martedì 31 dicembre 2013

I Tre Omini del Bosco, Grimm n.13 - Traduzione Mia

'era una volta un uomo a cui era morta la moglie e una donna a cui era morto il marito. L'uomo aveva una figlia, e così la donna. Le due ragazze erano amiche e, spesso, si intrattenevano insieme in casa della donna. Una volta, ella disse alla figlia dell'uomo:
"Ascolta, di' a tuo padre che voglio sposarlo: ogni mattina, avrai latte in cui lavarti e vino per dissetarti, mentre mia figlia avrà acqua in cui lavarsi e acqua per dissetarsi."
La fanciulla tornò a casa e raccontò al padre ciò che la donna le aveva detto. L'uomo disse:
"Cosa devo fare? Sposarsi è una gioia, ma anche un tormento".
Infine, poiché non riusciva a decidersi, si tolse uno stivale e le disse:
"Prendi questo stivale: ha un buco nella suola. Sali in soffitta, appendilo al chiodo grosso e versaci dentro dell'acqua. Se lo stivale tiene, mi ammoglierò una seconda volta, ma, se lo stivale non tiene l'acqua, non mi risposerò."
La fanciulla fece ciò che il padre le aveva ordinato, ma l'acqua restrinse il buco della suola e lo stivale si riempì fino all'orlo. Allora, scese e riferì al padre cosa aveva deciso la Sorte. L'uomo salì in soffitta a constatare di persona e vide che era vero, quindi, andò dalla vedova, la chiese in moglie, e furono celebrate le nozze.
La mattina dopo, quando le due fanciulle si svegliarono, la figlia dell'uomo trovò latte per lavarsi e vino per dissetarsi, mentre la figlia della donna ebbe acqua per lavarsi e acqua per dissetarsi. La seconda mattina, sia l'una che l'altra trovarono acqua per lavarsi e acqua per dissetarsi, e, la terza mattina, la figlia dell'uomo trovò acqua per lavarsi e acqua per dissetarsi, mentre la figlia della donna ebbe latte in cui lavarsi e vino per levarsi la sete, e, da quel giorno, fu sempre così.
La donna prese a odiare profondamente la figliastra, e non sapeva più che inventarsi per renderle la vita ogni giorno più dura. Oltretutto, si macerava d'invidia perché‚ mentre la figliastra era bella e amabile, la propria figlia era brutta e odiosa.
Una volta - si era d'inverno, c'era un gelo da spaccare le pietre e i monti e le valli erano ricoperti di neve - la donna confezionò un vestito di carta, chiamò la figliastra e le ordinò:
"Su, mettiti questo vestito, va' nella foresta e raccoglimi un cestino di fragole: ne ho voglia!"
"Mio Dio! - disse la fanciulla - le fragole non crescono d'inverno, la terra è congelata e la neve ha ricoperto tutto. E come farò con un abito di carta? Fa così freddo che il fiato si ghiaccia! Il vento ci passerà attraverso e i pruni lo strapperanno."
"Sei ancòra qui a  rispondere?- disse la matrigna - Fila via! E t'avverto: non tornare senza il cestino colmo di fragole."
Poi le diede un pezzetto di pane duro e raffermo, dicendo:
"Così avrai da mangiare per tutto il giorno."
E, intanto, pensava che sarebbe di certo morta di fame e di freddo, e che non l'avrebbe mai più avuta davanti agli occhi.


Ségur A.


La fanciulla obbedì, indossò il vestito di carta e uscì con il cestino. Una spessa coltre di neve si estendeva per ogni dove, e non si scorgeva neanche un filo d'erba. Quando si inoltrò nel bosco, capitò davanti ad una casetta piccola piccola. Da una finestra, tre nani sbirciavano fuori. La fanciulla augurò loro il buongiorno e bussò con discrezione alla porta.
I nani gridarono Avanti!, ed ella entrò e si sedette sulla panca accanto al focolare per scaldarsi e mangiare il suo magro pasto.
I nani dissero: "Danne un pezzetto anche a noi."
"Volentieri!", disse la fanciulla, spezzò in due il suo tozzo di pane e ne diede loro una metà.
I nani le domandarono: "Cosa fai nel bosco, in questo gelido inverno e con quel vestitino di carta?"
"Ah! - rispose la fanciulla - devo riempire il mio cestino di fragole, e, finché non ci sarò riuscita, non potrò tornare a casa."
Quando ebbe mangiato il suo pane, essi le diedero una scopa, dicendo:
"Spazza via la neve davanti alla porta sul retro."
Ma, appena fu uscita, i tre nani si chiesero l'un l'altro:
"Che cosa le regaleremo per ricompensare la sua gentilezza e la sua bontà e perché ha diviso il suo pane con noi?"
Allora, il primo disse: "Che diventi ogni giorno più bella."
E il secondo: "Che le cadano monete d'oro dalla bocca ad ogni parola che pronuncerà."
E il terzo: "Che arrivi un Re e se la prenda in sposa."
La fanciulla, intanto, spazzava via la neve sul retro della  casetta, e cosa trovò, spazzando, se non grosse fragole succose, che chiazzavano di porpora tutto quel candore? Allora, piena di gioia, riempì di fragole il suo cestino, ringraziò gli omini, strinse la mano a tutti e tre, e ritornò di corsa a casa, per portare alla matrigna ciò che le aveva ordinato.


Rackham A.


Entrando, disse Buongiorno!, e subito le cadde una moneta d'oro dalla bocca. Poi, raccontò quel che le era capitato nel bosco, e, a ogni parola che pronunciava, le cadevano monete d'oro dalla bocca, sicché‚ ben presto, il pavimento ne fu completamente ricoperto. E la sorellastra gridò: "Guardate con quanta impudenza getta via il denaro!", ma era molto invidiosa e desiderava andare anche lei nel bosco. La madre, però non voleva e tentò di dissuaderla:
"No, bimba mia, fa troppo freddo, congelerai!"
Ma, poiché la figlia si era intestardita e insisteva da levarle il respiro, finì col cedere. Prima, però, le fece indossare un bell'abito tutto foderato di pelliccia e le preparò panini imbottiti e una torta come pan di via. La fanciulla entrò nel bosco e si diresse subito alla volta della casetta piccola piccola. I tre nani erano alla finestra, sbirciando fuori, ma lei non li degnò di uno sguardo né di un saluto, entrò nella stanza senza tanti complimenti, si accomodò accanto al focolare e incominciò a mangiare la sua colazione.
"Danne un pezzetto anche a noi!", dissero i nani, ma la ragazza rispose: "Basta appena appena per me: come posso darne un po' a qualcun altro?"
Quando ebbe finito di mangiare, i nani le chiesero di spazzare la neve sul retro della casetta, ma ella rispose:
"Come no! Spazzate da voi, non sono mica la vostra serva!"
Quando vide che non avevano intenzione di regalarle qualcosa, infilò la porta e se ne andò, senza manco salutare. Allora, i nani si chiesero l'un l'altro:
"Che cosa le regaleremo per ricambiare la sua sgarberia e per punire il suo cuore duro, invidioso, e avaro?"
Il primo disse: "Che diventi ogni giorno più brutta."
E il secondo: "Che le esca di bocca un rospo a ogni parola che pronuncia."
E il terzo: "Che incontri una morte orribile."
Intanto, fuori, la figlia della donna cercava le fragole, ma, non trovandone neanche una, se ne tornò a casa, ed era furiosa avvelenata. E, quando aprì la bocca per raccontare a sua madre quel che le era successo nel bosco, ad ogni parola che pronunciava, le saltava fuori dalla bocca un rospo orribile, sicché suscitava il ribrezzo di tutti. 
La matrigna si incattivì ancor di più nei confronti della figliastra, e non pensava ad altro che a tormentarla, ma la fanciulla diventava ogni giorno più bella. 
Infine, la cattiva donna prese un calderone, lo mise sul fuoco e vi fece bollire del filo. Quando il filo fu bollito, lo appese alle spalle della povera fanciulla e le diede una scure perché andasse sul fiume gelato, aprisse un buco nel ghiaccio e vi immergesse il filo. La figliastra obbedì, andò al fiume, e, mentre si adoperava per scavare un buco nel ghiaccio, passò di lì una splendida carrozza in cui viaggiava il Re. Questi ordinò che si fermasse la carrozza e le chiese:
"Ragazza mia, chi sei e cosa stai facendo laggiù?"
"Sono una povera ragazza e bagno il filo."
Allora il Re ne ebbe pietà, e, vedendo che era tanto bella, disse:
"Vuoi venire con me?"
"Oh, sì, di tutto cuore!" rispose la fanciulla, felice di non rivedere mai più la matrigna e la sorellastra. Salì nella carrozza del Re e andò via con lui, e, una volta giunti al Palazzo Reale, si celebrarono le loro nozze con grande magnificenza, e tutto andò proprio come i tre omini del bosco le avevano augurato.
Un anno dopo, la giovane Regina partorì un bambino, e, quando la matrigna venne a conoscenza della gran fortuna che le era toccata, si presentò a Palazzo con sua figlia, fingendo che fosse per una visita di cortesia. Ma, non appena il Re si allontanò per breve tempo, e, poiché nella camera non c'era nessun altro, la malvagia donna afferrò la Regina per le spalle, sua figlia l'afferrò per i piedi, la levarono dal letto, e la precipitarono nel fiume che scorreva sotto la finestra. Poi la matrigna fece coricare la sua brutta figlia nel letto e la coprì con le lenzuola fin sopra la testa. Quando il Re ritornò e volle parlare con sua moglie, la vecchia gridò:
"Zitto, zitto, adesso non è possibile: è tutta inzuppata di sudore, è necessario che, per oggi, venga lasciata tranquilla."
Il Re non ci vide nulla di male, e non ritornò che la mattina dopo, e, quando parlò con sua moglie ed ella gli rispose, ad ogni parola che pronunciava, invece di una moneta d'oro, le saltava fuori dalla bocca un viscido rospo! Alle domande del Re la vecchia affermò che era solo l'effetto della gran sudata di quella notte e che tutto sarebbe tornato come prima.


