lunedì 21 luglio 2014

La Zarevna Morta e i Sette Bogatyri, A. Pushkin, Terza Parte














E la promessa sposa smarrita
tutta la notte vaga impaurita
nella foresta finché un sentiero
la mena a un tratto fino a un maniero.
Le corre incontro un can ringhioso
che poi si tace, si fa festoso
così che quella varca la soglia
ma nel cortile non muove foglia,
soltanto il cane corre e l'aspetta.
La Principessa pian, circospetta
sale le scale attentamente
e giunta all'uscio prende il battente.
La porta s'apre senza rumore
la Principessa con gran stupore
scopre una stanza ben luminosa,
intorno panche con stoffe a iosa,
desco di quercia con sopra i Santi,
la stufa splende a lei davanti.
Or la fanciulla ha ben capito
che buona gente vive in quel sito
e che li nulla dovrà temere
però nessuno si fa vedere.
Intanto gira per la magione
e in ogni cosa ordine pone.
A Dio riaccende subito il cero,
la stufa riempie ben per intero,
poi sul soppalco sale spossata,
e quieta giace li coricata.










L'ora di pranzo sta per suonare
s'ode in cortile gran calpestare:
entrano sette bei Cavalieri
grandi, robusti, barbuti e fieri.
Dice il maggiore:"Che nuova è questa?
Tutto è pulito e lustro a festa!
Certo, qualcuno ha rassettato
la nostra casa, poi s'è celato
e qui ci attende: fatti vedere,
che amicizia sappiam tenere!
Se tu sei uomo di già canuto,
per nostro capo sarai tenuto;
se sei invece giovane ardito
come fratello sarai gradito;
se sei una vecchia, madre ti avremo
e grande onore ti renderemo.
Se sei fanciulla giovane e bella,
ci sarai cara come sorella."
La Principessa prende coraggio,
esce e ai padroni rende il suo omaggio.
Si prostra a terra e, come si usa,
tutta arrossita, domanda scusa
perché da sola ospite è entrata
benché inattesa e non invitata.
Quelli han sentito dal suo parlare
che Principessa han da ospitare;
cosi seduta l'hanno in un canto,
dolce biscotto le offrono intanto
e poi riempito un bicchierino,
glielo presentan con garbo fino.
Ma dal liquore lei si schermisce
ed un biscotto solo gradisce,
poi, stanca a causa del camminare,
chiede d'un letto per riposare.
Allora i Sette la giovinetta
portan su in una linda stanzetta
e ve la lascian, già rinfrancata
profondamente addormentata.














Passano i giorni, sfumano in nulla,
la Principessa, regal fanciulla,
ed i suoi sette eroici amici
nella foresta vivon felici.
Ancora prima che faccia giorno
insieme i sette escono e intorno
già se ne vanno a passeggiare,
anatre grigie vanno a cacciare,
ad allenarsi un po' la mano
cercando duelli col mussulmano,
o anche a tagliare a sciabolate
tartare zucche nette spiccate,
oppur s'inoltran nel bosco basso
onde stanare di li il Circasso.
E nel frattempo la giovinetta
a casa resta sola soletta,
alle consuete faccende intenta,
di star con loro è ben contenta,
d'averla in casa lor sono grati
e cosi i giorni passan beati.
Tutti i sette come un sol cuore
per la fanciulla sentono amore
si che una volta sul far del giorno
le si presentan tutti all'intorno
e li per tutti parla il maggiore:
"Sai che sorella t'abbiamo in cuore
or però accade che quanti siamo,
sette fratelli, sette t'amiamo
e che sarebbe felice ognuno
d'averti in moglie, ma può sol uno.
Come Dio vuole fa tu qualcosa:
per uno almeno puoi essere sposa,
per i sei altri sorella resta.
Per qual motivo scuoti la testa?
Forse l'offerta nostra tu sdegni?
Forse ti pare che non siam degni?"
"Nobili amici, fratelli amati,
voi valorosi ed onorati, -
risponde loro la Principessa, -
s'è una menzogna, possa per essa
farmi restare Dio fulminata:
che posso fare? Son fidanzata!
Per me voi siete tutti alla pari
tutti vi stimo, tutti vi ho cari,
tutti vi amo sinceramente,
ma ad altro uomo eternamente
sono promessa da amor giurato
a Elisej Prence, mio beneamato."
Ora ai fratelli altro non resta
se non grattarsi muti la testa.
"Scusaci, chieder non è peccato, -
dice il maggiore che s'è inchinato -
viste le cose non tener conto
di quel che ho detto." "Io non m'adonto -
quieta risponde la giovinetta -
e a rifiutare ero costretta."
Or i fratelli con un inchino
via se ne vanno pianin pianino.
E come prima tranquillamente
vivon insieme felicemente.









