martedì 26 gennaio 2016

Essie Tregowan, la Moll Flanders di Neil Gaiman

A domande molto simili (si) rispondeva il britannico Neil Gaiman. A modo suo. Reinventando la sua piccola Moll Flanders.


"L'Arrivo in America. 1721.

È importante capire, scrisse il signor Ibis nel suo diario rilegato in pelle, che la storia americana è un frutto della fantasia, ingenuo schizzo a carboncino fatto per i bambini, o per chi si annoia facilmente. Per la massima parte non verificata, né immaginata o pensata, bensì pura rappresentazione della cosa, non la cosa in sé. Una buona invenzione, continuò fermandosi soltanto per intingere la penna nel calamaio e raccogliere i pensieri, che l'America sia stata fondata dai pellegrini in cerca della libertà di fede venuti nelle Americhe per moltiplicarsi e diffondersi e occupare dello spazio vuoto.
In verità, le colonie americane erano la discarica della società, oltre che meta di fuga e di oblio. All'epoca in cui a Londra si veniva mandati al patibolo per aver rubato dodici penny, le Americhe divennero simbolo di clemenza, di una seconda possibilità. Ma le condizioni della deportazione erano talmente dure che qualcuno trovava più semplice fare un salto da quell'albero spoglio e sgambettare nel vuoto una volta per tutte. Deportazione, la chiamavano: per cinque, dieci anni, per tutta la vita. Questa era la condanna.
Venivi venduto a un comandante, e sulla sua nave, piena come una nave negriera, viaggiavi fino alle colonie o alle Indie Occidentali; una volta a terra ti vendeva come servo a contratto a chiunque volesse ripagarsi il costo della tua pellaccia in lavoro fino alla scadenza della pena che dovevi scontare. Ma perlomeno non restavi in una prigione inglese ad aspettare di essere impiccato (perché all'epoca le prigioni erano luoghi di transito in attesa di liberazione, deportazione, o impiccagione, non vi si scontava una condanna) ed eri libero di approfittare del nuovo mondo. Eri anche libero di corrompere un comandante e farti riportare in Inghilterra prima della scadenza del termine. Succedeva. E se le autorità ti beccavano in patria - se un vecchio nemico, o un vecchio amico con un conto in sospeso ti vedevano e facevano la spia - allora venivi impiccato sui due piedi.

Mi torna in mente, continuò Ibis dopo una breve pausa durante la quale riempì il calamaio con l'inchiostro scuro che teneva nella bottiglia dentro l'armadio e intinse la penna, la vita di Essie Tregowan, nata in un freddo villaggio in cima a una scogliera della Cornovaglia, nel Sudovest dell'Inghilterra, dove la sua famiglia viveva da tempo immemorabile. Suo padre era pescatore, e si diceva che fosse uno di quelli che provocavano i naufragi a scopo di saccheggio, quelli che quando la burrasca infuriava appendevano le lampade sulle rupi più alte per far schiantare le navi sugli scogli e depredarne le merci che trasportavano. La madre di Essie lavorava come cuoca nella casa del principale possidente della zona, e a dodici anni anche Essie cominciò a lavorare in cucina, come sguattera.



Hoecker P.


Era una cosetta piccola e magra, con grandi occhi scuri e capelli castani; non una gran lavoratrice, cercava sempre di scappare per andare ad ascoltare favole e racconti, se c'era in giro qualcuno a raccontarli: storie di pixy e spriggan, dei cani neri delle brughiere e delle sirene della Manica. E benché il signorotto ne ridesse, ogni sera i servi mettevano un piattino di porcellana con la panna, davanti alla porta della cucina, per i pixy.
Passarono gli anni, e Essie, da quella cosetta che era, diventò una ragazza con curve sinuose come le onde del verde mare, e gli occhi scuri che ridevano, e scuoteva i ricci castani. Gli occhi di Essie si illuminarono quando vide Bartholomew, il figlio diciottenne del signore, tornato da Rugby, e la notte andò al menhir al limitare del bosco e vi appoggiò un pezzo di pane che Bartholomew non aveva finito di mangiare, avvolto in una ciocca dei suoi riccioli. E l'indomani lui le si avvicinò e le parlò, guardandola con ammirazione, gli occhi di quel pericoloso celeste che ha il cielo quando sta per scoppiare un temporale, mentre lei gli puliva il camino in camera da letto.
Aveva gli occhi talmente pericolosi, disse Essie Tregowan.


Alfred Elmore


Di lì a poco Bartholomew partì per Oxford e quando lo stato di Essie divenne evidente fu licenziata. Però il bambino nacque morto e come favore alla madre di Essie, che era una cuoca eccellente, la moglie del signore riuscì a convincere il consorte a ridare alla giovane il suo vecchio posto di sguattera.

I "Folletti" Seguirono i Deportati, i Ladri, le Prostitute? E Loro, li Riconobbero?



Alan Lee


Già da ragazzina mi chiedevo come mai non esistessero fiabe nord-americane. Persino nei multicolori libri di Andrew Lang,  colpevole come i varii Calvino (senza condividerne l'eleganza) di pensare alle fiabe come ad un prodotto letterario "bambinilistico", e di agire (maleficamente) di conseguenza, ma coraggioso nel cercare e nel proporre fiabe provenienti dagli allora remoti angoli del mondo, partoriti da quelle antiche culture che i superbi Britannici facevano viaggiare in terza classe nel proprio Paese, persino tra quelle pagine, il Nord America è giustamente rappresentato solo dai racconti tramandati dai Nativi.
Sulle galere galleggianti che attraversarono l'oceano, i Folletti, gli Elfi, i Giganti... ricordi mistificati ma tenaci degli antichi Dèi nordici, salirono mai?
E se, per sbaglio o per l'ostinazione di una qualche vecchia mammana al servizio di esangui meretrici londinesi, un Pixie, o un Pooka (o un Elfo spogliato dall'aura regale della divinità da monaci grigi, ubriachi di malinconia e avvelenati di virtù) si confuse con l'ombra di un fagotto di stracci, cosa avvenne una volta raggiunta la Terra Promessa dei fantomatici "Pellegrini"?
I deportati incrostati di malattie e corrosi dalla rabbia ricordarono il suo nome? Riconobbero le sue tracce? Rammentavano ancòra i piccoli trucchi che lo avrebbero tenuto a rispettosa distanza? E avevano un fuoco per il racconto?
E la nuova antica Terra come poteva accoglierli?
Troppo affollate di divinità altrui quelle terre sconfinate? Si può anche strappare con la violenza la terra ad un altro popolo, ma come impossessarsi dei sogni multicolori degli Sciamani? Come distinguere il bisbiglio dei conciliaboli del Piccolo Popolo nel fruscio di quelle splendide foglie di oro e di porpora che, come una tovaglia d'altare, ornano le tombe delle ossa gigantesche di animali mitici in cui s'incarnarono gli Dèi di altri popoli?
I Giganti e i Troll - feroci quanto stupidi - avranno riattraversato l'Oceano a piedi, annientati dalla remota estraneità di Dèi piumati, e saranno tornati a farsi giocare e derubare dai loro cari, vecchi nemici, i settimi figli di un settimo figlio alti quanto una pigna?


Dragan Bibin


E gli Elfi e i Folletti, che non possono morire se non di morte violenta, l'avranno invocata, la Morte, in una terra in cui grossi uomini dagli occhi animaleschi, invece di cercare l'oro nelle pignatte custodite all'estremità dell'arcobaleno, tentavano di strapparlo all'acqua e alle rocce, insieme a tutto il resto, finendo, pazzi di fatica e di sospetto, per sorvegliarsi l'un l'altro, molto più preoccupati di ricevere una coltellata nella schiena dal compagno di follia che gli dorme accanto che di tendere l'orecchio al grido agghiacciante della Banshee?


Alan Lee


La Banshee.
Davvero potrò mai credere che quest'altra Dèa degradata a profetessa di morte, l'ombra della mostruosa Morrigan che si mostrò nelle sue sembianze di fanciulla per lavare inutilmente la tunica insanguinata di Cù Chulainn avviato all'ultimo scontro, avrebbe mai abbandonato i ruderi delle morte fortezze, le morte Case dei Guerrieri giganteschi degli Antichi Tempi, i fondatori di dinastie - anch'esse scomparse o comprate dai commercianti di birra e tè - i cui discendenti, per secoli, hanno avuto il terribile privilegio di condividere con Cù Culhainn l'annuncio della propria morte nel livido grido dell'aristocratica Lavandaia di sudarii?