Gabriel Cornelius von Max


Ma, quella notte, lo sguattero vide un'anatra che risalì nuotando il canale di scolo dell'acquaio e che prese a dire:

"Mio Re, che fai? 
Dormi o vegli?"

E, non ricevendo risposta, aggiunse:

"Le mie ospiti che fanno?"

Lo sguattero rispose: "Dormono profondamente."

"E il mio bimbo, che cosa fa?"

E lo sguattero: "Dorme nella sua culla!"
Allora l'anatra riprese le sembianze della Regina, allattò il bambino, gli sistemò il lettino e lo coprì ben bene. Poi, tornata anatra, nuotò via lungo il canale di scolo dell'acquaio. Tutto si ripetè tale e quale la notte successiva. La terza notte, la Regina disse allo sguattero:
"Va' dal Re: digli che prenda la sua spada e, sulla soglia, la brandisca per tre volte sul mio capo."
Lo sguattero corse a dirlo al Re, e questi accorse con la sua spada e, sulla soglia, la brandì tre volte sullo spettro, e, la terza volta, gli apparve la sua sposa, viva, sana e bella come prima. Il Re era colmo di gioia, ma tenne la Regina nascosta in una stanzetta fino alla domenica seguente, giorno in cui il Principino doveva essere battezzato. Dopo il Battesimo, il Re chiese:
"Che cosa merita una persona che ne strappa un'altra dal letto e la getta in acqua?"
"Ah!- disse la vecchia - non merita di meglio che essere chiusa in una botte irta di chiodi al suo interno, e che la botte sia fatta rotolare giù nel fiume dalla cima del monte."
E il Re disse:
"Hai appena pronunciato la tua condanna!", e, fatta preparare una botte chiodata, vi fece rinchiudere la vecchia e sua figlia, e ordinò che sigillassero il fondo della botte, e la botte fu spinta giù dalla montagna, fino a che rotolò nel fiume.

Grimm n.13, "Die drei Männlein im Walde"
Classificazione: AaTh 403-B [The Black and the White Bride]
AaTh 480 [The Spinning-Woman by the Spring (The Kind and the Unkind Girls)]

Traduzione: Mab's Copyright
Il testo in lingua originale è nella pagina Brüder Grimm.



lunedì 30 dicembre 2013

Il Gelo, Afanas'ev n.84 (Russia)

'era una volta un vecchio e una vecchia, che avevano tre figlie. Alla più grande la vecchia non voleva bene (era una figliastra), e spesso la sgridava, la svegliava al mattino presto e la caricava di tutto il lavoro. La bambina accudiva il bestiame, portava nell'isba l'acqua e la legna, accendeva la stufa, faceva i vestiti, scopava la casa e metteva tutto in ordine sin dall'alba, ma neanche così la vecchia era contenta, e gridava a Martina:
"Che pigrona, che disordinata! La scopa non l'hai neppure toccata, eppure non costa tanto, guarda com'è sporca l'isba!"


Vasnecov V.M.

La ragazza taceva e piangeva; essa si sforzava di accontentare la matrigna quanto meglio poteva e di servire le sue figlie, ma le sorelle, vedendo come faceva la matrigna, l'offendevano in tutto, litigando con lei finché non si metteva a piangere: era proprio quello che loro volevano!
Loro s'alzavano tardi, si lavavano con l'acqua già pronta, s'asciugavano con asciugamani candidi, e si sedevano a lavorare dopo mangiato.
Ecco che le nostre ragazzette incominciarono a crescere, si fecero grandi e divennero ragazze da marito. Si fa presto a raccontarlo, non così presto a farlo. Il padre aveva pietà della figlia più grande; le voleva bene perché era ubbidiente, lavoratrice, non era testarda, faceva quello che c'era da fare e non contraddiceva neppure con una parola; ma il vecchio non sapeva come alleviare le pene della ragazza. Lui era debole, la moglie litigiosa, e le figlie di lei pigre e caparbie.
Ed ecco che i nostri vecchi cominciarono a ruminar pesieri: il vecchio pensava come accasare le figlie, mentre la vecchia pensava come liberarsi della più grande. E una volta la vecchia disse al marito:
"Suvvia, vecchio! Bisogna maritare Martina"
"Bene", dice il marito, e intanto si arrampica pian piano sulla stufa e la vecchia alle calcagna:
"Senti vecchio, domani alzati più presto, lega la cavalla al traino e parti con Martina, e tu, Martina, raccogli la tua robetta in una scatola, e mettiti una camicia pulita: domani devi andare a far visite!"
La buona Martina fu tutta contenta di quella fortuna che le capitava, d'esser portata a far visite l'indomani; tutta la notte dormì dolcemente; al mattino presto s'alzò, si lavò, disse le preghiere, raccolse tutta la sua roba, la ripose per benino, si vestì, ed era così bella... una vera fidanzata! Tutto questo accadeva d'inverno e fuori c'era un gelo da spaccare le pietre.
Al mattino, tra il lusco e il brusco, il vecchio legò la cavalla al traino e lo portò avanti alla porta; entrò nell'isba, sedette sulla cassapanca e disse:
"Tutto è pronto."
"Venite a tavola, e mettete qualcosa sotto i denti!", disse la vecchia.
Il vecchio sedè a tavola e si mise la figlia accanto. Il cesto del pane era sulla tavola, lui tirò fuori una pagnotta tonda tonda e ne tagliò per sé e per la figlia.
Intanto la vecchia, scodellato un piatto di minestra di cavoli per il marito, disse:
"Mio caro, mangia e vattene, ne ho abbastanza di starti a guardare! Vecchio, porterai Martina dallo sposo; bada, vecchio barbone, va' dritto per la strada, poi volta a destra verso il bosco, sai dove, là dove c'è quel vecchio pino che sta sul monticello, e lì darai Martina a Gelo".
Il vecchio spalancò gli occhi, aprì la bocca e smise di mangiare; la ragazza si mise a gemere.
"Cosa stai a piagnucolare! Forse che lo sposo non è bello e ricco? Guarda quanti beni possiede: tutti gli abeti, i pini, e le betulle ben adorne; farai una vita invidiabile e lo sposo è un eroe!"
Tacendo, il vecchio mise su il bagaglio, ordinò alla figlia di indossare il pellicciotto, e si pose in cammino; camminò tanto, camminò poco? non so; si fa presto a raccontarlo, non così presto a farlo. Finalmente arrivò al bosco, lasciò la strada e si spinse dritto nella neve, sulla crosta indurita; arrivato nel folto, si fermò, e ordinò alla figlia di scendere, mise lui stesso la scatola sotto un enorme abete e disse:
"Siedi e aspetta il fidanzato; ma bada, sii garbata con lui". Poi voltò il cavallo e andò a casa.


Bederev G.


La ragazza siede tutta tremante, il freddo comincia a invaderla. Avrebbe voluto piangere, ma le mancava la forza: solo i denti battevano. D'improvviso, sente non lontano da lei Gelo che scricchiola sugli abeti; saltava dall'uno all'altro, faceva certi schiocchi! Comparve anche sull'abete sotto cui sedeva la ragazza, e dall'alto le dice:
"E' tiepido, ragazza?"
"Tiepido, tiepido, mio caro Gelo!"
Gelo cominciò a scendere lungo il tronco, scricchiolando e schioccando sempre di più. E chiede alla ragazza:
"E' caldo, ragazza mia? E' caldo, bella?"
La ragazza può appena tirare il fiato, ma dice:
"E' caldo, Gelo! E' caldo, caro!"
Gelo scricchiolò ancora peggio, schioccò più forte ancora, e disse:
"Hai caldo, ragazza? Hai caldo, bella ? Hai caldo, zampino mio?"
La ragazza si sentì diventar di ghiaccio; la sua voce s'udiva appena quando disse:
"Oh, com'è caldo, Gelo mio caro!"
A questo punto, Gelo ebbe pietà di lei, l'avvolse fra le pellicce, la riscaldò con le coperte.
Al mattino la vecchia dice al marito:
"Va', vecchia barba, e sii coraggioso!"
Il vecchio legò il cavallo e andò. Avvicinatosi alla figlia, la trovò viva: aveva indosso una bella pelliccia e un prezioso velo da sposa, e inoltre una scatola di ricchi regali. Senza dire una parola, il vecchio depose tutto sul traino, sedette con la figlia e andò a casa. Arrivarono e la ragazza si gettò ai piedi della matrigna. La vecchia rimase sbalordita al vedere la ragazza viva, la pelliccia nuova e la scatola di biancheria.
"Eh, cagna, a me non mi inganni!"
Ed ecco, la vecchia lasciò passare un po' di tempo e poi disse al vecchio:
"Porta un po' anche le mie figlie dallo sposo: egli non ha ancora presentato loro i regali!"
Ci vuol del tempo a fare, si fa presto a raccontare. Ecco che una mattina all'alba la vecchia diede da mangiare alle sue figliette, le adornò come si deve col velo e la corona, e le mise in viaggio. Il vecchio seguì la stessa strada e lasciò le ragazze sotto l'abete. Le nostre ragazzette si metton sedute e ridono:
"Cosa è saltato in mente a nostra madre di maritarci tutte e due insieme? Come se al nostro paese non ci fossero ragazzi! Chi sa chi diavolo verrà? Non sappiamo neppure chi è!"
Sebbene fossero avvolte nei pelliccioni, le ragazze cominciavano ad aver freddo.
"Paracha, mi sta entrando il gelo nelle ossa. Be', se il nostro pretendente in maschera non arriva, ci congeleremo"
"Basta dire sciocchezze, Maska! Purchè i fidanzati arrivino presto! Adesso a casa staranno pranzando"
"O Paracha! Se viene uno solo, chi sceglierà?"
"Non crederai che prenda te, stupidona!"
"O guarda! E allora te, forse?"
"Naturale che prenderà me"
"Te! Ma smettila di farmi ridere e di dire stupidaggini!"
Intanto, Gelo aveva fatto diventar di ghiaccio le mani delle ragazze. Esse le infilarono sotto le ascelle e ricominciarono come prima.
"Ehi tu, muso insonnolito! Brutto ceffo, grugno immondo!Tu non sai presentarti né comportarti, e in generale ti manca il cervello"
"Oh, tu, fanfarona! Cosa sai fare, tu? Solo andare intorno a chiacchierare e
lisciarti. Stiamo a vedere chi sceglierà per prima!"
Così si bisticciavano le ragazze, ma intanto si congelavano sul serio e d'improvviso esclamarono ad una voce:
"Ma che fesso, perché non viene? Guarda, sei diventata blu!".



Kochergin N.



Ed ecco da lontano Gelo comincia a scricchiolare; salta schioccando da un abete all'altro. Le ragazze sentono che qualcuno s'avvicina.
"Paracha, senti? Sta arrivando con una campanella."
"Vattene, cagna, non sento, il freddo m'ha assordito."
"E vuoi anche trovar marito!"
Cominciarono a soffiarsi sulle dita. Gelo s'avvicina sempre più e più; infine comparve sull'abete, sopra le ragazze. E dice loro:
"Siete al calduccio, ragazze? Siete al calduccio, bellezze? Siete al calduccio, colombelle mie?"
"Ohi, Gelo, fa terribilmente freddo! Ci siamo congelate in attesa del promesso sposo, ma quel maledetto se l'è squagliata".
Gelo cominciò a scender da basso scricchiolando sempre più, schioccando ancor più forte.
"Avete caldo, ragazze? Avete caldo, belle?"
"Va' al diavolo! Sei cieco? Vedi bene che abbiamo mani e piedi congelati".
Gelo scese ancor più basso, picchiò forte e disse:
"Avete caldo, ragazze?"
"Che tu possa sprofondare all'inferno tra i diavoli, sparisci, maledetto!", e in così dire le ragazze divennero dure come ghiaccio.
Al mattino la vecchia dice al marito:
"Attacca un po' il traino, vecchio; mettici una bracciata di fieno, e porta una coperta di pelli. Quelle ragazze debbono essere gelate. Fuori c'è un freddo terribile. Bada di andare svelto, vecchio barbone!"
Il vecchio aveva appena finito di mangiare un boccone che già era fuori, in istrada.
Arriva dalle figlie e le trova morte. Le getta sul traino, le avvolse nella coperta e le ricoprì con una pezzuola. Vistolo da lontano la vecchia gli corse incontro, e così domandò:
"E le ragazze?"
"Sono nel traino"
La vecchia tirò via la pezzuola, tolse la coperta, e trovò le figlie morte.
Qui la vecchia scoppiò come un uragano, e cominciò a maltrattare il vecchio:
"Cosa hai fatto, vecchio cane? Tu hai assassinato le mie figliette, il sangue del mio sangue, la mia semenza, i miei bei boccioli! Io ti acchiappo e t'ammazzo, con l'attizzatoio ti finirò!"
"Basta, vecchiaccia! Lo vedi, ti sei fatta sedurre dalla ricchezza, e anche quelle testarde delle tue figlie! E' colpa mia, forse? Tu stessa l'hai voluto".
La vecchia s'infuriò, gridò, ma infine fece la pace con la figliastra, e da allora vissero felici e contenti, dimenticando i mali. La ragazza fu chiesta in moglie da un vicino, si celebrarono le nozze, e ora Martina vive felice. Quando i nipotini fanno i capricci, il vecchio li spaventa chiamando Gelo.

Anch'io fui alle nozze, bevvi idromele e birra sui baffi scivolò, in bocca niente andò.

Pygmalion (le due serie a confronto), Edward Burne Jones



(Prima Serie), "The Heart Desires" 


 (Seconda Serie), "The Heart Desires"


(Prima Serie), "The Hand Refrains"


(Seconda Serie), "The Hand Refrains"



domenica 29 dicembre 2013

Nonno Gelo (Ded Moroz), Afanas'ev n.96 (Russia)


na matrigna aveva una figliastra e una figlia. Qualsiasi cosa facesse la figlia, la accarezzava sulla testa e diceva: "Che intelligente!". La figliastra, qualsiasi cosa buona facesse, non andava mai bene, non doveva fare così, era tutto brutto. E invece bisogna dirlo: la ragazza era oro, aveva le mani come il formaggio nel burro. Ma la madre ogni giorno si bagnava di lacrime. Il vento prima soffia, poi tace. Ma la vecchia baba prima s'infuria, però non si calma subito, pensa sempre a qualche dispetto così la donna pensò di cacciare la figliastra da casa:
"Portala, portala, vecchio, dove vuoi, purché i miei occhi non la vedano, e le mie orecchie non sentano più parlare di lei; ma non portarla dai parenti, in una casa calda, ma portala nel campo, nel gelo scricchiolante!".
Il vecchio si rattristò, per un poco, pianse per un poco, poi mise la ragazza sulla slitta, voleva coprirla con una coperta, ma ebbe paura. Portò la sventurata senza casa in un campo aperto, la scaricò su un cumulo di neve, le fece il segno della croce, e in fretta tornò a casa, per non assistere alla morte della figlia.
La poverina rimase sola, trema e e dice una muta preghiera. Arriva il Gelo; saltella, fa dei salti, e osserva la bella ragazza:
"Ragazza, ragazza! Io sono Gelo Naso-rosso! (Ded Moroz krasnyj' nos)".
"Salute a te, Gelo. Si capisce che Dio ti ha mandato per la mia anima peccatrice." Gelo voleva colpirla e assiderarla; ma ammirò le sue parole sagge, provò compassione! Le buttò una pelliccia. Lei l'indossò, si strofinò i piedi, si mette a sedere. Viene di nuovo Gelo Naso-rosso, saltella, balla, guarda la bella ragazza:
"Ragazza, ragazza, io sono Gelo Naso-rosso!"
"Salute a te, Gelo. Si capisce che Dio ti ha mandato per la mia anima peccatrice." Gelo sembrò non essere proprio in sé: portò alla bella ragazza un grande baule, pieno di ogni sorta di regali. Lei si sedette, nella sua pelliccia, sul baule, così allegra, così bellina! Arriva di nuovo Nonno Gelo Naso-rosso, saltella, balla, e guarda la bella ragazza. Lei lo accolse con un saluto, e lui le regalò un vestito cucito d'oro e d'argento. Lei lo indossò e fu una vera bellezza, una vera eleganza!


Tuck R.

Siede e canta.
La matrigna prepara la veglia funebre per lei, cuoce le frittelle.
"Va', vecchio, porta a seppellire la tua figlia."
Il vecchio andò.
E il cane sotto il tavolo: "Bau, Bau! Adesso portano la figlia del vecchio tutta vestita d'oro e d'argento, ma la figlia della vecchia i fidanzati non la prenderanno!"
"Taci, stupido cane. Eccoti una frittella, e di': 'I fidanzati prenderanno la figlia della vecchia, e della figlia del vecchio porteranno solo gli ossicini!".
Il cane si mangiò la frittella, ma disse di nuovo: "Bau, bau. Portano la figlia del vecchio tutta vestita d'oro e d'argento, ma la figlia della vecchia i fidanzati non la prenderanno!"
La vecchia diede al cane le frittelle e lo picchiava, ma lui, sempre:
"Portano la figlia del vecchio tutta vestita d'oro e d'argento, ma i fidanzati non prenderanno la figlia della vecchia!".
Il portone scricchiolò, si aprì la porta della capanna, portano un alto e pesante baule, entra la figliastra, tutta risplendente come una vera signora! La matrigna la guardò e allarga le braccia!
"Vecchio, vecchio, attacca altri cavalli, e porta presto mia figlia! Mettila nello stesso campo, nello stesso posto!"
Il vecchio portò la figliastra nello stesso campo, nello stesso posto, e depose la ragazza.






Arrivò Nonno Gelo Naso-rosso, guardò la sua ospite, saltellò e ballò, ma buone parole non le ebbe. Allora si arrabbiò, l'afferrò e la uccise.
"Vecchio, va', portami la mia ragazza, attacca cavalli selvatici, non far affondare la slitta, non perdere il baule!"
E il cane, sotto il tavolo:
"Bau, Bau! I fidanzati prenderanno la figlia del vecchio, ma porteranno in un sacco gli ossicini della figlia della vecchia!"
"Non mentire! Eccoti una torta. Di': 'porteranno la figlia della vecchia vestita d'oro e d'argento!"
Si aprì il portone, la vecchia corse incontro alla figlia, ma invece di lei abbracciò un corpo freddo. Pianse, gridò, ma ormai era troppo tardi.






Baba=donna del popolo, contadina (N.d.T)

Traduzione: E. Bazzarelli, E. Guercetti, E. Klein.

Da Morozco a Ded Moroz (Nonno Gelo)

In principio (?) fu Morozco, molto probabilmente un Dio "pagano"dei boschi e delle montagne, un Dio che torturava ed uccideva con il gelo, ma che, a seconda del suo capriccio, poteva mostrare un lato benefico. Era anche rapitore di bambini (foresta=bambini), ma, se sufficientemente ripagato con doni ed offerte da parte dei genitori disperati, poteva anche restituirli.
Credo che non sempre si debba ricercare una Dèa madre dietro ogni divinità maschile. Spesso, è il rango che cambia, non il genere. Non è sorprendente che a una Dèa terribile, ma anche feconda in quanto femmina, si affianchi un aiutante maschile, sterile come il cupo periodo che sovrintende e/o personifica. Del resto, non è la Vecchia - quindi infeconda - Holle, (e le sue analoghe), che tiene prigioniero il proprio giovane alter ego?


Petar Meseldžija

Questi è Svjatogor, un Eroe della mitologia russa, un semidio guerriero, uno "spaccamontagne" (tutte queste divinità non sono forse sopravvissute, nelle fiabe russe, come Aiutanti prodigiosi dello zarevic Ivan?), il primo grande Bogatyr.
E così viene rappresentato Morozco, già diventato Ded Moroz.





Con l'affermazione del Cristianesimo, Ded Moroz, letteralmente Nonno Gelo, perde i connotati demoniaci, veste i colori dell'inverno, bianco, blu, argento, e, pur conservando la sua pericolosità, la traveste da giustizia.






Nelle fiabe del tipo La Bella e la Brutta, o La Figlia e la Figliastra, premia la cenerentola di turno e punisce terribilmente la brutta e pigra. In realtà, punisce la malvagità e l'avidità della sua orribile madre, la Matrigna della Buona. E, qui, ancòra conserva tracce di quell'inevitabile passaggio da divinità a personaggio folcloristico: le caratteristiche da Elfo crudele e capriccioso alla Jack Frost, evidenti in molte illustrazioni.
In questo tipo fiabesco, svolge la funzione di sposo soprannaturale, ma, un tempo, aveva una sposa alla sua altezza, la personificazione della Primavera, della Natura che rifiorisce e si rigenera. Con lei aveva avuto Snegùrochka, la "fanciulla di neve", protagonista di pièce teatrali e opere (la più celebre quella con musiche di Rimsky-Korsakov), di film e racconti: il più famoso racconto d'inverno russo.


Ded Moroz siberiano

Ded Moroz bielorusso


E, mentre san Nicola si tinge di bianco, blu e argento e indossa pelliccioni,  Ded Moroz diventa un distributore di doni per quei bimbi che, un tempo, teneva come ostaggi in attesa delle offerte dei loro genitori.
Lo accompagna la sfortunata (e rediviva) Snegùrochka, non più figlia, ma dolce nipotina, anch'ella in bianco e blu, con la famosa treccia bionda penzolante sulle spalle. Spesso, cullano amorosamente un neonato, l'Anno Nuovo.
E, ormai,  anche Ded Moroz si tinge di rosso e si tempesta di stelle.

domenica 22 dicembre 2013

Simbologia del Gatto nell'Iconografia Cristiana

Dimenticate le Dèe con la testa di gatto, i gatti sacri, l'Egitto, ecc. Dimenticate Diana che si trasforma in gatta per sfuggire a Tifeo. O, forse, al di là di ogni raffinata spiegazione, proprio in quanto animale sacro e incarnazione di divinità femminili pagane, il gatto venne demonizzato dal Cristianesimo.
E' stato accomunato al Diavolo, agli spiriti delle tenebre, e alle streghe.
Guardate questa Bella Addormentata di Burne Jones. E' evidente che l'artista non ha dubbi sulla natura della dolce vecchietta che, ignara di tutto, fila nella stanzuccia in cima alla torre più alta del castello. E come ci rende partecipi?


Burne Jones E.

Non è un gatto, è una piccola pantera. Si ha quasi l'impressione di vedere una sequenza cinematografica: il gatto-pantera passa dietro la figura della principessa, e, di nero vestita, si siede all'arcolaio in sembianze di "vecchietta".
Ma la schizofrenia della  simbologia cristiana portava a vedere il gatto, in quanto provetto e instancabile cacciatore, addirittura come metafora di Gesù, cacciatore di anime.
E, spesso, il gatto fa da comparsa nelle Annunciazioni e nelle Natività dal momento che, secondo una vulgata, durante la nascita del Bambino, una gatta diede alla luce i suoi cuccioli.

Lotto L.

Era simbolo di Libertà, poiché non sopporta di essere rinchiuso, e, con questo significato, venne raffigurato negli emblemi nobiliari di antiche famiglie sveve e borgognone.
Esaurite le simbologie positive, passiamo al gatto come simbolo del Contrasto e dell'Inimicizia. Il Contrasto veniva raffigurato come un giovane armato di spada ai cui piedi si azzuffavano un cane ed una gatta. Con in più il carico della simbologia del Tradimento, ritroviamo la stessa scena nell'Ultima Cena.
Il gatto è significativamente ai piedi di Giuda.


Vermiglio G.

E, il Tradimento più l'antica affinità con le promiscue Dèe pagane, ne fa anche uno dei simboli della Lussuria.

Mignon A.

Qui il gatto, simbolo di Voluttà, gioca con il topolino prigioniero in gabbia, metafora dei pericoli del corteggiamento. Ulteriore conferma: il vaso che oscilla e cade.


Francisco Goya, Ritratto di Manuel Osorio Manrique de Zuniga

La gazza, tenuta con uno spago - fedele alla sua natura cleptomane, ha rubato un biglietto che tiene nel becco, espediente estetico per una originale firma dell'autore -  è simbolo dell'Anima "puntata" dai gatti, ovvero dalle Tentazioni.

Hans Baldung Grien

La Musica, affiancata da un gattone grasso e sonnacchioso, simbolo del temperamento flemmatico.



mercoledì 18 dicembre 2013

Cait Sith, il Gatto Malefico della Unseelie Court



E adesso parliamo di micetti...
Ho già raccontato del Cane Nero e delle innumerevoli macabre leggende che lo accompagnano, ( in tutto il Regno Unito, c'è da dire).
Spettro sotto forma di cane, spettro di un cane demoniaco, incarnazione del Male: pelo ritto, sporco e bagnato, occhi rossi, grande come un vitello.
Il Cait Sith è grande... quanto un Cane Nero, con la schiena arcuata e i peli dritti.
Cait= Gatto, Sith= Sidhe, quindi: il gatto del popolo fatato. In particolare nella tradizione scozzese, appartiene alla cosiddetta Unseelie Court, la Corte Malvagia (o degli Scontenti).

Froud B.

I membri della Seelie Court, la Corte Felice - che è il termine generico per gli esseri fatati (Fairies) buoni - possono fare cose perfide se vengono offesi mentre la Corte Malvagia non è mai, in nessuna circostanza, favorevole all'umanità. Essa comprende gli Sluagh o la "Moltitudine", che è il gruppo dei peccatori morti che volteggia sulla terra e ghermisce gli uomini indifesi, e gli esseri fatati solitari terribili come l'Uomo Bruno delle Brughiere (The Brown Man of the Muirs), Pelle di Conchiglia (Shelley-Coat), Nuckelavee, i Berretti Rossi (Redcap), Baobhan Sith e molte altre creature cattive il cui principale piacere consiste nel colpire o addolorare gli uomini. [K.Briggs]

Le raccolte di area celtica pullulano di incidenti con queste pericolose processioni fatate. Guai a versare all'aperto l'acqua sporca e/o bollente senza lanciare prima grida di avvertimento, guai a dimenticare l'offerta di panna e latte prima di coricarsi, guai a calpestare inavvertitamente la coda del Cait Sith...
A Samain l'offerta di latte era vitale: una dimenticanza avrebbe prosciugato le mammelle delle mucche!
Come per il Cane Nero, si pensava che anche il Cait Sith potesse essere altro. Ad esempio, una strega. Si riteneva che alcune streghe avessero la facoltà di trasformarsi in gatti malefici per sette volte, ma un ulteriore tentativo le avrebbe condannate a restare feline per sempre. Probabilmente, è da questo tipo di credenze che è nata l'espressione: avere sette vite come un gatto.

La Feill Fadalach, ovvero la veglia funebre, è una tradizione che accomuna le Highlands a molti altri Paesi. I Celti vegliavano per un tempo imprecisato il cadavere (ho letto versioni discordanti) perché temevano che, in quel delicato periodo, l'anima (il concetto di anima non è il nostro) potesse tentare di rientrare nel corpo, preferibilmente sotto forma di mosca. Per questo, venivano sigillati gli orifizi e legata la mandibola. Ma esisteva un altro pericolo: poiché l'anima, subito dopo la morte, indugiava nel corpo o nella stanza in cui era stata ricomposto, rischiava di essere "catturata". Da chi? Il Cait Sith era fortemente sospettato. Quindi, portava malissimo se un gatto si soffermava nelle vicinanze di una salma, e, se proprio si ostinava a non allontanarsi, venivano usati varii espedienti per ingannarlo: si spegneva il fuoco, perché amava il caldo, si ingaggiavano sfide di salto, incontri di lotta perché amava gli spettacoli cruenti, oppure danze perché gli esseri fatati adorano danzare, o si spargeva erba gatta per allettarlo altrove, oppure si proponevano indovinelli senza dare la soluzione perché si arrovellasse distraendosi dai suoi propositi sinistri...
E dal Cait Sith discende, quasi certamente, il gatto nero protagonista di uno dei più popolari racconti di E.A.Poe.




Esiste un Re dei Gatti... (altro post).
Esiste una terribile divinità demoniaca, il Big Ears. Esso appare al termine di una cerimonia detta Taghairm.

E' forse la cerimonia magica più orribile che si conosca; consiste nell'arrostire una serie di gatti allo spiedo fino a che, al termine del rito, appare un gatto gigantesco che acconsente ad esaudire i desiderii dei torturatori. Questa pratica orrenda fu eseguita per l'ultima vota agli inizi del XVII secolo ed è stata documentata nel marzo 1824 nel London Literary Gazette. E' citata, inoltre, da D.A. Mackenzie in Scottish Folk-Lore and Folk Life. Gli esecutori della cerimonia furono Allan MacLean e Lauchlan MacLean che continuarono ad arrostire gatti per quattro giorni di seguito senza toccare cibo. Il loro granaio si riempì di demoniaci gatti neri miagolanti e alla fine apparve il loro capo Grandi Orecchie (Big Bears) che concesse agli uomini ciò che desideravano.( Il London Literary Gazette riportò che, quando esso apparve, si poggiò su un masso e il segno dei suoi artigli è ancora visibile).

Mab's Copyright


martedì 17 dicembre 2013

Il Lupo Mannaro,fiaba di Luigi Capuana

'era una volta un Re e una Regina che non avevan figliuoli e pregavano i santi, giorno e notte, per ottenerne almeno uno. Intanto consultavano anche i dottori di Corte. Maestà, fate questo. - Maestà, fate quello. E pillole di qua, e beveroni di là; ma il sospirato figliuolo non arrivava a spuntare. Una bella giornata ch'era freddino, la Regina s'era messa davanti il palazzo reale per riscaldarsi al sole. Passa una vecchiarella: "Fate la carità! "
Quella per la noia di cavar le mani di tasca rispose: "Non ho nulla".
La vecchiarella andò via brontolando.
"Che cosa ha brontolato?", domandò la Regina.
"Maestà, ha detto che un giorno avrete bisogno di lei". La Regina le fece correre una persona dietro, per richiamarla; ma la vecchiarella aveva svoltato cantonata ed era sparita. Otto giorni dopo, si presentava un forestiero, chiedeva di parlare in segreto col Re: " Maestà, ho il rimedio per guarir la Regina. Ma prima facciamo i patti".
"Oh, bravo! Facciamo i patti."
"Se nascerà un maschio, lo terrete per voi".
"E se una femmina?"
"Se una femmina quando avrà compiti i sette anni, dovrete condurla in cima a quella montagna e abbandonarla lassù: non ne saprete più nuova"
"Consulterò la Regina"
"Vuol dire che non ne farete nulla".
Stretto fra l'uscio e il muro, il Re accettò. Il forestiero cavò di tasca una boccettina, che gli spariva fra le dita e disse: "Ecco il rimedio. Questa notte, appena la Regina sarà addormentata, Vostra Maestà glielo versi tutto intero in un orecchio. Basterà".
Infatti, dopo nove mesi, la Regina partorì e fece una bella bambina. A questa notizia il Re diede in uno scoppio di pianto: "Povera figliolina, che mala sorte! Che mala sorte!"

