venerdì 19 dicembre 2014

Il Corteo dei Lupi Mannari - (Germania).


econdo una leggenda del Livland, passato il giorno di Natale, un giovane, claudicante da una gamba, va in giro a radunare tutti i devoti del Maligno, che sono un gran numero, e ordina loro di seguirlo. Se qualcuno esita o è in ritardo, viene costretto a seguire il corteo da un uomo grande e grosso, che lo fustiga con una frusta di ferro. La violenza dei colpi è tale che, sul loro corpo, anche dopo molto tempo, permangono macchie e cicatrici molto dolorose. Se invece si aggregano al corteo perdono le loro sembianze umane e si trasformano in lupi mannari. Il gruppo è costituito da circa duemila individui, preceduti dall'uomo con la frusta di ferro. Se vengono condotti nei campi assalgono brutalmente il bestiame e arrecano gravi danni. Tuttavia non è loro concesso di ferire gli uomini. Se giungono a un ruscello o a un fiume il capo, battendo con la sua frusta sulla superficie, fa dividere le acque perché possano passare senza bagnarsi. Dopo dodici giorni però il corteo viene sciolto e i lupi mannari ritornano a essere uomini.

Da: Jacobus e Wilhelm Grimm, "Deutsche Sagen", 1816, in "Il Bosco. Miti, leggende e fiabe" (A. Mari - Ulrike Kindl)


Linda Bergkvist


1) Una frase importante: "Non è loro concesso di ferire gli uomini."
2) Il periodo: subito dopo Natale. Teniamo presente l'incredibile numero di credenze popolari che riguardano quella notte.
3) Si inserisce nello svariato panorama dei Cortei, notturni e quasi sempre demoniaci, di cui parlerò a parte.
4) La "separazione delle acque", oltre ad essere una grottesca "rappresentazione" di una storia biblica, (un po' come il padrenostro recitato a rovescio), accenna alle superstizioni/credenze riguardanti i corsi d'acqua-confine per gli spiriti diabolici. Nelle fiabe, soprattutto nelle nostre fiabe meridionali, il fiume che blocca, spesso inspiegabilmente, l'inseguimento da parte della Strega o dell'Orco/Dèmone, è invariabilmente chiamato "il fiume Giordano".

Mab

mercoledì 10 dicembre 2014

L'Uomo Selvaggio, Grimm n.136, Traduzione Mia

'era una volta un uomo: era simile a una bestia, poiché lo avevano affatturato, e imperversava nei campi e negli orti dei contadini, sciupando i raccolti e arrecando grande danno. I villani, allora, si recarono dal loro Feudatario, lamentarono le scorribande dell'Uomo Selvaggio e conclusero che, a causa di ciò, non avrebbero potuto pagare il loro tributo. Il Feudatario chiamò la sua banda di cacciatori e annunciò che quello tra loro che fosse riuscito a catturare l'Uomo Selvaggio avrebbe ottenuto una grossa ricompensa. Un vecchio cacciatore si fece largo tra i compagni e disse che avrebbe catturato l'Uomo Selvaggio. Chiese una fiasca di acquavite, una di vino e una di birra, e le depose sulle rive di uno stagno dove l'Uomo Selvaggio si recava tutti i giorni; poi, si nascose dietro un albero e aspettò. L'Uomo Selvaggio arrivò, vide le fiasche, bevve il loro contenuto, gli piacque, e tracannò tutto, tanto da ubriacarsi e cadere in terra, profondamente addormentato. Il vecchio cacciatore, allora, balzò fuori dal suo nascondiglio, gli si avvicinò e gli legò mani e piedi; quindi, lo svegliò, lo costrinse ad alzarsi e gli disse:
"Uomo Selvaggio, se mi seguirai senza fare storie, avrai da bere tutti i giorni".
E lo spinse fino al castello del suo Signore, e lo chiuse in una gabbia.
Il Feudatario invitò nobili e cortigiani a vedere la strana bestia catturata dal suo cacciatore.
Uno dei figli del Signore del castello, intanto, giocava con una palla, la palla gli sfuggì e rotolò sino alla gabbia del prigioniero, infilandosi tra le sbarre. Il bambino disse:"Uomo selvaggio, ridammi la mia palla".
Ma l'Uomo Selvaggio rispose:
"Devi venire a prenderla, se la vuoi."
"Ma non ho la chiave!", disse il bambino.
"Rubala dalla borsa di tua madre".
Il bambino rubò la chiave ed aprì la cella, ma l'Uomo Selvaggio fuggì via.
E il bambino gridò:
"Uomo Selvaggio, rimani, non fuggire: mi castigheranno!"
Allora, l'Uomo Selvaggio tornò sui suoi passi, si mise il bambino sulle spalle e fuggì nel fitto del bosco con lui. E così il Selvaggio era fuggito dalla sua prigione e il bambino era perduto. Dopo averlo vestito con una vecchia casacca, l'Uomo Selvaggio mandò il ragazzo alla Corte dell'Imperatore, a proporsi come apprendista dal capo giardiniere.
Il capo giardiniere disse che il ragazzo era tanto sporco che gli altri apprendisti non avrebbero voluto dormire con lui, e il ragazzo, senza fiatare, si adattò a dormire sulla paglia, e, ogni mattina, all'alba, andava a lavorare di buona lena.
Un giorno, venne a trovarlo l'Uomo Selvaggio, e gli disse di lavarsi e pettinarsi, poi, rese il giardino del Re così lussureggiante come nessun giardiniere era mai stato capace di fare.


