lunedì 28 marzo 2016

Il Castello Errante di Howl

Prima di proporre il testo integrale del primo capitolo de "Il Castello Errante di Howl" ho rapidamente riletto il racconto-recensione dei primi cinque capitoli, notando che avevo definito (2013) l'olezzante Howl "profumoso" di glicine.
 Bimbo, rassegnati. Mab.

Diana Wynne Jones 
(Howl's moving castle,1986)
 
CAPITOLO UNO 
In cui Sophie parla ai cappelli 

Nella terra di Ingary, dove realmente esistono cose come stivali delle sette leghe e mantelli che rendono invisibili, essere il primogenito di tre fratelli è considerata una sfortuna piuttosto grossa. Colui che nasce per primo, infatti, è anche quello destinato a sbagliare per primo; e sarà ancora peggio se sarà l'ultimo ad andarsene di casa in cerca di fortuna...
Sophie Hatter era la primogenita di tre sorelle, e non era nemmeno figlia di un povero taglialegna, cosa questa che le avrebbe dato una qualche possibilità di successo; i suoi genitori, anzi, erano benestanti e gestivano un negozio di cappelli per signora nella prospera cittadina di Market Chipping. È vero che la mamma di Sophie era morta quando la bambina aveva solo due anni e la sua sorellina Lettie ne aveva uno, ed è anche vero che il loro babbo si era presto risposato, prendendo in moglie la commessa più giovane del loro negozio, una biondina molto graziosa di nome Fanny. Ed è pur vero che Fanny aveva dato ben presto alla luce un'altra bimba, Martha. Ma tutto ciò non servì a Sophie per bilanciare lo scomodo peso della primogenitura. Inoltre la nascita di Martha avrebbe dovuto trasformare Sophie e Lettie nelle due brutte sorellastre, invece tutte e tre le bimbe, crescendo, divennero molto carine (anche se Lettie era considerata da tutti la più bella) e venivano trattate da Fanny senza alcun favoritismo, con la stessa identica dolcezza.


J.E. Millais


Il signor Hatter era tanto orgoglioso di queste sue tre figliole da far frequentare loro la miglior scuola della città. Sophie era la più studiosa delle tre e passava buona parte del suo tempo a leggere. Così presto si rese conto che avrebbe avuto poche opportunità di vivere un interessante futuro. Questa consapevolezza le lasciava un po' di amaro in bocca, tuttavia riusciva a sentirsi ancora abbastanza felice nell'occuparsi delle sorelle minori e nel prendersi cura in particolare di Martha, proprio mentre si avvicinava il momento in cui la più piccola sarebbe uscita di casa per affrontare il proprio destino. Poiché Fanny era sempre occupata in negozio, era Sophie a seguire l'educazione delle sorelline che spesso litigavano furiosamente, prendendosi per i capelli, perché Lettie non si rassegnava a essere la secondogenita, e quindi quella che, dopo Sophie, avrebbe avuto un futuro meno brillante.

venerdì 18 marzo 2016

Il Soldatino, (Francia) A.Lang - Traduzione Mia


'era una volta un soldatino che era appena tornato dalla guerra: si era comportato da valoroso in battaglia, e, tuttavia, non aveva perso né una gamba né un braccio.
Ma la guerra era finita, l'esercito era allo sbando, e il soldatino dovette prendere la via per il suo villaggio natìo. Ora, il nome del ragazzo era John, ma, per una ragione o per un'altra, gli amici lo chiamavano "Reuccio": il perché nessuno lo sapeva, ma tant'è...
Poiché non aveva né padre né madre ad attenderlo, non aveva fretta, e se la prendeva comoda, zaino in spalla e spada al fianco. Una sera, all'improvviso, fu preso dal desiderio di fumare la pipa: cercò i fiammiferi, ma, con suo grande disappunto, si accorse di averli smarriti. Ad un tiro di pietra dal punto in cui aveva cercato inutilmente i fiammiferi, scorse una luce brillare tra gli alberi. Quando la raggiunse, si ritrovò davanti ad un vecchio castello le cui porte erano spalancate.
Il soldatino entrò nella corte del castello, e, sbirciando attraverso una finestra, scorse un gran fuoco che divampava in fondo ad una sala. Mise la pipa in tasca e bussò con discrezione, chiedendo educatamente:
"Potreste darmi un po' di fuoco?", ma non ottenne risposta. Dopo aver atteso per qualche istante, bussò di nuovo - più energicamente questa volta - ma l'esito fu il medesimo.
Alzò il chiavistello ed entrò: la sala era vuota. Si diresse immediatamente verso il caminetto, e, quando, afferrate le molle, si chinò per cercare un pezzetto di brace per la sua pipa... Clic! Qualcosa scattò proprio in mezzo alle fiamme, e comparve un enorme serpente, che si rizzò fino ad arrivare all'altezza del suo viso.