mercoledì 16 luglio 2014

Janet la Storta, R.L.Stevenson

l reverendo Murdoch Soulis fu per lungo tempo curato della parrocchia di Balweary, nella valle del Dule, nella brughiera. Era un vecchio dall'aspetto severo, pallido in volto, che incuteva timore in chi lo ascoltava: trascorse gli ultimi anni della sua vita completamente solo, senza parenti né domestici, nel piccolo e isolato presbiterio sotto l'Hanging Shaw.
Nonostante la ferma compostezza dei suoi lineamenti, aveva lo sguardo agitato, spaventato, incerto; e quando si soffermava, durante le confessioni, sul futuro dell'uomo impenitente, sembrava che il suo occhio penetrasse attraverso le tempeste del tempo fino ai terrori dell'eternità.
Molti giovani che venivano a prepararsi alla Prima Comunione rimanevano terribilmente impressionati dai suoi discorsi. Ogni anno, la prima domenica dopo il diciassette di agosto, teneva un sermone sull'ottavo versetto della prima epistola di S. Pietro, "il Diavolo come un leone ruggente", in cui superava se stesso nel commento al testo, sia per la terribile natura del soggetto, sia per il terrore che ispirava il suo atteggiamento dal pulpito. I bambini ne erano spaventati fino alle convulsioni, e i vecchi per il resto della giornata apparivano più sentenziosi del solito, pieni di tutte quelle allusioni tanto deprecate da Amleto.
Lo stesso presbiterio, situato tra i folti alberi presso le acque del Dule, con il boschetto che lo sovrastava da un lato e dall'altro le fredde e brulle cime dei monti che si innalzavano numerose verso il cielo, aveva cominciato, fin dai primi tempi del ministero del reverendo Soulis, a essere evitato verso il crepuscolo da tutti quelli che si consideravano prudenti; e i capifamiglia, seduti nella birreria del villaggio, scuotevano la testa al pensiero di passare a tarda ora nei paraggi di quella località così sinistra. Anzi, per essere precisi, c'era un punto soprattutto che ispirava particolare timore. Il presbiterio sorgeva fra la strada maestra e il Dule, con una facciata su ciascuno dei due; il retro guardava verso il villaggio di Balweary, lontano circa mezzo miglio, e sul davanti un giardino spoglio circondato da siepi di rovo occupava il terreno tra il fiume e la strada.
La casa era a due piani, ciascuno di due ampie stanze. Non si apriva direttamente sul giardino, bensì su una specie di viottolo o passaggio selciato, che da una parte dava sulla strada maestra e dall'altra era chiuso dagli alti salici e dai sambuchi che crescevano lungo la riva del torrente. Ed era proprio questo viottolo ad avere una così brutta fama tra i giovani parrocchiani di Balweary. Il curato vi passeggiava spesso dopo il tramonto, talvolta gemendo ad alta voce nel fervore della sua orazione mentale; e quando egli si assentava e la porta del presbiterio era chiusa a chiave, solo gli scolaretti più coraggiosi si avventuravano, giocando a seguire il capo, in quel luogo quasi leggendario, col cuore che batteva forte. Quest'atmosfera di terrore che circondava, di fatto, un ministro di Dio dal carattere e dall'ortodossia immacolati, era comunemente ragione di stupore e argomento di domande da parte dei pochi forestieri che il caso o gli affari conducevano in quel paese sconosciuto e fuori mano. Ma anche molta gente della parrocchia era all'oscuro degli strani eventi che avevano marcato il primo anno del ministero del reverendo Soulis; e tra i meglio informati alcuni erano reticenti per natura, altri, invece, si mostravano particolarmente restii a parlare di quella faccenda. Solo di tanto in tanto qualcuno dei più vecchi, verso il terzo bicchiere, acquistava coraggio e cominciava a raccontare la causa dello strano aspetto e della vita solitaria del curato.
Cinquant'anni fa, quando il reverendo Soulis venne per la prima volta a Balweary, era ancora un giovanotto - un ragazzo, diceva la gente - assai colto e bravissimo nel predicare, ma, com'era naturale in un uomo tanto giovane, senza alcuna esperienza vissuta in fatto di religione. I più giovani rimanevano incantati dalle sue doti e dalla sua eloquenza, ma le persone anziane, più serie e riflessive, si sentivano perfino spinte a pregare per quel giovanotto che consideravano un povero illuso e anche per la loro parrocchia che sembrava così mal fornita di una guida. Tutto questo avveniva prima del tempo dei Moderati - maledizione a loro! ma le cose cattive sono come quelle buone - vanno e vengono piano piano, un po' alla volta; già allora, comunque, c'era chi diceva che il Signore aveva abbandonato tutti i professori e che i ragazzi che andavano a studiare presso di loro avrebbero fatto di più e meglio restandosene seduti in una torbiera, come i loro antenati al tempo della persecuzione, con una Bibbia sotto il braccio e lo spirito della preghiera nel cuore. Ma insomma, senza dubbio il reverendo Soulis era rimasto troppo a lungo in collegio: si curava e si preoccupava di molte cose oltre alla sola necessaria. Aveva un mucchio di libri con sé, più di quanti se ne fossero mai visti in tutto il presbiterio; e il facchino ebbe il suo bel da fare a trasportarli fin là, perché rischiarono di impantanarsi nella Palude del Diavolo, tra Balweary e Kilmackerlie. Erano libri di teologia, si capisce, o almeno così si diceva, ma le persone serie erano dell'opinione che fosse proprio inutile possederne così tanti quando tutti i Vangeli si possono portare nella cocca di uno scialle. E poi, se ne stava seduto a scrivere per metà della giornata e metà della notte, il che non stava neanche bene; sulle prime si pensò che stesse rileggendo i suoi sermoni, ma in seguito si seppe che stava scrivendo un libro egli stesso, il che non era davvero appropriato per uno della sua età e di così poca esperienza.





