lunedì 28 settembre 2015

Il Korandon, il Leprecaun, e la Groac'h o la Melusina Diabolica





Addentrarsi nel mondo della classificazione dei folletti nordeuropei, in particolare, dei folletti partoriti dalla cultura celtica: irlandesi, scozzesi, bretoni,(La "Piccola Bretagna" nel nord della Francia) è un'impresa da superbi sconsiderati. Yeats, e Kennedy, e Joyce, e Crocker (ecc., ecc.) hanno umilmente virgolettato mille volte le proprie teorie in proposito, derivate dalle loro rilevazioni sul campo.
Così, grosso modo, potrei dire che il Korandon-Korrigan bretone dovrebbe essere parente stretto del Leprecaun irlandese (più che del domestico e, in fondo, benigno Brownie, come ho letto da qualche parte)






William Butler Yeats:
"Il nome Lepracaun - mi scrive Douglas Hyde - viene dall'irlandese leith brog, cioè Ciabattino-di-una-scarpa sola, perché di solito lo si vede lavorare a un'unica scarpa. In irlandese si dice Leith bhrogan o leith phrogan, che in certe parti viene pronunciato Luchryman, come riporta O'Kearney nel suo incomparabile libro Feis Tigh Chonain"
Lepracaun, Cluricaun e Far Darrig: si tratta di un solo spirito sotto sembianze e atteggiamenti differenti? Su questo sarà difficile trovare due scrittori irlandesi che concordino. Sono molte le cose in cui queste tre creature fatate, se tre sono, si assomigliano. Sono grinzose, vecchie e solitarie, diverse sotto ogni punto di vista dai socievoli spiriti delle prime sezioni. Vestono nel modo più dimesso e sono esseri più che mai sudici, trascurati, beffardi e ingannevoli. Sono i veri grandi burloni del buon popolo.
Il Lepracaun fa continuamente scarpe e ha accumulato grandi ricchezze. Molte pentole piene d'oro, seppellite tanti anni fa in tempo di guerra, ora appartengono solo a lui. All'inizio di questo secolo, secondo Crocker, nella sede di un giornale di Tipperary facevano vedere una piccola scarpa dimenticata lì da un Lepracaun. Il Cluricaun (Clobhair-Ceann in O'Kearney) si ubriaca nelle cantine dei signori. Secondo alcuni non è che un Lepracaun che fa baldoria. E' pressoché sconosciuto nel Connaught e nel Nord.
Il Far Darrig (fear dearg), che significa Uomo Rosso, perché porta un berretto e un gabbano rossi, pensa solo a combinare scherzi, in special modo macabri. Non fa nient'altro che questo.
Il Pooka sembra essenzialmente uno spirito animale. Alcuni fanno derivare il suo nome da poc, un caprone, e alcuni intellettuali lo considerano l'antenato del Puck di Shakespeare. Vive sulle montagne solitarie e tra le vecchie rovine, reso mostruoso da tanta solitudine, e appartiene alla stessa razza degli Incubi".




Scartati il cupo Pooka e altri folletti che appartengono più al mondo degli spiriti inquieti, ovviamente, rimane il Leprecaun in una delle sue innumerevoli denominazioni. Ma, a parte il legame con un favoloso tesoro, e quello con i sarti fatati - legami indiretti - il Korandon della leggenda bretone ha molto poco in comune con un Leprecaun, così come è generalmente rappresentato.
Se, invece, accettiamo l'apparentamento con il Korrigan, altro folletto bretone, o meglio, un altro nome con cui viene indicato lo stesso essere in Bretagna...






Il Korrigan è decisamente un nano, è collegato strettamente all'acqua, alla musica, è uno spirito animale, è sia benigno che maligno, come le Fate sono e devono essere. Quindi, tra Korrigan e Leprecaun, l'identificazione del Korandon della leggenda potrebbe fermarsi qui. Ma Korrigan, in Bretagna, è anche il nome attribuito ad entità femminili, Fate belle e minuscole che infestano sorgenti e pozzi, lunghi capelli neri o candidi, occhi rossi e luminosi nelle tenebre, Fate maligne, lussuriose, eterne tentatrici di uomini, meglio se preti cattolici.






E così, la Groac'h - antica divinità delle acque trasformata in dèmone lussurioso dal Cristianesimo vincente - mezza Ondina e mezza Sirena, che vive in un lago collegato al mare da una corrente magica, e trasforma i mille mariti-prigionieri in pesci (stagno) e finisce sigillata in un pozzo sino al Giorno del Giudizio, bellissima adescatrice di mortali tremebondi, sembra l'altra faccia del vecchio nano accovacciato nel grande nido, più che la moglie fedifraga.
Infine, ciò che possiamo affermare senza essere presuntuosi è che appartiene alla grande schiera delle Amanti Soprannaturali Maligne, il lato diabolico della Melusina fondatrice di nobili dinastie umane.

Ancòra Yeats:

"La Leanhaun Shee (Amante Fatata) brama l'amore dei mortali. Se loro glielo rifiutano, finisce per divenire loro schiava; se lo concedono, allora sono loro gli schiavi, e possono sottrarsi solo trovando un altro che prenda il loro posto. Questa creatura vive della loro vita, ed essi avvizziscono. La morte non basta per sfuggirle. È la musa gaelica, perché ispira coloro che perseguita. I poeti gaelici muoiono giovani, perché lei è inquieta e non sopporta che rimangano a lungo su questa terra - malefico spirito che non è altro!".


Sebastian Giacobino

Mab's Copyright

Tutte le immagini, tranne l'ultima, sono di J. B. Monge.



La Groac’h dell'Isola di Lok, E. Sauvestre (Bretagna) - Traduzione Mia

Koe L.


utti coloro che conoscono le terre della chiesa di Lanillis sanno che è una delle più belle parrocchie della diocesi di Léon. Oltre al foraggio e al grano, abbonda di frutteti che danno mele più dolci del miele di Sizun e susini i cui fiori si trasformano tutti in frutti. Per quanto riguarda le ragazze da marito, poi, sono tutte quante sagge e brave massaie - a sentire i loro genitori.
Negli antichi tempi, quando i miracoli erano comuni come lo sono oggi battesimi e funerali, vivevano a Lanillis un giovanotto di nome Houam Pogamm e una ragazza chiamata Bellah Postik.
Erano cugini, secondo le usanze del paese, e le loro madri, da quando erano piccolissimi, li avevano allevati nella stessa culla così come si usava con i bimbi destinati ad essere uniti in matrimonio, a Dio piacendo. E i bambini erano cresciuti amandosi con tutto il cuore. Ma i loro genitori morirono a poco distanza l'uno dall'altro, e i due orfanelli, che non avevano ricevuto alcuna eredità, furono costretti ad andare a servizio presso lo stesso padrone. Avrebbero potuto essere felici, ma mormoravano continuamente, come fa il mare.
"Se solo avessimo il denaro per comprare una muccherella ed un maialino da mettere all'ingrasso - diceva Houam - chiederei al padrone un pezzetto di terra in affitto, il curato ci sposerebbe e noi andremmo a vivere insieme".
"Sì - rispose Bellah, tirando un grosso sospiro - ma viviamo in tempi duri: le mucche e i maiali erano ancòra rincarati all'ultima fiera di Ploudalmézeau. Di sicuro, Dio non si occupa più di come vanno le cose del mondo".
"Allora ci toccherà aspettare un pezzo - rincarò Houam - Non sono certo io che finisco le bottiglie quando vado a bere all'osteria con gli amici!"
"Un bel pezzo! - disse la ragazza - Perché non sono riuscita a sentir cantare il cuculo".
E questi lamenti si ripetevano ogni giorno finché Houam si stancò, e, un bel mattino, raggiunse Bellah, che nettava il grano sull'aja, e le annunciò che intendeva partire in cerca di fortuna. La ragazza ne fu grandemente rattristata e cercò di dissuaderlo, ma Houam era un giovanotto risoluto e non volle ascoltarla.
"Gli uccelli volano e volano finché non trovano un campo di grano - disse - e le api volano e volano finché non trovano i fiori da cui ricavano il loro miele. Può un uomo essere da meno di bestie che volano? Anch'io voglio andare in cerca di ciò di cui ho bisogno: il denaro per comprare una muccherella e un maialino. Se mi amate, Bellah, non opponetevi a qualcosa che potrebbe affrettare le nostre nozze!"
La ragazza, benché avesse il cuore spezzato, capì che le toccava cedere.
"Se è così che deve essere, partite e che Dio vi guardi. Ma, prima, voglio condividere con voi l'eredità dei miei genitori".
E lo condusse al suo armadio, da cui trasse una campanella, un coltello ed un bastone.
"Queste tre reliquie - disse - non hanno mai lasciato la mia famiglia. Ecco la campanella di san Kolédok: se siamo in pericolo, il suo suono avverte i nostri amici. Questo è il coltello di san Coréntin: tutto ciò che tocca sfugge agli incantesimi degli stregoni e del Demonio. Infine, ecco il bastone di san Vouga: ci condurrà dovunque vogliamo andare. Vi do il coltello per difendervi dai malefici e la campanella per avvertirmi se foste in pericolo, e io mi terrò il bastone nel caso doveste avere bisogno di me".
Houam ringraziò la sua promessa sposa, pianse un po' con lei, come è giusto fare quando ci si separa, e s'incamminò alla volta delle montagne.