"Morte di Cù Chulainn", Stephen Reid


Billy the Kid - se pure fosse riuscito a udirla - le avrebbe sparato scambiandola per un coyote.
E la Luna avrà mai riconosciuto una delle sue figlie nella puttana infetta seduta a spidocchiarsi accanto alla finestrella dell'alcova dal tetto di lamiera, torrida di afa e di troppi clienti? O si è rassegnata a lasciare la sua immagine - nel mondo dei mondi di cartapesta - sospesa come la faccia bianca e gonfia di un ubriaco sopra uno dei tanti motel di Norman Bates, e se ne è tornata tra le pietre millenarie dei Tumuli, in cerca di una fanciulla che - per l'odio di un'avara matrigna - può cucire solo alla sua luce? E sospirerà fiotti di nostalgia perché la sposa incauta del Serpente o dell'Orso da troppo tempo non leva le sue mani verso di lei per interrogarla sulla strada da prendere per raggiungere l'amante perduto. Sospirerà, ma il fiume ancòra tiepido del corpo della Dèa, per sempre sazio della carne e del sangue del Sacrificio divino è un bel posto per aspettare, e, nel frattempo, specchiarsi.

Mab's Copyright



Louis Rhead


sabato 23 gennaio 2016

L'Invenzione Senza Immaginazione dell'Epopea Americana. Parte Prima. Thanksgiving.

Questo post mi insegue da qualche mese. Avrei voluto pubblicarlo già in occasione del Thanksgiving (Il Giorno del Ringraziamento): per dirla tutta, ogni anno la tentazione del sacrosanto sberleffo si fa più urgente. Quella favoletta da sussidiario festeggiata come la Breccia di Porta Pia non mi fa più ridere, un po' come una battutaccia vagamente razzista, vagamente furbastra, ripetuta all'infinito.





Ma sono passata oltre e ad altro. Poi, traducendo A Christmas Carol, non sono riuscita a trattenermi da una noticina su Bedlam e Newgate, rispettivamente, il famigerato Asilo per alienati mentali e il Carcere di Londra, periodicamente svuotati per popolare le Colonie. Pazzi criminali, criminali pazzi, ladri, assassini, tagliagole, prostitute sifilitiche, imbarcati come mandrie di animali malati su enormi galere galleggianti e spediti a scontare la pena alternativa nelle lontane Americhe. Chiunque abbia letto - non dico la saggistica - ma i romanzi più popolari dell'Inghilterra del diciottestmo e diciannovesimo secolo non recepirà le righe precedenti come uno scoop.
Eppure, la storia (esse minuscola) americana racconta le proprie origini attraverso la santa avventura di un coraggioso manipolo di "Pellegrini" - circa un centinaio - che, imbarcatosi sulla Mayflower, raggiunsero, infine, l'agognata "Terra Promessa" nel 1621. Tenendo conto che una buona metà era morta durante il viaggio, i sopravvissuti furono ulteriormente decimati dagli stenti durante il primo inverno, poiché la loro inesperienza e la non conoscenza della natura locale avevano portato ad un miserando raccolto. Se non si estinsero completamente fu grazie ai Nativi, che, seguendo il proprio commovente e masochistico istinto di condivisione, insegnarono loro i "segreti" della coltivazione e li rifornirono di viveri. L'anno successivo, il raccolto fu ottimo ed abbondante ed i "Pellegrini" lo festeggiarono con un grande banchetto al quale furono invitati narra la leggenda - una novantina di Nativi.


Jean Louis Gerome Ferris



Partiamo dalla più elementare delle osservazioni: in origine, i "Pellegrini" erano un centinaio, cifra che va dimezzata due volte, a causa della traversata e del primo, terribile inverno. Quanti ne restarono? Venti, venticinque? Trenta? E se ricordiamo che, all'epoca, a quarant'anni un uomo era considerato un anziano, e una donna una vecchia pianta avvizzita, quanti giovani et validi et fecondi lombi si assisero alla tavola di quel santo festino? Vabbé che siamo tutti figli di Eva, ma, nel suo caso, ci son volute intere ère geologiche, non un paio di centinaia di anni, per diffondere questo pettegolezzo. Consideriamo, poi, che, secondo il computo ufficiale, solo diciotto donne erano partite dall'Inghilterra....
Vabbé, passiamo ai contenuti. I "Pellegrini" - dice la storia - erano un gruppo di ferventi Cristiani che inseguirono il sogno di una terra libera e felice, dove vivere cristianamente liberi e felici. Erano Cristiani integralisti e dissidenti - detto in soldoni - invisi alle Chiese ufficiali e ai governanti, e, per questo, ingiustamente e ferocemente perseguitati. Fuggirono per salvarsi la pelle. Scelsero tra una morte certa ed una probabilità di vita. Scelta che li unisce a quei condannati a morte di Newgate che, tra la forca certa ed una remota speranza di sopravvivenza alle terribili traversate oceaniche e ai lavori forzati in qualche landa paludosa, avrebbero attraversato l'oceano a nuoto. Profughi, Fuggiaschi, Perseguitati, perfino Esuli, sarebbero stati i termini più appropriati per ricordarli, ma "Pellegrini" dava certamente il senso di una santa ed eroica missione: il raggiungimento di quella "Terra Promessa" (Quando? Da chi?), dove, già appena sbarcati, infransero cristianamente quattro o cinque comandamenti, primo fra tutti: Non Rubare, poiché ben sapevano di non toccare lande disabitate. E, dopo essere stati soccorsi e sfamati, non ci misero molto tempo per impugnare schioppi e moschetti e sterminare cristianamente gli ingombranti Nativi, che accettavano o tolleravano la loro presenza in casa propria, ma, di certo, inorridirono e s'indignarono quando i nuovi venuti cristianamente costruirono staccionate, recinti e recinzioni, palizzate e confini, con la cristiana affermazione:"Questo pezzo di terra è MIO", seguita dall'evangelica avvertenza:"Oltrepassa la staccionata e ti prendi in fronte un benedetto pallettone. Amen".


J. C. Leyendecker

p.s.
Il buon Padre Fondatore, armato di "Libro (leggi:la Bibbia) e Moschetto".
A seguire il post su Neil Gaiman del quale questo era, in origine, la premessa della premessa.

Mab's Copyright


sabato 16 gennaio 2016

Burdilluni, Pitrè n. 61 (Ovvero "La Serpe Pippina" di Calvino) - Traduzione Mia


'era una volta un mercante che aveva quattro figlie femmine e un maschio. Il più grande era il maschio, un bel ragazzo, e si chiamava Burdilluni [1].
Dunque, questa famiglia, da ricca ricca che era, si ridusse alla miseria più nera tanto che, dopo un po', il mercante andò in giro a chiedere l'elemosina. Stavano a questo punto, quando la moglie uscì gravida. Burdilluni, davanti a tanta miseria, baciò le mani a padre e madre e s'imbarcò per la Francia. Era un ragazzo istruito, e, come arrivò in Francia, si piazzò a Palazzo Reale [2] e fece la strada sua, tanto che diventò Capitano Generale. A raccontare si fa presto... La moglie del mercante, sempre più in miseria, un giorno, disse al marito:
"Lo sai che ti dico? Vendiamoci il tavolo da pranzo (che era l'unica cosa rimasta) e cerchiamo di pensare a ciò che servirà alla creatura [3]".
Passano i robivecchi, li chiamano su, gli vendono il tavolo. Il mercante comprò tutto il necessario e avanzò due monete per la mammana [4].Vennero i dolori, la moglie partorisce e fa una bellissima figlia femmina, una bellezza senza pari, come non s'era mai vista. Vedendo quant'era bella 'sta picciridda, padre e madre cominciarono a piangere, e dicevano:
"Figlia! In che miseria nascesti!".


Mascia Kurbatova


La picciridda cresce cresce, e, arrivata - diciamo - a sedici mesi, incominciò a camminare da sola, e, gira gira, finiva nella paglia che faceva da giaciglio ai genitori. Un giorno, giocando in mezzo alla paglia, afferra un pugno di monete d'oro.
"Mamma, mamma! - dice - Belli, belli! [5]"
La madre non credeva agli occhi suoi: glieli prese di mano, li nascose in seno, si fece prestare uno scialle e corse alla Vucciria [6]. E compra questo e compra quello, non risparmiò sulla spesa, e, a mezzogiorno, fecero un banchetto e mangiarono a bocca piena. Il padre chiese alla picciridda:
"E dove li pigliasti i lustri [7]?"
"Qua, papà", gli dice la picciridda, e lo porta ad un pertugio sotto la paglia dove c'era una giara piena di monete. Infilano le mani e pigliano tanti denari da non potersi dire.
Fu così che la loro sorte cambiò e ricominciarono ad andare a testa alta [8]. Quando la picciridda arrivò ai quattr'anni, il mercante disse alla moglie:
"Moglie mia, mi pare che è ora di fare infatare [9] Peppina - così l'avevano chiamata - Bella è bella, soldi ne ha: chi può dirci di no?".
E la condussero in carrozza a Mezzo Morreale [10], dove c'erano quattro sorelle.
Là, tirò la corda per avvertire il cocchiere, che si fermò. Scesero ed entrarono in casa delle quattro sorelle, le quali elencarono tutte le cose che andavano preparate e che dovevano esser pronte per la domenica successiva, quando sarebbero andate a visitarli, e, allora, avrebbero fatto tutto come si deve.
E dunque, la domenica seguente, le quattro sorelle scendono a Palermo, trovano ogni cosa, si lavano le mani, impastano un po' di farina di Majorca, preparano quattro pasticci e li mandano a infornare.