Ad ogni modo, occorreva prendere una donna anziana e perbene che si occupasse del presbiterio e provvedesse ai suoi pasti frugali; e gli fu raccomandata una vecchiaccia - una certa Janet Mc Clour - ed egli si lasciò persuadere troppo facilmente, facendo di testa sua.
Furono in parecchi a metterlo in guardia, poiché quella Janet risultava più che sospetta alla gente migliore di Balweary. Diverso tempo prima aveva avuto un bambino da un soldato dei Dragoni, da circa trent'anni non riceveva la comunione, ed i ragazzi l'avevano sentita borbottare qualcosa tra sé e sé, al buio, dalle parti del sentiero di Key, luogo poco adatto, a quell'ora, per una donna timorata da Dio.





Comunque, era stato lo stesso Signore del paese a parlare per primo di Janet al curato, e costui a quel tempo sarebbe andato molto più in là per far piacere al Signore del paese. Quando la gente gli diceva che Janet era parente del diavolo, secondo lui si trattava soltanto di superstizione; e quando gli tiravano fuori la Bibbia e la strega di Endor, controbatteva con foga e ricacciava a tutti le parole in gola affermando che quei giorni erano ormai passati e che il demonio era, grazie alla misericordia divina, molto meno potente.
Bene, quando per il villaggio si sparse la voce che Janet Mc Clour andava a fare la governante al presbiterio, la gente divenne furiosa sia con lei che con il curato, e alcune comari non trovarono di meglio da fare che piazzarsi di fronte alla porta della sua casa e accusarla di tutto ciò che si sapeva sul suo conto, dal figlio avuto col soldato alle due vacche di John Tomson.





Janet di solito parlava poco: la gente, in genere, la lasciava andare per la sua strada e altrettanto faceva lei senza tanti buongiorno e buonasera, ma quando ci si metteva aveva una lingua da assordare un mugnaio.
Saltò su, e spiattellò ai quattro venti tutti i vecchi pettegolezzi di Balweary,
facendo inferocire le donne: se le dicevano una cosa, lei ne rispondeva due, finché a un certo momento le comari l'afferrarono, le strapparono i vestiti di dosso e la trascinarono per il villaggio, giù, fino alle acque del Dule, per vedere se era una strega o no, se restava a galla o se affogava.