Gilbert A.Y.

La Regina lo seppe: "Maestà, perché avete pianto: Povera figliolina, che mala sorte?"
"Non ne fate caso".
La Reginotta cresceva più bella del sole: il Re e la Regina n'erano matti. Quando entrò nei sette anni, il povero padre non sapeva darsi pace, pensando che presto doveva condurla in cima a quella montagna, abbandonarla lassù e non averne più nuove! Ma il patto era questo: bisognava osservarlo. Il giorno che la Reginotta compì i sette anni, il Re disse alla Regina: "Vo in campagna colla bimba; torneremo verso sera".
Cammina, cammina, giunsero a piè della montagna e cominciarono a salire. La Reginotta non potea arrampicarsi, e il Re se la tolse in collo.
"Babbo, che andiamo a fare lassù? Torniamo indietro".
Il Re non rispondeva, e si bevea le lagrime che gli rigavano la faccia.
"Babbo, che andiamo a fare lassù? Torniamo indietro".
Il Re non rispondeva, e si bevea le lagrime che gli rigavano la faccia.
"Babbo, che siam venuti a fare quassù? Torniamo indietro".
"Siediti qui; aspetta un momento". E l'abbandonò alla sua sorte.
Vedendolo tornar solo, la Regina cominciò a urlare: "E la figliuola? E la figliuola?"
"Calò giù un'aquila, l'afferrò cogli artigli e la portò via".
"Ah, figliuola mia! Non è vero!"
"Le sbucò addosso un animale feroce e andò a divorarsela nel bosco".
"Ah, figliolina mia! Non è vero!"
"Faceva chiasso in riva al fiume e la corrente la travolse".
"Non è vero! Non è vero!"
Allora il Re le raccontò per filo e per segno ogni cosa. E la Regina partì, come una pazza, per ritrovar la figliuola. Salita in cima alla montagna, cercò, chiamò tre giorni e tre notti, ma non scoperse neppure un segnale; e tornò, desolata, al palazzo. Eran passati sette anni. Della bimba non s'era più saputo nuova. Un giorno la Regina si affaccia al terrazzino e vede giù nella via quella vecchiarella tanto ricercata: "Buona donna, buona donna, montate su."
"Maestà, oggi ho fretta; verrò domani". La Regina rimase male.
E il giorno dopo stette tutta la mattinata ad aspettarla al terrazzino.
Come la vide passare: "Buona donna, buona donna, montate su".
"Maestà, oggi ho fretta; verrò domani".
Il giorno dopo, la Regina, per far meglio, andò ad aspettarla innanzi il portone. "Maestà, oggi ho fretta; verrò domani". Ma la Regina la prese per una mano e non la lasciò andar via; e per le scale le domandò perdono di quella volta che non le aveva fatto l'elemosina. "Buona donna, buona donna, fatemi ritrovar la mia figliuola!"
"Maestà, che ne so io? Sono una povera femminuccia".
"Buona donna, buona donna, fatemi ritrovar la mia figliuola!"
"Maestà, male nuove. La Reginotta è alle mani d'un Lupo Mannaro, quello stesso che diè il rimedio e fece il patto col Re. Fra un mese le domanderà: mi vuoi per marito? Se lei risponde di no, quello ne farà due bocconi. Bisogna avvertirla".
"E il Lupo Mannaro dov'abita?"
"Maestà, sotto terra. Si scende tre giorni e tre notti, senza mangiare, né bere, né riposare, e al terzo giorno s'arriva. Prendete un coltellino, un gomitolo di refe e un pugno di grano, e venite con me".
La Regina prese tutto quello che la vecchiarella avea ordinato, e partì insieme con lei. Giunsero ad una buca, che ci si passava appena. La vecchiarella attaccò un capo del refe a una piantina e disse:
"Chi semina raccolga, Chi ti attacca, quei ti sciolga". Ed entrarono.
Scendi, scendi, scendi, la Regina già si sentiva le ginocchia tutte rotte. "Vecchiarella, riposiamo un tantino!"
"Maestà, è impossibile".
Scendi, scendi, scendi, la Regina non si reggeva più dalla fame.
"Vecchiarella, prendiamo un boccone, mi sento svenire!"
"Maestà, non è possibile".
Scendi, scendi, scendi, la Regina affogava di sete.
"Vecchiarella, per carità, un gocciolo di acqua!"
"Maestà, non è possibile". E sbucarono in una pianura. Il gomitolo del refe terminò. La vecchiarella attaccò quell'altro capo ad una pianticina, e disse:
"Chi semina raccolga, Chi ti attacca, quei ti sciolga". Cominciarono ad inoltrarsi. Ad ogni passo la Regina dovea lasciar cadere in terra un chicco di grano e la vecchiarella diceva: "Grano, grano di Dio, Com'io ti semino, vo' mieterti io". Il grano nasceva e cresceva subito, colle spighe mature che penzolavano.
"Maestà, ora piantate in terra il coltellino e sputate tre volte; siamo arrivati".
La Regina piantò il coltellino e sputò tre volte; e la vecchiarella disse:
"Coltellino, coltellino di Dio, Com'io ti pianto, vo' strapparti io".
Lasciamo costoro e torniamo alla Reginotta. Vistasi sola sola in cima alla montagna, s'era messa a piangere e a strillare; poi, povera bimba, s'era addormentata. Si svegliò in un gran palazzo; ma per quelle stanze e quei stanzoni non vedeva anima viva. Gira, rigira, era già stanca. "Reginotta, sedete, sedete!" Le sedie parlavano. Si sedette, e dopo un pezzettino, cominciò a sentirsi appetito. Comparve una tavola apparecchiata, colle pietanze fumanti. "Reginotta, mangiate, mangiate!". La tavola parlava. Mangiò, bevve, e poco dopo le vennero le cascaggini. "Reginotta, dormite, dormite!". Il letto parlava. Era uno stupore. Così tutti i giorni. Non le mancava nulla, ma s'annoiava a star lì senza vedere un viso di cristiano. Spesso piangeva, pensando al babbo e alla mamma; ed una volta si mise a chiamarli ad alta voce, tra i singhiozzi:
"Babbo mio! Mamma mia! Con che cuore mi lasciate qui, mammina mia!"
Ma una vociona le gridò: "Sta' zitta! Sta' zitta!" Ranicchiossi in un canto, e non ebbe animo di più fiatare.
Passato un anno, un bel giorno si sentì domandare: "Vuoi vedermi?"
E non era quella vociona. Rispose: "Volentieri". Ed ecco gli usci si spalancano da loro stessi, e di fondo alla fila delle stanze viene avanti un cosino alto un cubito, vestito d'una stoffa a trama d'oro, con un berrettino rosso e una bella piuma più alta di lui.
"Buon giorno".
"Buon giorno. Oh, bimbo mio, come sei bello!" E lo prese in braccio e cominciò a baciarlo, a carezzarlo, a farlo saltare in aria come una bambola.
"Mi vuoi per marito? Mi vuoi?"
La Reginotta rideva: "Ti voglio, ti voglio". E un altro salto per aria, prendendolo fra le mani.
"Come ti chiami?"
"Gomitetto".
"Che fai qui?"
"Sono il padrone".
"Allora lasciami andare! Lasciami tornare a casa mia!"
"No, no! Dobbiamo sposarci".
"Per ora bada a crescere!"
Gomitetto se l'ebbe a male ed andò via. E per un anno non si fece vivo. La Reginotta s'annoiava a star lì senza vedere un viso cristiano. Ogni giorno chiamava: "Gomitetto! Gomitetto!"  Ma Gomitetto non rispondeva.
Un bel giorno le domandò di nuovo: "Vuoi vedermi?"
Volentieri. In un anno dovea esser cresciuto un pochino: ma gli usci si spalancarono, e le venne innanzi sempre lo stesso cosino alto un gomito, vestito di stoffa a trama d'oro, col berrettino rosso sormontato da quella bella piuma più alta di lui.
"Buon giorno".
"Buon giorno". La Reginotta, nel vederlo lo stesso, rimase sorpresa. Lo prese in collo e cominciò a baciarlo, a carezzarlo, a farlo saltare in aria come una bambola.
"Mi vuoi per marito? Mi vuoi?"
La Reginotta rideva: "Ti voglio! Ti voglio! Ma per ora bada a crescere". E qui un capitombolo per aria, prendendolo fra le mani. Gomitetto se l'ebbe a male e andò via. Ogni anno così; ed eran passati sette anni. Intanto la Reginotta s'era fatta una ragazza, che ci volevan quattro paia d'occhi per guardarla. Una notte non potendo prender sonno, pensava al babbo e alla mamma: - Chi sa se più si ricordano di me? Forse mi credono morta!" E piangeva sui guanciali; quand'ecco sente buttar dei sassolini all'imposta della finestra. Chi poteva essere, a quell'ora? Si fece coraggio, saltò giù dal letto, aperse adagino adagino l'impòsta, e domandò: "Chi siete? Che cosa volete?"
"Son io, figliuola mia; siam venute per te!" Dall'allegrezza stava per saltar dalla finestra.
"Ascolta, figliuola - disse la Regina sotto voce. - Quel Gomitetto è il Lupo Mannaro. Ti s'è mostrato a quel modo per non farti paura. Ma ora che sei grande, fra qualche giorno t'apparirà col suo vero aspetto. Figliuola mia, non atterrirti. E se ti domanda: Mi vuoi per marito? rispondi di sì; altrimenti sarai morta; ne farà due bocconi. La prossima notte a quest'ora ci rivedremo".
La mattina, la Reginotta udì la solita voce: "Vuoi vedermi?"
"Volentieri".

Bauer J.

Si spalancarono gli usci, ma, invece di Gomitetto, venne avanti il Lupo Mannaro alto, grosso, peloso, con certi occhiacci e certe zanne, che Dio ne scampi ogni creatura! La Reginotta si sentì mancare.
"Mi vuoi per marito? Ti feci fare apposta per me". Lei tremava come una foglia. "Mi vuoi per marito?"
Più la Reginotta sentiva quella vociaccia, e più tremava e si smarriva.
"Mi vuoi per marito?"
Voleva rispondergli: sì! Ma le scappò detto: "Oh, no! no!"
"Allora vien qui!"
E l'afferrò colle granfie per ingoiarsela.
"Mangiami almeno domani! Te lo chieggo per grazia!"
Il Lupo Mannaro stette un momentino incerto, e poi rispose:
"Ti sia concesso! Sarai mangiata domani".
La notte, all'ora fissata, lei s'affacciò alla finestra:
"Ah, mammina mia! Mi scappò detto di no; sarò mangiata domani".
"Fatevi coraggio!", disse la vecchiarella. E picchiò forte al portone.
"Chi è? Chi cercate?" All'urlo del Lupo Mannaro tutto il palazzo tremava.
"Son coltellino, 
Son piantato nella terra dura,
Per difender la creatura".
Contro questa malìa, il Lupo Mannaro non poteva nulla. E la mattina, all'alba, venne fuori; e come vide il coltellino, si mordeva le mani:
"Se trovo chi l'ha piantato, ne faccio un boccone!"
Cercò, frugò attorno, ma non trovò nessuno. All'ultimo chiamò la Reginotta:
"Vien qua, strappami di terra questo coltellino: non ti mangerò più".
La Reginotta gli credette, e strappò il coltellino.
"Ed ora vien qui! E l'afferrò colle granfie per ingoiarsela".
"Mangiami almeno domani! Te lo chieggo per grazia". Il Lupo Mannaro stette un momentino incerto, e poi rispose:
"Ti sia concesso".
La notte, la Reginotta s'affacciò alla finestra: "Ah, mammina mia! Mi disse: strappa di terra questo coltellino, ed io glielo strappai. Domani sarò mangiata!"
"Fatevi coraggio!"

Bauer J.

E la vecchiarella picchiò forte al portone. "Chi è? Chi cercate?" All'urlo del Lupo Mannaro, tutto il palazzo tremava.
"Son frumentino, 
Son seminato nella terra scura, 
Per difender la creatura".
Contro questa malìa, il Lupo Mannaro non poteva nulla. E la mattina all'alba, venne fuori; e come vide il seminato colle spighe penzoloni, si mordeva le mani:
"Se trovo chi lo seminò, ne faccio un boccone".
Cercò, frugò intorno, ma non trovò nessuno. E la mattina dopo disse alla Reginotta: "Vieni qua: mietimi questo frumento; non ti mangerò più".
La Reginotta gli credette, e si mise all'opera. Per lei non c'era malìa, e in una giornata poté facilmente terminare di mieterlo.
"Ed ora vien qui!"
"Mangiami almeno domani! Te lo chieggo per grazia". Quegli stette un momentino incerto, e poi rispose: "Ti sia concesso, per l'ultima volta".
La notte, la Reginotta s'affacciò alla finestra: "Ah, mammina mia! Mi disse: mieti questo frumento ed io glielo mietei. Domani sarò mangiata".
"Fatevi coraggio!"
E la vecchiarella picchiò forte al portone."Chi è?", urlò il Lupo Mannaro.
"Son refe fino. 
Son attaccato alla pianta matura, 
Per difender la creatura".
Contro questa malìa, il Lupo Mannaro non poteva nulla. E la mattina all'alba venne fuori, e come vide il capo del refe legato alla pianticina, si mordeva le mani: "Vien qua; scioglimi questo refe dai due capi: non ti mangerò più".
La Reginotta era stata indettata dalla vecchiarella. Non doveva fermarsi un passo, né mangiare, né bere, ma aggomitolare, aggomitolare e andare avanti. Sciolse quel capo, e lei avanti, aggomitolando, il Lupo Mannaro dietro. "Ripòsati, ripòsati!"
"Quando sarò stanca, mi riposerò". Lei avanti aggomitolando, e il Lupo Mannaro dietro.
"Prendi un boccone, prendi un boccone!"
"Quando avrò fame mangerò". Lei avanti aggomitolando, e il Lupo Mannaro dietro.
"Bevi un gocciolino d'acqua, un gocciolino!"
"Quando avrò sete, berrò". Eran già arrivati alla buca d'uscita. Come il Lupo Mannaro s'accorse che l'altro capo del refe era attaccato alla pianticina di fuori, cominciò a mordersi rabbiosamente le mani. E vista la vecchiarella, diventò bianco come un panno lavato. "Ah! La nemica mia! Son morto! Son morto!"
La Regina e la Reginotta si voltarono e, invece della vecchiarella, videro una bellissima signora, che pareva la stella del mattino. Era la Regina delle Fate. Figuriamoci che allegrezza! La Regina delle Fate prendeva intanto dei sassi, e li metteva l'uno sull'altro davanti la buca.
"Sassi, sassi di Dio, 
Io vi muro e vo' smurarvi io!"
Murata la buca, la Regina delle Fate sparì. E quella brutta bestiaccia crepò di fame lì dentro. La Regina e la Reginotta tornarono sane e salve al palazzo; e un anno dopo la Reginotta sposò il Re di Portogallo.

Da:
Il Raccontafiabe


Senza-Orecchie, Fiaba di Luigi Capuana

'era una volta un Re che avea una bimba. La Regina era morta di parto, e il Re avea preso una balia che gli allattasse la piccina. Un giorno la balia scese, insieme colla bimba, nel giardino reale. La bimba avea tre anni, e si divertiva a fare chiasso sull'erba, all'ombra dei grandi alberi. Sull'ora di mezzogiorno la balia s'addormentava; ma quando si svegliò, non trovò più la Reginotta. Cerca, chiama per tutto il giardino; nulla! La bimba era scomparsa. Come presentarsi al Re, che andava matto per quella figliuola? La povera balia si picchiava il petto, si strappava i capelli: Dio! Dio! Sua Maestà l'avrebbe fatta impiccare! Agli urli della balia erano accorse le guardie. Fruga e rifruga, tutto fu inutile. Venne l'ora del pranzo. "E la Reginotta?", domandò il Re. I ministri si guardarono in faccia, più bianchi di un panno lavato. "La Reginotta dov'è?"
"Maestà, - disse un ministro - è accaduta una disgrazia!" Il Re pareva fuori di sé dal gran dolore. Fece subito un bando: Chi riporta la Reginotta, gli si concede qualunque grazia. Ma eran già passati sei mesi, e al palazzo reale non s'era visto nessuno. I banditori andavano di regno in regno: Sia cristiano, sia infedele, chi riporta la Reginotta, gli vien concessa qualunque grazia. Ma passò un anno, e al palazzo reale non si presentò nessuno. Il Re era inconsolabile: piangeva giorno e notte.

Stegg A.

Nel giardino reale c'era un pozzo. La Reginotta, mentre la balia dormiva, s'era accostata all'orlo e vi si era affacciata. Vedendo, laggiù, nello specchio dell'acqua, un'altra bimba sua pari, l'avea chiamata: - Ehi! Ehi! - , accennando colle manine. Allora era sorto dal fondo del pozzo un braccio lungo lungo, peloso peloso, che l'afferrò e la tirò giù. E così, da parecchi anni, lei viveva in fondo a quel pozzo, col Lupo Mannaro che l'aveva tirata giù. In fondo al pozzo c'era una grotta grande dieci volte più del palazzo reale. Stanze tutte oro e diamanti, una più bella e più ricca dell'altra. È vero che non ci penetrava mai sole, ma ci si vedeva lo stesso. La bimba veniva servita da quella Reginotta che era. Una cameriera per spogliarla, una per vestirla, una per lavarla, una per pettinarla, una per recarle la colazione, una per servirla a pranzo, una per metterla a letto. S'era già abituata e non ci viveva di cattivo umore. Il Lupo Mannaro russava tutto il santo giorno e la notte andava via. Siccome la bimba, quando lo vedeva, strillava dalla paura, si facea veder di rado: non volea spaventarla. Intanto la Reginotta s'era fatta una bella ragazza. Una sera, entrata in letto, non poteva dormire. Sentito che il Lupo Mannaro si preparava ad andar via, tese meglio l'orecchio. Il Lupo Mannaro con quella sua vociaccia ròca, urlava:"Chiamatemi il cuoco". Il cuoco venne. "Credo che siamo in punto, - gli disse - mi pare una quaglia" "Bisogna vedere", rispose il cuoco.
La Reginotta sentì che giravano adagino il pomo della serratura: Ahimè! Dunque si trattava di lei? Il Lupo Mannaro voleva mangiarsela. Le si accapponò la pelle, sfido io! Si fece piccina piccina, e finse di dormire. Il Lupo Mannaro s'accostava al letto, svoltava le coperte con cautela, e il cuoco cominciava a tastarla tutta, come gallina da tirargli il collo. "Ancora una settimana, - disse il cuoco - e sarà un boccone reale".
Come intese queste parole, la Reginotta si senti rinascere: Otto giorni! Oh, quella quaglia il Lupo Mannaro non l'avrebbe mangiata; no, no! Pensa e ripensa, le venne un'idea. La mattina, saltata giù dal letto, appostossi alla bocca della grotta, dentro il collo del pozzo, ed aspettò che venisse gente ad attinger acqua. La carrucola stride, la secchia fa un tonfo, ed ecco la Reginotta che s'afferra alla corda, puntando i piedini sull'orlo della secchia. La tiravano su lentamente; era un po' pesa. A un tratto la corda si rompe, e secchia e Reginotta, patatunfete, giù! Accorsero le cameriere e la ritirarono dall'acqua. "Ebbi un capogiro e cascai. Non ne fate motto, per carità; il Lupo Mannaro mi picchierebbe". E passò un giorno. Il secondo giorno, aspetta aspetta, la secchia non venne giù. Bisognava trovare un altro mezzo: ma non era come dirlo. Quale? La grotta non aveva che quell'unica uscita. E passò un altro giorno. La Reginotta non si perdette d'animo. Appena aggiornava, era al suo posto; ma la secchia non calava. E passarono altri due giorni.

Stegg A.

Una mattina, mentre lei piangeva dirottamente, guardando fisso nell'acqua vide lì un pesciolino rosso, che parea d'oro, colla coda bianca come l'argento, e con tre macchie nere sulla schiena. "Ah! Pesciolino, tu sei felice! Tu sei libero in mezzo all'acqua, ed io qui sola, senza parenti né amici!"
Il pesciolino montava a fior d'acqua, dimenando la coda, aprendo e chiudendo la bocca; pareva l'avesse sentita: "Ah! Pesciolino, tu sei felice! Tu sei libero in mezzo all'acqua, ed io qui sola, senza parenti né amici. Fra quattro giorni sarò mangiata!"
Il pesciolino rosso, dalla coda bianca e dalle tre macchie nere sulla schiena, s'era accostato alla sponda: "Se tu fossi di sangue reale e volessi sposarmi, saremmo liberi tutti e due. Per vincere il mio incanto non ci vuol altro".
"Son sangue reale, pesciolino d'oro, e son tua sposa fino da questo momento"
"Cavalcami sulla schiena e tienti forte".
La Reginotta si mise a cavalcioni del pesciolino e gli si afferrò alle branchie; e il pesciolino, nuota, nuota, la portò in fondo al pozzo. Di lì passava un fiume, sotto terra. Il pesciolino infilò diritto la corrente e la Reginotta gli si tenne sempre ben afferrata alle branchie. Ma ecco, in un punto, un pesce grossissimo, con tanto di bocca spalancata, che voleva ingoiarli: "Pagate il pedaggio, o di qui non si passa". La Reginotta si strappò un'orecchia e gliela buttò.
Nuota, nuota, ecco un altro pesce più grosso del primo, con tanto di bocca spalancata e una foresta di denti: "Pagate il pedaggio, o di qui non si passa". La Reginotta si strappava l'altra orecchia e gliela buttava.
Quando la corrente sboccò all'aria aperta, il pesciolino depose la Reginotta sulla sponda e diè un salto fuor dell'acqua. Era diventato un bel giovane, con tre piccoli nèi sulla faccia. Lei disse:
"Andiamo a presentarci al Re mio padre. Son tredici anni che non mi vede".
Al portone del palazzo reale non volevano lasciarla passare.
"Sono la Reginotta! Son la figliuola del Re!"
Non ci credeva nessuno, nemmeno il Re. Pure ordinò di fargliela venire dinanzi: Chi sa? Poteva anche darsi! Il Re la guardò da capo a piedi: gli pareva e non gli pareva. Lei gli raccontò la sua storia; ma non disse nulla delle orecchie, per vergogna. Infatti nascondeva il suo difetto, tenendo basse le trecce. Ma un ministro se n'accorse: "E le orecchie, figliuola mia? Dove le perdeste le orecchie?" Il Re, indignato, la condannava a rigovernare i piatti e le stoviglie della cucina reale.
Il principe Pesciolino (lo chiamarono subito così) fu dannato a spazzar le stalle: Imparassero in tal modo a farsi beffa del Re! Un giorno Sua Maestà volea mangiare del pesce. Ma in tutto il mercato c'era due pesci soltanto, e nessuno sapeva che razza di pesci si fossero, neppure i pesciaioli. Ed erano lì dal giorno avanti, e cominciavano a passare. Ma il Re volea del pesce ad ogni costo, e il cuoco li comprò: "Maestà, non c'è che questi; nessuno sa che pesci siano, neppure i pesciaioli. Trovansi in mercato da due giorni e cominciano a passare". "Sta bene, - disse il Re - portali in cucina".
In cucina il cuoco fa per sventrarli, e che gli trova nelle budella? Due orecchie di creatura umana, ancor stillanti sangue! Chiamarono subito Senza-orecchie, come le aven messo il nomignolo: "Senza-orecchie, Senza-orecchie, ecco roba per te!" La Reginotta accorse: eran davvero le sue orecchie. Tremante dalla contentezza se le adattò al capo e le si appiccicarono; il sangue avea servito da colla. Colle orecchie, il Re suo padre raffigurolla ad un tratto: "È lei! È la mia figliuola!"
E bandì feste reali per otto giorni. Poi, siccome era vecchio, volle lasciare il regno. E il re Pesciolino e la regina Senza-orecchie regnarono a lungo dopo di lui. 

Stretta la foglia, e larga la via, 
Dite la vostra, ché ho detto la mia.

Da:
C'era una Volta...Fiabe