Heather Taylor


Dopo un po', la moglie del fornaio comincia a sentire un profumo che era una delizia. E che fa? Prende uno dei quattro pasticci, se lo mangia tutto, poi ne fa un altro - come viene viene - con farina ordinaria, acqua sporca della scopettatura del forno, lo alliscia e lo confonde fra gli altri tre. Quando i pasticci furono portati al palazzo del mercante, la prima Fata taglia una fetta e dice:
"Io infato te, figlia bella, che, ogni volta che ti spazzoli i capelli, ne cadano perle e pietre preziose! "
"E io - dice la seconda - infato te, che tu possa diventare ancòra più bella di quanto già non sia!"
Si alza la terza:
"E io infato te, che, ogni volta che ti venga voglia di frutta fuori stagione, tu possa averla all'istante!"



Remnev A.



Si alza la quarta e dice:
"Io infato te...", ma, come infila il coltello nel pasticcio della fornaia, dicendo Io infato te, schizza fuori la cenere bollente della scopettatura del forno, le va in un occhio e l'acceca.
"Ah, che dolore! Per questo male che m'hai fatto, ti lancio la mala fatagione: che, non appena vedrai il Sole, tu possa diventare una serpe nera!"
E le Fate sparirono. Gravati da 'sto fato disgraziato, padre e madre scoppiano  in un gran pianto, pensando che la figlia non avrebbe mai più visto il Sole.
Ma lasciamo loro e torniamo a Burdilluni, che, in Francia, pur sapendo che in famiglia non c'era un soldo bucato, contava e ricontava mari e monti delle ricchezze di casa sua, e per questo era rispettato da tutti, secondo il detto: Chi esce fuori dal suo paese si finge Conte, Duca e Marchese.
Un bel giorno, il Re volle scoprire se fossero vere le ricchezze di Burdilluni: chiama un Cavaliere e gli comanda di andare a Palermo, e gli insegna per filo e per segno ciò che deve fare.


Tatiana Doronina


Il Cavaliere se ne viene a Palermo, chiede del padre di Burdilluni e trova un bel palazzo con tanto di guardaportone, camere ornate d'oro zecchino e schiere di cameriere e servi. Il padre di Burdilluni lo accoglie con grandi cerimonie, lo invita alla sua tavola, e, al calar del Sole, manda a chiamare la figlia Peppina, e il Cavaliere resta incantato da quella bellezza di cui non aveva mai visto l'eguale. Torna dal Re e gli racconta ogni cosa.
Il Re manda a chiamare Burdilluni e gli ordina:
"Burdilluni, va' a Palermo, prendi tua sorella Peppina e portamela qua, con la testa rotta o con la testa sana! [12]"
Burdilluni non ci capiva niente perché niente sapeva della sorella. Comunque, partì. Ma che testa che ho... Bisogna sapere che, da un po' di tempo, Burdilluni aveva un'amica. E questa ragazza pretese di andare con lui, e, una volta giunta a Palermo e vista Peppina, fu presa da una grande invidia e decise che le avrebbe rubato il suo destino, e che il Re di Francia lo avrebbe sposato lei e lei sarebbe diventata Regina. Torniamo a Burdilluni. Arrivato a Palermo, s'informa delle cose della sua famiglia, si fa riconoscere ed è tutto contento. Poi, prende congedo:
"Bacio le mani, Papà"
"Addio, figlio mio"
"Addio, Peppina"
"Addio, mamma". E partirono.



Dodd T.



Per andare a Parigi di Francia [13] si deve viaggiare prima via mare, poi, via terra. Burdilluni la rinserrò ben bene Peppina e mai le fece vedere un raggio di Sole. Toccata terra, la mise in una lettiga chiusa, insieme con l'amica sua. E questa si rodeva, pensando che, ormai, si avvicinavano a Palazzo e che, ben presto, Peppina sarebbe diventata Regina mentre lei sarebbe rimasta moglie di Generale. E attacca a dire:
"Peppina, apriamo che soffoco!"
"No, sorella mia, che mi rovini"
"Peppina, io soffoco"
"Ma come può essere!..."
E ancòra:
"Peppina, io muoio!"
"Pure se muori, io non posso aprire!"
"Ah! Così è?", grida l'amica di Burdilluni. Prende un temperino e squarcia il cuoio della lettiga: non appena apre lo squarcio, entra un raggio di Sole e Peppina diventa serpe nera, scivola già dalla lettiga, si getta nel giadino del Re, che era lì vicino, e sparisce. Burdilluni si sentì morire e diceva:
"E come faccio con il Re che vuole mia sorella? Ah! che brutta sorte!"
"E che paura hai? - gli dice l'amica - digli che tua sorella sono io, e basta".
Burdilluni si persuase e fece così.
Ma il Re, come vide la falsa Peppina, disse:
"E questa sarebbe la bellezza senza pari? Ma basta: parola di Re è parola di Re, e me la devo sposare".
Dunque, se la sposa e vive con lei.


Wilkins S.



Ma Burdilluni non si dava pace: quella donna gli aveva fatto perdere la sorella, quella stessa donna lo aveva abbandonato... Covava una rabbia da non credere. La malandrina se ne accorse e decise di levare di mezzo pure lui, così, un bel giorno, dice al Re:
"Maestà, sono malata e voglio dei fichi fioroni!"
Non era stagione, e il Re dice:
"E come faccio a trovarteli?"
"Facile! - dice lei - ditelo a Burdilluni, e Burdilluni li trova".
"Burdilluni!"
"Maestà!"
"Vai a cogliere quattro fichi fioroni per la Regina"
"E dove li prendo in questa stagione?"
"Non ne voglio sapere niente: o i fichi fioroni o ne va della tua testa".
Burdilluni, afflitto e sconsolato, se ne scende in giardino e attacca a piangere. Dopo un po', gli compare davanti la sorella e gli dice:
"Che hai?"
"E che devo avere? Il Re... e così e così."
"Va bene - gli risponde lei - io ebbi la fatagione e ti posso dare frutti fuori stagione: eccoli qua."
Tutto contento, Burdilluni sale su, va dal Re e glieli consegna. Il Re li dà alla Regina, che, essendo gravida, se li mangia tutti, che la possano attossicare!
Passa qualche giorno  e tiene voglia di albicocche, e Peppina le fece avere le albicocche; poi, di ciliegie, e Peppina le mandò le ciliegie. Quand'era incinta di sette mesi, le venne la voglia di pere, ma Peppina pere non gliele poteva dare perché - questo me l'ero scordato!- la fatagione valeva solo per tre tipi di frutti, fichi, albicocche e ciliegie. Burdilluni fu condannato a morte e chiese la grazia di essere seppellito nel giardino del Re.
"Che ti sia concesso!", disse il Re.
Burdilluni fu giustiziato sulla forca e seppellito. E la Regina fu soddisfatta.
Una notte, la moglie del giardiniere sentì queste parole:
"Ah, fratello mio, Burdilluni! Tu sei seppellito nella guazza e la tua amica con il Re si sollazza!"
Sveglia il marito:
"Sentisti, marito mio?"
E videro un'ombra nera. Il mattino dopo, il giardiniere va a cogliere i fiori per il Re, e trova le perle e le pietre preziose cadute dai capelli di Peppina, che si era pettinata in giardino. Confeziona un gran mazzo di fiori e li porta al Re, il quale, si accorge della novità e dice:
"E queste gioie da dove vengono?"
"Maestà, le abbiamo trovate in giardino".
Quella sera, l'uomo si appostò in giardino, armato di schioppo. E tutto avvenne come la notte precedente. A mezzanotte, comparve l'ombra nera e si udirono queste parole:
"Ah, fratello mio, Burdilluni! Tu sei seppellito nella guazza e la tua amica con il Re si sollazza!"


Dodd T.