La vecchia urlava tanto che la si poteva sentire fino dal boschetto, lottando come dieci persone, e ci furono parecchie di quelle comari che portarono addosso i suoi segni, il giorno dopo e molti altri ancora; ed ecco, proprio nel mezzo della mischia, arrivare (per sua sventura) il nuovo curato.
"Donne, - disse (e la sua voce era solenne) - nel nome del Signore io vi ordino di lasciarla andare."
Janet corse verso di lui, sconvolta dal terrore, e gli si aggrappò, e lo scongiurò, per amore di Cristo, di salvarla dalle comari; e quelle, da parte loro, gli dissero tutto ciò che sapevano sul conto di lei e forse ancora di più.





"Donna, - domanda allora lui a Janet - è vero tutto questo?"
"Come il Signore mi vede - risponde quella - come è vero che mi ha creata, non una sola parola! A parte il bambino, sono sempre stata una donna a posto."
"Sei disposta - dice allora il reverendo Soulis - nel nome di Dio e davanti a me, Suo indegno ministro, a rinunciare al diavolo e alle sue tentazioni?"
Bene, sembra che quando egli le pose questa domanda la vecchia fece una smorfia che mise abbastanza paura a quanti la videro, e la si udì battere forte i denti; ma non c'era altra scelta in quel frangente, e Janet alzò la mano e rinunciò al diavolo davanti a tutti.
"E ora - dice il reverendo Soulis rivolto alle comari - tornatevene a casa, tutte quante, e pregate Dio affinché vi perdoni."
E diede il braccio a Janet, nonostante avesse indosso sì e no la camicia, e l'accompagnò su per il villaggio fino alla porta di casa come se si trattasse di una gran dama, mentre lei gridava e rideva che era uno scandalo starla a sentire.
Ci furono molte persone assennate che si trattennero a lungo a pregare quella notte: ma quando venne il mattino una tale paura si abbatté su Balweary che i bambini correvano a nascondersi e perfino gli uomini se ne stavano zitti a spiare dietro le porte. Perché c'era Janet che scendeva giù per il villaggio - lei o il suo fantasma, nessuno avrebbe potuto dirlo - col collo torto e la testa girata da una parte come quella di un impiccato, e sul viso una smorfia che la faceva somigliare a un cadavere non ancora ricomposto.





Col passare del tempo ci si fece l'abitudine, e ci fu perfino chi la interrogò per sapere cosa le fosse successo; ma da quel giorno in avanti non fu più capace di parlare come una cristiana: sbavava, i denti le battevano come un paio di cesoie e le sue labbra non riuscirono più, da allora in poi, a pronunciare il nome di Dio. Tentava a volte di pronunciarlo, ma non le era possibile. Chi più sapeva più taceva, ma nessuno chiamò mai quella cosa Janet Mc Clour, poiché la vecchia Janet, secondo loro, era sprofondata quel giorno nell'Inferno. Il curato, tuttavia, non era tipo da lasciarsi influenzare dagli altri: andava dicendo che la crudeltà di quella gente le aveva fatto venire un attacco di paralisi; distribuiva scapaccioni ai bambini che la importunavano e la notte stessa di quel famoso giorno la fece traslocare su al presbiterio, e abitò là, a Hanging Shaw, tutto solo con lei.





Il tempo passò e la gente più superficiale cominciò a pensare sempre meno a quella brutta faccenda. Il curato godeva di buona stima: faceva sempre tardi a scrivere, è vero, e dal fiume si poteva vedere la luce della sua candela fino a mezzanotte passata, ma appariva soddisfatto e pieno di fiducia in se stesso come nei primi tempi, sebbene tutti si accorgessero che deperiva.
Per quanto riguarda Janet, andava avanti e indietro: se prima non parlava molto, adesso aveva motivo di parlare ancora meno: non si impicciava di niente, ma era orribile a vedersi, e nessuno si sarebbe sognato di imbrogliarla nei conti dei terreni della parrocchia.