Poynter E.


La Principessa notò quel bel ragazzo, e andava a guardarlo nei giardini finché‚ un bel giorno, chiese al capo giardiniere che l'apprendista le portasse un mazzo di fiori. Ella chiese al ragazzo da quanto tempo fosse lì, ma egli rispose che non lo sapeva. Allora, la Principessa gli regalò un pane cavo pieno di ducati, ma il ragazzo diede il denaro al suo padrone dicendo:
 "Che me ne faccio? Prendetelo voi".
La volta successiva, la Principessa gli diede un'anitra piena di ducati, e, anche questa volta, egli consegnò il denaro al suo padrone.
La terza volta, la Principessa gli regalò un'oca piena di ducati, e il ragazzo la diede al suo padrone. Così, mentre la Principessa credeva che egli serbasse il denaro, il ragazzo, invece, non teneva nulla per sé. La Principessa sposò in segreto il giovane apprendista, ma i suoi genitori s'infuriarono e le fecero fare la serva e la mandarono a vivere in cantina, a guadagnarsi il pane filando.
Il ragazzo andò in cucina ad aiutare il cuoco, e, ogni tanto, rubava un pezzetto di carne e lo portava a sua moglie.


Eleanor Fortescue-Brickdale


In quel tempo, scoppiò una grande guerra in Inghilterra, e anche l'Imperatore dovette andarci con tutti i suoi Nobili. Il ragazzo disse che voleva andarci anche lui, se era rimasto un cavallo nella stalla. Gli fu detto che ce n'era uno che aveva solo tre zampe, ma che per lui andava benone. Egli montò a cavallo e caracollò via.
Ed ecco, gli viene incontro l'Uomo Selvaggio, e lo conduce sotto una grande montagna, e là era schierato un reggimento di mille soldati, e l'uomo Selvaggio gli regalò una magnifica divisa e  uno splendido cavallo. Quando il ragazzo raggiunse l'Imperatore, questi lo trovo così simpatico che gli chiese se voleva essere suo aiutante di campo. E il ragazzo ingaggiò battaglia e sconfisse tutti.
L'Imperatore, nel ringraziarlo, volle sapere di quali terre fosse il Signore, e il ragazzo rispose:"Non chiedetemelo perché non lo so", e se ne tornò dal'Inghilterra con i suoi uomini. Ed ecco, gli viene incontro l'Uomo Selvaggio che richiude tutti i soldati nella grande montagna, e il ragazzo se ne tornò a casa sul cavallo con tre zampe. E la gente lo derideva:
"Da dove spunta questo pezzente sul cavallo con tre zampe?", e gli chiedeva:"Ti sei nascosto a dormire in qualche cantuccio?".
"Se non ci fossi andato io in Inghilterra - ribatteva lui - non ci sarebbe andata così bene!"
E la gente lo ammoniva: "Zitto, ragazzo, che te le suonano!"
Quando scoppiò un'altra guerra, egli, di nuovo, sconfisse il nemico. Ma, questa volta, rimase ferito ad un braccio; l'Imperatore prese la sua sciarpa e gli fasciò la ferita con le sue mani, e voleva che rimanesse con lui.
"Con voi non posso restare - rispose il ragazzo - e non dovete chiedere chi io sia".