Ma, allora come oggi, in tutti i villaggi che attraversava, era inseguito dai mendicanti, i quali, poiché le sue brache erano ancòra tutte intere, lo prendevano per un signore.
'In fede mia - pensò - questo è un paese in cui vedo più probabilità di dispensare fortuna piuttosto che farne. Andiamo più lontano!'
E continuò il suo cammino, scendendo fino alla costa, e raggiunse la bella città di Port-Aven. Mentre era seduto davanti alla locanda, udì per caso le chiacchiere di due mulattieri che, caricando i loro muli, parlavano della Groac'h dell'Isola di Lok. Houam chiese chi fosse, e gli risposero che era il nome che la gente aveva dato ad una Fata che viveva nel lago sull'isola più grande dell'Arcipelago delle Glénans, e si diceva che possedesse più ricchezze lei di tutti i re del mondo messi insieme. In molti si erano avventurati sull'isola per impossessarsi dei suoi tesori, ma nessuno era tornato. Houam decise all'istante che sarebbe andato sull'isola per tentare l'impresa. I mulattieri tentarono in ogni modo di dissuaderlo e si appellarono anche ai paesani, dicendo che non era da buoni cristiani lasciare che un giovane andasse verso la sua rovina, e volevano trattenerlo con la forza. Houam ringraziò per l'interessamento e disse che c'era un modo per impedirgli di tentare quella pericolosa avventura: se tutti i presenti avessero fatto una colletta il cui ricavato fosse stato sufficiente per l'acquisto di una vaccherella e di un maialino, egli avrebbe desistito dal suo intento. Allora, tutti si allontanarono, borbottando che era un gran testardo e che non c'era modo di trattenerlo.
Houam, dunque, si recò sulla riva del mare, e un battelliere lo trasportò sull'isola di Lok. Houam trovò facilmente il lago, che era proprio nel bel mezzo dell'isola, circondato da distese di erbe acquatiche e fiori rosa. Mentre si aggirava sulla riva, scorse, all'ombra di un cespuglio di ginestre, una imbarcazione color del mare che galleggiava sulle acque immote. L'imbarcazione aveva la forma di un cigno addormentato, con il capo nascosto sotto un'ala.
Houam, che non aveva mai visto niente di simile, salì sul battello per osservarlo meglio. Ma, non appena vi ebbe messo piede, il cigno sembrò svegliarsi: alzò il capo dalle piume, allungò nell'acqua le larghe zampe e si allontanò velocemente dalla riva. Houam lanciò un grido di spaventò, ma il cigno si diresse ancòra più velocemente verso il centro del lago. Houam tentò di tuffarsi per ritornare a riva a nuoto: allora, il cigno immerse il becco e navigò sott'acqua, trascinando il ragazzo con sé. Houam che non poteva aprire la bocca senza ingoiare la mefitica acqua del lago, fu costretto a tacere, e, in breve, si ritrovò nella dimora della Groac'h: era un palazzo interamente rivestito di conchiglie. Una visione al di là di ogni immaginazione. Vi si accedeva tramite uno scalone di cristallo costruito in maniera tale che, quando si posava il piede su un gradino, questo cantava come un uccello della foresta. Tutt'intorno, immensi giardini dove crescevano foreste di piante marine e prati di alghe, tempestati di diamanti in luogo di fiori.
La Groac'h si trovava nella prima sala, distesa su di un letto d'oro. Indossava una veste di tulle color del mare, sottile e spumeggiante come un'onda. I suoi capelli neri, mescolati a coralli, le toccavano i calcagni, e il suo incarnato, bianco e rosato, risplendeva come l'interno di una conchiglia.
Houam si fermò, abbagliato da quella visione, ma la Groac'h si alzò e gli andò incontro sorridendo. Era così flessuosa e il suo passo era così lieve che si muoveva come un flutto marino.
"Siate il benvenuto - disse, invitandolo ad entrare - qui c'è sempre posto per gli stranieri e i bei ragazzi!"
Rassicurato, Houam entrò nel salone.
"Chi siete? Da dove venite e cosa cercate?", chiese la Groac'h.
"Mi chiamo Houam - rispose il ragazzo - vengo da Lanillis e cerco di che comprarmi una vaccherella ed un maialino".
"Ebbene, venite, Houam - replicò la Groac'h - e non preoccupatevi di nulla perché qui troverete tutto ciò che può darvi gioia".
Lo aveva introdotto in un'altra sala, interamente tappezzata di perle, e gli offrì otto differenti qualità di vino, riempiendo otto coppe d'argento lavorato.
Houam vuotò le prime otto coppe e ne provò tanto gusto che bevve altre otto coppe per ogni qualità di vino, e, ad ogni sorso, la Groac'h gli pareva più bella.
Ciò incoraggiò la Fata a dirgli di bere pure quanto voleva, ché non l'avrebbe mandata certo in rovina: il lago comunicava con il mare e una corrente magica vi trasportava tutti i tesori dei naufragi.
"Sulla mia salvezza - esclamò Houam, reso allegro dal vino - non mi stupisce più che la gente della costa parli male di voi. Le persone così ricche suscitano sempre invidia. Quanto a me, mi basterebbe la metà dei vostri tesori!".
"Potreste averla...", disse la Fata.
"E come?"
"Sono vedova di un korandon*, e, se sono di vostro gradimento, potreste avermi in moglie".
Houam non poteva credere alle sue orecchie: lui, sposare la Groac'h che gli pareva tanto bella e che possedeva un palazzo così ricco e otto qualità di vino che poteva bere a sazietà! In verità, aveva promesso di sposare Bellah, ma gli uomini dimenticano facilmente certe promesse: in questo, sono molto simili alle donne.
Così, rispose educatamente che lei non era certo fatta per ricevere un rifiuto e che sarebbe stato un onore e una gioia divenire suo marito.
Allora, la Groac'h gridò che avrebbe voluto preparare seduta stante il banchetto nuziale, e stilò una lista di piatti che Houam conosceva e anche di molte pietanze che non conosceva affatto. Poi, si avvicinò ad un vivaio in fondo al giardino e prese a chiamare:
"Ehi, tu, procuratore! Ehi, tu, mugnaio! Ehi, tu, sarto! Ehi, tu, cantore!"
E ad ogni grido, accorreva un pesce che la Groac'h prendeva con una retina di acciaio. Quando la rete fu colma, la Fata passò in una stanza accanto e mise tutti i pesci in una padella d'oro.
Ma a Houam sembrò di udire, nel crepitio della frittura, delle vocine che sussurravano.
"Chi è che sussurra nella padella, Groac'h?"
"E' il legno che crepita", rispose lei, attizzando il fuoco.
Ma un minuto dopo le vocine ricominciarono a mormorare.
"Chi è che sussurra, Groac'h?"
"E' il fritto che sfrigola", rispose lei facendo saltare i pesci nella padella.
Ma le vocine ripresero a farsi sentire, e, adesso, gridavano.
"Chi è che grida, Groac'h?"
"E' il grillo del focolare", rispose lei, e prese a cantare a gola spiegata, tanto che Houam non sentì più nulla. Ma ciò che era accaduto lo spinse a riflettere, e, con il timore, arrivarono i rimorsi.
'Gesummaria! - si disse - E' possibile che io abbia dimenticato così in fretta la mia Bellah per una Groac'h che sarà certamente figlia del Diavolo? Con questa donna non oserei neanche recitare le mie preghiere la sera, e filerei diritto all'Inferno come quei contadini che vendono con l'inganno bestie malate!'
Mentre andava riflettendo fra sé e sé, sopraggiunse la Fata, che gli servì la frittura, invitandolo a mangiare, mentre lei avrebbe scelto altre dodici qualità di vino.






Con un grosso sospiro, Houam si apprestò a mangiare, ma, non appena la lama del coltello che annullava gli incantesimi, toccò i pesci, essi si raddrizzarono nel piatto d'oro, e ripresero la loro forma umana, con gli abiti che indicavano i loro mestieri. C'erano un procuratore con grandi risvolti, un sarto con le calze viola, un mugnaio imbiancato di farina e un cantore in cotta, e tutti gridarono all'unisono, nuotando nel grasso della frittura:
"Houam! Salvaci, se vuoi salvare te stesso!"
"Madre di Dio! Chi sono questi omini che gridano nel burro fuso?", gridò, stupefatto, Houam.
"Siamo cristiani come te - risposero - e come te siamo venuti sull'isola in cerca di fortuna, e abbiamo accettato di sposare la Groac'h, e, il mattino dopo le nozze, ella ci ha fatto ciò che aveva già fatto ai nostri predecessori che sono nel vivaio!"
"Cosa? - gridò Houam - una donna così giovane è già vedova di una tale quantità di pesci?"
"E presto anche tu condividerai la nostra condizione, destinato ad essere fritto e mangiato dall'ultimo arrivato!"
Houam balzò in piedi e corse verso la porta, sentendosi già soffriggere nella padella d'oro, ma la Groac'h, che era appena entrata ed aveva udito ogni cosa, gli gettò addosso la sua rete d'acciaio trasformandolo in una ranocchietta, e andò a riporlo nel vivaio con gli altri suoi mariti.





Nello stesso istante, la campanella che Houam portava sempre al collo tintinnò, e Bellah la udì a Lanillis, mentre era intenta a scremare il latte: fu come una pugnalata al cuore! Gettò un grido e disse:
"Houam è in pericolo!" E, senza porre tempo in mezzo, senza consigliarsi con alcuno, corse ad indossare gli abiti della domenica, le scarpe e la sua piccola croce d'argento, e lasciò la fattoria appoggiandosi al bastone magico.
Giunta al crocevia, piantò in terra il suo bastone mormorando:

"Di san Vouga rammentati,
bastone di legno di melo!
Per mare e per terra 
e su per l'aria conducimi,
Ovunque sia necessario andare!"

E il bastone si mutò all'istante in un cavallino strigliato, sellato, imbrigliato, con una coccarda su ciascun orecchio ed una piuma blu in fronte.
Bellah gli montò in groppa senza esitare e quello partì, prima al passo, poi al trotto, quindi al galoppo, e andava così veloce che i fossati, gli alberi, le case, i campanili passavano davanti agli occhi della ragazza come le pale di un mulino, ma Bellah non se ne lamentava affatto - poiché sapeva che ogni passo la avvicinava di più al suo caro Houam - anzi, lo incitava ripetendo:
"Il cavallo è più lento della rondine, la rondine è più lenta del vento, il vento è più lento del fulmine, ma tu, mio caro, se mi vuoi bene, devi essere più veloce di tutti loro poiché una parte del mio cuore soffre: la metà migliore del mio cuore è in grande pericolo!"






Il cavallino l'ascoltava e correva come una paglia trasportata dal vento e arrivò ad Arhez, ai piedi di un dirupo chiamato Il Salto del Cervo, e qui si arrestò perché mai cavallo o giumenta avevano scalato quella roccia. Bellah capì e riprese a spronarlo:

"Di san Vouga rammentati,
bastone di legno di melo!
Per mare e per terra 
e su per l'aria conducimi,
Ovunque sia necessario andare!"

Aveva appena pronunciato queste parole che due ali spuntarono dai fianchi del cavallino, che, trasformatosi in un grande uccello, la portò in cima alla roccia. Sulla vetta, c'era un grande nido di argilla foderato di muschio essiccato in cui era accovacciato un piccolo korandon tutto nero e rugoso, che si mise a gridare nel vedere Bellah:
"Ecco la bella ragazza che viene a salvarmi!"
"A salvarti? - disse Bellah - Chi sei, dunque, mio piccolo uomo?"
"Sono Jeannik, il marito della Groac'h dell'isola di Lok"
"Ma che fai in questo nido?"
"Covo sei uova di pietra e non riavrò la mia libertà finché non si saranno schiuse"
 Bellah non poté trattenersi e scoppiò a ridere:
"Povero pollastrello, e come potrei esserti d'aiuto io?"
"Liberando Houam che è in potere della Groac'h"
"Ah! - gridò l'orfanella - e cosa devo fare per riuscirci? Perché, se anche dovessi fare in ginocchio il giro dei quattro vescovadi, incomincerei subito!"
"Ebbene, prima di tutto, devi presentarti a lei fingendoti un ragazzo. Secondo: devi riuscire a sottrarle la rete d'acciaio che porta alla cintura e ad imprigionarvela".
"E dove posso trovare un vestito da uomo della mia taglia, caro korandon?"






"Stai per scoprirlo, ragazza mia". Così dicendo, il piccolo nano si strappò quattro dei suoi capelli rossi, li soffiò via borbottando qualcosa, e i quattro capelli si trasformarono in quattro sarti. Il primo recava con sé un grosso cavolo, il secondo un paio di forbici, il terzo un ago e il quarto un ferro da stiro. Si sedettero tutti e quattro in circolo nel nido, e, incrociate le gambe, si misero a confezionare l'abito da uomo per Bellah. Con la prima foglia del cavolo, uno cucì una bella giacca plissettata lungo le cuciture, il secondo preparò il gilé, ma dovettero mettersi in due per cucire le grandi brache svasate, secondo la moda tradizionale di Léon. Infine, dal cuore del cavolo ricavarono il cappello, e dal gambo le scarpe.
Quando Bellah si rivestì da capo a piedi, sembrava un bel giovanotto che indossava un elegante abito di velluto verde, foderato di raso bianco. 





La ragazza ringraziò di cuore il korandon, che le diede qualche altro consiglio, e montò sul dorso del grande uccello che la condusse in un lampo sulle rive del lago dell'isola di Lok. Lì, Bellah gli ordinò di trasformarsi nuovamente in un bastone di legno di melo, poi salì nel battello a forma di cigno e approdò alla dimora della Groac'h. Vedendo arrivare il giovanotto vestito di velluto, la Fata si rallegrò assai.
"Per mio cugino Satana! - disse - sei il più bel ragazzo che sia mai venuto a trovarmi, e credo che ti amerò fino a tre volte tre giorni!"
Ed entrò presto in gran confidenza con il nuovo arrivato, chiamandolo "tesorino" e "cuoricino mio". Poi offrì qualche delicatezza a Bellah, che vide sul tavolo il coltellino di san Coréntin che aveva dato a Houam e lo prese, nel caso potesse esserle d'aiuto. Quindi, seguì la Groac'h in giardino.





La Fata le mostrò i prati tempestati di fiori di diamanti, le fontane d'acqua che profumava di lavanda, e, soprattutto, il vivaio popolato di pesci dai mille colori. E Bellah sembrò così incantata da questi ultimi, che sedette sull'orlo dello stagno per ammirarli meglio. La Fata approfittò del suo entusiasmo per domandarle se sarebbe stata felice di restare con lei per sempre. Bellah rispose che non chiedeva di meglio.
"Quindi, acconsenti a sposarmi seduta stante?"
"Sì - rispose Bellah - purché io possa pescare uno di quei bei pesci con la rete che portate alla cintura"
La Groac'h, che non sospettava l'inganno, pensò ad un capriccio da ragazzino, e le consegnò la rete, dicendo con un sorriso:
"Bel pescatore, vediamo cosa riesci a prendere"
"Prendo il Diavolo - gridò Bellah gettando la rete sulla testa della Groac'h - In nome del Salvatore degli uomini, strega maledetta, sii nell'aspetto come sei nel cuore!"
La Groac'h gettò un grido che si spense in un mormorio soffocato poiché la volontà di Bellah si era compiuta, e la bella Fata delle acque non era altro che un'orrenda e laida vecchia. Bellah chiuse in fretta la rete e corse a gettarla in un pozzo, e coprì il pozzo con una pietra con il sigillo della croce perché la strega non potesse sollevarla se non il Giorno del Giudizio, quando tutte le tombe si scoperchieranno.





Poi, tornò in  gran fretta allo stagno, ma già i pesci ne erano usciti e le andavano incontro come una processione di monaci variopinti, gridando con le loro vocette rauche:
"Ecco il nostro signore e padrone, colui che ci ha liberato dalla rete d'acciaio e dalla padella d'oro!"
"E sarà anche colui che vi restituirà il vostro sembiante di cristiani", disse Bellah impugnando il coltellino di san Coréntin, ma, mentre era sul punto di toccare il primo pesce, le si avvicinò una ranocchietta verde, che portava al collo la campanella magica, e che si mise in ginocchio singhiozzando, con le zampette posate sul suo piccolo cuore.
"Sei tu? Sei tu, mio piccolo Houam, re della mia gioia e del mio cruccio?"
"Sono proprio io", rispose il ragazzo-ranocchietta.
Non appena Bellah l'ebbe toccato con il coltellino, Houam riprese le sue antiche sembianze, e i due ragazzi si abbracciarono, piangendo per le sofferenze passate e ridendo per la gioia presente. Poi, Bellah restituì a tutti i pesci il loro vero aspetto. E, infine, arrivò il Karandon del Salto del Cervo, in un cocchio volante trasportato da sei grandi mosconi nati dalle uova di pietra dischiuse.
"Eccomi qui, bella ragazza! - gridò - l'incantesimo che mi teneva prigioniero si è spezzato e vengo a ringraziarvi perché di una chioccia avete fatto un uomo!"
Poi, condusse i giovani dove la Groac'h custodiva i suoi tesori, e concesse loro di prendere tutto ciò che volevano dai grandi  bauli colmi di pietre preziose. Entrambi se ne riempirono le tasche, le cinture, i cappelli, e persino le grandi brache, e, finalmente, Bellah ordinò al bastone di trasformarsi in un carro alato che potesse trasportare a Lanillis i due ragazzi e il loro carico. E lì, fatte le pubblicazioni, Houam sposò la sua Bellah, come aveva desiderato per tanto tempo, ma, invece di comprare una vaccherella e un maialino da ingrassare, acquistò tutte le terre della parrocchia, e coloro che avevano portato dall'isola di Lok ne divennero i fattori.





Traduzione: Mab's Copyright
"La Groac’h de l’Île du Lok", E. Sauvestre
Da: Contes et Légendes de Basse-Bretagne

*Korandon = il Korrigan 

Le illustrazioni, tranne la prima, sono di Paulina Sieczkowska

lunedì 21 settembre 2015

Il Brownie del Lago, Francia, Traduzione Mia

anto, tanto tempo fa, viveva in Francia un uomo di nome Jalm Riou. Avreste potuto cercare per miglia e miglia all'intorno senza riuscire a trovare un uomo più felice e soddisfatto di lui! Possedeva una grande fattoria, denaro in quantità, e, soprattutto, era padre della più leggiadra ballerina ed elegante fanciulla del circondario: Barbaik. Quando, nei giorni di festa, la ragazza indossava la sua cuffia ricamata, e le cinque gonne, ognuna leggermente più corta dell'altra, e le scarpette con le fibbie d'argento, le altre donne scoppiavano d'invidia, ma a Barbaik poco importava che mormorassero alle sue spalle poiché sapeva che i suoi abiti erano i più belli e che aveva molti più corteggiatori di ogni altra ragazza.


Froud B.



Ora, tra i giovanotti che la volevano in moglie, ce n'era uno che le aveva donato interamente il suo cuore. Era il capoccia del padre, ma le sue maniere erano rozze, ed era talmente brutto che Barbaik non se ne curava affatto, e, quel che è peggio, spesso rideva di lui, come tutti gli altri. Naturalmente, Jegu - questo era il nome del capoccia - venne a saperlo e ne soffrì moltissimo, tuttavia, egli non cercò lavoro altrove e non lasciò la fattoria, come sarebbe stato giusto e saggio, poichè si sarebbe allontanato per sempre da Barbaik e non avrebbe potuto neanche vederla, e, allora, che senso avrebbe avuto continuare a vivere?
Una sera, tornando dai campi con i cavalli, si fermò presso un laghetto perché potessero dissetarsi. Con un braccio intorno alla criniera di uno dei cavalli e la mente a Barbaik, attendeva pazientemente che gli animali finissero di abbeverarsi, quano udì una voce provenire da un cespuglio lì vicino:
"Che hai, Jegu? Non disperarti così".
Il giovanotto trasalì per la sorpresa e si guardò intorno.
"Chi c'è?", chiese.
"Sono io, il Brownie del lago", rispose la voce.
"Ma dove sei?"
"Sono qui vicino: cerca nel canneto e vedrai una ranocchietta verde. Sono capace di assumere le sembianze che voglio - aggiunse fieramente - e, cosa ancòra più difficile, posso diventare invisibile, se mi va!"
"Allora mostrati a me con il sembiante proprio della tua gente", disse Jegu.
"Ma sicuro! Se vuoi così". E la ranocchia saltò sul dorso di uno dei cavalli e si trasformò in un piccolo gnomo vestito di verde.


Froud B.


La trasformazione spaventò Jegu, ma il Brownie lo esortò a non avere timore poiché non aveva intenzione di fargli alcun male. Anzi, sperava di potergli essere utile.
"Perché hai tutto questo interesse per me?", chiese il contadino, diffidente.
"In virtù di un favore che ho ricevuto da te l'inverno scorso, e che non ho mai dimenticato. Tu sai di certo che i Korigans che dimorano a White Corn hanno dichiarato guerra al mio popolo, in nome della loro amicizia per l'Uomo. Così fummo obbligati a trasferirci in terre lontane e a nasconderci assumendo l'aspetto ora di un animale ora di un altro. Da allora, un po' per abitudine, un po' per divertimento, abbiamo continuato a trasformarci, ed è stato in queste circostanze che ti ho incontrato".
"Come?" domandò Jegu, colmo di stupore.
"Ricordi quando, tre mesi fa, mentre zappavi in un campo lungo il fiume, trovasti un pettirosso intrappolato in una rete?"
"Oh, sì, lo ricordo bene: sciolsi la rete e lo lasciai andare"
"Beh, quel pettirosso ero io! Da allora, speravo di diventare tuo amico, e poiché so quanto desideri sposare Barbaik, ti proverò la mia sincerità aiutandoti ad ottenere ciò che vuoi".
"Oh, caro Brownie! Se ci riuscissi davvero, non ti rifiuterei nulla, tranne la mia anima!"
"Va', allora, e ti prometto che, entro pochi mesi, avrai la fattoria e Barbaik!"
"Ma come pensi di riuscirci?", chiese Jegu, pieno di meraviglia.
"Questo è affar mio. Magari, un giorno te lo dirò. Intanto, mangia e dormi e non ti curare di nient'altro".
Jegu gli assicurò che nulla gli sarebbe risultato più facile, quindi, togliendosi il berretto, lo ringraziò di tutto cuore e ricondusse i cavalli alla fattoria.
Il mattino seguente era una giornata di festa, e Barbaik si alzò prima del solito perché voleva sbrigare tutte le faccende in tempo per recarsi ad un ballo che si teneva ad una certa distanza dalla fattoria paterna. Per prima cosa, si recò alla stalla dove tenevano le mucche, poiché rientrava tra i suoi doveri tenerla pulita e pensare alla mungitura. Con grande sorpresa, scoprì che il pavimento era ricoperto da uno strato di paglia fresca, che le mangiatoie erano state riempite di fieno, che le mucche erano già state munte e i secchi erano disposti in una bella fila ordinata. "Sarà stato certamente Jegu, nella speranza che gli conceda un ballo", disse tra sé e sé, e, quando s'imbattè nel giovanotto, si fermò per ringraziarlo. Nella sua solita maniera brusca, Jegu le rispose che non sapeva di cosa stesse parlando, ma la sua risposta convinse ancor di più la ragazza che l'inatteso aiuto provenisse da lui.






La stessa cosa si ripetè ogni mattina, e mai la stalla era stata così luccicante e le mucche tanto grasse. Mattina e sera, Barbaik trovava le sue pentole di terraglia colme di latte e una libbra di burro montato di fresco e adornato di foglie. Nel giro di qualche settimana, si abituò a questo andazzo, tanto che si alzava solo per preparare la colazione. Ma, ben presto, fu sollevata anche da questa incombenza: un bel mattino si alzò e scoprì che la casa era stata spazzata da cima a fondo, che i mobili erano tirati a lucido, che il fuoco era già acceso e la colazione preparata: non le restava che suonare la grande campana per richiamare i contadini dai campi. Anche questa volta, Barbaik credette che fosse opera di Jegu, e non potè fare a meno di pensare che un marito del genere sarebbe stato perfetto per una ragazza che amava restare a letto fino a tardi e andare a divertirsi.
In effetti, Barbaik non doveva far altro che bisbigliare un desiderio perché lo vedesse immediatamente realizzato. Se il vento troppo freddo o il sole troppo caldo minacciavano il suo delicato incarnato, le bastava correre a sussurrare accanto alla fonte:"Quanto vorrei che le mie zàngole fossero piene e che la biancheria bagnata fosse stesa ad asciugare" perché non dovesse più preoccuparsi di nulla.
Se trovava che cuocere il pane di segale fosse troppo faticoso e che il forno ci mettesse troppo a scaldarsi al punto giusto, le bastava mormorare:"Vorrei trovare sei pagnotte nella madia", e, due ore dopo, le pagnotte erano là.
E, quando si stancò di recarsi ogni giorno al mercato, le bastò dire ad alta voce una sera:"Oh, quanto vorrei essere già tornata da Morlaix, con la mia pentola del latte vuota, e, al suo interno, il contenitore del burro vuoto, e una libbra di ciliegie nel vassoio di legno, e il denaro guadagnato nella tasca del mio grembiule!" Ed ecco, il mattino dopo, al suo risveglio, cosa trovò ai piedi del letto se non la pentola del latte vuota con il contenitore del burro al suo interno, e una libbra di ciliegie e sei monetine d'argento nuove di zecca nella tasca del suo grembiule? Naturalmente, Barbaik continuava a pensare che tutto il merito fosse di Jegu, e, ormai, non poteva neanche immaginare di riuscire a fare a meno del suo aiuto.
Quando le cose furono a questo punto, il Brownie esortò Jegu a chiedere la mano della ragazza, e, questa volta, Barbaik non girò i tacchi da villana, ma lo ascoltò pazientemente finché ebbe finito: ai suoi occhi, Jegu era sempre brutto e rozzo, ma pensava che sarebbe stato un marito molto utile, che le avrebbe consentito di dormire fino all'ora di pranzo, proprio come una giovane signora, e, quanto al resto della giornata... beh, anche se fosse stata lunga il doppio, avrebbe saputo bene come impiegare il tempo con tutte le cose che aveva in mente! Avrebbe indossato i bei vestiti che si ritrovava non appena ne esprimeva il desiderio e si sarebbe recata in visita dai vicini e tutte le donne sarebbero morte d'invidia, e si sarebbe levata la voglia di ballare. E Jegu sarebbe stato sempre là, a lavorare per lei, a badare a lei e a prendersi cura di lei. Così, da ragazza ben allevata, rispose che avrebbe fatto la volontà di suo padre, ben sapendo che il vecchio Riou ripeteva spesso che, dopo la sua morte, nessuno come Jegu sarebbe stato capace di mandare avanti la fattoria.
Le nozze furono celebrate il mese seguente, e, quasi subito, il vecchio Riou morì, così, all'improvviso. Adesso, la responsabilità della fattoria era interamente sulle spalle di Jegu, e il giovanotto si rese conto ben presto che le cose non erano così facili come prima. Ma, ancòra una volta, il Brownie prese in mano la situazione, ed il suo aiuto valeva quanto quello di dieci braccianti. Arava, seminava e mieteva, e, se il lavoro andava ultimato in gran fretta, chiamava qualcuno della sua gente, e, non appena la notte si schiariva con le prime luci dell'alba, diventava visibile una schiera di ometti affaccendata nei campi, armata di falci, zappe e forconi, ma, prima che arrivasse gente, la compagnia era bell'e sparita. Come ricompensa, il Brownie non chiedeva nulla più di una scodella di brodo.
Fin dal primo giorno di matrimonio, Barbaik aveva scoperto, con grande stupore e rabbia, che nessuno più sbrigava le faccende al posto suo, così come era successo per settimane e mesi. Rimproverò aspramente il marito per la sua infingardaggine, ma Jegu si limitò a fissarla con gli occhi sgranati poiché non aveva la più pallida idea di cosa parlasse. Il Brownie, che era lì vicino, scoppiò a ridere, confessò che quelle attenzioni erano farina del suo sacco, e che aveva fatto tutto per amore di Jegu, ma, adesso che aveva altro a cui pensare, era ora che Barbaik sbrigasse da sé le faccende e badasse da sola alla casa.
Barbaik era furiosa. Ogni mattina, quando doveva alzarsi prima dell'alba per mungere le mucche e andare al mercato, e, ogni sera, quando le toccava stare alzata fino a mezzanotte per montare il burro, il suo cuore straripava di rabbia contro il Brownie che l'aveva indotta ad illudersi di poter condurre una vita comoda e piacevole. Ma, quando lo sguardo le cadeva su Jegu e osservava il viso paonazzo, gli occhi strabici e la zazzera incolta, la rabbia raddoppiava.


Fred Calleri


"Se non fosse stato per te, miserabile nano - ripeteva a denti stretti - Se non fosse stato per te, non avrei mai sposato quell'uomo, e adesso andrei ancòra ai balli, e i giovanotti mi donerebbero nocciole e ciliegie e mi ripeterebbero che sono la più bella ragazza della parrocchia. Invece, adesso, non posso accettare doni se non da mio marito. Non posso ballare se non con mio marito. O tu, maledetto nano! Non ti perdonerò mai. Mai!".
Tuttavia, a dispetto delle sue cattive parole, nessuno come Barbaik sapeva ingoiare l'orgoglio se le conveniva, così, quando venne invitata alla festa per un matrimonio, supplicò il Brownie di procurarle un cavallo. Con sua grande gioia, il Brownie acconsentì e le indicò come arrivare alla dimora dei Folletti, ammonendola di chiedere con grande esattezza ciò che desiderava. Piena di eccitazione, Barbaik intraprese il suo viaggio e raggiunse in breve tempo la città dei Folletti: li trovò riuniti in consiglio in un'ampia, verde radura e disse loro:
"Ascoltate, amici miei. Sono venuta ad implorarvi di darmi un cavallo: nero, con gli occhi, il muso, le orecchie, sella e briglie". Aveva appena finito di parlare che le venne condotto il cavallo. Montò in sella e galoppò fino al villaggio dove si teneva la festa di nozze.
In un primo momento, Barbaik era così contenta di quella pausa dalle fatiche quotidiane che tanto odiava che non si accorse di nulla, ma, ben presto, si rese conto, sbigottita, che la gente del villaggio sghignazzava al suo passaggio, indicando il suo cavallo. Poi, afferrò ciò che un uomo disse ad un altro: "Guarda un po'... La moglie del fattore s'è venduta la coda del cavallo?". Si girò sulla sella e... sì, il cavallo non aveva la coda. Aveva dimenticato di chiederne una e quei nani maligni avevano eseguito i suoi ordini alla lettera! Tentò di spingere il cavallo al galoppo, ma l'animale non ne volle sapere, e Barbaik fu costretta a sfilare tra i paesani che la schernivano.
Solo al calar del sole potè tornare a casa, più furiosa che mai e ben determinata a prendersi la sua vendetta sul Brownie non appena ne avesse avuto l'occasione... il che accadde molto presto.





Giunse la primavera, proprio il periodo in cui i folletti tenevano le loro feste, e il Brownie chiese a Jegu il permesso di condurre con sé una compagnia di suoi simili per banchettare nel grande fienile e darsi alle danze. Naturalmente, Jegu fu felicissimo di poter fare qualcosa per il suo amico, e ordinò a Barbaik di apparecchiare nel fienile con la biancheria più fine, di preparare una gran quantità di pagnottelle e frittelle e di mettere da parte tutto il latte munto quella mattina. In realtà, ben sapendo quanto Barbaik detestasse gli gnomi, si sarebbe aspettato un rifiuto, ma la moglie non disse una parola e preparò il festino così come le era stato ordinato.
Bene, quando fu tutto pronto, il fienile si riempì di gnomi: indossavano giacchette verdi nuove nuove, erano felici e contenti ed accostarono allegramente le sedie alla tavola imbandita... ma, dopo un attimo, saltarono su strillando e fuggirono via lanciando alte grida poiché Barbaik aveva messo un tappeto di pezzetti di carbone rovente sotto i loro piedi e tutti avevano le loro piccole dita ustionate!
"Non ve ne scorderete tanto presto!", disse Barbaik sorridendo cupamente tra sé e sé, ma, dopo poco, i Brownies ritornarono recando grandi pentole colme d'acqua che rovesciarono sul fuoco, quindi, si presero per mano e danzarono in tondo, cantando:

"Maledetta traditrice, figlia di Riou,
Le nostre povere dita hai bruciato tu
In gran fretta abbandoniamo la tua corte,
Che si abbatta su voi tutti la malasorte!"

Quella notte stessa, i Brownies lasciarono quei luoghi per sempre. Jegu, senza il loro aiuto, cadde in miseria e morì di stenti. E Barbaik? Barbaik fu ben contenta di trovare un lavoro al mercato di Morlaix.


Lee&Froud

Traduzione: Mab's Copyright

Da: "The Lilac Fairy Book" di Andrew Lang
(Fonte: "Le Foyer Breton", di E. Sauvestre)

domenica 13 settembre 2015

John Reardon e le Sorelle Fantasma, Jeremiah Curtin, Irlanda

"...Nelle storie di Fate che ho raccolto e nelle conversazioni con gli uomini che me le hanno raccontate, trovo vi sia una importante libertà di interscambio tra il mondo visibile ed il mondo invisibile, tra quelle che chiamiamo la morte e la vita – una certa intima comunione tra ciò che è stato e ciò che è. Eccetto nel caso delle persone anziane, difficilmente si può dire che vi sia una cosa come la morte, nella filosofia Celtica sulle Fate. I bambini e le persone giovani vengono rapiti; al loro posto vengono messi altri corpi, apparentemente deceduti o morenti. Le persone rapite vengono portate in dimore fatate; se mangiano, sono perdute a questa vita; se se ne astengono, hanno 7 anni di tempo in cui è possibile per loro il ritorno...", Jeremiah Curtin, da "Fate, Folletti e Spiriti Inquieti".