Verso la fine di luglio venne un tempo come non se n'era mai visto da queste parti. L'aria era immobile, calda e opprimente: le greggi non ce la facevano a salire fin sopra la Collina Nera, i bambini erano troppo stanchi per giocare; pure, a tratti si levava anche il vento, con raffiche roventi che brontolavano sordamente per le vallate e brevi acquazzoni che non riuscivano a mitigare la calura. Si pensava sempre che il giorno dopo dovesse scoppiare il temporale; ma veniva il mattino, ne veniva un altro ed era sempre quello stesso tempo spossante che affliggeva gli uomini e il bestiame.
Fra tutti quelli che stavano peggio, nessuno soffriva come il reverendo Soulis; non riusciva né a dormire né a mangiare, come diceva ai suoi consiglieri parrocchiali, e quando non se ne stava a scrivere quel suo noioso libro vagava per la campagna come un ossesso, mentre chiunque altro era ben felice di starsene al fresco dentro casa.





Al di sopra dell'Hanging Shaw, al riparo della Collina Nera, c'è un piccolo terreno recintato con un cancello di ferro: sembra che nei tempi andati fosse il cimitero di Balsweary, consacrato dai Papisti prima che la luce benedetta splendesse sul regno. Ad ogni modo, era uno dei posti frequentati abitualmente dal reverendo Soulis: è lì che si sedeva di solito per pensare ai suoi sermoni, e in verità è un luogo ben riparato. Dunque, un giorno, mentre superava la parte ovest della collina, egli vide prima due, poi quattro, poi sette corvi volare in tondo sopra il vecchio cimitero. Volavano bassi e pesanti, roteando e gracchiando tra loro. Era chiaro che qualcosa doveva aver disturbato le loro abitudini, ma il reverendo Soulis non era tipo da lasciarsi impressionare facilmente, e andò dritto fino al muretto di cinta, e cosa trovò? Un uomo, o qualcosa che ne aveva l'apparenza, seduto nel recinto sopra una tomba. Era alto di statura, nero come l'inferno e con degli occhi stranissimi. Il reverendo Soulis aveva sentito molte volte parlare di uomini neri, ma in quello lì c'era qualcosa di indecifrabile che lo intimoriva.
Con tutto il caldo che aveva, provò come un gelido brivido d'orrore nel midollo delle ossa, ma riuscì lo stesso a dire con voce ben chiara:
"Amico mio, non siete di qui, vero?".
L'uomo nero non aprì bocca; si alzò in piedi e cominciò a camminare come strisciando, dirigendosi verso il lato opposto del muretto di cinta; e intanto non staccava gli occhi dal curato, e il curato rimaneva lì e lo fissava a sua volta. Poi, in un attimo, l'uomo nero fu con un balzo al di là del muretto e corse a rifugiarsi tra gli alberi. Il reverendo Soulis, quasi senza sapere perché, prese a rincorrerlo, ma era stanco morto per la camminata fatta poco prima con quel caldo terribile, e per quanto corresse riuscì appena a scorgere l'uomo nero tra le betulle, finché non arrivò ai piedi del pendio, dove lo vide ancora una volta mentre a passi e salti attraversava le acque del Dule dirigendosi verso il presbiterio.
Il reverendo Soulis non fu molto contento che quello spaventoso vagabondo si pigliasse la libertà di entrare nel presbiterio, e corse ancora più forte, e traversò il torrente bagnandosi le scarpe, e si ritrovò finalmente sul viottolo; ma non c'era nessun uomo nero lì. Andò sulla strada maestra: nessuno; fece il giro del giardino: niente, nessun uomo nero.
Alla fine, un po' spaventato, com'era naturale, tirò il saliscendi ed entrò in casa. E lì, davanti ai suoi occhi, ecco Janet Mc Clour, col suo collo torto e non troppo contenta di vederlo. E il reverendo lo disse sempre in seguito, che appena pose gli occhi su di lei provò quello stesso brivido freddo e mortale di prima.
"Janet - le dice - hai visto un uomo nero?"
"Un uomo nero?- ripetè lei - Dio ci salvi tutti! Vi sbagliate, reverendo. Non c'è nessun uomo nero a Balweary."
Ma non parlava chiaro, lo capite bene: farfugliava come un cavalluccio col morso in bocca..... (leggete l'intero racconto!)





Janet la Storta (Thrawn Janet), racconto ambientato in Scozia  e scritto per la maggior parte in Scozzese - di R. L. Stevenson.

Le illustrazioni di M.A.C. Quarello: