come una goccia d'acqua."
"Sono io, sono la vergine Malvina, la tua fidanzata, e per amor tuo ho sopportato grandi dolori, imprigionata in quella torre oscura per sette lunghi anni, soffrendo fame e sete, e ho vissuto nella miseria: ma oggi torna a risplendere il sole su di me perché davanti al sacerdote c'ero io, e io sono stata dichiarata la tua legittima sposa."
E si baciarono, e vissero felici e contenti per il resto della loro vita.
La falsa sposa fu punita per la sua malvagità con il taglio della testa.
La torre in cui la vergine Malvina aveva vissuto prigioniera, rimase in piedi per molto molto tempo, e, ogni volta che i bambini passavano lì vicino, cantavano:

"Kling, Klang! Kling Klang!
Nella torre chi c'è?
C'è una Principessa:
Mai nessuno potrà vederla,
E il muro mai si romperà,
E la pietra mai si scalfirà.
Hans, Hans,
vestiti a festa e
corri via con me."


Grimm n.198, "Jungfrau Maleen".
Classificazione: Aa Th 870 [The Entombed Princess]
Traduzione: Mab's Copyright.

Il testo originale è nella Pagina: "Brüder Grimm".

lunedì 6 ottobre 2014

L'Ombra della Principessa (Puglia)

'era una volta un Re, che aveva una figlia di nome Maria. Questa fu assalita da violenta malattia, ed i medici disperavano di salvarla; sentendosi in fine di vita, con l'ultimo fiato rimasto, si raccomandò al padre: "Mio Sire... Padre mio, dopo la mia morte... ti prego... manda ogni notte una sentinella a vigilare sulla mia tomba e...", e il suo corpo zittì. Non una mosca ruppe il silenzio per lungo tempo in quella stanza senza vita. Poi un lamento regale dette il via ad un pianto di popolo per quella giovane principessa.
I funerali tennero impegnata tutta la corte e la chiesa era gremita di sguardi pietosi. Dopo alcuni giorni il Re si ricordò del giuramento fatto alla testata del letto principesco e, subito, ordinò che ogni notte una sentinella montasse la guardia alla tomba dov'era seppellita la speranza del reame, figlia di Re e futura Regina. Tutte le guardie, però, non si sa perché, avevano paura. Le notti erano buie e l'ambiente era troppo ampio e ad ogni minimo scricchiolio il cuore sobbalzava. Le guardie cominciarono a passarsi la voce e speravano in un ripensamento, ma nel frattempo dovevano ubbidire.
Un giorno... anzi, una notte, a mezzanotte, mentre il soldato incaricato di fare la guardia passeggiava, uscì dalla tomba l'ombra della principessa e disse: "All'erta sentinella". Il soldato a quella voce ebbe un tuffo al cuore e si sentì prendere per i capelli e trascinare nella fossa.


Beatriz Martin Vidal


Il mattino seguente il Re volle sapere che ne fosse della guardia e nessuno seppe dire nulla sulla causa della sua scomparsa; la sera fu messa di guardia un'altra sentinella, alla quale capitò la stessa sorte, e per più giorni di seguito avvenne lo stesso. Una notte capitò un soldato che non aveva arrecato mai male a nessuno, ed era bravo e valoroso. Anch'egli tremava per la sorte che l'aspettava, e nell'andare al camposanto si fermò dinanzi ad una chiesetta, che era nel vicinato, e si mise a pregare. In quel mentre gli apparve un vecchio che era Gesù, il quale gli diede il consiglio di non andare nella tomba dove giaceva il corpo della principessa, ma nella cappella vicina. Egli così fece; a mezzanotte, uscì l'ombra della principessa, e disse la solita frase: "All'erta, sentinella". Ma il soldato non uscì dalla cappella, né profferì parola.
L'ombra con voce rabbiosa esclamò: "Maledetto sia mio padre che non mi ha mandato la guardia, come aveva promesso!"
La mattina il Re, come il solito, andò al camposanto, e vedendo il soldato vivo, gli domandò: "Che ti ha detto la mia Maria?"
"Niente!" rispose il militar soldato.
Al Re la cosa destò meraviglia: perché tutti gli altri che avevano fatto la guardia in precedenza erano scomparsi? Allora ognuno tornò alla propria casa pensando e ripensando a tutti i perché. La notizia di questo fatto si diffuse subito fra tutti i soldati, e mentre prima ognuno tremava d'essere incaricato di montar la guardia sulla tomba della principessa, pensando che la sua morte era certa, come seppero che un loro compagno era uscito salvo, aprirono l'animo alla speranza.
La sera seguente fu designato un altro soldato a far la sentinella; egli corse subito dal compagno, che lo aveva preceduto in quell'ufficio, e gli propose di pagargli una somma di danaro purché volesse sostituirlo. Il buon soldato, rassicurato da quanto era avvenuto la notte precedente, accettò. Difatti la sera andò un'altra volta a pregare nella chiesetta, e trovò il vecchio, il quale gli dette un altro consiglio, cioè quello di mettersi presso l'altare. Detto, fatto: egli così fece. Quando a mezzanotte uscì l'ombra e dette il solito comando, nessuno le rispose; l'ombra indispettita entrò nella cappella e cominciò a fare la matta, guastando tutto, ma non toccò l'altare; poi scomparve.
Il mattino seguente il Re domandò alla sentinella: "Che hai sentito questa notte?" "Nulla", gli rispose, ed il Re, impensierito, se ne tornò alla reggia.
L'altro soldato che ebbe l'ordine di montar di guardia quella notte si recò dal compagno che aveva sfidato per due volte la morte e con regali lo indusse a sostituirlo. Egli accettò e, nel recarsi al cimitero, incontrò il vecchio il quale gli dette una boccettina di acqua misteriosa dicendogli che doveva versare qualche goccia sull'ombra della principessa quando quella fosse uscita dalla tomba.


Beatriz Martin Vidal


Egli così fece e... l'acqua misteriosa compì il miracolo: subito l'ombra prese forma e si sostanziò in una fanciulla in carne e ossa. Il giovane militare, superato il momento di meraviglia, prese coraggio e scese nella tomba della principessa dove erano stati trascinati tutti i suoi compagni. Versò poche gocce su quei cadaveri e li fece risuscitare. La mattina, quando il Re andò a far la solita visita, e vide la figlia viva, l'abbracciò e le diede per sposo il suo salvatore.

Puglia (Trani)
Raccolta e Scritta da Lino Di Turi

Classificazione: AaTh 307 [La Principessa nel Sudario]
Le varianti - più belle e sontuose - le avevo trovate nella raccolta di Afanas'ev (Russia), e in raccolte di fiabe e leggende rumene. Lì, la Principessa è dichiaratamente un vampiro e il soldato affronta sevizie e tormenti di ogni genere per vegliarla notte dopo notte. Non sempre con l'esito felice di questa fiaba.

domenica 5 ottobre 2014

Il Palazzo dell'Omo Morto, Calvino n.32

In Italia, o segnatamente in Italia, esiste anche il Bell'Addormentato. Inoltre, vedremo che, in un certo modo, esiste un Biancaneve. Intanto, il Bell'Addormentato, qui e altrove, è esplicitamente indicato come l'Uomo Morto, senza poetici infingimenti. In questa variante calvinizzata, la  seconda parte si sviluppa secondo il motivo "Pietra Pazienza, Coltello Pazienza", (purtroppo, viene spesso omessa la bambola, vero fulcro della scena risolutiva, ma, giustamente, guardata con diffidenza) incontrato ne "La Schiavotta", e sublimato nella testa di Falada e nel forno di ferro, de "La Guardiana d'Oche".





na volta c'era un Re e questo Re aveva una figlia. Un giorno questa figlia era al balcone con le sue damigelle, quando passò una vecchia.
"Padroncina - disse la vecchia - mi faccia la carità, mi dia qualcosa".
"Sì, benedetta", le disse la giovane, e le buttò giù un cartoccio di quattrini.
"Padroncina, sono pochi...- disse la vecchia - me ne dia degli altri".
La figlia del Re buttò giù un altro cartoccetto.
La vecchia disse ancora:
"Padroncina, me ne dà un altro po'?"
Allora la figlia del Re perse la pazienza:
"Sapete cosa vi dico? Che siete una seccatrice.Ve n'ho dato due volte e non ve ne darò più altri!"
La vecchia allora si rivoltò e disse:
"Ah, è così? Ed io prego il cielo che tu non ti possa maritare se non trovi l'Omo morto!".
La figlia del Re si ritirò dal balcone e scoppiò in lagrime.
Suo padre, quando seppe la ragione del suo pianto, le disse:
"Ma non stare sempre dietro a queste storie!"
E lei:
"Non so cosa sarà di me, ma voglio andarmene, voglio andare a cercare l'Omo morto!"
"Fa' quello che vuoi! Io farò conto d'averti persa!", disse il Re scoppiando a piangere anche lui. La ragazza non gli badò e partì.
Dopo molti giorni di strada arrivò a un palazzo di marmo. La porta era aperta e dentro era tutto illuminato.
La ragazza entrò e chiese: "Chi c'è qua?"
Nessuno le rispose.
La ragazza andò in cucina: c'era la pentola che bolliva con la carne dentro; aperse: la credenza era piena di roba.
"Visto che ci sono, ci resto", disse la ragazza e si mise a mangiare perché in tanti giorni di viaggio le era venuta una gran fame. Mangiato che ebbe, aperse una porta e vide un bel letto.
"Io vado a coricarmi domani poi vedremo cosa salterà fuori".
Il giorno dopo si svegliò e riprese a girare per il palazzo. Aperse tutte le porte, finché non si trovò in una stanza dove c'era un uomo morto, lungo disteso.Vicino ai piedi c'era un cartello con su scritto:

Chi mi veglierà per un anno,
Tre mesi e una settimana,
sarà la mia dilettissima sposa.

'Ecco che ho trovato quello che cercavo - si disse la ragazza - Ora non mi resta che rimanere qui notte e giorno'. E non si mosse più di là, tranne che per farsi da mangiare.
Così passò un anno, e lei stava sempre sola a far la veglia al morto, quando un  giorno sentì gridare in Canalazzo:
"Chi vuol schiave... Chi compera schiave..."
'Guarda - disse la ragazza - vado subitò giù a prendermi una schiava. Almeno avrò compagnia e ogni tanto potrò buttarmi a dormire un momento, perché sono tanto stanca che non posso più tirare avanti'.
Andò al balcone, chiamò quello delle schiave e gliene comprò una. La portò su e la tenne sempre con sé.


Boulanger G.C.R."The Slave Market"


Passarono ancora tre mesi, e la ragazza era tanto stanca che disse alla schiava:
"Senti, adesso vado a letto; lasciami dormire tre giorni e basta; al quarto giorno chiamami. Mi raccomando, non sbagliarti!"
"Sta' tranquilla: non sbaglierò", disse la schiava.
La ragazza adò a dormire e la schiava restò notte e giorno col morto. Passarono tre giorni, ne passarono quattro, e la ragazza dormiva. La schiava pensava: 'Figuriamoci se vado a svegliarla! Che dorma! Che dorma!'
Ed ecco che viene il momento, e il morto apre gli occhi, vede la schiava, s'alza, l'abbraccia e dice:
"Tu sarai la mia dilettissima sposa!"
A quelle parole tutto il palazzo si disincantò. Saltarono fuori camerieri da una parte, damigelle dall'altra, cuochi, cocchieri: insomma si riempì di gente.
Il rumore svegliò anche la giovane. Capì che era passata la settimana.
"Ah, tradimento! - disse - Quell'anima nera non mi ha chiamato e io ho perso la mia fortuna! Maledetta l'ora e il momento in cui ho comperato quella schiava!"
L'Omo morto era Re e gran signore. E disse alla schiava:
"Sei stata sempre tu da sola a vegliarmi?"
Gli rispose la schiava:
"Avevo chiamato anche una donna, che stava un po' ogni giorno, ma dormiva sempre e mi serviva a poco."
"E adesso dov'è?", chiese il Re.
"E' chiusa in camera sua a dormire, come al solito".
E il Re sposò la schiava. Ma con tutto che la facesse vestire da gran regina, con l'oro e con brillanti, brutta era e brutta restava. Il Re fece corte bandita per otto giorni. Finito il pranzo, volle che tutti i servitori venissero con loro a tavola bianca, e disse alla sposa di far venire anche quella serva che le aveva fatto compagnia durante la veglia.
"Ma no, non vado a chiamarla - disse la sposa - Tanto non verrà: non fa altro che dormire".
Invece, la povera giovane non faceva altro che piangere e sospirare notte e giorno, perché per aver dormito un giorno di più aveva perso la sua fortuna.
Dopo gli otto giorni di corte bandita, il Re disse che doveva andare via, a vedere i suoi beni, e che aveva l'uso, ogni volta che andava via, di portare un regalo a tutta la sua servità. Fece venire tutti i servitori, e chiese cosa volevano: chi gli diceva un fazzoletto, chi un abito, chi un paio di brache, chi una velada, e lui si segnava tutto su un pezzo di carta per non dimenticarsi.
Disse alla sposa:
"Chiama quella tua serva, che senta cosa vuole, perché voglio portare qualcosa anche a lei". E fu chiamata la giovane. Il Re la trovò così bella e gentile nel tratto e nel parlare, che ne restò incantato.
"Dimmi, cara - le fece - cosa comandi che io ti porti".
"Mi faccia questo piacere - disse la ragazza sospirando - mi porti un acciarino, una candela nera e un coltello".
Il Re restò molto stupito a sentirsi chiedere quelle tre cose:
"Bene, bene, sta' tranquilla, non mi dimenticherò di portartele".
Partì, fece le cose che aveva da fare, e quand'ebbe finito andò a comprare i regali per la servitù.. E carico di tutte queste compere, salì sul bastimento per tornare. Il bastimento levò l'ancora, ma non poteva andare né avanti né indietro. I naviganti chiesero:
"Sacra Maestà, non ha per caso dimenticato niente?"
"No, niente", rispose, ma poi andò a guardare la sua nota, e vide che aveva dimenticato le tre cose per quella giovane. Scese subito a terra, andò in una bottega e domandò le tre cose.
Il negoziante lo guardò bene in faccia.
"Mi scusi se le domando per chi sono queste cose".
"Le devo dare a una mia serva", disse il Re.
"Allora, mi stia a sentire. Faccia così: quando arriva a casa, non le dia niente, la faccia aspettare tre giorni. Dopo questi tre giorni, vada nella stanza di questa serva e le dica: 'Vammi a prendere un bicchiere d'acqua e ti darò le tre cose'. Quando sarà uscita, gliele posi sul comò, e poi si nasconda sotto il letto o in qualche posto in modo da poter vedere cosa fa".
"Ho capito", disse il Re.
Arrivato a casa, tutti i servitori gli corsero incontro e a ognuno lui diede il regalo promesso. Per ultima venne quella giovane, e gli domandò se le aveva comprato quelle tre cose.
"Ah, noiosa! - fece lui - Te le ho comprate, sì, e te le darò poi".
La giovane tornò in camera sua e si mise a piangere, pensando che non le avesse portato niente.Dopo tre giorni, sente bussare alla sua porta ed era il Re.
"Sono qua per darti i tuoi regali, ma prima vammi a prendere un bicchier d'acqua, ché ho sete".
La ragazza corse via, il Re mise tutto sul comò e poi si nascose sotto il letto. Quando lei tornò e non trovò più il Re, si disse:
"Ecco, me l'ha fatta ancora una volta di lasciarmi senza niente".
Posò il bicchiere sul comò e s'accorse che c'erano i regali.
Allora chiuse la porta col catenaccio, si spogliò, battè l'acciarino, accese la candela nera e la mise su un tavolino. Poi prese il coltello e lo conficcò nel tavolino. S'inginocchiò in camicia davanti al coltello e disse:
"Ti ricordi quand'ero a casa con Sua Maestà mio padre, e una vecchia m'ha detto che non mi sarei maritata se non avessi trovato l'Omo morto?"
E il coltello rispose: "Sì, che mi ricordo"
"Ti ricordi quando sono andata per il mondo e ho trovato un palazzo e dentro ho visto l'Omo morto?"
E il coltello rispose: "Sì che mi ricordo"
"E di quando ho vegliato per un anno e tre mesi e ho comprato quella brutta schiava per mia compagnia, e le ho detto che mi lasciasse dormire tre giorni, perché ero stanca, e lei invece mi ha lasciato dormire tutta la settimana, e allora l'Omo morto s'è disincantato, l'ha abbracciata e l'ha sposata?"
E il coltello rispose: "Purtroppo mi ricordo"
"A chi sarebbe stato giusto toccasse quella fortuna? A me che ho penato un anno e tre mesi, o a lei che è restata lì pochi giorni?"
E il coltello rispose: "A te"
"Visto che ti ricordi e che dici che quella fortuna doveva toccare a me - fece la ragazza - sconficcati da questo tavolino e conficcati nel mio petto".
Il Re, da sotto al letto, appena sentì il coltello che si sconficcava dal tavolino, saltò fuori, abbracciò la giovane e disse:
"Ho sentito tutto! Sarai la mia sposa! Adesso sta' tranquilla nella tua stanza: lascia fare a me".
Andò dalla schiava e le disse:
"Ora che sono tornato dal mio viaggio voglio fare otto giorni di corte bandita".
"Sta' attento a non sprecare tanto i soldi", disse la schiava.
"Sai, ho sempre avuto quest'uso, tutte le volte che ho fatto un viaggio".
Si fece corte bandita con un gran pranzo. Disse il Re alla schiava:
"Voglio tutti i miei servitori a tavola bianca, e tu chiama la tua serva, che voglio anche lei".
"Ma lasciala stare quella là, che è un rospo!"
"Se non la vai a chiamare tu, vado io".
E così la giovane venne a tavola, tutta lagrimosa come al solito.
Finito il pranzo, il Re raccontava del suo viaggio. E disse che era stato in una città dov'era successo un caso come il suo, d'un Re fatato, che una giovane aveva vegliato per un anno e tre mesi, poi aveva preso una schiava per farle compagnia, e che la giovane, stanca com'era, era andata a dormire, e la schiava non l'aveva svegliata, e l'Omo morto ridestandosi aveva trovato la schiava, e l'aveva sposata.
"Ora mi dicano loro a chi sarebbe toccato d'esser sposa del Re: a quella della settimana, o a quella dell'anno e tre mesi?"
E tutti gli risposero:
"A quella dell'anno e tre mesi".
E il Re:
"Ecco, signori. Questa è la donna dell'anno e tre mesi, e questa la schiava da lei comprata. Mi dicano ora lor signori che morte dobbiamo dare a questa brutta mora che ha così tradito la sua padrona"
E tutti saltarono su a dire:
"Sia bruciata in mezzo alla piazza in un barile di pece!"
Così fu fatto, e il Re sposò la giovane e vissero sempre felici e contenti, e neanche di loro si parla più, ormai.


Briton Rivière


Calvino n. 32
Classificazione: AaTh 437 [The Supplented Bride]

Come (quasi) sempre, la Madre è uno dei Cunti del Pentamerone: la Fiaba introduttiva o fiaba-cornice.
Varianti che riprendono sia il motivo della Bambola e/o della Pietra  e del Coltello che il motivo della Falsa Sposa  o la Sposa Scambiata:

"Pietra Pazienza e Coltello Pazienza", (Turchia), raccontata da Pearl S. Buck.
"Nourie Hadig", (Armenia), raccontata da A.Carter
"'O Zinzulo 'e Sette Bellezze", De Simone
"Lu Sangunazzu", Pitrè n.66

Naturalmente, Calvino, di una fiaba meridionalissima, ricca di influenze orientali, sceglie di pasticciare con una variante veneta, spegnendone ritmo, colore e fantasia. Nelle sue stesse note, a parte una variante lombarda, ricorda una abruzzese, una campana, "in dialetto d'Avellino", (raccolta da V. Imbriani), la variante del Pitrè e una sarda.

In Basile, la "Disgrazia" iniziale nasce dal motivo de La Principessa che non Ride.
"Dice ch'era na vota lo Re de Valle Pelosa, lo quale aveva na figlia chiammata Zoza, che, comme n'autro Zoroastro o n'autro Eracleto, non se vedeva maie ridere..."
Per tentare di scuoterla, il Re fa costruire, proprio davanti alla Reggia, una fontana che butta olio. In ultimo, accorre anche una vecchia con una piccola oliera. L'ha appena, faticosamente, riempita che un paggio dispettoso gliela fracassa per gioco lanciando un sasso. La vecchia si risente un po'...
"Per la quale cosa la vecchia, che non aveva pilo alla lengua, né portava 'n groppa, votatose a lo paggio, commenzale a direle: 'Ah zaccaro, frasca, merduso, piscialietto, sautariello de zimmaro, pettola a culo, chiappo de 'mpiso, mulo canzirro! ente, ca puro li pulece hanno la tosse! Va', che te venga cionchia, che mammata ne senta la mala nova, che non ce vide lo primmo de maggio! va', che te sia data lanzata catalana o che te sia data stoccata co na funa, che non se perda lo sango, che te vengano mille malanne, co' l'avanzo e presa e viento a la vela, che se ne perda la semmenta, guzzo, guitto, figlio de 'ngabellata, mariuolo!'". Il paggio le risponde con lo stesso linguaggio pittoresco, e, a mo' di sfregio, la vecchia si alza la veste, e auzato la tela de l'apparato, fece vedere la scena voscareccia... provocando l'ilarità della figlia del Re, che rise fin quasi a morirne. E scatta la maledizione.
Com'è naturale, nelle versioni più antiche (e autentiche, ovvero, meno ritoccate) certi dettagli rivelano ciò che sarebbe già facilmente deducible.
Una bambola simile l'abbiamo incontrata in "Vasilisa la Bella". Ma lì, più nobilmente, sostituiva la statuina dell'Antenata.
In questo tipo fiabesco, ci allontaniamo dal culto per avvicinarci alla magia, non propriamente quella delle fatine bocciuolo con le alucce glitterate.
Una bambola, un coltello nero...

Nella fiaba del Pitrè, il nesso tra la bambola e la Schiava traditrice è palese. Man mano che, nella sala del monastero, la Schiava s'ingozza, si gonfia e gonfia sempre più. Lo stesso fa la "pupidda", sola con la ragazza, che le racconta le sue sventure. E la Schiava finisce per scoppiare, proprio nel momento in cui la ragazza racconta del matrimonio con il Re, e, nello stesso momento, scoppia la "pupidda".


Forest Rogers




"Lu Re purtau la zita a la batìa e tutti li parenti monachi ci misiru a dari cosi duci. La Scavuzza comu si mangiava li cosi duci, jia ungiannu. La giuvina chiusa pirò si misi a cuntari tutti li soi svinturi a la pupidda, la quali ci calava la testa e unghiava. Comu arrivau a lu puntu ca lu Re si pigghiau la Scavuzza, scatta la Scavuzza e tutti li monachi si spavintaru. Scatta dunca la Scavuzza, e accussì scatta pura la pupidda. Comu dda giuvina vitti ca scattau la pupidda, pigghiau lu cuteddu pri ammazzàrisi. Lu Re si misi darreri la porta d'idda, detti un càuciu a la porta e si pigghiau pri sposa ad idda".