martedì 30 giugno 2015

La Bella e la Bestia, Madame de Villeneuve (da Andrew Lang), Traduzione Mia. Terza e Ultima Parte.


I giorni passavano veloci, tra svaghi sempre nuovi, e, dopo un po', Bella scoprì un'altra eccentricità di quel posto che la distraeva quando soffriva particolarmente per la noia o per la solitudine.
C'era una stanza a cui, all'inizio, non aveva prestato grande attenzione: era completamente vuota, ma, davanti ad ogni finestra, era collocata una comoda poltrona. La prima volta che era entrata nella stanza, e aveva lanciato un'occhiata fuori, attraverso una delle finestre, ne aveva ricavato l'impressione che una tenda nera le coprisse la visuale. Ma, in una seconda visita, sentendosi piuttosto stanca, si accomodò in una delle poltrone, e, subito, la tenda si aprì come una cortina lasciandola assistere ad una deliziosa pantomima: danze, luci colorate, musica, e bei costumi, e tutto era così allegro e divertente che Bella ne fu estasiata. Una dopo l'altra, aprì le altre sette finestre, e ogni finestra le offrì un nuovo e suggestivo spettacolo, cosicché Bella non soffrì più di solitudine.
Ogni sera, dopo cena, la Bestia veniva a trovarla, e, ogni volta, prima di congedarsi, le chiedeva con la sua terribile voce:
"Bella, vuoi sposarmi?"
E, adesso che lo conosceva un poco, a Bella pareva che, quando lei rispondeva: "No, Bestia", se ne andasse molto rattristato.
Ma i suoi sogni felici con il giovane Principe le facevano dimenticare in fretta la povera Bestia, e l'unica cosa che la irritava erano i suoi continui avvertimenti di non fidarsi delle apparenze, di lasciarsi guidare dal suo cuore e non dai suoi occhi, e altri discorsi egualmente enigmatici che proprio non riusciva a capire.
Le cose andarono avanti così per molto tempo finché Bella, sebbene fosse felice, cominciò ad avvertire più acutamente la mancanza di suo padre, dei suoi fratelli e delle sue sorelle, tanto che una sera, vedendola particolarmente malinconica, la Bestia le chiese cosa avesse.





Bella, ormai, non aveva più paura di lui: sapeva bene che, a dispetto del suo aspetto feroce e della sua terribile voce, aveva un animo gentile. Quindi, rispose che moriva dal desiderio di rivedere la sua famiglia ancòra una volta.
A queste parole, la Bestia sembrò travolta da una grande tristezza, e scoppiò in un pianto desolato:
"Ah, Bella, davvero avresti il cuore di abbandonare una Bestia infelice quale io sono? Che altro vuoi per essere felice? È il tuo odio per me che ti spinge a fuggire?"
"No, cara Bestia - rispose Bella soavemente - io non ti odio, e soffrirei molto se non potessi rivederti, ma ho tanta nostalgia di mio padre e vorrei riabbracciarlo. Lasciami andare per due mesi, e ti prometto che ritornerò, e resterò qui con te per il resto della mia vita".
La Bestia, che aveva continuato a singhiozzare dolorosamente mentre Bella parlava, le rispose:
"Non posso rifiutarti nulla, anche se dovesse costarmi la vita. Prendi i quattro cofanetti che troverai nella stanza accanto alla tua e riempili con tutto ciò che desideri portare con te. Ma ricorda la tua promessa e ritorna da me allo scadere dei due mesi o potresti pentirtene amaramente, poiché, se non ritornerai per la data fissata, troverai la tua fedele Bestia senza vita. Non avrai bisogno di alcuna carrozza per il viaggio di ritorno: ti basterà dire addio alla tua famiglia la notte prima della tua partenza, e poi, quando sarai a letto, non dovrai far altro che girare questo anello intorno al dito, pronunciando con voce sicura queste parole: Voglio tornare al mio palazzo per rivedere la mia Bestia. Buonanotte, Bella. Non aver paura, dormi serenamente, e, in men che non si dica, rivedrai tuo padre".
Non appena fu sola, Bella si affrettò a riversare gran quantità degli oggetti preziosi che la circondavano nei cofanetti, e, solo quando fu stanca di riempirli, essi sembrarono colmi. Allora, si coricò, ma non riusciva ad addormentarsi per la gioia. Quando, finalmente, fu vinta dal sonno, sognò il suo amato Principe: con suo grande dolore, lo vide disteso su di una sponda erbosa, triste e indebolito al punto da essere quasi irriconoscibile.
"Che vi succede?", gridò.
Il Principe la guardò con aria di rimprovero, e disse:
"Come puoi chiedermi una cosa del genere, o donna crudele? Non stai forse per abbandonarmi alla morte?"
"Ah, non siate così triste - esclamò Bella - Vado solo a rassicurare mio padre che sono sana e salva, e felice. Ho dato alla Bestia la mia parola d'onore che sarei ritornata: morirebbe di dolore se non mantenessi la mia promessa!"
"E a te che importa? - disse il Principe - Non te ne cureresti affatto, non è così?" "Parola mia, sarei davvero un'ingrata se non mi curassi di una Bestia così gentile - disse Bella con indignazione - Morirei per evitargli un dolore. Credetemi, non è colpa sua se è così brutto!"






Proprio in quel momento, uno strano suono la destò: qualcuno stava parlando non molto lontano da lei. Aprì gli occhi e si rese conto di trovarsi in una stanza che non aveva mai visto prima, e che, di certo, non era neppure lontanamente paragonabile ai fasti del palazzo della Bestia. Si alzò e si vestì in gran fretta, e si accorse che i cofanetti che aveva riempito la sera prima erano anch'essi nella stanza. Mentre si domandava per mezzo di quale magia la Bestia fosse riuscita a trasportare lei e i suoi cofanetti in quel posto sconosciuto, riconobbe la voce di suo padre, e, allora, si precipitò fuori, al colmo della gioia, per riabbracciarlo.
I suoi fratelli e le sue sorelle non riuscivano a capacitarsi ch'ella fosse lì con loro, dal momento che non avevano più alcuna speranza di rivederla, e la tempestarono di domande. Anche Bella aveva molto su cui chiedere: tutto ciò che era accaduto loro da quando se n'era andata, a cominciare dal viaggio di ritorno di suo padre. Ma, quando i fratelli appresero che si sarebbe trattenuta con loro solo per poco tempo, e che sarebbe ritornata per sempre dalla Bestia, presero a lamentarsi a gran voce.
Più tardi, Bella chiese a suo padre cosa ne pensasse dei suoi strani sogni e perché il Principe non facesse che supplicarla di non fidarsi delle apparenze. Dopo una lunga riflessione, il padre disse:
"Tu stessa mi hai detto che la Bestia, per quanto spaventoso possa essere il suo aspetto, ti ama teneramente e merita il tuo amore e la tua gratitudine per la gentilezza e la generosità che ti dimostra. Io penso che il Principe intenda che tu capisca che devi ripagarlo assecondando i suoi desideri, nonostante la sua grande bruttezza".
Ma Bella non riusciva a credere che ciò fosse possibile. Inoltre, quando pensava al suo caro Principe ed alla sua bellezza, non si sentiva affatto incline a sposare la Bestia. Ad ogni modo, aveva davanti a sé due mesi in cui non doveva prendere alcuna decisione, ma poteva divertirsi con le sue sorelle. Tuttavia, sebbene adesso fossero ricchi e risiedessero nuovamente in città, dove conducevano vita di società, Bella si rese conto che niente più la rendeva veramente felice, e che le capitava spesso di ripensare al palazzo della Bestia, dove, invece, lo era stata tanto. E, soprattutto, da quando era a casa, non aveva più sognato il suo caro Principe, e questo distacco la rattristava moltissimo.
Inoltre, le sorelle sembravano essersi assuefatte tanto bene alla sua assenza che, a volte, Bella aveva quasi la sensazione di essere di troppo, così non si sarebbe sentita troppo triste quando il termine dei due mesi stava per scadere, se non fosse stato per suo padre e per i suoi fratelli che la supplicavano in continuazione affinché restasse più a lungo, ed erano talmente addolorati al pensiero della sua prossima partenza che Bella non riusciva a trovare il coraggio per dire loro addio.









Ogni mattina, si alzava risoluta ad accomiatarsi da loro la sera stessa, ma, ogni sera, rimandava gli addii al giorno seguente, finché le capitò di fare un sogno angoscioso che l'aiutò a decidersi, senza ulteriori rinvii. In sogno, vagava per un sentiero solitario nei giardini del palazzo, quando udì dei lamenti che sembrava provenissero da alcuni cespugli che celavano l'ingresso di una caverna. Corse da quella parte, e trovò la Bestia, riversa su di un fianco, in punto di morte.
La Bestia la rimproverò debolmente di essere la causa del suo stato, e, in quel momento, apparve una maestosa Dama, che le disse in tono grave:
"Ah, Bella, sei tornata appena in tempo per salvargli la vita. Vedi cosa succede quando non si  mantiene la parola data! Se avessi tardato un solo giorno ancòra, lo avresti trovato morto".






Quel sogno terrorizzò Bella, tanto che, il mattino seguente, annunciò a tutti la sua irrevocabile decisione di partire quella sera stessa, disse addio al padre, ai fratelli e alle sorelle, e, non appena si fu coricata, girò l'anello intorno al dito, e disse, senza esitazione alcuna:
"Voglio tornare al mio palazzo e rivedere la mia Bestia", così come le era stato detto di fare. Cadde subito in un sonno profondo per risvegliarsi al suono dell'orologio che ripeteva "Bella, Bella" dodici volte con voce musicale, e capì, senza ombra di dubbio, che si trovava di nuovo nel palazzo.
Tutto era rimasto immutato, e come furono felici i suoi uccelli di rivederla! Ma a Bella parve che quello fosse il giorno più lungo della sua vita poiché era ansiosa di rivedere la Bestia, e le sembrava che l'ora di cena non arrivasse mai. E, quando, a cena, la Bestia non si fece vedere, si allarmò davvero!






Dopo esser rimasta per un po' in attesa, tendendo inutilmente l'orecchio per udire il suono dei suoi passi, corse in giardino per cercarlo. Cercò e cercò per i viali e per i viottoli, invocando il suo nome, ma fu tutto inutile: nessuno le rispose e non trovò traccia della Bestia. Infine, esausta, si fermò un istante per riprender fiato, e si accorse che si trovava proprio davanti al sentiero ombroso che aveva visto in sogno. Lo percorse correndo finché - com'era prevedibile - ecco la caverna, e, al suo interno, c'era la Bestia addormentata, o così parve a Bella. Felice di aver ritrovato la sua Bestia, Bella corse al suo fianco e gli toccò la testa, ma, con suo grande sgomento,  la Bestia non si mosse né aprì gli occhi.
"Oh, è morto! Ed è solo colpa mia!", disse Bella, piangendo amaramente.






Ma, guardandolo con più attenzione, pensò di cogliere un respiro, allora, corse alla fonte più vicina, raccolse un po' d'acqua fra le mani, e gliene spruzzò un poco sulla faccia. E, finalmente, con immensa gioia di Bella, la Bestia incominciò a riaversi.
"Oh Bestia, che spavento ho avuto! - esclamò - Non sapevo quanto ti amassi fino a quando non ho temuto di essere arrivata troppo tardi per salvarti la vita".
"Ma tu puoi davvero amare una creatura così orribile quale io sono?", chiese debolmente la Bestia - Ah, Bella, sei giunta appena in tempo: stavo morendo perché pensavo che tu avessi scordato la tua promessa. Ma ora ritorna a palazzo e riposa, ci rivedremo presto".






Bella, che temeva fortemente la sua ira, e se l'aspettava, si sentì rassicurata dal suo tono gentile e tornò a palazzo, dove l'attendeva la sua cena.
Dopo cena, arrivò la Bestia, come il solito, e conversarono sui mesi che Bella aveva trascorso con suo padre: le chiese se si fosse divertita e quanto la sua famiglia fosse stata contenta di rivederla. Bella rispose cortesemente, e si divertì a raccontare tutto ciò che le era capitato mentre si trovava in famiglia.
Quando giunse il momento di congedarsi, la Bestia le chiese, come aveva fatto tutte le altre sere:
"Bella, vuoi sposarmi?"
Lei rispose dolcemente:
"Sì, cara Bestia".
Aveva appena pronunciato la sua risposta che un lampo di luce sfolgorò attraverso le finestre del palazzo: crepitavano fuochi d'artificio e rimbombavano colpi di cannone, e, su per il viale di aranci, apparve, formata da sciami di lucciole, la scritta, "Lunga Vita al Principe e alla sua Sposa".
Quando si voltò per chiedere alla Bestia il significato di tutto ciò, Bella si accorse che la Bestia non c'era più, e, al suo posto, vide il suo caro e amato Principe!






In quel mentre, udì il rotolìo delle ruote di una carrozza sul lastricato della terrazza, e due Dame entrarono nella sala. In una di loro, Bella riconobbe la maestosa Dama che aveva visto in sogno. L'altra non era da meno quanto a bellezza e maestà, tanto che Bella non sapeva a quale delle due dovesse rivolgere per prima il suo saluto. La Signora che già conosceva disse alla sua compagna:
"Ebbene, Regina, ecco Bella, colei che ha avuto il coraggio di salvare vostro figlio da quel terribile maleficio. Si amano e non aspettano altro che il vostro consenso al loro matrimonio per poter essere pienamente felici".
"E io acconsento  con tutto il cuore!- esclamò la Regina - Non potrò mai ringraziarti abbastanza, deliziosa creatura, per aver restituito al mio caro figlio le sue vere sembianze".
E abbracciò teneramente Bella e il Principe, che, nel frattempo, aveva salutato la Fata, e aveva ricevuto le sue congratulazioni.
"E ora - disse la Fata a Bella - immagino che vorrai che io inviti i tuoi fratelli e le tue sorelle ai festeggiamenti per il vostro matrimonio!"
Così accadde, in effetti, e le nozze vennero celebrate il giorno seguente con grande sfarzo, e Bella e il Principe vissero per sempre felici e contenti.

Madame de Villeneuve - Da "The Blue Fairy Book" di Andrew Lang.
Traduzione Mia.
Ho aggiunto alcune illustrazioni di Gabriel Pacheco.




sabato 27 giugno 2015

La Bella e la Bestia, Madame de Villeneuve (da Andrew Lang), Traduzione Mia. Seconda Parte.







Sembrava che il cavallo volasse piuttosto che galoppare, ma con tanta grazia che Bella non ne era affatto spaventata, anzi, si sarebbe goduta il viaggio se non avesse avuto il cuore stretto dal timore per quello che l'attendeva a destinazione.
Suo padre tentò ancòra di persuaderla a ritornare indietro, ma fu tutto inutile. Mentre parlavano, scese la notte, e, con loro grande stupore, meravigliose luci colorate presero a brillare in tutte le direzioni, e splendidi fuochi d'artificio fiammeggiarono davanti ai loro occhi: tutta la foresta ne fu illuminata, e sembrava che persino l'aria, gelida fino a qualche istante prima, ne fosse piacevolmente intiepidita.
E fu così fino al viale degli aranci, lungo il quale c'erano molte statue che reggevano torce fiammeggianti, e, non appena si avvicinarono al Castello, videro che era illuminato dal pianterreno al tetto, e le note lontane di una musica soave giungevano dalla corte interna.
"La Bestia dev'essere davvero affamata - commentò Bella, sforzandosi di ridere - se accoglie con tanto tripudio l'arrivo della sua preda".
Eppure, a dispetto della sua ansia, non poté evitare di ammirare tutte le cose meravigliose su cui posava lo sguardo.
Il cavallo si fermò ai piedi dell'imponente scalinata che conduceva alla terrazza: il mercante condusse la figlia nella saletta che ben conosceva, dove trovarono ad accoglierli un magnifico fuoco che ardeva nel caminetto, e una tavola imbandita con una cena squisita. Il mercante sapeva che la cena era stata apparecchiata per loro, e Bella, che si sentiva un po' meno spaventata dopo aver attraversato tante belle sale senza aver visto alcuna traccia della Bestia, ed era piuttosto affamata per la vertiginosa galoppata, cenò di buon animo.
Avevano appena deposto le posate che udirono il rimbombo dei passi della Bestia che si avvicinava. Terrorizzata, Bella si aggrappò al padre, e il suo terrore aumentò quando si accorse quanto fosse atterrito egli stesso. Tuttavia, quando la Bestia apparve in carne ed ossa, pur tremando a quella vista orribile, Bella compì un indicibile sforzo per nascondere il proprio sgomento, e la salutò rispettosamente.
E di ciò, palesemente, la Bestia si compiacque.
La Bestia, dopo averla guardata, disse, con una voce che avrebbe colmato di terrore il cuore più coraggioso, benché non sembrasse affatto in collera:
"Buonasera, vecchio. Buonasera, Bella".
Il mercante era troppo spaventato per rispondere, ma Bella disse dolcemente: "Buonasera, Bestia".
"Sei venuta di tua spontanea volontà? - chiese la Bestia - Sarai contenta di restare qui quando tuo padre se ne sarà andato?"
Bella rispose coraggiosamente che era pronta a restare.
"Me ne compiaccio - disse la Bestia - E, dal momento che sei venuta di tua spontanea volontà, puoi restare. Quanto a te, vecchio -  aggiunse, rivolgendosi al mercante - ripartirai domani, al levar del sole. Quando sentirai il suono del campanello, alzati senza indugio e fa' colazione. Troverai ad aspettarti il cavallo che ti riporterà a casa, ma ricorda: non rivedrai mai più il mio palazzo".
Quindi, rivolgendosi a Bella, disse:
"Conduci tuo padre nella sala accanto e aiutalo a scegliere tutto ciò che credi possa risultare gradito ai tuoi fratelli e alle tue sorelle. Troverai due bauli da viaggio: riempili a tuo piacimento. È giusto che tu mandi loro qualcosa di prezioso in tuo ricordo".
E se ne andò, dopo aver detto: "Buonasera, Bella. Addio, vecchio", e, benché Bella stesse iniziando a disperarsi per l'imminente partenza del padre, era anche spaventata all'idea di disubbidire agli ordini della Bestia, quindi, entrarono nella sala accanto, che aveva le pareti completamente ricoperte da mensole e scaffali.
Rimasero attoniti davanti alle inestimabili ricchezze ivi custodite: c'erano magnifici abiti degni di una regina, corredati di tutti gli ornamenti, e, quando Bella aprì gli armadi, fu abbacinata dai gioielli di cui ogni mensola traboccava.
Dopo averne scelto una gran quantità, che divise tra le sorelle, poiché aveva già preparato una pila di magnifici abiti per ciascuna di loro, aprì l'ultima cassa, scoprendo che era ricolma d'oro.
"Padre - disse - penso che l'oro vi sarà più utile, e credo che dovremmo svuotare i bauli di tutte quelle belle cose, e riempirli d'oro".
Così fecero, ma, più riempivano d'oro i bauli, più spazio sembrava esserci, finché decisero di aggiungerci anche i gioielli e i vestiti che avevano appena tolto, e Bella vi riversò anche tutti i gioielli che riuscì a portare in una volta sola, eppure ancòra i bauli non erano pieni, ma erano ormai così pesanti che neanche un elefante avrebbe potuto reggerne il peso!
"La Bestia si è beffata di noi! - esclamò il mercante - Ha finto di volerci regalare tutte queste cose, ben sapendo che non sarei mai stato in grado di trasportarle".
 "Aspettiamo e vedremo -  disse Bella - Non riesco a credere che intendesse ingannarci. Non possiamo far altro che chiudere i bauli e farli trovare pronti".
Così fecero, poi ritornarono nella saletta dove, con loro grande sorpresa, trovarono già la colazione imbandita. Il mercante mangiò di buon appetito, come se la generosità della Bestia lo avesse indotto a credere che avrebbe potuto arrischiarsi a ritornare presto per rivedere Bella. Ma lei era sicura che suo padre se ne sarebbe andato per sempre, e perciò divenne ancòra più triste quando udì il secondo, più imperioso, squillo del campanello, che li ammoniva che era giunto il momento di separarsi.
Scesero nella corte interna, dove due cavalli li stavano aspettando: uno, carico dei due bauli, e l'altro per il mercante. Scalpitavano, impazienti di andare, e il mercante fu costretto ad un frettoloso saluto, e, non appena montò in sella, i cavalli partirono ad una tale velocità che, in un istante, Bella non riuscì più a vederlo.
Infine, Bella si abbandonò al pianto, e vagò tristemente fino alla saletta. Ben presto, scoprì di essere molto assonnata, e, dal momento che non aveva niente di meglio da fare, si sdraiò, e cadde addormentata all'istante.
E sognò che stava camminando fra gli alberi e lungo un corso d'acqua, lamentando il suo triste destino, quando un giovane Principe, più bello di qualsiasi uomo avesse mai visto, le venne vicino, e, con una voce che le andò dritta al cuore, disse:
"Ah, Bella! Non sei così sfortunata come credi. Qui sarai ripagata per tutte le sofferenze che hai patito altrove. Ogni tuo desiderio verrà soddisfatto. Ti chiedo soltanto di trovarmi, non importa sotto quale forma io sia, poiché ti amo teneramente, e, nel rendere felice me, troverai la tua felicità. Che la tua lealtà sia pari alla tua bellezza e non ci resterà nient'altro da desiderare".
"Cosa posso fare, Principe, per rendervi felice?"
"Sii grata - rispose il Principe - e non fidarti troppo dei tuoi occhi. Ma, soprattutto, non abbandonarmi finché non mi avrai liberato dalla mia crudele sventura".
Dopo, le parve di trovarsi in una stanza con una bella e maestosa dama, che le disse:
"Cara Bella, cerca di non rimpiangere troppo ciò che hai lasciato, perché sei destinata ad una sorte migliore. Ma non lasciarti ingannare dalle apparenze".
Bella trovava quei sogni talmente interessanti che non avvertiva alcuna fretta di risvegliarsi, ma, infine, l'orologio la destò chiamando dolcemente il suo nome dodici volte. Si alzò e scoprì che la toilette era ben fornita di ogni cosa che avrebbe potuto desiderare, e, una volta che ebbe terminato di acconciarsi, trovò una cena imbandita nella stanza accanto.
Un pasto consumato da soli non dura mai molto a lungo, e, presto, si accomodò in un angolo del divano, e ripensò all'affascinante Principe che aveva incontrato nel suo sogno.
'Ha detto che potrei renderlo felice - ripeté, tra sé e sé, Bella - Dev'essere questa orribile Bestia a tenerlo prigioniero. Come posso liberarlo? Mi chiedo perché sia il Principe che la Dama mi abbiano esortato a non fidarmi delle apparenze. Non capisco. Ma, dopotutto, è stato solo un sogno: perché angosciarmi così? Sarà meglio che vada a cercare qualcosa che mi aiuti a passare il tempo'.
Allora, si alzò e iniziò ad esplorare alcune delle innumerevoli sale del palazzo.
La prima in cui entrò aveva le pareti ricoperte di specchi, e Bella si vide riflessa da ogni lato, e pensò che non aveva mai visto una stanza così originale.
Poi, un braccialetto appeso ad un candeliere attirò la sua attenzione: lo prese e si accorse che recava la miniatura del suo sconosciuto ammiratore, esattamente come lo aveva visto nel suo sogno. Felice, si infilò il braccialetto, e attraversò una galleria di ritratti, dove trovò anche quello, a grandezza naturale, dello stesso affascinante Principe, eseguito con tale maestria che, mentre lo osservava, pareva che egli le stesse sorridendo con gentilezza.
Si allontanò a fatica da quel ritratto per entrare in una sala dov'erano raccolti tutti gli strumenti musicali esistenti al mondo, e si divertì per molto tempo a provare a suonarli, uno dopo l'altro, e cantò finché si sentì stanca.
La sala successiva era una biblioteca che conteneva tutti i libri che aveva letto e tutti i libri che aveva sempre desiderato leggere, e tanti altri ancòra, cosicché pensò che una vita intera non le sarebbe bastata anche solo per leggere i titoli.
Scese il crepuscolo, e candele di cera infilate in candelabri di diamanti e rubini si accendevano in ogni sala. Bella osservò che la cena le fu servita proprio nel momento i cui ne avvertì il desiderio, ma non vide alcuno né udì alcun suono, e benché suo padre l'avesse avvertita che avrebbe consumato i suoi pasti da sola, incominciò ad annoiarsi. Ed ecco, udì sopraggiungere la Bestia, e si chiese tutta tremante se, stavolta, avesse intenzione di divorarla.






Tuttavia, poiché la Bestia non sembrava così feroce e si limitò a borbottare: "Buonasera, Bella", lei rispose allegramente, riuscendo a nascondere il suo terrore. Poi, la Bestia le chiese se si fosse svagata, e Bella gli descrisse le belle sale che aveva visitato.
Quindi, la Bestia le chiese se pensava di poter essere felice nel suo palazzo, e Bella rispose che tutto era così meraviglioso che solo una persona davvero incontentabile avrebbe potuto non esserlo. Dopo un'ora di conversazione, Bella incominciava a pensare che, in fin dei conti, la Bestia non era così terribile come le era parso in un primo momento. Prima di accomiatarsi, la Bestia disse con la sua voce cavernosa:
"Mi ami, Bella? Vuoi sposarmi?"
"Oh, cosa dovrei rispondere?", esclamò Bella, spaventata al pensiero di far infuriare la Bestia con un rifiuto.
"Di' solo 'sì' o 'no', senza timore", replicò lui.
"Oh no, Bestia!", disse in fretta Bella.
"Allora, dal momento che non mi vuoi, buona notte, Bella".
Ella rispose "Buonanotte, Bestia", molto sollevata di scoprire che il suo rifiuto non aveva fatto infuriare la Bestia.






Rimasta sola, Bella si coricò e si addormentò subito, sognando il Principe sconosciuto. Diceva:
"Oh, Bella, perché sei così scostante con me? Temo di essere condannato all'infelicità per molto tempo ancòra!"
Poi, i sogni si susseguirono ai sogni, ma l'affascinante Principe era sempre con lei. Il mattino dopo, il primo pensiero di Bella fu di andare a rimirare il ritratto nella galleria per accertarsi che assomigliasse davvero al Principe del suo sogno, ed era così.
Era una splendida giornata di sole, e Bella decise di trascorrerla in giardino, dove le fontane zampillavano e mormoravano. Fu assai sorpresa nel constatare che quei luoghi non le senbravano affatto estranei: ben presto, scoprì il torrente cinto da piante di mirto dove aveva incontrato il Principe del sogno la prima volta. Ciò la convinse che, in effetti, il Principe dovesse essere prigioniero della Bestia.






Quando si sentì stanca, tornò a palazzo, e scoprì una nuova sala piena di materiali per ogni sorta di lavoro: nastri per farne fiocchi e sete colorate per farne fiori. E poi c'era una voliera che ospitava una gran varietà di uccelli rari, talmente docili che, non appena Bella entrò, le volarono incontro per salutarla, e le si posarono sulle spalle e sulla testa.
"Belle creature - disse - come mi piacerebbe che la vostra gabbia fosse vicina alla mia camera, così da poter ascoltare il vostro canto!"
Nell'esprimere questo desiderio, aprì la porta, e, con grande sorpresa, scoprì che dava proprio nella sua camera, benché fosse convinta di trovarsi in tutt'altra parte del palazzo.
In una stanza più lontana c'erano altri uccelli, pappagalli e cocorite, che sapevano parlare, e salutarono Bella chiamandola per nome: li trovò talmente divertenti che ne prese un paio e se li portò in camera, dove chiacchierarono con lei durante la cena.
Dopo cena, la Bestia tornò a farle visita, e le ripetè la domanda della sera precedente, per poi congedarsi bofonchiando il solito "Buona notte, Bella", e, subito dopo, Bella andò a letto per sognare il suo Principe misterioso.




(Fine Seconda Parte)

Illustrazioni di Gabriel Pacheco.

giovedì 25 giugno 2015

La Bella e la Bestia, Madame de Villeneuve (da Andrew Lang), Traduzione Mia. Prima Parte.

La Belle et la Bête.
La prima versione letteraria di questa fiaba precede di una quindicina d'anni la versione più famosa di Mme de Beaumont ed è quella di Mme de Villeneuve, edita nel 1740. In realtà, era un vero e proprio romanzo breve (o un racconto lungo) destinato decisamente ad un pubblico adulto, poiché non insisteva su una sorta di moralismo didattico, ma, piuttosto, sull'ipocrisia della società del suo tempo. Molto più prolisso e ricco di intrighi ed intrecci, di cupezze e stregonerie, della versione Beaumont, passa il filtro di un nuovo moralismo censorio, quello di Andrew Lang, che lo include nel suo "The Blue Fairy Book".






C'era una volta, in un Paese lontano lontano, un mercante che aveva avuto una così gran fortuna in tutti i negozi che aveva intrapreso da accumulare ingenti ricchezze. Tuttavia, poiché era padre di sei figli e sei figlie, scoprì che il denaro non era mai troppo per soddisfare ogni loro capriccio, il che accadeva puntualmente.
Un brutto giorno, una disgrazia tanto rovinosa quanto inaspettata si abbattè sul mercante e sulla sua famiglia: la loro casa prese fuoco e arse fino alle fondamenta, con la raffinata mobilia, i libri, i quadri, gli ori e l'argenteria; in breve, con tutte le ricchezze in essa contenute. E, tuttavia, non era che l'inizio delle loro sventure.