H.J. Ford


Ad una tale vista molti uomini sarebbero scappati via a gambe levate temendo per la propria vita, ma John, benché fosse un piccoletto, aveva il cuore di un autentico soldato. Si limitò ad indietreggiare e ad afferrare l'elsa della sua spada.
"Non sguainarla - disse il serpente - poiché tu sarai il mio liberatore"
"Chi sei?"
"Mi chiamo Ludovina e sono la figlia del Re dei Paesi Bassi. Liberami e io ti sposerò e ti renderò felice per tutta la vita!"
Beh, parecchi uomini non avrebbero gradito la prospettiva di essere resi felici da un enorme serpente con la testa di donna, ma Reuccio non si lasciava confondere da simili paure. Inoltre, subiva il fascino degli occhi di Ludovina, che lo guardava come un serpente guarda un uccellino. Erano meravigliosi occhi verdi, non rotondi come quelli di un gatto, ma allungati, a forma di mandorla, e brillavano di una strana luce, e i fluttuanti capelli d'oro che li incorniciavano risplendevano ancor di più. Il volto aveva la bellezza di un angelo anche se il corpo era quello di un serpente.
"Che cosa devo fare?", chiese Reuccio.
"Apri quella porta. Ti ritroverai in una galleria che termina in una sala simile a questa. Attraversala. Vedrai un armadio in cui c'è una tunica. Portamela".
Il soldatino si accinse impavidamente ad eseguire la missione che gli era stata affidata. Attraversò senza problemi la galleria, ma, una volta entrato nella sala, vide, alla luce delle stelle, otto mani che fluttuavano all'altezza del suo viso, minacciando di picchiarlo, però, per quanto scrutasse in giro, non riuscì a scorgere i corpi a cui appartenevano.
Il soldatino si slanciò in avanti a testa bassa in mezzo ad una vera tempesta di colpi a cui rispose a suon di pugni. Raggiunto l'armadio, lo aprì, prese la tunica e la portò nella prima sala.
"Eccola", ansimò, quasi senza fiato.
Clic! Ancòra una volta, le fiamme si divisero ed apparve Ludovina: adesso, era donna fino alla vita. Prese la tunica e la indossò. Era una splendida tunica di velluto arancione tempestata di perle, eppure le perle non erano candide come il suo collo.
"Non è finita qui - disse - Ritorna nella galleria, sali su per lo scalone a sinistra, e, nella seconda sala del primo piano, troverai un altro armadio: dentro c'è la mia gonna. Portamela".
Reuccio seguì le istruzioni, ma, entrando nella stanza, invece di otto mani, scorse otto braccia, e ogni braccio reggeva un enorme bastone. Immediatamente, sguainò la spada, e si fece largo con un vigore tale che se la cavò solo con qualche graffio. Prese la gonna, che era di seta, blu come i cieli di Spagna.
"Eccola", disse John quando il serpente fece la sua comparsa: adesso era donna fino alle ginocchia.
"Non voglio altro che le scarpe e le calze - disse - va' e prendile dall'armadio del secondo piano".
Il soldatino si avviò, ma s'imbatté in otto goblins armati di bastoni e con gli occhi che saettavano fiamme. Questa volta, si bloccò sulla soglia.
"La spada non mi servirà a nulla - si disse - Questi miserabili la infrangerebbero come se fosse di vetro. Se non mi faccio venire un'idea, sono un uomo morto."



Lucia Campinoti


Lo sguardo gli cadde sulla porta, che era di robusta e massiccia quercia: la divelse dai cardini, la sollevò sul capo e si slanciò contro i goblins schiacciandoli sotto di essa. Quindi, prese le scarpe e le calze dall'armadio e le portò a Ludovina, che, non appena le ebbe indossate, divenne donna dalla testa ai piedi.
Quando fu completamente vestita, con le calze di seta bianca e gli scarpini blu tempestati di carbonchi ai piedi, ella disse al suo liberatore:

giovedì 10 marzo 2016

Biancabella e la Biscia, Straparola, Le Piacevoli Notti

Biancabella, figliuola di Lamberico marchese di Monferrato, viene mandata dalla matrigna di Ferrandino, re di Napoli, ad uccidere. Ma gli servi le troncano le mani e le cavano gli occhi; e per una biscia viene reintegrata, e a Ferrandino lieta ritorna.

egnava, giá gran tempo fa, in Monferrato un marchese potente di stato e di ricchezze, ma de figliuoli privo: e Lamberico per nome si chiamava. Essendo egli desideroso molto di avergliene, la grazia da Iddio gli era denegata. Avvenne un giorno che, essendo la marchesana in uno suo giardino per diporto, vinta dal sonno, a’ piedi d’uno albero s’addormentò; e cosí soavemente dormendo, venne una biscia piccioletta, ed accostatasi a lei, ed andatasene sotto i panni suoi, senza che ella sentisse cosa alcuna, nella natura entrò, e sottilissimamente ascendendo, nel ventre della donna si puose, ivi chetamente dimorando. Non stette molto tempo che la marchesana, con non picciolo piacere ed allegrezza di tutta la cittá, s’ingravidò: e giunta al termine del parto, parturí una fanciulla con una biscia che tre volte l’avinchiava il collo. Il che vedendo, le comari che l’allevavano si paventarono molto. Ma la biscia, senza offesa alcuna dal collo della bambina disnodandosi, e andossene alla balia, la qual ritrovò ch’ancora riposava; e destatala, con esso lei senza dir cosa alcuna se n’andò in casa.
Venuto il giorno seguente, ed essendo Biancabella con la madre in camera sola, assai nella vista sua malanconosa le parve. Laonde la madre le disse:
"Che hai tu, Biancabella, che star sí di mala voglia ti veggio? Tu eri allegra e festevole, ed ora tutta mesta e dolorosa mi pari."
A cui la figliuola rispose:
"Altro non ho io, se non che io vorrei duo vasi, i quali fussero nel giardino portati: uno de’ quai fusse di latte e l’altro di acqua rosata pieno."
"E per sí picciola cosa tu ti ramarichi, figliuola mia? - disse la madre - Non sai tu che ogni cosa è tua? "
E fattisi portar duo bellissimi vasi grandi, uno di latte e l’altro d’acqua rosata, nel giardino li mandò. Biancabella, venuta l’ora, secondo l’ordine con la biscia dato, senza essere d’alcuna damigella accompagnata, se n’andò al giardino; ed aperto l’uscio, sola dentro si chiuse, e dove erano gli vasi, a sedere si puose.


 Abbey E.A