König B.



n tempo vi era un allevatore vedovo, Tom Reardon, che viveva vicino a Castlemain. Aveva un unico figlio, un bel giovane forte che era quasi un uomo, il cui nome era John. Questo allevatore si sposò una seconda volta e la matrigna odiò il ragazzo e non gli diede tregua né riposo. Cercava sempre di rivoltare la mente del padre contro il figlio, fino al punto in cui l'allevatore decise di mandare il figlio in un luogo in cui vi era un fantasma che uccideva chiunque trovasse.
Un giorno, il padre mandò il figlio alla forgia con alcune catene che facevano parte di un aratro, a cui il giorno seguente avrebbe attaccato due cavalli.
Il ragazzo portò le catene alla forgia: era quasi sera, quando ve lo mandò, e la forgia era a quattro miglia di distanza.
Il fabbro aveva molto lavoro e non riuscì a riparare le catene fino a mezzanotte. Egli aveva due figli e loro non volevano che John andasse via, ma lui disse che doveva andare perché aveva promesso di tornare a casa ed il padre lo avrebbe ucciso se fosse rimasto fuori. Si piazzarono davanti alla porta, davanti a lui, ma lui se ne andò ugualmente.
Quando fu a due miglia dalla forgia, davanti a lui comparve un fantasma, una donna: ella lo attaccò e lottarono per due ore, quando lui riuscì a circondarla con le catene. Lei non potè più fare nulla, a quel punto, perché tutto ciò che appartiene ad un aratro è benedetto. Egli strinse le catene e trascinò il fantasma con lui fino a casa. Giuntivi, le disse di andare nella stanza da letto e dare al padre ed alla matrigna una buona lezione, senza pietà.
Il fantasma li picchiò fino a quando il padre urlò, implorando pietà, e disse che, se fosse vissuto fino al mattino, avrebbe lasciato il luogo e che era stata la moglie a volere che John venisse mandato a farsi ammazzare. John mise del cibo sul tavolo e disse al fantasma di mangiare, ma ella rifiutò e disse che avrebbe dovuto riportarla dove l'aveva trovata. John volle farlo e andò con lei. Ella gli disse di andare in quel luogo la notte seguente, che vi sarebbe stata una delle sue sorelle, molto più determinata e forte di lei. John le disse che loro due insieme avrebbero potuto attaccarlo ed ucciderlo. Ella disse che non lo avrebbero fatto, che voleva il suo aiuto contro le sorelle e che non si sarebbe pentito di averla aiutata. Lui le disse che sarebbe andato e, quando se ne andò, lei le disse di non dimenticare le catene dell'aratro.
La mattina seguente, il padre stava per lasciare la casa ma la moglie lo convinse a restare. “Quel fantasma non tornerà mai più”, disse.
John andò la notte seguente nel luogo designato ed il fantasma lo stava aspettando nel posto dove avevano lottato. Camminarono assieme per una strada diversa per due miglia e si fermarono. Stavano chiacchierando un po' quando arrivò la sorella ed attaccò John Reardon. Lottarono per due ore ed ella stava per sopraffare il ragazzo quando la prima sorella la circondò con le catene. Egli la condusse a casa con le catene e la prima sorella li seguì da presso. Quando John arrivò alla casa, aprì la porta e, quando il padre vide i due fantasmi, disse che, se fosse sopravvissuto fino al mattino, avrebbe lasciato tutto al figlio, la fattoria e la casa.
Il figlio disse al secondo fantasma di andare a dare una bella lezione alla matrigna, “Dalle qualche buona battuta” disse.
Il secondo fantasma lasciò a malapena in vita la matrigna. John portò del cibo in tavola ma esse non ne presero nemmeno un boccone e la seconda sorella disse che lui avrebbe dovuto riportarla nello stesso luogo in cui si erano incontrati prima, egli disse che lo avrebbe fatto. Ella gli disse che lui era l'uomo più coraggioso che le fosse mai capitato davanti e che non lo avrebbe mai più minacciato e gli disse di ritornare la notte seguente. Lui disse che non lo avrebbe fatto, perché loro due avrebbero potuto attaccarlo e sopraffarlo. Esse promisero che non lo avrebbero attaccato, ma aiutato ad avere la meglio sulla più giovane e forte delle sorelle. Gli dissero anche che avrebbe dovuto portare le catene dell'aratro, perché senza di esse non avrebbero potuto fare nulla.
Egli si dichiarò d'accordo ad andare se gli avessero dato la loro parola che non gli avrebbero fatto del male. Esse diedero la loro parola e promisero di aiutarlo più che potevano.
Il giorno seguente, quando il padre si stava apprestando a lasciare il luogo, la moglie non glielo permise. “Rimani dove sei - disse - non ci faranno più nulla.”
John andò la terza notte e, quando arrivò, le due sorelle comparvero davanti a lui e camminarono tutti insieme per quattro miglia, quindi gli dissero di fermarsi sull'erba verde da un lato e di non rimanere sulla strada.
Dopo poco che aspettavano, giunse la terza sorella, emettendo luci rosse dalla bocca. Andò da John e con il primo colpo che gli diede lo costrinse in ginocchio. Con l'aiuto delle due sorelle, lui si alzò e lottarono per tre ore: la sorella più giovane stava avendo la meglio sul ragazzo quando le altre due le gettarono intorno le catene. Il ragazzo la portò a casa con sé e quando la matrigna vide arrivare le tre sorelle, lei ed il padre di John furono terrificati e morirono entrambi di paura.
John mise sulla tavola del cibo e disse alle sorelle di andare a mangiare, ma esse rifiutarono e la più giovane gli disse che avrebbe dovuto riportarla nel luogo dove avevano lottato. Tutti e quattro andarono in quel luogo e, alla partenza, esse promisero di non fargli mai del male e di fare in modo che né lui né i suoi figli dopo di lui, se mai ne avesse avuti, avessero mai bisogno di lavorare. La sorella più anziana gli disse di tornare la notte seguente e di portare con sé una vanga: ella gli avrebbe raccontato la sua storia dal principio alla fine.



König B.




Egli andò e lei gli fece questo racconto: molto tempo prima, suo padre era uno degli uomini più ricchi d'Irlanda, sua madre morì quando le tre sorelle erano molto giovani, e dieci o dodici anni dopo, anche il padre morì lasciando la cura di tutte le ricchezze ed i tesori nel castello a lei, dicendole di dividerle in tre parti uguali e di darne una parte ad ognuna delle sorelle. Ma lei era innamorata di un giovane che suo padre non conosceva ed una notte, quando le due sorelle dormivano, pensò che se le avesse uccise l'intera fortuna sarebbe andata a lei ed a suo marito. Prese dunque un coltello e tagliò le loro gole e quando le ebbe uccise se ne pentì e si suicidò. La loro punizione fu che nessuna delle tre avrebbe avuto riposo o pace fino a che un uomo senza paura non fosse arrivato a vincerle e John era il primo che ci fosse riuscito.
Ella lo portò quindi al castello di suo padre: ne rimanevano solo le rovine, era senza tetto ed aveva solo alcuni muri, e gli mostrò dove fossero tutte le ricchezze ed i tesori. John, per accertarsene, prese le sua vanga e vangò, vangò con tutte le sue forze e, poco prima dell'alba, arrivò al tesoro. In quel momento, le tre sorelle lo benedirono, si mutarono in tre colombe e volarono via.
Egli divenne abbastanza ricco per sé e per sette generazioni dopo di lui.


V. Francés


martedì 8 settembre 2015

Il Bosco Magico. K. Briggs (Inghilterra)

Rackham A.



olto tempo fa, viveva in Inghilterra un Re crudele che amava rincorrere a cavallo le giovani fanciulle che capitavano nella campagna intorno al suo castello e, dopo averle catturate (e malvagiamente approfittato di loro), le trafiggeva con la sua spada affilata. I genitori delle giovani della zona fecero allora in modo di mandare le loro figlie lontano, in luoghi più sicuri.
C'era però una piccola, giovane fanciulla, in una casa solitaria, che non aveva potuto andarsene. Sua nonna era troppo povera per pagarle il viaggio e così la teneva nascosta, e tutte e due si guadagnavano la vita filando.
La loro casa era vicina a un bosco incantato dove nessuno osava entrare, neppure il malvagio Re, per timore della grande quercia magica che cresceva nel centro del bosco. Un giorno che la nonna era malata, la fanciulla fu costretta a uscire per andare al mercato a vendere la lana, perché non avevano più niente da mangiare. Prima che la nipote se ne andasse, la nonna la baciò raccomandandole di essere molto cauta e di stare lontana dal bosco magico, benché la strada più breve per raggiungere il mercato passasse proprio di lì. La fanciulla si mise in cammino con la matassa di lana da vendere. Non aveva fatto ancora molta strada quando vide comparire in lontananza la figura del crudele Re a cavallo.
La fanciulla non fuggì ma silenziosamente entrò nel bosco magico.

Nel bosco della quercia ella entrò
e davanti a essa s'inchinò
così la quercia la portò in città
e così giunse in città attraverso il bosco.
Il bosco magico.

Sembrava tutto risolto. ma il Re, che l'aveva vista entrare nel bosco, aveva spronato il cavallo e si era lanciato all'inseguimento.

Nel fitto della boscaglia cavalcò
e verso la grande quercia se ne andò,
lì giunto estrasse la spada affilata per colpire
ma un grosso ramo gli cadde sul collo facendolo morire.
Nel bosco, nel bosco magico.

Gli uomini del Re andarono a cercare il loro Signore, e, quando lo trovarono morto, si lanciarono al galoppo nel bosco, verso la grande quercia magica.
Cavalcarono nel bosco verso la magica quercia per tagliare la pianta, la grande quercia.