Il padre, che, fino a quel momento, aveva visto prosperare ogni attività intrapresa, improvvisamente, perse, una dopo l'altra, le navi che trasportavano le sue mercanzie, o perché assalite dai pirati, o a causa di un naufragio o di un incendio scoppiato a bordo. Infine, venne a sapere che i suoi dipendenti in Paesi lontani, che avevano sempre goduto della sua incondizionata fiducia, lo avevano ingannato e derubato; così, in breve tempo, da una principesca agiatezza, sprofondò nella miseria più nera.
Tutto ciò che gli era rimasto era una casetta in un luogo sperduto, lontano almeno un centinaio di leghe dalla città in cui aveva sempre vissuto, e dove si vide costretto a ritirarsi con i suoi figli, disperati all'idea di esser ridotti a condurre un tenore di vita tanto differente da quello a cui erano avvezzi.
In effetti, le figlie, in un primo tempo, avevano confidato che i loro amici, tanto numerosi quand'erano ricche, avrebbero insistito affinché accettassero la loro ospitalità, adesso che non possedevano più una casa. Purtroppo, scoprirono presto di essere state dimenticate, e che, anzi, gli antichi amici imputavano l'attuale infelice condizione della famiglia alle loro passate stravaganze, e, certamente, non mostravano la minima intenzione di offrire loro alcun aiuto.
Così, non rimase altro da fare che seguire il padre e stabilirsi nella casetta, che sorgeva nel folto di un'oscura foresta e sembrava il luogo più desolato mai esistito sulla faccia della terra. E, poiché erano troppo poveri per permettersi servitori, le figlie erano costrette a sbrigare i lavori più umili e pesanti, proprio come delle vere contadine, mentre i figli dovevano coltivare i campi per mettere il pane in tavola. Poveramente vestite, e conducendo una vita modestissima, le ragazze non facevano che rimpiangere il lusso e i divertimenti della vita passata: solo la più giovane si sforzava di essere coraggiosa e allegra.






Anche lei, come tutti gli altri, aveva sofferto per il rovescio di fortuna che aveva colpito il padre, ma aveva recuperato in fretta la sua innata gaiezza, e aveva dedicato le sue energie al tentativo di migliorare le cose: cercava di svagare il padre e i fratelli e di persuadere le sorelle perché si unissero a lei quando danzava o cantava. Ma le sorelle non ci pensavano neanche, e, poiché non la vedevano rattristata quanto loro, finirono con il concludere che quella vita miserabile, con tutta evidenza, le si adattava perfettamente. In realtà, la figlia più giovane era molto più bella ed intelligente delle maggiori: era talmente incantevole che tutti usavano chiamarla Bella.
Un paio d'anni più tardi, quando si stavano lentamente adattando alla nuova condizione, capitò qualcosa che venne a turbare la loro tranquillità: al mercante giunse la buona nuova che una delle sue navi, che credeva perduta, aveva, invece, gettato l'àncora, sana e salva, con il suo ricco carico. I suoi figli pensarono che la misera vita che conducevano era giunta al termine e volevano trasferirsi immediatamente in città, ma il padre, che era più prudente, li pregò di aspettare per un poco ancòra, e, benché fosse tempo di raccolto e la sua assenza si sarebbe fatta sentire, decise di recarsi di persona ad effettuare le dovute indagini.
Solo la figlia più giovane nutriva qualche dubbio sull'eventualità che presto sarebbero diventati ricchi come un tempo, o, almeno, ricchi a sufficienza da vivere tra gli agi in città, dove avrebbero anche ritrovato i divertimenti e le allegre compagnie di una volta. Intanto, le figlie e i figli incaricarono il padre dell'acquisto di una tale quantità di vesti eleganti e di gioielli che, se avesse soddisfatto le loro richieste, avrebbe speso una vera fortuna. Bella, invece, prevedendo che sarebbe stato tutto inutile, non chiese nulla.
Suo padre notò il silenzio della figlia prediletta e disse:
"E cosa vuoi che porti per te, Bella?"
"L'unica cosa che desidero è vedervi tornare a casa sano e salvo", rispose lei.
La sua risposta ottenne come risultato di far montare su tutte le furie le sorelle, convinte che le stesse biasimando per l'esosità delle loro richieste..
Il padre, invece, ne fu compiaciuto, ma, ritenendo che a qualsiasi ragazza della sua età avrebbe fatto piacere ricevere un regalino, insistè perché scegliesse qualcosa.
"Ebbene, caro padre - disse Bella - poiché insistete, vi chiedo di portarmi una rosa: non ne ho vista alcuna da quando siamo venuti a stare qui, e io le amo tanto!".
Il mercante si mise in viaggio e raggiunse la città il più presto possibile, ma solo per scoprire che i suoi antichi soci, credendolo morto, si erano spartiti le mercanzie a bordo della nave. Così, dopo sei mesi di  tribolazioni e di spese, si ritrovò povero come quando era partito, con appena il denaro necessario per il viaggio di ritorno. Oltretutto, fu costretto a partire con un tempaccio da lupi, e, ormai a poche leghe da casa, era stremato per il gelo e la fatica. Sebbene sapesse che avrebbe impiegato diverse ore per attraversare la foresta, era così ansioso di giungere a destinazione che decise di proseguire.
Calò la notte, e la neve alta e i morsi spietati del gelo impedirono al suo cavallo di andare oltre: non una casa in vista, l'unico rifugio possibile era il tronco cavo di un grande albero, dove, tutto rannicchiato, trascorse l'intera notte, la più lunga della sua vita - o così gli parve. Malgrado l'indicibile stanchezza, l'ululato dei lupi lo tenne sveglio, né la sua situazione migliorò con lo spuntar del giorno perché la neve era caduta fitta fitta e aveva ricoperto e nascosto tutti i sentieri e lui non sapeva da che parte rifarsi. Con estenuante lentezza, si aprì una sorta di passaggio nella coltre di neve: all'inizio, il procedere fu molto faticoso, scivolò e cadde più volte, poi, il cammino sembrò farsi più agevole finché si ritrovò in un grande viale alberato, in fondo al quale sorgeva un maestoso castello.
Al mercante sembrò molto strano che proprio quel viale fosse stato risparmiato dalla bufera di neve: infatti, i magnifici alberi che lo fiancheggiavano erano tutti aranci rigogliosi di fiori e carichi di frutti. Entrato nel cortile interno del castello, vide davanti a sé una scalinata di agata, salita la quale, passò attraverso una teoria di belle sale squisitamente arredate. Il piacevole tepore degli ambienti lo rinfrancò e si accorse di avere una gran fame: tuttavia, sembrava che, in quel vasto e splendido palazzo, non ci fosse alcuno a cui chiedere del cibo.
Ovunque regnava un silenzio profondo, così, stanco di vagare attraverso sale e gallerie deserte, si fermò in una camera meno vasta delle altre: nel caminetto scoppiettava un bel fuoco vivace, e, lì accanto, era stato collocato un divano... Pensando che fosse stato preparato per un ospite atteso, si sedette e aspettò il suo arrivo, ma, ben presto, cadde in un dolcissimo sonno.
Diverse ore dopo, la fame lo ridestò: era ancòra solo, ma un tavolino imbandito con una squisita cena era stato allestito accanto al divano, e, poiché non toccava cibo da ventiquattr'ore, non perse altro tempo e placò la fame, con la speranza che presto avrebbe avuto modo di ringraziare il suo premuroso ospite, chiunque egli fosse. Ma non comparve anima viva, anche dopo un'altra lunga dormita che lo ristorò completamente, ed un nuovo pasto - dolci e frutta - preparato per lui sul tavolino accanto al divano.
Poiché era un uomo di natura timorosa, quel lungo silenzio prese ad incutergli terrore, così decise di esplorare ancòra le vaste sale, ma fu tutto inutile: non s'imbatté neanche in un domestico. In quel grande palazzo non c'era alcun segno di vita!
Per distrarsi, finse che tutti quei tesori che aveva sotto gli occhi fossero suoi, e prese a fantasticare su come li avrebbe divisi tra i suoi figli. Quindi, scese in giardino: sebbene in ogni altro luogo imperversasse il gelo invernale, là, il sole risplendeva, gli uccelli cantavano, i fiori sbocciavano, e l'aria era dolce.
Estasiato dalle meraviglie che aveva visto e udito, il mercante si disse:
'Tutto questo dev'essere  destinato a me: vado subito a prendere i miei figli perché condividano con me queste delizie'.
Benché, al suo arrivo, fosse stremato e intirizzito, aveva ricoverato il suo cavallo nella stalla e si era premurato che avesse di che sfamarsi. Pensò di sellarlo per il viaggio di ritorno, e così imboccò il sentiero che portava alle stalle.
Ai lati, il sentiero era bordato da rigogliose siepi di rose, e il mercante si rese conto che mai aveva visto fiori più belli e profumati. Le rose gli ricordarono la promessa fatta a Bella: si fermò, e ne aveva appena colta una per sua figlia che fu stordito da un terribile fragore alle sue spalle.
Si voltò e vide una spaventosa Bestia, che sembrava furiosa, e che disse con voce terribile:
"Chi ti ha detto che avevi il permesso di cogliere le mie rose? Non è bastato che ti abbia concesso di ripararti nel mio palazzo e che mi sia dimostrato un ospite generoso? È questa la tua gratitudine? Rubare i miei fiori? Ma la tua insolenza non resterà impunita!"
Il mercante, terrorizzato dalla violenza di quelle parole, lasciò cadere la rosa fatale, e, si gettò in ginocchio, gridando:
"Perdono, nobile Signore! Sono sinceramente grato per la vostra ospitalità, talmente munifica che mai avrei potuto immaginare di arrecarvi offesa prendendo una cosa di così lieve importanza come una rosa".
Ma l'ira della Bestia non fu placata dalle sue parole.
"Sei bravo a tirar fuori scuse e belle frasi - gridò - ma ciò non ti salverà dalla morte che meriti".
'Ahimé! - pensò il mercante - se solo mia figlia sapesse in quale tremendo pericolo mi ha messo la sua rosa!'.
E, in preda alla disperazione, cominciò a raccontare alla Bestia le sue disgrazie e il motivo del suo viaggio, senza dimenticare di menzionare la richiesta di Bella.
"Il riscatto di un re non sarebbe bastato per le richieste delle mie figlie maggiori - disse - ma ho pensato che, almeno, avrei potuto portare a Bella la sua rosa. Vi supplico di perdonarmi, perché vedete bene che non avevo intenzioni malvagie".
La Bestia riflettè un momento, quindi, disse, con un tono meno violento:
"Ti perdonerò, ma ad una condizione: che tu mi dia una delle tue figlie".
"Ah!- gridò il mercante - se io fossi così crudele da comprare la mia vita al prezzo di quella di una delle mie figlie, che scusa potrei escogitare per condurla qui?"
"Non ci sarà alcuna necessità di inventare scuse - rispose la Bestia - Se verrà, dovrà farlo di sua spontanea volontà. Non l'avrò in nessun altro modo. Scopri tu stesso se tra loro ce n'è una abbastanza coraggiosa e che ti ami tanto da venire qui per salvarti la vita. Mi sembri un onest'uomo, quindi, mi fiderò e ti lascerò tornare a casa. Ti do un mese per scoprire se una delle tue figlie sarà disposta a venire qui con te per restare, permettendoti di andartene libero. Se nessuna di loro vorrà farlo, dovrai ritornare da solo, dopo aver detto loro addio per sempre, poiché, in quel caso, tu apparterrai a me. E non credere di poterti nascondere. Se mancherai alla tua parola, ti scoverò e verrò a prenderti!", soggiunse la Bestia minacciosamente.
Il mercante accettò la proposta, anche se non credeva affatto che una delle sue figlie si sarebbe lasciata convincere a seguirlo al castello. Promise solennemente di ritornare alla scadenza stabilita, e, ansioso di rifuggire la presenza della Bestia, chiese il permesso di partire immediatamente, ma la Bestia invece rispose che non sarebbe partito prima del giorno seguente:
"Domani, troverai un cavallo pronto per te. Ora va' a mangiare la tua cena, e attendi i miei ordini".
Più morto che vivo, il povero mercante ritornò nella sua camera, dove una cena squisita era stata apparecchiata sul tavolino, davanti alla gaia fiamma del caminetto. Era troppo terrorizzato per mangiare, tuttavia, piluccò qualcosa dalle varie portate, per tema che la Bestia s'infuriasse per la sua disobbedienza. Quando ebbe finito, udì un gran frastuono nella stanza accanto che gli annunciava l'imminente arrivo della Bestia, e, dal momento che nulla poteva per evitare quell'incontro, non gli restava altro da fare che sforzarsi di sembrare meno atterrito possibile.






Così, quando la Bestia apparve e gli chiese ruvidamente se avesse trovato la cena di suo gradimento, rispose umilmente di sì, mostrando gratitudine per la cortesia del suo ospite. La Bestia lo ammonì di rispettare il loro accordo e di informare in tutta onestà sua figlia su cosa l'aspettava. Poi, soggiunse:
"Domattina, non alzarti prima del levar del sole, e finché non sentirai il suono di un campanello d'oro. Allora, troverai apparecchiata qui la tua colazione, e, giù nella corte, il cavallo sellato per te. E sarà quello stesso cavallo che ti riporterà qui tra un mese con tua figlia. Addio. Porta una rosa a Bella, e rammenta la tua promessa!"
Il mercante si sentì immensamente sollevato quando la Bestia se ne andò, e, benché non riuscisse a chiudere occhio per l'angoscia, giacque nel letto fino al levar del sole. Dopo una colazione consumata in fretta e furia, andò a cogliere una rosa per Bella, montò a cavallo e partì. In un istante, il castello già non si scorgeva più, e la corsa sfrenata del cavallo si arrestò solo davanti alla porta della sua umile casa, mentre il mercante era sempre immerso nei suoi tetri pensieri.
I suoi figli, che erano stati in gran pena per la sua prolungata assenza, gli si precipitarono incontro, ansiosi di conoscere l'esito del suo viaggio, anche se non dubitavano che fosse positivo, a giudicare dallo splendido cavallo che montava e dal ricco mantello in cui era avvolto.
In un primo momento, nascose loro la verità, limitandosi a dire tristemente a Bella, nel porgerle la rosa:
"Ecco ciò che mi hai chiesto: se solo tu sapessi quanto mi è costata!".
Con queste parole, però, non fece che eccitare la curiosità dei suoi figliuoli, al punto che, senza indugiare oltre, narrò loro tutto ciò che gli era capitato, dall'inizio alla fine. Quando si tacque, erano tutti disperati.
Le figlie si lamentarono a gran voce per le loro speranze deluse, e i figli dichiararono che il padre non sarebbe mai ritornato in quel terribile castello, e presero a far piani per uccidere la Bestia se fosse venuta a prenderselo.
Il mercante rammentò loro che aveva dato la sua parola.
Allora, le sorelle maggiori se la presero con Bella, dichiarando che era tutta colpa sua, e che, se avesse chiesto qualcosa di sensato, tutto ciò non sarebbe mai accaduto, e si lamentarono amaramente perché avrebbero dovuto pagare tutti le conseguenze delle sue stravaganze.






Oppressa dall'angoscia, la povera Bella, disse:
"È vero, sono stata io a provocare la nostra disgrazia, ma vi prego di credere che ne sono la causa innocente: chi mai avrebbe potuto immaginare che chiedere una rosa nel cuore dell'estate avrebbe portato a tanta sventura? Ma, dal momento che io sola sono la causa di tutto, io sola ne pagherò le conseguenze. Seguirò nostro padre al castello perché possa mantenere la sua promessa".
Sulle prime, nessuno voleva sentir parlare di questa soluzione, e sia il padre che i fratelli, che l'amavano teneramente, affermarono che nulla li avrebbe persuasi a lasciarla andare, ma Bella si mostrò irremovibile.
Poiché il tempo scorreva veloce, Bella divise i suoi pochi averi tra le sorelle, e disse addio a tutto quanto amava, e, quando il giorno fatale arrivò, si sforzò in ogni modo di dar coraggio al padre mentre montavano entrambi sul cavallo che lo aveva riportato a casa.

(Fine Prima Parte)

Le illustrazioni sono di Gabriel Pacheco.


martedì 23 giugno 2015

David Copperfield e la Placenta, ovvero, Superstizioni su "Nato con la Camicia"

Da "David Copperfield", Capitolo Primo:


"I was born with a caul, which was advertised for sale, in the newspapers, at the low price of fifteen guineas. Whether sea-going people were short of money about that time, or were short of faith and preferred cork jackets, I don't know; all I know is, that there was but one solitary bidding, and that was from an attorney connected with the bill-broking business, who offered two pounds in cash, and the balance in sherry, but declined to be guaranteed from drowning on any higher bargain. Consequently the advertisement was withdrawn at a dead loss - for as to sherry, my poor dear mother's own sherry was in the market then - and ten years afterwards, the caul was put up in a raffle down in our part of the country, to fifty members at half-a-crown a head, the winner to spend five shillings. I was present myself, and I remember to have felt quite uncomfortable and confused, at a part of myself being disposed of in that way. The caul was won, I recollect, by an old lady with a hand-basket, who, very reluctantly, produced from it the stipulated five shillings, all in halfpence, and twopence halfpenny short - as it took an immense time and a great waste of arithmetic, to endeavour without any effect to prove to her. It is a fact which will be long remembered as remarkable down there, that she was never drowned, but died triumphantly in bed, at ninety-two. I have understood that it was, to the last, her proudest boast, that she never had been on the water in her life, except upon a bridge; and that over her tea (to which she was extremely partial) she, to the last, expressed her indignation at the impiety of mariners and others, who had the presumption to go 'meandering' about the world. It was in vain to represent to her that some conveniences, tea perhaps included, resulted from this objectionable practice. She always returned, with greater emphasis and with an instinctive knowledge of the strength of her objection, 'Let us have no meandering.'"


Jessie Wilcox Smith

domenica 21 giugno 2015

La Bella e la Bestia, di Jeanne-Marie Leprince de Beaumont, Traduzione di Carlo Collodi

'era una volta un mercante che era ricco sfondato. Aveva sei figliuoli, tre maschi e tre femmine, e siccome era un uomo che sapeva il vivere del mondo, non risparmiò nulla per educarli e diede loro ogni sorta di maestri. Le sue figlie erano bellissime: la minore soprattutto era una maraviglia, e da piccola la chiamavano la bella bambina, e di qui le rimase il soprannome di Bella, che fu poi cagione di gran gelosia per le sue sorelle.
Questa figlia minore, oltr'essere la più bella, era anche la più buona delle altre. Le due maggiori, perché erano ricche, avevano molto fumo: si davano l'aria di grandi signore, e non gradivano la compagnia delle figlie degli altri negozianti, ma se la dicevano soltanto col nobilume.




Andavano dappertutto: ai balli, alle commedie, alle passeggiate, e si ridevano della sorella minore, perché spendeva una gran parte del suo tempo nella lettura dei buoni libri. E perché si sapeva che erano molto ricche, parecchi negozianti, di quelli grossi davvero, le chiesero in mogli, ma la maggiore e la seconda dissero chiaro e tondo che non si sarebbero mai maritate, se non fosse capitato loro un Duca o a dir poco un Conte.




La Bella (oramai vi ho detto che questo era il nome), la Bella, dunque, ringraziò con molta buona maniera coloro che volevano sposarla, e disse che era troppo giovane e che voleva tener compagnia ancora per qualche anno al suo genitore. Quand'ecco che tutto a un tratto il mercante fece un gran fallimento e non gli rimase altro che una piccola casa assai lontana dalla città. Disse allora ai suoi figli, colle lacrime agli occhi, che bisognava rassegnarsi e andare ad abitare in quella casetta dove, mettendosi tutti a fare i contadini, avrebbero potuto campare e tirarsi avanti.

Le due ragazze più anziane risposero che non volevano saperne nulla di lasciare la città, dov'avevano molti amanti, ai quali non sarebbe parso vero di poterle sposare, anche senza un soldo di dote. Ma le povere figliuole s'ingannavano all'ingrosso perché, quando furono povere, tutti i loro amanti girarono largo. E siccome, a motivo della loro superbia, non erano in generale ben vedute, cosi dicevano tutti: "Non meritano compassione: è giusta che abbiano dovuto ripiegare le corna; che vadano ora a fare le grandi signore dietro le pecore e i montoni!".
Ma nel tempo stesso tutti dicevano: "Quanto alla Bella, ci rincresce proprio della sua disgrazia: è una gran buona figliuola! è così alla mano coi poveri, e tanto amorosa e gentile!".
Ci furono fra gli altri parecchi gentiluomini che la volevano sposare, sebbene non avesse più un soldo di dote, ma essa disse che non sapeva risolversi a lasciare il suo povero padre nella disgrazia, e che sarebbe andata con lui fra i campi, per consolarlo e dargli una mano nelle fatiche. La povera Bella, da principio, era rimasta molto male dell'aver perduto ogni ben di fortuna, ma poi si consolò col dire fra sé e sé: 'Quand'anche mi struggessi dal pianto, non varrebbe a farmi ricattare quello che ho perso: dunque è meglio cercare di essere felici, anche senza un centesimo in tasca'. Appena arrivati alla casa di campagna, il mercante e le sue tre figlie si dettero subito a lavorare i campi. La Bella si alzava la mattina alle quattro, avanti giorno, e si dava il pensiero di ripulir la casa e di preparare la colazione e il desinare per la famiglia. Sul primo ci pativa un poco, perché non era avvezza a strapazzarsi come una serva: ma di lì in capo a due mesi si fece più robusta e, faticando tutto il giorno, acquistò una salute di ferro. Quando aveva finite le sue faccende, si metteva a leggere o a suonare la spinetta, o anche canterellava e filava.
Le sue sorelle, invece, s'annoiavano da non averne idea: si levavano alle dieci della mattina, girellavano tutto il giorno e trovavano una specie di svago a rimpiangere i bei vestiti e la bella società di una volta.






"Guarda un po' - dicevano fra loro - come è stupida la nostra sorella minore, e che caratteraccio triviale ! Essa è contenta come una pasqua di trovarsi nella sua disgraziata condizione!..."
Ma il buon mercante non la pensava così. Egli sapeva che Bella aveva molto più garbo delle sue sorelle a fare spicco in società, e ammirava la virtù di questa giovinetta e segnatamente la sua rassegnazione, perché bisogna sapere che le sue sorelle, non contente di buttare addosso a lei tutte le faccende della casa, la punzecchiavano continuamente con mille parole insolenti.
Era corso un anno dacché questa famiglia viveva lontana dalla città, quando il mercante ebbe una lettera nella quale gli si diceva che un bastimento, carico di mercanzie, di sua proprietà, era arrivato felicemente! Ci scattò poco che questa notizia non facesse dar la balta al cervello alle due ragazze maggiori, le quali speravano così di poter lasciare la campagna, dove morivano dalla noia, e quando videro il padre sul punto di partire, lo pregarono che portasse loro dei vestiti, delle mantelline, dei cappellini e altri gingilli di moda.
La Bella non gli chiese nulla, perché aveva già capito che tutto il valsente delle merci arrivate non sarebbe bastato a contentare i capricci delle sue sorelle.
"E tu non vuoi che ti compri nulla?", le disse suo padre.
"Poiché siete tanto buono da pensare a me - ella rispose - fatemi il piacere di portarmi una rosa, che in questi posti non ci fanno".
Non vuol dir già che alla Bella premesse la rosa, ma lo fece per non criticare col suo esempio la condotta delle sorelle, le quali avrebbero detto che non chiedeva nulla per farsi distinguere e dar nell'occhio.
Il buon uomo partì, ma appena giunto, ebbe a sostenere un processo a causa delle sue mercanzie, e, dopo mille seccature, se ne tornò indietro più povero di prima. Gli restavano da fare non più di trenta miglia per arrivare a casa, e già si consolava nel pensiero di rivedere la sua famigliola, ma dovendo traversare un gran bosco, si smarrì e perdé la strada.
La neve fioccava da far paura, e soffiava un vento così strapazzone che lo gettò per due volte giù da cavallo.
Venuta la notte, egli cominciò a credere di dover morire o di fame e di freddo, o divorato dai lupi, che si sentivano urlare a poca distanza.
Quando a un tratto, nel voltar l'occhio verso il fondo di una lunga sfilata d'alberi, vide una gran fiamma che pareva lontana lontana. S'avviò da quella parte, e poté distinguere che quella luce usciva da un gran palazzo, che era tutto illuminato.





Il mercante ringraziò il cielo del soccorso mandatogli e si affrettò per giungere a questo castello, ma rimase grandemente stupito di non trovarci anima viva.
Il suo cavallo, che gli andava dietro, avendo visto una bella scuderia aperta, entrò dentro, e trovatovi fieno e biada, il povero animale, che moriva di fame, vi si buttò sopra con grandissima avidità.
Il mercante lo legò alla greppia, e s'avviò verso la casa, dove non trovò nessuno. Ma entrato che fu in una gran sala, vi trovò un bel fuoco acceso, una tavola apparecchiata e con molte pietanze, ma c'era una posata sola.
Essendo bagnato fino al midollo dell'ossa, per la neve e la molt'acqua che aveva preso, si avvicinò al fuoco per asciugarsi, dicendo fra sé:
'Il padrone di casa e i suoi domestici mi scuseranno della libertà che mi prendo! Sono sicuro che staranno poco ad arrivare'.
Aspetta, aspetta e nessuno veniva. finché suonarono le undici e ancora non s'era visto alcuno. Allora non potendo più stare alle mosse, dalla gran fame prese un pollastro e, tremando dalla paura, lo mangiò in due bocconi. Bevve anche qualche sorso di vino, e messo su un po' di coraggio, uscì dalla sala e traversò molti quartieri splendidamente tappezzati e ammobiliati. Alla fine trovò una camera dove c'era un buon letto, e perché era mezzanotte suonata e si sentiva stanco morto, prese il partito di chiuder l'uscio e di coricarsi. La mattina dopo si svegliò verso le dieci, e figuratevi come rimase quando trovò un vestito molto decente nel posto dove aveva lasciato il suo, che era tutto logoro e cascava a pezzi.
"Si vede bene - egli disse - che in questo palazzo ci sta di casa qualche buona fata, che si è mossa a compassione di me".
Si affacciò alla finestra e non vide più un filo di neve, ma pergolati di bellissimi fiori, che innamoravano soltanto a guardarli. Ritornò nella gran sala, dove la sera avanti aveva cenato e vide una piccola tavola, con sopra una chicchera e un vaso di cioccolata.
"Grazie tante - diss'egli a voce alta - grazie tante, signora fata, della garbatezza di aver pensato alla mia colazione".
Il buon uomo, quand'ebbe preso la cioccolata, uscì per andare dal suo cavallo, e passando sotto un pergolato di rose si ricordò che la Bella gliene aveva chiesta una, e staccò un tralcio dove ce n'erano parecchie bell'e sbocciate.





In quel punto stesso sentì un gran rumore e vide venirsi incontro una bestia così spaventosa, che ci corse poco non cascasse svenuto:
"Voi siete molto ingrato - disse la Bestia con una voce da far rabbrividire - vi ho salvata la vita accogliendovi nel mio castello, e in ricambio voi mi rubate le mie rose, che è per l'appunto la cosa che io amo soprattutto in questo mondo. Per riparare al mal fatto non vi resta altro che morire: vi do tempo un quarto d'ora per chiedere perdono a Dio".
Il mercante si gettò in ginocchio e a mani giunte prese a dire alla Bestia: "Monsignore, perdonatemi: non credevo davvero di offendervi a cogliere una rosa per una delle mie figlie, che me l'aveva domandata".

"Non mi chiamo Monsignore - rispose il mostro - ma Bestia. I complimenti non fanno per me, io voglio che ognuno parli come la pensa: per cui non vi mettete in capo d'intenerirmi colle vostre moine. Mi avete detto che avete delle figliuole: ebbene, io potrò perdonarvi a patto che una di codeste figliuole venga qui a morire volontariamente nel posto vostro. Non una parola di più, partite, e caso le vostre figlie ricusassero di morire per voi, giurate che dentro tre mesi ritornerete".
Quel pover'uomo non aveva punta intenzione di sacrificare alcuna delle sue figlie al brutto mostro, ma pensò dentro di sé:
'Non foss'altro avrò almeno la consolazione di poterle abbracciare un'altra volta'. Fece giuro di tornare, e la Bestia gli disse che poteva partire a piacer suo.
"Ma non voglio - soggiunge - che tu debba andartene colle mani vuote. Ritorna nella camera dove hai dormito: ci troverai un gran baule vuoto, ché io penserò a fartelo portare fino a casa".
Detto questo, la Bestia se ne andò, e il buon uomo disse fra sé e sé:
'Almeno, se ho da morire, potrò lasciare un boccon di pane a' miei poveri ragazzi'.
E tornò nella camera dove aveva dormito, e avendovi trovato delle monete d'oro a corbellini, ne empì il baule, di cui gli aveva parlato la Bestia, quindi lo chiuse, e ripreso il cavallo lasciato nella scuderia, uscì dal palazzo con tanto malessere addosso, quanta era la gioia colla quale vi era entrato.
Il cavallo prese da sé uno dei viottoli della foresta, e in poche ore il buon uomo arrivò alla sua casetta. I suoi figli gli furono tutti d'intorno: ma invece di mostrarsi lieto alle loro carezze, il mercante li guardava e gli cascavano i lacrimoni dagli occhi.
Egli aveva in mano il tralcio di rose, che portava a Bella: e nel darglielo, disse: "Bella, pigliate queste rose: ma costeranno molto care al vostro povero padre!".
E così raccontò alla famiglia il brutto caso che gli era capitato.
A quella storia le due sorelle maggiori si messero a berciare e dissero mille cosacce a Bella, la quale non piangeva né punto né poco.
"Ecco le conseguenze - esse dicevano - dell'orgoglio di questa monella: perché anche lei non fece come noi e non chiese dei vestiti? Nient'affatto! la signorina voleva distinguersi. E ora è lei la cagione della morte di suo padre e non se ne fa né in qua né in là".
"Sarebbe inutile - soggiunse Bella - e perché dovrei piangere la morte di mio padre? Egli non morirà una volta che il mostro si contenta di accettare in cambio una delle sue figlie, io voglio mettermi in balìa del suo furore: e sono molto felice, perché così potrò avere la contentezza di salvare il padre mio e di provargli il gran bene che gli ho sempre voluto".
"No, sorella mia - le dissero i suoi tre fratelli - tu non morirai: noi anderemo a trovare il mostro, e periremo sotto i suoi colpi, se non saremo buoni di ucciderlo".
"Non lo sperate, ragazzi miei - disse loro il mercante - la potenza di questa Bestia è così sterminata che non c'è caso di poterla uccidere. Mi fa una vera consolazione il buon cuore di Bella, ma non voglio mandarla a morire. Io son vecchio, non mi resta che poco tempo da vivere, così, male che vada, posso scorciarmi di qualche anno la vita, cosa che non rimpiango punto, perché lo faccio per amor vostro, miei cari figliuoli".
"Vi do la mia parola, padre mio - disse Bella - che voi non anderete a quel palazzo, senza di me: voi non mi potete impedire di seguirvi. Sebbene giovane, io non sono molto attaccata alla vita, e preferisco esser divorata da quel mostro, che morire dalla pena che mi farebbe la vostra perdita".
Ebbero un bel dire, ma la Bella volle a ogni costo partire anche lei per il palazzo del mostro, e alle sorelle non parve vero, perché si rodevano di gelosia per le belle doti della sorella minore.
Il mercante era così stonato dal dolore di dover perdere la figlia, che non gli passò per il capo neppure il baule che egli aveva riempito di monete d'oro.
Ma appena fu in camera restò grandemente stupito di trovarlo al piè del letto. Risolvette di non dir nulla in casa di essere diventato ricco, per paura che le figlie si mettessero in testa di voler tornare in città, mentre egli aveva fatto conto di voler morire in quella campagna.
Peraltro confidò il segreto a Bella, la quale gli raccontò come nel tempo che era stato lontano, alcuni gentiluomini fossero venuti per casa e come, fra questi, ve ne fossero due che amoreggiavano colle sue sorelle.
Si raccomandò al padre che le maritasse: perché essa era tanto buona di cuore, che le amava tutte e due, e perdonava loro tutto il male che le avevano fatto. Quelle due cattive si strofinarono gli occhi colla cipolla per farsi venire i lucciconi, al momento che Bella partì con suo padre, ma i fratelli piangevano davvero, e anche il mercante.
La sola che non piangesse era Bella, la quale non voleva inciprignire il dolore di tutti gli altri. Il cavallo prese la via del palazzo, e sul far della sera cominciarono di lontano a vederlo illuminato, tale e quale come la prima volta.
Il cavallo andò da sé solo nella scuderia, e il buon uomo entrò con sua figlia nella gran sala, dove trovarono una gran tavola magnificamente apparecchiata per due. Il mercante non sapeva da che verso rifarsi per mangiare, ma la Bella, sforzandosi di parer tranquilla, si messe a tavola e lo servì, poi diceva dentro di sé: 'Capisco bene che la Bestia vuole ingrassarmi prima di far di me un boccone! me n'accorgo dalla maniera con cui mi tratta'.
Quand'ebbero cenato, udirono un gran fracasso e il mercante, colle lagrime agli occhi, disse addio alla sua povera figlia, perché sapeva che la Bestia era lì lì per arrivare.
La Bella, alla vista di quell'orribile figura, sentì fare un cavallone al sangue, ma s'ingegnò di non darlo a divedere, e quando il mostro le domandò s'era venuta da lui volentieri, rispose con voce tremante di sì.
"Davvero che siete molto buona - disse la Bestia - e io vi sono riconoscentissimo. Buon uomo! domani partirete, e Dio vi guardi dal tornare in questo luogo. Addio, Bella".
"Addio, Bestia", ella rispose.
E il mostro sparì.
"Oh ! figlia mia - disse il mercante abbracciandola e baciandola - io son mezzo morto dalla paura. Fai a modo mio, lasciami morir qui".
"No, padre mio - rispose la Bella con fermezza - voi partirete domani mattina, e mi abbandonerete all'aiuto del cielo. Il cielo forse avrà compassione di me!..." L'uno e l'altro andarono a letto, coll'idea che in tutta la notte non sarebbero stati buoni a chiudere un occhio, ma invece, appena si furono coricati nei loro letti, si addormentarono come ghiri.
E la Bella vide in sogno una Regina, la quale le disse:
"O Bella, io son contenta del vostro buon cuore. La nobile azione che fate, dando la vita per quella di vostro padre, non rimarrà senza premio".
Quando la Bella si svegliò, raccontò il sogno a suo padre, e sebbene questa cosa lo rinfrancasse un poco, non bastò peraltro a trattenerlo dal dare in grandissimi pianti, quando gli fu forza staccarsi dalla sua figlia adorata.
Partito che fu, la Bella andò a sedersi nella gran sala, e anche essa cominciò a piangere, ma essendo molto coraggiosa, si raccomandò a Dio e fece conto di non darsi tanto alla disperazione per quel poco di tempo che le restava ancora da vivere: perché ella credeva fermamente che la Bestia sarebbe venuta a mangiarla nella serata.
Intanto, mentre aspettava, pensò bene di girare e di visitare il castello, del quale non poteva starsi dall'ammirare le grandi bellezze.
E figuratevi se rimase a bocca aperta, quando vide una porta sulla quale c'era scritto: Quartiere della Bella.
Aprì in fretta e in furia questa porta e fu abbagliata dalle magnificenze che vi erano dentro, ma ciò che maggiormente la colpì, fu la vista di una gran biblioteca, di un clavicembalo e di molti quaderni di musica.
'Si vede proprio che non vogliono che io mi annoi - disse fra sé e sé, quindi pensò: 'Se io dovessi albergare qui un giorno solamente, non mi avrebbero ammannito tutte queste belle cose'.
Questo pensiero rianimò il suo coraggio. Ella aprì la biblioteca e vide un libro sul quale era scritto a lettere d'oro: "Desiderate e comandate: voi siete qui signora e padrona!...".
'Meschina me! - diss'ella - io non ho altro desiderio che di vedere il mio povero padre e di sapere che cos'è di lui in questo momento!'
Queste parole le aveva dette dentro di sé, ma quale non fu il suo stupore, quando gettando gli occhi sopra uno specchio, vi mirò la sua casa, e per l'appunto in quel momento in cui vi giungeva suo padre con un viso da far pietà.
Le sue sorelle gli andavano incontro, e malgrado le smorfie che facevano per parere afflitte, mostravano sul viso e a fior di pelle la contentezza provata per la perdita della loro sorella.
Dopo un minuto sparì ogni cosa, ma la Bella non poté far di meno di pensare che la Bestia era molto compiacente, e che non aveva nulla da temere da essa.
A mezzogiorno trovò la tavola bell'e apparecchiata, e durante il pranzo udì un'eccellente musica, senza che potesse vedere alcuno.




La sera mentre stava per mettersi a tavola, sentì il fracasso che faceva la Bestia e fu presa da un tremito di paura:
"Bella - le disse il mostro - siete contenta che io stia a vedervi mentre cenate?". "Non siete voi il padrone?", rispose la Bella, tremando.
"No - replicò la Bestia - qui non c'è altri padroni che voi: se vi sono importuno, non dovete far altro che dirmelo e me ne anderò subito. Ditemi una cosa: non è vero che io vi sembro molto brutto?"
"E' vero, sì - rispose Bella - perché io non sono avvezza di dire una cosa per un'altra, peraltro vi credo buonissimo di cuore".
"Avete ragione - disse il mostro - ma oltre all'essere brutto io non ho punto spirito, e so benissimo d'essere una Bestia".
"Non è mai una Bestia - rispose Bella - colui che crede di non avere spirito. Gl'imbecilli non arriveranno mai a capire questa cosa".
"Su dunque, mangiate, Bella - le disse il mostro - e cercate tutti i mezzi per non annoiarvi nella vostra casa: perché tutto quello che vedete qui, è roba vostra, e io sarei mortificato se non vi sapessi contenta".
"Voi avete molta bontà per me - disse la Bella - e sono contentissima del vostro cuore: quando ci penso non mi sembrate nemmeno tanto brutto".
"Oh! per questo - rispose la Bestia - il cuore è buono, ma io sono un mostro!" "Conosco degli uomini che sono più mostri di voi - disse Bella - e quanto a me, mi piacete più voi con codesta vostra figura, di tant'altri che, sotto l'aspetto d'uomo, nascondono un cuore falso, corrotto e sconoscente".
"Se avessi un po' di spirito - disse la Bestia - farei un complimento per ringraziarvi, ma io sono uno stupido, e tutto quel che posso dirvi è che vi sono obbligato".
La Bella cenò di buon appetito. Essa non aveva quasi più paura del mostro, ma fu lì lì per morire di spavento, quando egli le disse:
"Bella, volete esser mia moglie?".
Ella stette un po' di tempo senza rispondere: aveva paura di svegliare la collera del mostro con un rifiuto, a ogni modo disse con voce tremante:
"No, Bestia".
A questa risposta il povero mostro volle mandar fuori un sospiro e gli venne fatto un sibilo così spaventoso, che ne rintronò tutto il palazzo.
Ma la Bella fu presto rassicurata, perché la Bestia, dopo averle detto "Addio, dunque, Bella", uscì dalla camera voltandosi indietro tre o quattro volte per poterla ancora vedere.
Quando la Bella fu sola cominciò a sentire una gran compassione per la povera Bestia, e diceva: 'Che peccato che sia così brutta, mentre sarebbe tanto buona!'.