Terrorizzato, il giardiniere prende la mira con lo schioppo, ma l'ombra dice:
"Non mi sparare ché sono carne battezzata e cresimata come te! Avvicinati e vedi chi sono".
Il giardiniere le andò vicino e lei sollevò il velo che le copriva la testa e il volto, lasciando che la guardasse, e l'uomo vide una donna di una bellezza senza pari. E lei gli raccontò ogni cosa e lo pregò di dire al Re che l'aspettasse in giardino, la sera dopo. L'indomani, come sempre, il giardiniere prepara il mazzo di fiori freschi per il Re e trova le perle e le pietre preziose di Peppina, e non vede l'ora di salire dal Re per raccontargli tutto. Il Re era sbalordito, ma, quella sera, scese in giardino e aspettò. Alla solita ora, ecco l'ombra nera, e dice, tutta afflitta e sconsolata:
"Ah, fratello, fratello mio, Burdilluni!"
Il Re si avvicina e lei gli racconta ogni cosa, poi, solleva il velo. Il Re è fuori di sé dalla meraviglia, e, in ultimo, le chiede cosa ci vuole per liberarla.


Delon M.


"Bisogna che tu parta a cavallo e corra come il vento fino al fiume Giordano. Là, scendi giù e troverai quattro Fate che si bagnano: una avrà la treccia legata con un nastro verde; la seconda, con un nastro rosso; la terza, con un nastro celeste, e l'ultima, con un nastro bianco. Ruba il fagotto delle loro vesti. Ti grideranno di restituirglielo: tu non farlo, sai! Quando ti getteranno i nastri, e l'ultima si taglierà la treccia e te la getterà, solo allora ridagli la loro roba ché la mala fatagione sarà tolta!"


Zorikto Dorzhiev


Il Re non ebbe bisogno di sentire altro: l'indomani mattina all'alba, partì e lasciò il Regno. Cammina cammina... Dopo trenta giorni e trenta notti, giunse al fiume Giordano, trovò le Fate - come gli aveva detto la vera sorella di Burdilluni - e fa tutto ciò che lei gli ha insegnato. Appena ebbe in mano i tre nastri e la treccia:
"Ora vi lascio - dice - e me ne vado, ma non dubitate che mi saprò disobbligare".
E tornò nel suo Regno. Corre subito in giardino, chiama la serpe nera, la tocca con la treccia, e quella si trasforma all'istante in una bella ragazza, che così bella non s'era vista mai. Si attacca la treccia in testa e non teme più nulla.
Il Re chiama il giardiniere e gli dice:
"Adesso, senti che devi fare: ti prendi un gran bastimento, ci imbarchi la sorella di Burdilluni e parti nottetempo. Passato qualche giorno, ritorna nel porto issando una bandiera forestiera, e lascia fare a me".
E il giardiniere così fece. Partì quella stessa notte. Dopo tre giorni, torna indietro e issa una bandiera - diciamo - inglese.
Il Re s'affaccia con la Regina ad una finestra del Palazzo.
"E che sarà quel bastimento? Ah, ora mi ricordo! E' uno dei miei parenti. Scendiamo!"
La Regina, che voleva sempre essere la prima a mettere il becco in tutto, si vestì in un batter d'occhio e salì con il Re a bordo del bastimento.
Come vide la sorella di Burdilluni, disse tra sé e sé:
'Se non sapessi che la sorella di Burdilluni è una serpe nera, direi che è proprio lei!'
Si abbracciarono, si baciarono e scesero a terra. Giunti a Palazzo, tutt'e due, il Re e la Regina, si misero ad ammirare quella bellezza rara della sorella di Burdilluni. Dice il Re alla Regina:
"E adesso, dimmi: chi facesse del male a questa donna che castigo meriterebbe?"
"Ah - disse la Regina - e chi sarebbe così scellerato da far male a questa donna?"
"Ma se ci fosse, che meriterebbe?"
"Meriterebbe d'essere gettato da questo balcone e bruciato!"
"E così sarà! - rispose subito il Re - Questa donna è la sorella di Burdilluni: io avrei dovuto pigliarla in moglie, ma tu, marcia d'invidia, la facesti diventare serpe nera per essere Regina! Per l'inganno che facesti a me e per le pene che hai fatto patire a questa poveretta pagherai all'istante: tu stessa hai pronunciato la sentenza. Olà, olà, servitori e soldati del Palazzo, prendete questa scellerata, gettatela dal balcone, e poi bruciatela". Detto, fatto. Quella malvagia donna fu sdirupata dal balcone e bruciata sotto al Palazzo. Poi, il Re domandò perdono a Peppina per aver mandato sulla forca il fratello innocente. Ma lei disse:
"Basta: scendiamo in giardino e vediamo che si può fare".


Linda Bergkvist


Scendono in giardino, sollevano la lastra sotto la quale c'era la sepoltura, e lo trovano quasi intatto. Lei gli spennella un unguento sul collo, e Burdilluni comincia a muoversi, sospira, poi si strofina gli occhi come se si risvegliasse, e, infine, si alza. Che ve lo dico a fare? Si abbracciano stretti, si baciano. Il Re ordina grandi festeggiamenti e sposa con cerimonia solenne la sorella di Burdilluni, e mandò a chiamare suocero e suocera. E tutti vissero felici e contenti.
... E noi qua, senza niente!



Victor Nizovtsev



La prima novella raccontata da Agatuzza Messia, Palermo.

Traduzione e Note (comprese alcune del Pitrè): Mab's Copyright.
Il testo in lingua originale è nella Pagina: Fiabe Popolari-Italia.



Note:


E' alla base de "La Serpe Pippina", la fiaba n.150 della raccolta di Calvino. Questa volta non commento. Avrei voluto lasciare una coloritura ancòra più siciliana, o, almeno, genericamente meridionale, ma mi sono limitata a rispettare alcune costruzioni sintattiche, ad italianizzare qualche parola, e a "confondermi" con l'efficacia narrativa della "confusione" di tempi e modi verbali.

[1] Ho deciso di conservare "Burdilluni". Trapuntone mi suona grottesco, ma è questione di gusti.
[2] "... si 'mpalazzau 'nta lu palazzu di lu Re" è stupendo, ma non sono abbastanza brava per renderlo in Italiano.
[3] Pitrè: Il corredo pel bambino da nascere.
[4] Pitrè: Due piastre le conservò per pagar la levatrice.
Ho conservato "mammana" proprio per togliere a questo termine l'unico, sinistro significato che ha assunto con il tempo: la mammana non si  occupava solo del parto, ma dava consigli nel corso della gravidanza, sbrigava i rituali dopo la nascita, curava i mali del neonato, le eventuali difficoltà dell'allattamento, ecc. Naturalmente, secondo le proprie conoscenze, tramandate da generazioni di parenti "mammane", e secondo la cultura largamente condivisa dalla comunità. Le mammane si occupavano anche degli aborti perché troppo bene conoscevano le condizioni miserrime delle altre donne. All'epoca, inoltre, si moriva più di parto che di aborto. Ovviamente, quando il Sud si affacciò alle conoscenze mediche del ventesimo secolo, le "mammane", con le loro pratiche ancestrali, scontarono le colpe di altri, di chi, non solo negava la libera scelta delle donne (e un'adeguata assistenza medica), ma, così facendo, le riconsegnava al Medio Evo e ad una possibile, probabile orrenda morte.
[5] PitrèBelli! Belli! voce propria dei bambini che non sanno esprimer la meraviglia per qualche cosa che dia loro negli occhi.
[6] PitrèVucciría, mercato pubblico di Palermo.
[7] Pitrè: Dove prendesti (dimanda il padre alla bambina) le (cose) lucenti? Lustri, voce bambinesca per significare monete d'argento o d'oro ec.
[8] Pitrè: Alzare il capo, venir su in prosperità, e quindi acquistar quella fidanza di sè stesso, che nasce dall'avere.
[9] Ho conservato "infatare" perché, in questo contesto, una traduzione italiana darebbe adito a dubbi. Sarebbe: far fare la (in)fatagione (già il fa-fa-fa è orribile). E' l'origine dei famosi doni delle Fate ne "La Bella Addormentata", laddove il concetto di dono e quello di profezia si mescolano e si confondono tanto da culminare nella maledizione finale.
[10] Pitrè: A Mezzo Morreale, fuori Porta Nuova in Palermo, a metà della via che conduce a Monreale.
[11] Pitrè: Tira il laccio al cocchiere (gli fa segno che si fermi).
[12] o havi la testa sana o havi la testa ruttaPitrè: Rumpirisi la testa, metaf., perder la verginità. Il re, preso delle bellezze di Peppina, la voleva comunque ella fosse, vergine o no.
[13] Pitrè: Cara questa osservazione geografica della novellatrice! Parigi è quasi sempre detta dal popolo Parigi di Francia.
[14] PitrèEsseri pizza-avanti-furnu, essere sempre il primo a muoversi, e farsi innanzi, a parlare, a sentenziare, (come la focaccia (pizza) che si mette sempre la prima, alla bocca del forno).