La quercia scricchiolò
e il suo richiamo risuonò
e tutti gli alberi del bosco radunò.
Essi si chiusero attorno agli incauti guerrieri
e il bosco si strinse in tutti i suoi sentieri.
Più nessuno ritornò dal bosco
dal grande bosco magico.


Welz Stein C.


Da K. Briggs: "Dictionary of British folk tales".



mercoledì 2 settembre 2015

Il Re Porco, Novellaja Fiorentina - n. 12, V. Imbriani

'era una volta una Regina che era gravida e stava lì al terrazzino a prendere il fresco. Passa una poera donna e gli chiede la limosina. Dice:
"Andate via, vecchia porca!"
Ma che son maniere quelle? Risponde la poera vecchia:
"Lei, la facesse un porco!".
Giusto era gravida. La partorisce e fa un porco! Figuratevi che bisbiglìo nel palazzo che ci fu: non si poteva spiegare. La Regina non faceva che piangere ricordandosi della parola detta:
"Eh! - diceva - Iddio mi ha castigata!".
Il porco cresce e lo mettono nel giardino. Che volete farne nella casa? Ma sotto questo pelo di porco era un giovinotto, un omo, aveva sentimenti come noi. Lì vicino c'era marito e moglie che avevan tre ragazze. Il porco vede queste belle ragazze e se ne innamora: pur che ne abbia una! E non dava pace di sè; urla; mugolìo; non voleva mangiare; si spiegava che accennava in là; s'avvidero che voleva una di quelle ragazze. Andiedero a dire ai suoi genitori che una delle figliole bisognava che la prendesse questo porco, che li facevan ricchi.
La minore dice: "Io non lo voglio." - La seconda l'istesso.
La maggiore dice: "Lo prenderò io per far felici il babbo e la mamma; io non guardo, io mi accordo."
Che volete? lì non si fa sposalizio; altro che la sera andava a letto con questo porco senza andare a fare le cerimonie: se era una bestia! Quando gli è in camera, il porco serra e gli viene un bellissimo giovinotto. Lei urla che la voleva il porco, non voleva quello: "Ah no! no! io ho sposato il porco; voi non vi conosco."
"Ah - gli dice - abbi da sapere, sono io il porco, che per la superbia di mia madre mi trovo in questo stato. Promettimi di non dir niente alla signora madre, altrimenti ti costa caro!".


Puttapipat Niroot



Lei gli promette; ma dopo otto o dieci giorni chiede di parlare alla Regina. Dice: "Ho una cosa da confidarvi, ma in secreto: mi raccomando che nessuno ci senta!" "Venite pure - dice la Regina - nelle mie stanze."
La ordina alla servitù che nessuno entri.
"Venga chissisia, la Regina non c'è." - E dice alla nora:
"Dite pure, dite." Serra tutti gli scuri per paura che nessun la sentisse.
"Abbia da sapere, la sera il suo figlio, vedesse il bel giovinotto che egli è!"
"Ah!", la fa la madre.
"Ma per amore di dio la prego a non palesarlo. Altrimenti, mi ha detto che la pagherò."
"Ah! - dice la madre - La mia superbia è stata! e questo è il mio castigo."
E vanno ognuna nel suo quartiere ed è finita: perchè lui, essendo fatato, sentì tutto. La sera va nella camera per andare dalla sposa e gli dice:
"Briccona, son queste le promesse?"
"Ah! ma io....", dice.
"Chètati, insolente!"
Prende un ago calamitato [3] e l'ammazza. La more che non si distingue che è stata uccisa. Venghiamo alla mattina. La Regina non c'è, non s'alza, non chiama. I servitori giran la gruccia, vanno là e la vedon morta.
Urli per il palazzo: "Si vede che il porco l'ha soffocata!"
Credono che l'ha soffocata: una bestia, che volete! Più che mai la Regina madre gli rimane il rammarico, dicendo: "Io sono stata causa di questo gran male, perchè se io non diceva quella parola, non aveva un figlio porco e non seguiva questo!"
Il porco comincia a mugliare, a raspare il muro, peggio di prima; a fare cenni che voleva un'altra di quelle: s'intendeva bene. La seconda: "Va - dice - lo prenderò io!" Che volete? facevano uno sborso di quattrini ai genitori!
"Almeno starete bene voi."
E così la sera il porco, quando entra in camera, viene un bellissimo giovinotto, come per quell'altra. E dice, assolutamente impone silenzio che la non dica nulla alla signora madre. Se quell'altra la stiede dieci giorni, la sarà stata anche venti, questa, zitta. Ma poi un bel giorno la chiede un abboccamento alla Regina, come quell'altra; e quando l'è nella stanza, tutta serrata, la gli palesa che suo figlio diviene un bel giovane, come quell'altra donna.
"Pur troppo lo so, per mia disgrazia, che lui viene un bel giovane!"
"Ma la prego a non dir niente."
"Eh state pure contenta che io non parlo."
Vanno ognuna nel suo quartiere. Quando è la sera, il porco entra in camera e fa l'istesso.
"Ah briccona! - dice. - Son queste le promesse, eh?"
Prende l'istess'ago, cos'era? e l'ammazza. La mattina, la servitù, eran l'undici, mezzogiorno: "Ma che fa la Regina?"
Apron la camera e la trovan morta ancor lei. Vanno dalla Regina madre e dicono: "Venga a vedere, Maestà, anche questa l'è morta!"
E il rimorso! potete credere! Il porco riprincipia a mugliare al muro per aver quell'altra, la terza sorella. Ma i suoi non gnene volevan dare, lo credo! Ma poi s'ebbe da accordare e viene sposa del porco; e portano anche i genitori nel palazzo, in disparte. La sera il Re diviene un bel giovinotto come nell'altre sere: "Abbi da sapere che io sono un omo, vedi; ma per castigo della signora madre, il giorno sono un porco. Ho da ringraziarne la superbia della signora madre. Ti prego di non dir nulla alla signora madre."
"E io ti prometto di non dir nulla."
La sarà stata anche un mese senza dir nulla, ma poi la chiede di parlare alla Regina e gli racconta che il suo figlio diviene un bel giovine; come le altre, tal quale: "Ma io la prego di non parlarne neppure all'aria."
"Eh state pure contenta, io non lo dico."
Eccoti la sera il porco entra in camera e viene un bellissimo giovane:
"Briccona, son queste le promesse, eh? Te, non ti ammazzo. Ma, prima di ritrovarmi, tu devi consumare sette mazze di ferro, sette vestiti di ferro, sette paja di scarpe di ferro ed empire sette fiaschettini di lacrime."
E va via, sparisce: non c'è più porco, non c'è più nulla. La mattina, appena giorno, la sposa s'alza e va dalla Regina Madre, e gli racconta il caso. Potete credere il rimorso di questa donna! "Guardate di che sono stata causa!"
Ordina tutta questa roba la Regina madre, e quando l'è fatta, la sposa la si veste di questa roba e si mette in viaggio; dice addio alla socera, la bacia: "Addio! Addio!", e si mette in viaggio.


Chris Beatrice


Cammina, cammina, con il baroccio, perchè l'altra roba l'aveva sovra il baroccio, sennò come si fa portarla! La trova una vecchina.
"Dove vai, poerina?"
"Oh! - dice; la gli fa tutto il racconto.
!Tu non sai ch'egli è stato sposo il tuo sposo? Il tuo sposo gli ha preso moglie, lassù dove è andato. Tieni questa nocciòla. Quando sarai sulla piazza del Re, quando avrai ben camminato, non so in che posto, molto lontano, schiacciala. Verranno di gran galanterie, ma tanto belle. La Regina - dice - se ne invaghirà; e ti domanderà quanto ne vuoi di queste belle cose. Tu devi dire: Una notte a dormire col suo sposo".
Gli dà la nocciòla e va via, sparisce questa vecchia.
"Grazie! addio, addio!"
Cammina, cammina, cammina e la trova l'istessa vecchina, l'istessa [5] proprio:
"Poerina, dove vai?"
Gli fa tutto il racconto e questa vecchina gli dice:
"Sai! Tieni questa mandorla, fai lo stesso, stiacciala. Verranno di gran galanterie, ma tanto belle! La Regina se ne invaghirà; e ti domanderà quanto ne vuoi di queste belle cose. Tu non chieder quattrini: chiedi una notte a dormire con lo sposo".
Quando l'è quasi per essere alla piazza gli si presenta un vecchino e gli dice l'istesso:
"Tieni - dice - questa noce. Vedi, tu ci hai pochino, vedi: l'è lì la piazza. Stiacciala questa noce e tu vedrai le galanterie che gli esce fori. La Regina se ne invaghirà e ti domanderà quanto ne vuoi di queste belle cose. Tu devi dire: Una notte a dormire col suo sposo".
L'aveva consumato le sette paja di scarpe dì ferro, l'aveva consumato le sette mazze di ferro, l'aveva consumato i sette vestiti di ferro e l'aveva riempite tutte le fiaschettine di lagrime. Entra nella piazza e vede un palazzo: si mette a sedere in mezzo alla piazza e schiaccia la nocciòla. E viene le più belle galanterie, ma una cosa da non poter spiegare, ecco.
"Maestà - dicono i servitori alla Regina - Maestà, s'affacci; venga a vedere le gran galanterie che ci sono sulla piazza".
"Dimandate quel che ne vole, che io le voglio comprare".
Queste galanterie erano molte cose preziose, tutte pietre preziose; ci si accecava a guardarle. Gli domandano quanto ne vole:
"Una notte a dormire col suo sposo!"
I servitori si mettono a ridere:
"Una donna strana, vuol dormire con lo sposo della Regina!"
La Regina:
"Bene! gli sia accordato! Prendete queste belle cose e stasera dite che alle dodici venga qua".
La ordina al bottigliere che alloppî tutto tutto il vino; le bottiglie, tutto, sia alloppiato per il Re. Il Re, che non sapeva nulla, beve, un poco anche più del solito. Quando gli è un'ora, cade addormentato, lo portano a letto e dorme come un masso. Ecco la donna alle dodici entra nel palazzo e la portano in camera. Entra nel letto, e dice:
"Son Ginevra bella, che per ritrovarti ho consumate sette mazze di ferro, sette paja di scarpe di ferro, sette vestiti di ferro, e ho riempito sette fiaschetti di lacrime".
Quello dormiva, lo stesso che dire a questo tavolino. Si fece giorno, la donna fu mandata via e fu finito. La mattina schiaccia la mandorla. Figuratevi: tutte figurine che si movevano e saltavano, di pietre preziose.
"Maestà, c'è l'istessa donnina d'ieri: ma se la vedesse! che belle galanterie: assai più belle sono!"
La Regina dice:
"Domandatele icchè ne vole".
Gli domandano quel che la vole.
"La notte a dormire col suo sposo".
Dice la Regina:
"Sì, sì, sì. Prendete e pure; e stasera fatela venire alla solit'ora".
Eccoti, dà ordine al cantiniere, che faccia l'istesso del giorno avanti, che alloppî tutto il vino: bottiglie, tutto. Il Re va al pranzo e beve più di quell'altro giorno, ma come! Quando gli è la sera, ecco la donna, gua', entra nel letto e principia a dire:
"Son Ginevra bella, che per ritrovarti ho consumato sette mazze di ferro, sette paja di scarpe di ferro, sette vestiti di ferro e ho riempiti sette fiaschettini di lagrime".
Ma qui, dichiamo, questa fosse la camera; e qui, dichiamo, ci fosse le guardie. Sentono un mugolìo, stanno attenti; ed imparano tutto il lamento come l'avemmaria. E la mattina, appena giorno, i servitori la mandorono via questa donna. E queste guardie, quando s'è levato il Re, gli raccontano tutto:
"La notte ci viene una donna da Lei e Le dice: Son Ginevra bella, che per ritrovarti ho consumato sette mazze di ferro, sette paja di scarpe di ferro, sette vestiti di ferro e ho riempiti sette fiaschettini di lacrime." - Ah, il Re si ricorda della sposa; chè aveva dimenticata ogni cosa. Andato via da il palazzo della madre, si scordò di tutto.
"Non sa? Le dànno il vino alloppiato - dice questa guardia. - Bisogna che Lei non lo beva. Ci starò attento io. [7]"
La mattina, stiaccia la noce quella poera donna. Figuratevi! che galanterie! più belle dell'altro giorno. La noce gli era più grossa della nocciola e della mandorla e ne sortì più robba. La Regina dice:
"Domandatele icchè ne vole".
Gli domandano quel che la vole e lei dice:
"Una notte a dormì' con lo sposo".
"Prendete le ricchezze - dice la Regina - e ditegli che stasera venga all'istess'ora" Questa guardia che aveva fatto la spia al Re, dice al cantiniere:
"Pena la morte, se tu metti l'oppio nel vino del Re. Figura di metterlo, ma non lo mettere. Poi, sarai ricompensato. Invece mettilo a quello della Regina, l'oppio".
Il giorno a pranzo, com'era solito, il Re beve, mangia. La Regina con quell'oppio s'addormenta; la mettono a letto; è finita. Eccoti Maestà che va alla camera, si spoglia e va a letto. Quando sono le dodici [8], eccoti la donnina. Lui figura di dormire; e lei principia a dire:
"Son Ginevra bella, che per ritrovarti ho consumato sette mazze di ferro, sette paja di scarpe di ferro, sette vestiti di ferro e riempiuti sette fiaschettini di lacrime".
Lui per tre o quattro volte glielo lascia dire; allora figura di svegliarsi e l'abbraccia così, poerina! e la riconosce per isposa, e dice:
"Bisogna partì' subito! subito! far fagotto e via".
Prendon tutte quelle belle robe che l'aveva schiacciate dalla nocciola, dalla mandorla e dalla noce, tutte quelle ricchezze, fanno fagotto, spogliano il palazzo, ecco! Prende la guardia che gli aveva fatta la spia con seco, prende il cantiniere e tutti via; e vanno a il palazzo della madre. Cheh! era quasi sempre a letto piangendo di dolore per questo figlio, gua'! Urli, strepiti di contentezza: Oh viva! viva! - Tutta la servitù, dicendo: Ecco la nostra sposa! ecco il nostro padrone! - perchè raccontano. La Regina che sente questi urli, va di là e vede la nora.
Dice:
"Questo è il suo figlio, che io sposai che era un porco e adesso è un bel giovane".
Va nelle braccia la madre del figlio, chiedendogli perdono di quel ch'ella era stata causa ch'egli aveva patito. Lui gli perdona e così se ne vivono in santa pace. Venghiamo alla Regina, quell'altra moglie, che si desta. Chiama, chiama, nessun risponde, non c'è nessuno. La va per le stanze: tutte vote; tutto portato via; ogni cosa, tutto sparito. La va allo scrigno a vedere in dove l'aveva messe tutte quelle belle cose, tutte quelle gioje: la non trova più nulla. Caccia un grand'urlo e dal dolore cade e more. E così è finita.

Stretta la foglia e larga la via, 
Dite la vostra che ho detto la mia.



J.Brett



Dalle Note di V. Imbriani

Il Liebrecht annota: - Grimm 108, Hans mein Igel.[...]
È lo stesso argomento della Favola I, Notte II dello Straparola: Galeotto, Re d'Anglia, ha un figliuolo nato porco, il quale tre volte si marita; e posta giù la pelle porcina de divenuto un bellissimo giovane, fu chiamato Re Porco.
Pitré (Op. cit.) Lu Sirpenti e varianti ivi abbreviate.[...]
De Gubernatis. Novelline di Santo Stefano di Calcinaja: XIV. Sor Fiorante mago, ed anche in parte: XIII. La Cieca (da paragonarsi con la III favola della III notte dello Straparola).[...]
Vedi pure nel Malmantile Racquistato, Cantare IV, dalla stanza XXXII in poi. Tutte queste versioni hanno attinenza con l'antica fola di Psiche.

[3] Calamitato poi perchè? Che sì che sì che la novellaja derivava la parola da calamità, quasi equivalesse a calamitoso, anzichè da calamita, ripetendo inconsciamente il bisticcio che fa il cav. Marino (Adone, IV. 282): D'ogni calamità sia calamita. Bisticcio di cui lo Stigliani pretendeva alla paternità...

[5] Anche qui l'istessa sta per una somigliantissima, una tal' e quale. Non era la vecchia medesima, no, ma la simillima della prima vecchina.

[7] Questo particolare delle tre nottate vendute a carissimo prezzo e frodate con l'alloppiamento, si ritrova con qualche diversità nella Novella I della Giornata IV del Pecorone...

[8] Le dodici, cioè mezzanotte. E qui la Novellaja, che pur dianzi avea contate le ore alla italiana, le conta alla francese. Perchè già i due modi di contare sono in uso, e quando si adopera l'uno e quando l'altro. E mi pare di avere osservato, come per quel bisogno naturale che ha l'uomo di distinguere, per quello istinto che lo spinge a ricercar la chiarezza, acciò possa capirsi quando si parla all'italiana e quando alla francese, sia prevalso l'uso di aggiungere al numero la parola ore, quando si conta all'italiana; e di adoperare il numero assolutamente, quando si conta alla francese. Un'ora, due ore, tre ore, dodici ore, s'intende un'ora dopo le ventiquattro, due, tre, dodici ore dopo le ventiquattro, all'italiana. L'una, o il tocco, le due, le tre (antimeridiane o pomeridiane) significa una, due, tre ore, dopo mezzogiorno o mezzanotte, alla francese; le dodici, mezzogiorno o mezzanotte. - Voglio anche notar qui che il toscano divide l'ora in quarti e metà; ma non dice mai un terzo d'ora per venti minuti; com'è bell'uso meridionale.]