La Bella, per tre mesi, menò in questo palazzo una vita abbastanza tranquilla. Tutte le sere la Bestia andava a farle visita, e durante la cena si tratteneva con lei, facendo mostra di molto buon senso, ma giammai di ciò che si chiama spirito fra le persone del mondo galante. Ogni giorno che passava, la Bella scopriva nuovi pregi nel mostro. A furia di vederlo, aveva fatto l'occhio alle sue bruttezze, e invece di temere il momento della sua visita, ella guardava spesso l'orologio per vedere quanto mancava alle nove, perché la Bestia a quell'ora era sempre precisa. Una sola cosa metteva di mal umore la Bella, ed era che tutte le sere, avanti di andare a letto, il mostro le domandava se voleva essere sua moglie, e rimaneva mortificatissimo quand'essa rispondeva di no.
Ella disse un giorno:
"Voi mi fate una gran pena, Bestia, vorrei potervi sposare, ma sono troppo sincera per darvi a sperare una cosa che non sarà mai. Io sarò sempre vostra buon'amica. Contentatevi di questo".
"Per forza!- rispose la Bestia. "Io son giusto. Io so che sono orrendo, ma vi voglio un gran bene. A ogni modo, io mi chiamo abbastanza fortunato se vi adattate a restar qui: promettetemi che non mi lascerete mai".
La Bella a queste parole fece il viso rosso. Ella aveva visto nello specchio che suo padre era malato dal dolore di averla perduta, e desiderava rivederlo.
"Io potrei benissimo promettervi - diss'ella alla Bestia - di non lasciarvi più per sempre, ma mi struggo tanto di rivedere il padre mio, che morirei di crepacuore se mi rifiutaste questo piacere".
"Vorrei piuttosto morire - disse il mostro - che darvi un dispiacere: io vi manderò da vostro padre, voi resterete con lui e la vostra Bestia morirà di dolore".
"No - rispose la Bella piangendo - io vi voglio troppo bene per essere cagione della vostra morte. Vi prometto di ritornare fra otto giorni. Mi avete fatto vedere che le mie sorelle sono maritate e che i miei fratelli sono partiti per l'armata. Il mio povero padre è rimasto solo: lasciatemi almeno una settimana con lui". "Domattina ci sarete - disse la Bestia - ricordatevi delle vostre promesse. Quando vorrete tornare, non dovete far altro che posare il vostro anello sopra la tavola nell'andare a letto. Addio, Bella".
La Bestia, mentre parlava così, sospirò secondo il suo uso solito, e la Bella andò a letto, tutta dispiacente di avergli dato questo dolore.
Quando si svegliò la mattina dopo, si trovò in casa di suo padre, e avendo suonato il campanello accanto al letto, vide venire la serva, la quale cacciò un grand'urlo di sorpresa. Il buon uomo di suo padre, a quell'urlo, corse subito, e nel rivederla, ci mancò poco non morisse dalla contentezza, e stettero abbracciati per più di un quarto d'ora. Sfogate le prime tenerezze, la Bella pensò che non aveva vestiti per potersi levare, ma la serva le disse di aver trovato nella stanza accanto un gran baule pieno di vestiti, tutti d'oro e ornati di brillanti.
La Bella ringraziò la buona Bestia delle sue attenzioni, scelse fra quei vestiti il meno vistoso e ordinò alla serva di riporre gli altri, dei quali intendeva farne un regalo alle sorelle, ma appena ell'ebbe pronunziate queste parole, il baule sparì. Peraltro suo padre avendole detto che la Bestia voleva che ella serbasse per sé ogni cosa, il baule ritornò al suo posto.
La Bella si vestì, e in questo mentre furono avvertite le sue sorelle, le quali corsero subito insieme ai cari mariti.
Tutte e due avevano combinato molto male!
La maggiore aveva sposato un gentiluomo, bello come un amore, ma tanto innamorato di sé, che dalla mattina alla sera non faceva altro che guardarsi allo specchio, senza curarsi né punto né poco della bellezza della moglie.
La seconda aveva sposato un uomo che aveva molto spirito, ma se ne serviva soltanto per essere la disperazione di tutte le donne, cominciando da sua moglie. Le sorelle di Bella quando la videro vestita come una Regina e bella come un occhio di sole, se non creparono dalla rabbia, fu un miracolo.
Ella ebbe un bell'accarezzarle: nulla poté ammansire la loro gelosia, la quale anzi si accrebbe a cento doppi, quando raccontò quanto era felice.
La due invidiose scesero in giardino per potersi sfogare a piangere, e dicevano: "O perché quella ragazzuccia è più fortunata di noi? Non siamo forse più graziose e più belle di lei?".
"Cara sorella - disse la maggiore - mi viene un'idea: facciamo di tutto per trattenerla qui per più di otto giorni, la sua stupida Bestia anderà sulle furie per la parola non mantenuta e forse la divorerà per castigarla".
"Dici bene, sorella - rispose l'altra - ma perché la cosa riesca, bisogna cercare di ammaliarla con molte moine".
Preso questo partito, risalirono in casa tutt'e due e cominciarono a fare tante e poi tante garbatezze alla sorella, che questa ne pianse di consolazione.
Passati che furono gli otto giorni, le due sorelle si strapparono i capelli e diedero segni di disperazione per la partenza di lei, che ella finì col promettere di trattenersi altri otto giorni.





Intanto la Bella rimproverava a se stessa il dolore che stava per dare alla sua povera Bestia, che essa amava davvero e che ora era dispiacente di non poterla vedere.
La decima notte che ella passò in casa del padre, sognò di trovarsi nel palazzo e di vedere la Bestia distesa sull'erba, vicina a morire, e che le rinfacciava la sua ingratitudine. Bella si destò tutt'a un tratto e pianse:
'Non son io molto cattiva - essa diceva - di dare questo dispiacere a una Bestia, che è stata tanto buona con me? E' colpa sua se è così brutta e se ha poco spirito? Ella è buona: e questo val più d'ogni cosa. Perché non ho io voluto sposarlo? Io sarei più felice con lui che le mie sorelle coi loro mariti. Non è la bellezza né lo spirito di un marito che rendono felice una donna, ma la bontà del carattere, la virtù e le buone maniere, e la Bestia ha tutte queste belle cose. Io non sento amore per essa ma la stimo, e ho per lei amicizia e riconoscenza. Ma non debbo renderla disgraziata: questa ingratitudine sarebbe per me un rimorso per tutta la vita'.
Dette queste parole, la Bella si leva, mette l'anello sulla tavola e ritorna a letto. Appena coricata si addormentò e, svegliandosi la mattina, vide con gioia di essere nel palazzo della Bestia.
Si messe i vestiti più belli per andarle a genio anche di più, e s'annoiò mortalmente nella smania di aspettare che arrivassero le nove ore di sera, ma l'orologio ebbe un bel suonare le nove: la Bestia non comparve.
La Bella allora temé di averle cagionato la morte, e disperata si dette a girare per tutto il palazzo, mandando altissimi pianti.
Dopo aver cercato dappertutto, si ricordò del sogno e corse in giardino, vicino al fiume, dove dormendo, l'aveva veduta. E difatti fu lì che trovò la povera Bestia distesa per terra priva di sensi: talché la credette morta.
Senza provar ribrezzo di quella brutta figura, si gettò tutta sopra lei, e avendo sentito che il cuore batteva sempre, prese dal fiume un po' d'acqua e le bagnò la testa.





La Bestia aprì gli occhi e disse alla Bella:
"Voi avete dimenticata la vostra promessa, e il gran dolore di avervi perduta mi ha fatto decidere a lasciarmi morir di fame, ma ora muoio contenta, perché ho avuto la consolazione di potervi rivedere".
"No, mia cara Bestia, voi non morirete - le disse la Bella - voi vivrete per diventare mio sposo: da questo momento io vi do la mia mano, e giuro che non sarò d'altri che di voi. Ohimè! io credeva di non aver per voi che dell'amicizia, ma il dolore che sento mi fa credere che non potrei più vivere senza vedervi". Appena la Bella ebbe pronunziato queste parole, ecco che tutto il castello appare risplendente di lumi: i fuochi di artifizio, la musica, ogni cosa annunziava una gran festa.
Ma queste meraviglie non incantarono punto i suoi occhi: ella si voltò verso la sua cara Bestia, il cui pericolo la teneva in tanta agitazione. E quale fu il suo stupore! La Bestia era sparita, ed essa non vide ai suoi piedi che un Principe bello come un amore, il quale la ringraziava per aver rotto il suo incantesimo. Sebbene questo Principe meritasse tutte le sue premure, ella non poté stare dal chiedergli dove fosse la Bestia.
"Eccola ai vostri piedi - le disse il Principe - una fata maligna mi aveva condannato a restare sotto quell'aspetto finché una bella fanciulla non avesse acconsentito a sposarmi, e mi aveva per di più proibito di far mostra di spirito. Così in tutto il mondo non ci voleva che voi, per lasciarsi innamorare dalla bontà del mio carattere, ed offrendovi la mia corona, non posso sdebitarmi del gran bene che mi avete fatto".
La Bella, piacevolmente sorpresa, porse la mano al bel Principe perché si rialzasse in piedi. E andarono insieme al castello, dov'essa ci mancò poco non si sentisse svenire dalla gioia, trovando nella gran sala il padre suo e tutta la sua famiglia, trasportata al castello da quella bella Signora che le era apparsa in sogno.
"Bella - le disse questa Signora, che era una fata e di quelle coi fiocchi - venite a ricevere la ricompensa della vostra buona scelta: voi avete preferito la virtù alla bellezza e allo spirito, e meritate per questo di trovare tutte quelle cose raccolte in una sola persona. Voi state per diventare una gran Regina, ma spero che il trono non vi farà scordare le vostre virtù. Quanto a voi, mie care signore - disse la fata alle due sorelle della Bella - conosco il vostro cuore e tutta la cattiveria che c'è dentro: diventerete due statue, ma nondimeno serberete il lume della ragione sotto la vostra forma di pietra. Starete alla porta del palazzo di vostra sorella, e non vi impongo altra pena che quella di essere testimoni della sua felicità. Non potrete ritornare nello stato primiero, se non quando riconoscerete i vostri errori, ma ho una gran paura che dobbiate restare statue per sempre. Si può correggere l'orgoglio, le bizze, la gola, la pigrizia, ma la conversione di un cuore invidioso e cattivo è una specie di miracolo".
Nel dir così, diede un colpo di bacchetta, e tutti quelli che erano in quella sala, furono trasportati negli Stati del Principe. I suoi sudditi lo rividero con gioia, ed esso sposò la Bella, che visse con lui lungamente e in una felicità perfetta, perché era fondata sulla virtù.





Tutte le illustrazioni sono di Angela Barrett.