Eleanor Fortescue-Brickdale


Ed ecco, gli viene incontro l'Uomo Selvaggio, che nascose il suo esercito dentro la grande montagna, e il ragazzo se ne tornò a casa sul cavallo con tre zampe.
E la gente lo derideva:"Da dove se ne viene il pezzente? Dove ti sei nascosto a dormire?" E il ragazzo rispondeva:"Non ho dormito, e l'Inghilterra è tutta conquistata, e adesso avremo una vera pace".
Un giorno, l'Imperatore raccontava le gesta dei valenti cavalieri che avevano combattuto al suo fianco. Allora, il ragazzo disse all'Imperatore:
"Se io non fossi stato con voi, non sarebbe andata così bene".
L'Imperatore s'infuriò e voleva punirlo, ma il ragazzo disse:
 "Se non volete credere alle mie parole, guardate il mio braccio".
E, quando l'Imperatore vide la ferita, gridò: "Forse tu sei Dio stesso, o un angelo inviatomi da Dio!" E lo pregò di perdonarlo per essere stato così superbo e gli sottomise la sua persona e tutti i suoi beni. Allora, si sciolse l'incantesimo che imprigionava l'Uomo Selvaggio, che si rivelò essere un gran Re. Egli raccontò la sua storia, e la grande montagna tornò ad essere un castello, e il ragazzo ne prese possesso con la Principessa sua sposa e vissero felici contenti per il resto della loro vita.

Grimm n.136, "Der Eisenhans".
Classificazione: AaTh 502 [The Wild Man as a Helper]
Traduzione: Mab's Copyright

Il testo in lingua originale è nella Pagina: "Brüder Grimm".

martedì 9 dicembre 2014

Ninnillo e Nennella, Pentamerone, Giornata Quinta, Cunto Ottavo, G.B. Basile

Iannuccio ha due figli dalla prima moglie i quali, essendosi esso riammogliato, sono odiati dalla matrigna, ed è costretto a lasciarli in un bosco. Sperduti e separati l'uno dall'altro, Ninnillo diventa caro cortigiano di un principe; e Nennella, naufragando, è ingoiata da un pesce fatato; ma, gettata poi sopra uno scoglio e riconosciuta dal fratello, è dal principe riccamente maritata.


'era una volta un padre chiamato Iannuccio, che aveva due figli, Ninnillo e Nennella, ai quali voleva bene quanto alle sue pupille. Ma, avendo la morte con la lima sorda spezzato le inferriate del carcere dell'anima della moglie, egli si prese una brutta strega, che era un pescecane maledetto; la quale, tosto che ebbe messo piede nella casa del marito, cominciò ad essere cavallo di una stalla e a dire:
"Sono venuta, dunque, a spidocchiare i figli di un'altra! Questo mi mancava che mi prendessi tale impiccio e mi vedessi attorno due rompimenti di stinchi! Oh, che mi fossi rotto l'osso del collo prima di venire a quest'inferno per mangiar male e dormir peggio col fastidio di queste zecche! Non è vita da soffrire! Sono venuta per moglie e non per serva. Bisogna che prenda il mio partito e trovi recapito a queste pittime, o trovi recapito per me stessa. È meglio arrossire una volta che impallidire cento volte. Ora c'imparentiamo per sempre! Sono risoluta o di vederne il costrutto o di rompere in tutto e per tutto".
Il povero marito, che aveva posto un po' d'affetto a questa femmina, le disse: "Senza collera, moglie mia, che lo zucchero costa caro! Domattina, prima che canti il gallo, ti leverò questo fastidio dattorno, per tenerti contenta".
Cosi la mattina dopo, innanzi che l'Alba spandesse la coperta di Spagna rossa per scuotere le pulci alla finestra d'oriente, esso, presi per mano i due figli, infilzato al braccio un buon paniere di cose da mangiare, li condusse in un bosco, dove un esercito di pioppi e di faggi stringevano d'assedio le Ombre. Colà giunto, Iannuccio disse:
"Bambini miei, statevene qui; mangiate e bevete allegramente e, se qualcosa vi mancherà, vedete questa striscia di cenere che vado seminando? Questa sarà il filo che, cavandovi dal labirinto, vi porterà passo passo a casa vostra".