Wessel F.




venerdì 15 gennaio 2016

Una Guida ai Misteri della Toscana Esoterica - di Fulvio Paloscia



Per vedere le piramidi non c'è bisogno di un viaggio in Egitto. Basta andare a Pontassieve, in località Le Sassaie, dove dal nulla sbucano tre colline che hanno la stessa esatta forma dei giganteschi, immortali sepolcri egizi. Come non riconoscere, in quei tre colossi nascosti dietro capannoni industriali, una specie di necropoli di Giza in riva d'Arno? Perché ebbene sì, sono nella stessa posizione di Cheope, Chefren e Micerino. E a rendere più suggestiva questa presenza oscura, ci sono non solo le tracce di insediamenti preistorici, ma anche numerosi avvistamenti ufo. E uno strano ronzio che fa pensare ad uno straordinario campo magnetico. Le piramidi di Pontassieve sono una delle tappe del baedeker Toscana misteriosa, edito da Castelvecchi e scritto da Carlo A. Martigli: una guida in 52 luoghi (uno a settimana) dove si manifestano strani e inspiegabili fenomeni, o che sono stati teatro di efferati delitti tanto da sprigionare un irresistibile, perverso fascino.
All'escursionista del macabro, Martigli - toscano, autore del best seller 999. L' ultimo custode, 100 mila copie vendute, e fiero erede di un capitano di ventura "che disarcionava i guerrieri con delle bolas uncinate, per poi sbudellarli: il mio cognome deriva proprio da quegli artigli" - offre anche locande e ristoranti dove riposarsi e rinfrancarsi dalle emozioni forti. Scordarsi il solito fantasma di Vincigliata. Martigli preferisce spedire il turista dell'horror nel quadrilatero della morte Baccaiano-Scandicci-San Casciano-Signa, i quattro punti cardinali dove operarono i sanguinosi compagni di merende.
O al misconosciuto Museo anatomico fiorentino, in viale Morgagni, che conserva le mirabolanti mummificazioni di Girolamo Segato, un incrocio tra scienziato e stregone. Nell' Ottocento, pietrificava i cadaveri con un procedimento mai svelato; regalò al Granduca di Toscana un tavolino: sembrava di marmo, in realtà era fatto di membra umane.
E ancora, è difficile, ma non impossibile incontrare, a Pontassieve, il regolo, un basilisco che incanta con il suo sguardo, o si può sognare di restare giovani tutta la vita abbeverandosi alla fonte della fata Morgana, sulle colline intorno a Bagno a Ripoli. Persino Pinocchio, tra le mani di Martigli, si trasforma da libro per l'infanzia ad una rappresentazione alchemico-massonica, proprio come Villa Garzoni a Collodi, con il suo sontuoso e metaforico giardino.
Del resto, dice Martigli, la Toscana è così: tanto oro ma, gratta gratta, ecco che spunta il nero più cupo.


Scorpion Dagger



A Magliano, in Maremma, ad esempio: dietro la chiesa della Santissima Annunziata c' è un olivo, forse il più vecchio d' Italia [bum!].
Qui le streghe consumavano i loro riti, e si sono reincarnate in gatti neri che i più fortunati potranno incontrare proprio lì, a fare le fusa intorno ai vetusti e contorti rami.
E a Chiusdino: non lontano dall' abbazia di San Galgano, a sud del Mulino delle Pile, utilizzato dalla pubblicità come marchio di una celebre griffe dolciaria, esistono ancora paludi (chiamate di Sant'Andrea) che inghiottirono decine e decine di donne condannate a morte dalla Chiesa perché reputate fattucchiere. Qui zero gatti. Peggio: si sentono le loro grida.
"I misteri toscani- spiega Martigli - hanno la caratteristica di essere poco leggendari: sono infatti legati a personaggi esistiti e a fatti storicamente documentati". Lui è persino in possesso di qualche prova:"Una costola umana che ho trovato nell' impervio cunicolo che collega la Verruca, fortezza in rovina nei pressi di Calci, alla torre di Caprona". Lì si celano anche i bottini di antiche scorrerie. Ma Martigli ha dovuto accontentarsi di un osso.
E poi, i misteri toscani fanno paura, sì. Ma non rinunciano all' ironia. Chi si reca a Livorno in treno, ad esempio, sappia che a notte fonda, alla stazione, si possono udire i passi della Limonaia, un donnone che vide richiamare il proprio figlio alle armi nel 1940. Il ragazzo morì, e sembrava che la donna se lo sentisse. Perché quando il treno che le portò via il figliolo iniziò a sferragliare, lei lo inseguì con tutta la sua mole esclamando: "Bimbo, quando vai alla guerra buttati bocconi, che le medaglie te le compra tutte mamma".

Fulvio Paloscia -16 luglio 2010
la Repubblica.it

Naturalmente, la gif animata l'ho aggiunta io.

domenica 10 gennaio 2016

Le Due Pizzelle, G.B. Basile. Giornata Quarta, Cunto Settimo


Marziella, essendosi mostrata cortese con una vecchia, riceve la fatagione; ma la zia, che invidia la sua buona fortuna, la getta a mare, dove una sirena la tiene per gran tempo incatenata: la libera poi il fratello, diventa regina e la zia paga la pena del suo delitto.



'erano una volta due sorelle carnali, Lucida e Troccola, che avevano ciascuna una figlia femmina, Marziella e Puccia. Marziella era cosi bella di faccia come di cuore; e, per contrario, il cuore e la faccia di Puccia formavano con unica regola faccia di canchero e cuore di pestilenza, e in ciò somigliava ai parenti, perché Troccola era un'arpìa di dentro e di fuori. Accadde un giorno che, dovendo Lucida lessare quattro pastinache per friggerle con la salsa verde, disse alla figlia: "Marziella mia, bene mio, va' alla fontana e prendimi un'anfora d'acqua".
"Di buona voglia, mamma mia - rispose la figlia - ma, se mi vuoi bene, dammi una pizzella, che me la voglio mangiare con quell'acqua fresca".
"Volentieri", disse la madre; e da un paniere che pendeva a un uncino prese una bella pizzella (che il giorno prima aveva fatto forno di pane) e la dette a Marziella. E questa, messasi l'anfora sul capo sopra un cercine, se ne andò alla fontana, la quale, simile a un ciarlatano, sopra un banco di marmi, alla musica di un'acqua cadente, vendeva segreti per scacciare la sete.
Mentre riempiva l'anfora, giunse una vecchia, che, sul palco di una grossa gobba, rappresentava la tragedia del Tempo; e quella, vedendo la bella pizza che Marziella teneva in mano e che proprio allora stava per addentare, le disse:
"Bella giovane mia, se il Cielo ti mandi buona ventura, dammi un po' di codesta pizza". E Marziella, che odorava di regina, le rispose subito:
"Eccotela tutta, magna femmina mia, e mi dispiace che non sia di mandorle e zucchero, che anche te la darei con tutto il cuore".
La vecchia, sperimentata l'amorevolezza di Marziella, le disse:
"Va', che il Cielo ti possa sempre prosperare per questo buon amore che mi hai mostrato; e prego tutte le stelle che tu possa esser sempre felice e contenta; che, quando respiri, ti escano rose e gelsomini dalla bocca; quando ti pettini, caschino sempre perle e granatini dal tuo capo; e, quando metti il piede sulla terra, ne spuntino gigli e viole ".



Gordeev Denis


La giovane la ringraziò e tornò a casa, dove, poiché la madre ebbe cucinato, soddisfecero al debito naturale che si ha verso il corpo. La mattina dopo, quando nel mercato dei campi celesti il Sole mise in mostra le mercanzie di luce portate dall'oriente, Marziella, nel ravviarsi i capelli, si vide cadere in grembo una pioggia di perle e granatini. Con grande giubilo chiamò la madre e li raccolsero in un canestro; e Lucida si recò poi da un orefice amico suo per ismaltirne una buona parte.


Gordeev Denis



Capitò intanto Troccola a far visita alla sorella, e, trovata Marziella tutta affaccendata per quelle perle, domandò come, quando e dove le avesse avute. Ma la giovane, che non sapeva intorbidar l'acqua e forse non aveva appreso quel proverbio: Non fare quanto puoi, non mangiare quanto vuoi, non spendere quanto hai, né dire quanto sai, spiattellò tutto il negozio alla zia.





Non aveva finito di dire, che la zia, senza più aspettare la sorella, parendole mille anni, corse a casa sua, consegnò una pizzella alla figlia e la spedi alla fontana. Puccia vi ritrovò la stessa vecchia; ma, quando essa le domandò un po' di pizza, rispose: "Non pensavo ad altro che a dar la pizza a te! Mi hai forse impregnato l'asina per chiedermi le cose mie? Va', che i denti sono più vicini dei parenti".
Cosi dicendo, trangugiò la pizza in quattro bocconi, facendo gola alla vecchia, la quale, quando vide sparire l'ultimo e seppellita con essa la sua speranza, tutta rabbiosa disse:
"Va', che, quando respiri possa cacciar schiuma come mula di medico; quando ti pettini, possano cadérti dalla testa a mucchi i pidocchi; e, dovunque metti il piede, possano nascere felci e titimali".
La madre, quando la vide tornare con l'acqua, non mise indugio a pettinarla, e, messosi un bello asciugatoio steso sul grembo, vi piegò la testa della figlia; e, cominciando a scorrerla col pettine, ecco cascarne un torrente di animaletti alchimisti, di quelli che fermano l'argento vivo. Non è a dire come restasse la madre, che alla neve dell'invidia aggiunse il fuoco dello sdegno, e gettò fiamme e fumo dal naso e dalla bocca.
Passato qualche tempo, ritrovandosi Ciommo, fratello di Marziella, alla corte del re di Chiunzo, e discorrendosi della bellezza di varie donne, esso, senza esser chiamato, s'intromise dicendo: che tutte quelle belle sarebbero potute andare a gittare le ossa al ponte, se fosse colà comparsa sua sorella, la quale, oltre alla bellezza delle membra che facevano contrappunto sul canto fermo di una bella anima, aveva nei capelli, nella bocca e nei piedi le virtù che le aveva date la fata. Il re, uditi questi vanti, comandò a Ciommo che la facesse venire, perché, se l'avesse trovata quale egli la esaltava, se la sarebbe presa per moglie.
Non parve questa, a Ciommo, occasione da perdere, e inviò un apposito corriere alla madre, informandola del fatto e pregandola di venir subito con la figlia per non lasciarle fuggire questa fortuna. Lucida, che stava male in salute, senza saper di raccomandare la pecora al lupo, pregò la sorella di accompagnare Marziella fino alla corte di Chiunzo per la tale e tale faccenda. E Troccola, che vide che la cosa andava a seconda del suo desiderio, promise di condurla sana e salva presso il fratello.
Salì, dunque, su una nave, avendo con sé Marziella e Puccia, ma, quando fu giunta in mezzo al mare, cogliendo il momento che i marinai dormivano, spinse Marziella nell'acqua. E già la misera stava per affogare, quando una bellissima sirena la raccolse tra le braccia e se la portò via.
Giunta Troccola a Chiunzo, e ricevuta Puccia da Ciommo come se fosse stata Marziella, giacché per la lunga separazione non ne ricordava le sembianze, la condusse subito innanzi al re; il quale, facendole ravviare i capelli, ne vide piovere quegli animali cosi mortali nemici della verità che sempre offendono i testimoni, e, consideratala in volto, osservò che, anelando forte per la fatica del cammino, aveva fatto una saponata alla bocca, che pareva una gualchiera di panni; e, abbassando gli occhi a terra, scorse un prato d'erbe fetide, che gli misero stomaco a mirarle. Sdegnato, scacciò senz'altro Puccia con la madre, e castigò Ciommo, mandandolo a guardare le oche della corte.
Disperato Ciommo per questo affare, e non sapendo darsene ragione, conduceva le oche pei campi, e lasciandole errare a lor voglia lungo la marina, si ritirava in un pagliaio, dove, fino a sera, quando era tempo di stendersi a dormire, piangeva la sorte sua.



Goble W.



Ma alle oche che scorrevano pel lido si affacciava Marziella dalle acque, e le cibava di pasta reale e le abbeverava di acqua rosa, tanto che esse erano diventate ognuna quanto un castrato, cosi grasse che quasi non potevano aprire gli occhi. E la sera si spingevano fin sotto un orticello, che rispondeva sotto una finestra del re, e cominciavano a cantare:

Pire, pire, pire! 
Il sole è bello ed è bella la luna; 
assai più bella chi governa noi. 

Il re, sentendo ogni sera questa musica ochesca, mandò per Ciommo, e volle sapere dove e come e di che pascesse le sue oche; e Ciommo rispose: "Non do loro altro a mangiare che l'erba fresca dei campi".



George Cruikshank


Ma il re, che non rimase persuaso della risposta, gli mandò dietro segretamente un servo fidato perché osservasse dove esso menava le oche. Il servo, seguendo le sue orme, lo vide entrare nel pagliaio e lasciare le oche sole; le quali, volgendosi verso la marina, giunsero al lido, dove usci dal mare Marziella, che non credo cosi bella sorgesse dalle onde la madre di quel cieco, che, come disse il poeta, altra limosina non chiede che di pianto. Il servitore del re, tutto meravigliato e incantato, corse dal padrone, raccontandogli il bello spettacolo a cui aveva assistito sulla scena della marina, E la curiosità del re, eccitata, lo mosse a recarsi di persona a contemplarlo; e la mattina, quando il gallo, capopopolo degli uccelli li solleva tutti ad armare i viventi contro la Notte, essendo andato Ciommo con le oche al luogo solito, il re, non perdendolo mai di vista, gli tenne dietro.
Ciommo rimase nel pagliaio e le oche si avviarono alla marina; e il re vide venir fuori Marziella, che, data a mangiare una pastetta di paste dolci e da bere una caldaietta di acqua rosa alle oche, si assise sopra una pietra a pettinarsi i capelli, dai quali cadevano a manate le perle e i granatini, e intanto dalla bocca le usciva un nugolo di fiori e sotto i piedi si mirava un tappeto soriano di gigli e viole.
Il re chiamò Ciommo e gli domandò se conosceva quella bella giovane; e Ciommo la riconobbe e corse ad abbracciarla, e in presenza del re udi tutto il tradimento fattole da Troccola, e come l'invidia di quella brutta peste aveva ridotto questo bel fuoco d'amore ad abitare nell'acqua del mare.
Non si può dire il piacere che prese il re per l'acquisto di cosi bella gioia; e, voltosi al fratello di lei, gli disse che aveva gran ragione di lodarla tanto, e che trovava due terzi e più di quello che aveva descritto, e perciò la stimava più che degna di essergli moglie, quando si contentasse di accettare lo scettro del regno suo.
"Oh lo volesse il Sole leone - rispose Marzìella - e potessi venire a servirti come schiava della tua corona! Ma non vedi tu questa catena d'oro, che mi lega il piede e con la quale la maga mi tiene prigione, e, quando prendo troppa aria e troppo mi trattengo alla marina, mi tira dentro alla ricca servitù, incatenata d'oro?"
"Quale rimedio ci sarebbe - disse il re - a levarti dalle branche di cotesta sirena?" "Il rimedio sarebbe - rispose Marziella - di segare con una lima sorda questa catena, e svignarmela."
"Aspettami domattina - replicò il re - che lo me ne verrò con l'ordigno pronto e mi ti porterò a casa, dove sarai il mio occhio diritto, la pupilla del mio cuore e le viscere di quest'anima."
E, datasi una caparra dell'amor loro col toccarsi le mani, essa se ne andò in mezzo all'acqua ed egli in mezzo al fuoco, e a un fuoco tale che non gli die un momento di riposo tutto il giorno. E, quando quella nera schiava della Notte usci a fare tubba-catubba con le stelle, non chiuse occhio e andò ruminando con le mascelle della memoria le bellezze di Marziella, discorrendo col pensiero intorno alle meraviglie dei capelli, ai miracoli della bocca e agli stupori del piede; e, toccando l'oro delle grazie sue alla pietra del paragone del giudizio, le trovava di ventiquattro carati. E malediceva la Notte che tanto tardasse a riposarsi dei ricami che va facendo di stelle, e bestemmiava il Sole che non arrivasse presto col carico della luce ad arricchire la casa sua del bene tanto desiderato, affin di portare alla camera sua una miniera d'oro che gettava perle, una conchiglia di perle che gettava fiori.
Ma, intanto che egli se n'andava per mare pensando a colei che stava nel mare, ecco i guastatori  del Sole spianare il cammino pel quale doveva esso passare con l'esercito dei raggi; e il re si vesti, e, in compagnia di Ciommo, si avviò alla marina. E qui, uscita Marziella dalle onde, egli con la lima che aveva portata, segò di mano propria la catena dal piede della persona amata, sebbene in quell'atto stesso ne fabbricasse un'altra più forte al proprio cuore. E si tolse in groppa al cavallo colei che gli cavalcava il cuore, e trottò alla volta del palazzo reale, dove Marziella trovò, per ordine del re, tutte le belle donne del paese, che la ricevettero e l'onorarono come padrona loro.
Quando il re la sposò, nella gran festa che segui, tra le tante botti che si accesero per luminaria, fu inclusa come botticella anche la persona di Troccola, affinché scontasse l'inganno che aveva fatto a Marziella. Lucida fu mandata a chiamare e visse, insieme con Ciommo, da signora; ma Puccia, scacciata da quel regno, andò sempre pezzendo, e, per non aver voluto seminare un pochetto di pizza, ebbe sempre carestia di pane, perché:

  chi non sente pietà, pietà non trova.


"Le Doje Pizzelle", G.B. Basile, Pentamerone, Giornata IV, Cunto 7
Traduzione di Benedetto Croce.
Il testo originale è nella Pagina: "G.B. Basile".

Vedi "Le Tre Fate", sempre di Basile, Qui.



giovedì 7 gennaio 2016

Веселого Рождества и Счастливого Нового года! - Il Periodo Magico del Natale Russo

Spero di aver scritto davvero "Buon Natale e Buon Anno!".

Questa lacca tradizionale russa di Fedoskino apre un discorso che sarebbe vastissimo: le tradizioni magico-divinatorie legate al Natale russo.
Sviatki, il Periodo Magico del Natale Russo.




Soggetti: Donne, il Gallo (simbolo maschile) pane (o grano), candele, acqua, anelli d'oro d'argento e di rame, specchi, luce/ombra...




Il periodo di più intensa attività magico-esoterica è tradizionalmente quello chiamato Svyatki, precisamente i famosi 12 giorni che vanno dal Natale russo (7 gennaio) all'Epifania (19 gennaio). Naturalmente, proprio il 7 e il 19 sono i più "magici". E' una faccenda di donne e riguarda il futuro marito. Non si trascurano le pratiche più comuni come la lettura delle carte o dei fondi del the o del caffè.


Konstantin Egorovič Makovskij


La carta pieghettata e ruotata davanti alla fiamma della candela dovrebbe proiettare sulla parete il nome (o le iniziali) del futuro marito.


Nikolai Pimonenko

Il Gallo è il protagonista assoluto. E certe pratiche erano (?) diffuse in tutti gli strati sociali.








Se il Gallo si avvicina allo specchio il futuro marito sarà vanitoso, se, invece, si accosta ai chicchi di grano, sarà un brav'uomo, se si dirige verso l'acqua, il marito sarà un ubriacone.


Konstantin Egorovič Makovskij





Yuri Sergeyev





S. Kojin

Questa sembrerebbe la divinazione dell'anello: si passa un filo attraverso un anello e si immerge rapidamente nell'acqua, poi, si contano le volte che l'anello urta contro i bordi della bacinella. Quella sarà l'età raggiunta la quale la ragazza a cui appartiene l'anello si sposerà.




... oppure quella con la cera nell'acqua calda. Gli auspici si ricavano dalle forme che assumerà la cera.




I volti sorridenti spariscono quando compare lo specchio. Anzi, gli specchi, nel rito canonico. E' una divinazione solitaria, simile a quella raffigurata nelle cartoline vintage che ho postato in occasione di Halloween (v. Bloody Mary). Ed è pericolosa. Si collocano uno di fronte all'altro due specchi di grandezza simile, e, alla luce di due candele poste tra gli specchi, si evoca il viso del futuro marito, ma, non appena esso appare, è necessario coprire immediatamente lo specchio con un panno, perché potrebbero accadere cose terribili. Nessun animale deve essere presente nella stanza.








Brulloff Karl


Da: Encyclopedia of Russian and Slavic Myth and Legend:


Koliada

"Winter solstice ceremony that began on or around 12 December.
The vord Koliada comes from Kolo (round or circle) and the name of Koliada's companion ceremony, Sviatki, is related to svet (light). The festival known as Sviatki is only a small part of the ceremony of Koliada.
The traditional festival of Koliada united an entire community in worship of its ancestors, thereby ensuring the rebirth of the land in the coming new year. Young women were central in the cerimonies.
In the Sviatki ritual they would divine their own futures as well as that of the larger community - the village and its farms.
At the same time, the old women of the community would symbolically feed the dead ancestors.
The winter solstice was seen as a time when the living and dead communed in a period of half-light as the sun approached its death surrounded by the forces of darkness. It wa important to commune with dead ancestors in order to dislodge the evil forces that sought to kill the sun's continuation and that of all life on earth.
In the Volga region, the Koliada was known as Ovsen' or Vinograd, but the central core of the ceremony remained the same. [...]
The ancients believed that the rebirth of the sun goddess, whom they also called Koliada, was ensured by driving a young woman out of the village on a sled, while singing hymns invoking the sun.
The woman on the sled symbolically died in this ritual, which might once have called for actual human sacrifice".


Igor Oleynikov


... Come nei rituali di tutto il mondo, magari in differenti ma pur sempre paralleli piani temporali.

Mab

mercoledì 6 gennaio 2016

Il Dono dei Magi, O'Henry - Tradizionale Love Story Natalizia, Illustrazioni di Sonja Danowski








Un dollaro e ottantasette centesimi. Questo era tutto. E sessanta centesimi erano in penny. Penny risparmiati uno o due alla volta maltrattando il droghiere, il verduraio e il macellaio, fino a quando ti senti le guance rosse per l'accusa di taccagneria che tale atteggiamento comporta, anche se non te lo dicono. Della li contò tre volte. Un dollaro e ottantasette centesimi. E il giorno dopo sarebbe stato Natale. Non c’era chiaramente nulla da fare, se non afflosciarsi sullo squallido divanuccio e mettersi a urlare. E Della fece proprio così. E questo ci porta a riflettere che la vita è fatta di singhiozzi, tirate su col naso, e sorrisi, con prevalenza delle tirate su.
Mentre la padrona di casa si calma piano, piano, passando dalla prima fase alla seconda, date un'occhiata alla casa. Un appartamento ammobiliato da 8 dollari a settimana. Non certo un posto da mendicanti, ma la forse squadra anti-mendicità lo indicava come tale. Nel vestibolo sottostante, una cassetta per lettere in cui non sarebbe arrivata mai nessuna lettera, e un pulsante elettrico da cui nessun dito di mortale avrebbe ottenuto uno squillo. A tutto ciò si aggiungeva anche un cartellino che recava il nome "Mr. James Dillingham Young." 
Il "Dillingham" era stato sbandierato in un periodo precedente di prosperità quando il suo possessore veniva pagato 30 dollari a settimana. Ora, con il reddito ridotto a 20 dollari, stavano pensando seriamente di contrarlo in un più modesto e senza pretese "D". Ogni volta che il signor James Dillingham Young tornava a casa e raggiungeva il suo appartamento di sopra, veniva però chiamato "Jim" e abbracciato stretto dalla signora Dillingham, che già vi abbiamo presentato come Della. E tutto questo è molto bello.
Della aveva finito di singhiozzare e si occupava delle guance con il piumino della cipria. Se ne stava alla finestra e guardava fuori senza pensieri verso un gatto grigio che camminava lungo un recinto grigio in un cortile grigio.





Domani sarebbe stato il giorno di Natale e lei aveva solo 1 dollaro e 87 con cui comprare un regalo a Jim. Aveva risparmiato ogni centesimo che aveva potuto, per mesi, con questo risultato. Con venti dollari alla settimana non si va lontano. Le spese erano state maggiori di quanto lei aveva calcolato. Lo sono sempre. Solo 1 dollaro e 87 per comprare un regalo per Jim. Il suo Jim. Aveva trascorso tante ore felici pensando a qualcosa di bello per lui. Qualcosa di bello e raro e speciale - qualcosa che fosse degno di appartenere a Jim. C’era uno di quei comuni specchi stretti, tra le finestre della stanza. Forse avete visto uno di questi specchi in un appartamento da 8 dollari. Una persona molto sottile e molto agile può, osservando il suo riflesso in una rapida sequenza di strisce longitudinali, avere un’idea abbastanza precisa del suo aspetto. Della, essendo magra, aveva imparato quest’arte. Improvvisamente si girò dalla finestra e si fermò davanti allo specchio. I suoi occhi brillavano di scintille, ma il suo viso perse di colore in venti secondi. Rapidamente tirò giù i capelli e li lasciò cadere per tutta la loro lunghezza. Ora, vi erano due beni in possesso alla famiglia Dillingham Young di cui entrambi erano orgogliosissimi. Uno era orologio d'oro di Jim, che era stato di suo padre e di suo nonno. L'altro, erano i capelli di Della.






Se la regina di Saba fosse vissuta in un appartamento di fronte, Della qualche volta avrebbe steso i suoi capelli fuori dalla finestra ad asciugare solo per far impallidire i gioielli e i beni di Sua Maestà. Se Re Salomone fosse stato il portiere, con tutti i suoi tesori ammucchiati nello scantinato, Jim avrebbe tirato fuori il suo orologio ogni volta che passava, solo per vederlo strapparsi la barba dall’invidia. Così ora i bei capelli di Della scivolarono su di lei ondeggianti e splendenti come una cascata di acque castane. Arrivavano fin sotto il ginocchio e le facevano quasi da abito.
Poi li raccolse di nuovo nervosamente e rapidamente. Vacillò per un attimo e poi si fermò, mentre una lacrima o due cadevano sul logoro tappeto rosso. Indossò la vecchia giacca marrone, indossò il vecchio cappello marrone. Con un turbinio di gonne e con quel brillante scintillio ancora negli occhi, sgonnellò fuori dalla porta e giù per le scale fino alla strada. Dove si fermò il cartello diceva: "Mme. Sofronie. Tutto per i capelli."




Della corse su per una rampa, e si sistemò, ansimando. Madame, grossa, troppo bianca, fredda, poco sembrava una "Sofronie".
"Vuole comprare i miei capelli?", chiese Della.
"Io compro i capelli - disse la signora - Si tolga il cappello e diamo un’occhiata a come sono." La cascata castana scivolò giù.
"Venti dollari", disse la signora, sollevando la massa con mano esperta.
"Me li dia, presto", disse Della.





Oh, e le due ore successive si spostò con ali rosate. Scusate questa trita metafora. Stava setacciando i negozi per il regalo di Jim. Alla fine lo trovò. Era stato fatto proprio per Jim e per nessun altro. Non ce n’era di uguale in nessun altro negozio, e li aveva rivoltati proprio tutti. Era una catenina da orologio in platino, semplice e pura nel disegno, che dichiarava il suo valore di per se stessa e non come vile ornamento - proprio come dovrebbe essere per tutte le cose belle.
Era degna dell’Orologio.
Appena la vide, seppe che doveva essere di Jim. Era come lui. Tranquillità e valore - la descrizione si applicava ad entrambi. Per la catena le presero ventuno dollari, e lei si precipitò a casa con gli 87 centesimi. Con quella catena al suo orologio, Jim poteva preoccuparsi decorosamente dell’orario in qualunque compagnia si fosse trovato. Per quanto il suo orologio fosse magnifico, a volte lo guardava di nascosto, a causa del vecchio cinturino di cuoio che usava al posto della catena.





Quando Della giunse a casa, la sua eccitazione cedette un po’ alla prudenza e alla ragione. Tirò fuori il suo arricciacapelli, accese il gas e si mise a riparare i danni fatti dalla generosità aggiunta all’amore. Che è sempre un compito enorme, cari amici - un compito immane. In quaranta minuti la sua testa era coperta da piccoli ricci, vicini l’uno all’altro, che la facevano splendidamente somigliare a uno scolaro che ha marinato la scuola. Guardò a lungo la sua immagine riflessa nello specchio, con attenzione e in modo critico. 'Se Jim non mi ammazza - si disse - prima di darmi una seconda occhiata, dirà che sembro una ragazza del coro di Coney Island. Ma che cosa potevo fare - oh! Che cosa potevo fare con un dollaro e ottantasette centesimi?'





Alle 7, il caffè era pronto e la padella era sul retro della stufa, calda e pronta a cuocere le costolette. Jim non era mai in ritardo. Della addoppiò la catenina in mano e si sedette in un angolo del tavolo vicino alla porta da cui lui entrava sempre. Poi sentì il suo passo sulla scala giù, al primo piano, e impallidì per un attimo. Aveva l'abitudine di recitare in silenzio una preghiera per le semplici cose di ogni giorno, e ora sussurrò: "Ti prego Dio, fagli pensare che sono ancora carina". La porta si aprì e Jim entrò e la richiuse.
Aveva un aspetto magro e molto pensieroso. Poverino, aveva solo ventidue anni - ed essere gravati da una famiglia! Aveva bisogno di un cappotto nuovo ed era
senza guanti. 





Jim si fermò appena superata la porta, immobile come un setter all’odore di una quaglia. I suoi occhi erano fissi su Della, e vi era in essi un’espressione che lei non sapeva comprendere, e che la terrorizzava. Non era rabbia, né sorpresa, né disapprovazione, né orrore, né uno dei sentimenti a cui era preparata. Egli semplicemente la guardava fisso, con quella strana espressione sul viso. Della girò intorno al tavolo e gli si avvicinò.
"Jim, caro -  esclamò - non guardarmi in quel modo. Mi sono tagliata i capelli e li ho venduti, perché non potevo passare il Natale senza farti un regalo. Ricresceranno... non ti importa, vero? Ho dovuto farlo. I miei capelli crescono così in fretta. Di’ Buon Natale!, Jim, e cerchiamo di essere felici. Non sai che bel regalo - che bellissimo regalo - ho per te."
"Hai tagliato i capelli?" chiese Jim, faticosamente, come se non fosse ancora arrivato a capire questo fatto, anche dopo un duro sforzo mentale.
"Tagliati e venduti - disse Della - Non ti piaccio ugualmente, comunque? Io sono io, anche senza i miei capelli, non è vero?"
Jim guardò per la stanza, curioso. "Dici che i tuoi capelli non ci sono più?" chiese, con un'aria quasi da idiota.
"Non li devi cercare - disse Della - Li ho venduti, ti dico, venduti e andati, anche. E' la vigilia di Natale, ragazzo. Sii buono con me, perché li ho dati via per te. Forse i capelli del mio capo erano contati - proseguì lei con un’improvvisa grave dolcezza - ma nessuno potrebbe contare il mio amore per te. Devo mettere su le costolette, Jim?"
Jim sembrava svegliarsi rapidamente dalla sua trance. Abbracciò la sua Della. Per dieci secondi guardiamo con interesse qualche inutile oggetto che sta nella direzione opposta. Otto dollari la settimana o un milione l’anno - qual è la differenza? Un matematico o un uomo di spirito darebbero la risposta sbagliata. I Magi portarono doni preziosi, ma quello non c’era. Questa affermazione oscura vi sarà chiarita in seguito. Jim estrasse un pacchetto dalla tasca del cappotto e lo gettò sul tavolo.
"Non ti sbagliare sul mio conto, Della - disse - Non credo che ci sia qualcosa nel modo in cui ti tagli i capelli o te li lavi che potrebbe farmi piacere di meno la mia ragazza. Ma se scarti il pacchetto, puoi capire perché mi hai fatto imbambolare un po' in un primo momento."
Dita bianche e agili strapparono la corda e carta. E poi un urlo di gioia estatica e poi, ahimè! un rapido femmineo cambiamento in un pianto isterico e in lamenti, che richiesero l'impiego immediato di tutti i poteri di consolazione del padrone di casa. Perché lì dentro c'erano I Pettini - una serie di pettini, laterali e posteriori, che Della aveva adorato a lungo in una vetrina di Broadway. Bellissimi pettini in vero guscio di tartaruga, con bordi di pietre preziose – proprio della sfumatura da portare tra i suoi magnifici capelli scomparsi. Erano pettini costosi, lo sapeva, e il suo cuore li aveva semplicemente agognati e desiderati senza la minima speranza di possesso. E ora erano suoi, ma le trecce che gli ambìti ornamenti avrebbero dovuto adornare erano sparite. Ma lei li stringeva al petto e alla fine fu in grado di guardarli con gli occhi velati e un sorriso e dire: "I miei capelli crescono così in fretta, Jim!" E poi Della balzò in piedi come un gatto che si è bruciato e gridò: "Oh, oh!" Jim non aveva ancora visto il suo bel regalo. Lei glielo porse con entusiasmo sul palmo aperto. L’opaco metallo prezioso sembrava lampeggiare per il riflesso dello spirito brillante e ardente di lei. "Non è elegante, Jim? L’ho cercato per tutta la città per trovarlo. Dovrai guardare l’ora un centinaio di volte al giorno adesso. Dammi il tuo orologio. Voglio vedere come ci sta."
Invece di obbedire, Jim si buttò sul divano e si mise le mani sotto la nuca e sorrise.







"Della - disse - mettiamo via i nostri regali di Natale e lasciamoli stare per un po'. Sono troppo belli per usarli proprio ora. Io ho venduto l'orologio per avere i soldi per comprare i tuoi pettini. Ed ora penso che tu debba mettere su le costolette".






I Magi, come sapete, erano uomini saggi - meravigliosamente saggi - che portarono doni al Bambino nella mangiatoia. Furono loro a inventare l'arte di fare regali per Natale. Essendo saggi, i loro doni erano senza dubbio saggi, e sicuramente avevano la possibilità di essere cambiati, se uno ne aveva già di simili. E qui vi ho raccontato alla meglio la pacifica storia di due bambini sciocchi, in un appartamento, che, incautamente, hanno sacrificato l’uno all’altra i più bei tesori della loro casa. Ma va detta un’ultima parola al saggio di oggi, che, di tutti coloro che fanno regali, questi due sono stati i più saggi. Di tutti coloro che fanno e ricevono regali, come loro, sono i più saggi. Ovunque, sono i più saggi. Sono loro i Magi.