Carl Offterdinger, (Hansel Gretel)


E, dato un bacio all'una e all'altro, se ne tornò piangendo a casa. Ma nell'ora in cui tutti gli animali, citati dagli sbirri della Notte, pagano alla natura il censo del necessario riposo, i due fanciulli, per la paura di stare in quel luogo deserto, dove le acque di un fiume, percotendo, per castigarle, le pietre impertinenti, avrebbero fatto sbigottire un Rodomonte, s'avviarono pian piano per quella straduccia di cenere, ed era già mezzanotte quando adagino adagino giunsero a casa.
Al vederli, Pascozza, la matrigna, fece cose non da femmina ma da furia infernale, levando le strida al cielo, battendo mani e piedi, sbuffando come cavallo che s'è adombrato, dicendo:
"Che bella cosa è questa? Donde sono rispuntati questi mocciosi fastidiosi? È possibile che non ci sia argento vivo che valga a scrostarli da questa casa? E possibile che tu me li voglia tenere dattorno proprio per rovello al mio cuore? Va', levameli sul momento dagli occhi, che non voglio aspettare musica di galli e lamenti di galline. Se no, ti puoi stuzzicare i denti ch'io dorma mai più con te; e domattina me la filo a casa dei parenti miei: che tu non mi meriti! Non ti ho portato in casa tanti bei mobili per vederli scacazzati dal puzzo dei deretani altrui; né ti ho dato cosi buona dote per vedermi schiava di figli che non sono miei".
Lo sventurato Iannuccio, che vide la barca male avviata e la cosa andar troppo nel caldo, si prese sull'istante i bambini, e, tornato nel bosco, e, dato loro un altro panierino di cosette da mangiare, disse:
"Voi vedete, figli miei, quanto vi ha in uggia quella cagna di mia moglie, venuta alla casa mia per la rovina vostra e per chiodo di questo cuore. Perciò restatevene in questo bosco, dove gli alberi, più pietosi di lei, vi faranno tetto contro il sole; dove il fiume, più caritatevole, vi darà da bere senza veleno; e la terra, più cortese, vi offrirà sacconi d'erba senza pericoli. E, quando vi mancherà da mangiare, vedete la viuzza di crusca che io vi fo, diritta diritta, e voi potrete venire a domandare soccorso".
Cosi detto, torse il viso dall'altra parte per non farsi vedere a piangere e toglier animo ai poveri piccini. Quando ebbero consumato il contenuto del panierino, i due bambini vollero tornare a casa; ma un asino, figlio della mala ventura, s'era leccata la crusca sparsa per terra, ed essi sbagliarono strada, tanto che andarono per un paio di giorni errando per entro il bosco, pascendosi di ghiande e castagne che raccattavano da terra.


Goble W.


Ma, poiché il Cielo stende sempre la sua mano sugl'innocenti, capitò a caccia, in quel bosco, un principe; e Ninnillo, sentendo l'abbaiar dei cani, ebbe tanta paura che si gettò nel cavo di un albero, e Nennella prese tale fuga che si trovò a una marina. Qui erano sbarcati certi corsari per far legna, e il capo loro se la portò a casa, dove la moglie, alla quale era testé morta una figlia, la tenne in luogo di questa.
Ninnillo intanto, rannicchiato in quella corteccia d'albero, fu attorniato dai cani, che facevano abbaiate da stordire; sicché il principe volle vedere che cosa fosse, e, trovato quel bel bambino, che non seppe dire come si chiamavano il padre e la madre tanto era piccolo, lo aggiustò sul cavallo di un cacciatore e lo portò con sé. E con grande cura fece allevarlo nel suo palazzo e insegnargli le virtù, e, tra le altre, l'arte dello scalco, che non passarono tre o quattro anni, ed egli vi divenne cosi bravo, che spartiva a capello.
In questo tempo, essendosi scoperto che il corsaro, presso cui si trovava Nennella, era ladrone di mare, vollero metterlo in prigione; ma esso, che aveva amici gli scrivani e li teneva a stipendio, se la svignò con tutti i suoi. E forse fu giustizia del Cielo che, avendo egli commesso i suoi imbrogli sul mare, sul mare ne pagasse la pena; sicché, imbarcatosi sopra una barca sottile, nel mezzo del mare gli venne tale raffica di vento e furia di onde che il legnetto si capovolse e tutti affogarono. Solo Nennella, che non aveva, come la moglie e i figli del corsaro, colpa in quei ladrocini, scampò dal pericolo; e, nel momento che gli altri cadevano nell'acqua, si trovò presso la barca un pesce fatato, il quale, aprendo un abisso di gola, se la inghiotti. E, quando la giovinetta credette di aver terminato i giorni suoi, proprio allora ammirò cose da trasecolare nel ventre di quel pesce. C'erano colà campagne bellissime, giardini magnifici, e una casa da signore con tutti gli agi, dove Nennella fu trattata da principessa. Ora accadde che quel pesce la portasse di peso a uno scoglio, dove, essendo la maggiore afa dell'estate e la più ardente fornace, il principe era venuto a prendere il fresco. E, mentre si preparava un gran banchetto, Ninnillo s'era posto a un verone del palazzo, che sorgeva su quello scoglio, ad affilare certi coltelli, assai dilettandosi dell'ufficio suo per farsi onore.


Goble W.


Nennella lo vide e lo conobbe dal fondo delle fauci aperte del pesce, e subito mosse una voce di lamento:

Fratello, mio fratello! 
Affilato è già il coltello, 
già la mensa è preparata, 
e gran gioia a tutti è data:
 solo a me la vita incresce, 
senza te, qui in gola al pesce! 

Sulle prime, Ninnillo non fece attenzione a queste parole, ma il principe, che stava a un altro balcone, vide il pesce e udì un'altra volta le stesse parole, e fu preso da meraviglia. Inviò, dunque, una mano di servitori per vedere se in qualche modo potessero gabbare il pesce e tirarlo a terra; ma poiché, intanto, sempre si udiva replicare quel "Fratello, mio fratello!", domandò uno per uno a tutte le genti se qualcuno avesse perduto la sorella. Rispose Ninnillo, che in quel momento si andava ricordando della cosa come in sogno, che, quando si trovava nel bosco, aveva con sé una sorella, della quale non aveva saputo più nulla.
Il principe gli disse di accostarsi al pesce e vedere che cosa fosse, perché tale ventura, forse, toccava a lui. E, al suo appressarsi, il pesce posò la testa sullo scoglio, e, spalancando sei canne di fauci, lasciò uscire Nennella, che parve appunto lo spettacolo di un intermezzo, nel quale una Ninfa, per incanto di un mago, esce da un animale. Al principe, che la interrogava, Nennella accennò qualche parte dei travagli suoi e dell'odio della matrigna; ma né essa né il fratello sapevano ricordarsi il nome del padre né il luogo dov'era la loro casa. Onde fu gettato un bando che chi avesse perduto in un bosco due figli, Ninnillo e Nennella, andasse al palazzo reale e ne avrebbe avuta buona nuova.
Iannuccio, che stava sempre triste e sconsolato, perché credeva che i figli fossero stati divorati dai lupi, corse giubilando al principe a dirgli che esso proprio aveva smarrito i fanciulli. E, avendo raccontato la storia di come fosse stato sforzato a portarli nel bosco, il principe gli somministrò una grande intemerata, chiamandolo scioccone bestione, che s'era fatto mettere i piedi sul collo da una femmina, riducendosi a mandare all'avventura due gioielli, com'erano i suoi figli. Ma, dopo che gli ebbe rotto il capo con queste parole, vi mise l'empiastro della consolazione, mostrandogli i figli che egli non si saziò di abbracciare e baciare per più di mezz'ora; e il principe, fattogli levare di dosso il rozzo gabbano, lo fece rivestire da gentiluomo. Chiamò poi la moglie di Iannuccio e le additò quelle due foglie d'oro, domandandole:"Che cosa meriterebbe chi loro facesse male e li mettesse a rischio di morte?".
Colei rispose: "Per me, lo metterei chiuso in una botte e lo rotolerei dall'alto di una montagna".
"Ecco che hai quello che chiedi: la capra ha rivolto le corna contro se stessa. Orsù, poiché tu hai scritto la sentenza, e tu la paga; tu che hai portato tant'odio a cotesti belli tuoi figliastri".
E die ordine che si eseguisse la sentenza ch'essa medesima aveva pronunziata. Nel tempo stesso trovò un ricco gentiluomo suo vassallo, e lo die per sposo a Nennella, e la figlia di un altro signore pari a questo, e la die per moglie al fratello; e all'uno e all'altra entrate bastevoli per vivere essi e il padre, senz'aver bisogno di alcuno al mondo.
La matrigna, intanto, fasciata da una botte, sfasciò la propria vita, gridando sempre pel buco finché le restò fiato:

 Tarda il castigo, ma non ti fidare! 
Viene una volta e tutte fa pagare!



Victor Nizovtsev



"Ninnillo e Nennella", G.B. Basile, Pentamerone, Giornata V, Cunto 8.
Traduzione di Benedetto Croce.
Il testo originale è nella Pagina: G.B. Basile.

Il Vitellino con le Corna d'Oro, Calvino n.178 (Sicilia, Pitré)

i racconta che c'era un marito e una moglie, e avevano due figli, maschio e femmina. Morì la moglie, e il marito passò a seconde nozze; e la nuova moglie aveva una figlia orba da un occhio.
Il marito era contadino e andò in un feudo a lavorare. La moglie, quei due bambini di cui era matrigna, non li poteva vedere; fece il pane e li mandò a portarlo al marito; ma per farli perdere li mandò in un altro feudo, dalla parte opposta. I bambini arrivarono a una montagna e cominciarono a chiamare il padre:
"Tata! Tata!", ma rispondeva loro solo l'eco.


Goble W.


Si persero, e così camminarono a caso per la campagna, e al fratellino venne sete. Trovarono una fontana e lui voleva bere; ma la sorellina, che era fatata e sapeva le virtù delle fontane, domandò:

"Fontanella, fontanella,
Chi ne beve una scodella
Cosa mai diventerà?"

E la fontana rispose:

"Chi dell'acqua mia berrà
Asinello diverrà."

Il fratellino si tenne la sete e andarono avanti. Trovarono un'altra fontana e il fratellino voleva buttarsi a bere. Ma la sorellina domandò:

"Fontanella, fontanella,
Chi ne beve una scodella
Cosa mai diventerà?"

E la fontana rispose:

"Chi dell'acqua mia berrà
Un bel lupo diverrà."

Il fratellino non bevve e andarono avanti. Trovarono ancora una fontana, e la sorellina:

"Fontanella, fontanella,
Chi ne beve una scodella
Cosa mai diventerà?"

E la fontana rispose:

"Chi dell'acqua mia berrà
Vitellino diverrà."

La sorella non voleva lasciar bere il fratellino ma lui aveva tanta sete che disse:
"Tra morir di sete e diventare un vitellino, preferisco diventare un vitellino", e si buttò a bere. In men che non si dica diventò un vitellino con le corna d'oro.
E la sorellina riprese la via insieme al fratello trasformato in un vitello dalle corna d'oro.


Goble W.


Così arrivarono alla spiaggia del mare. Sulla spiaggia del mare c'era una bella casina, ed era la villeggiatura del figlio del Re. Il figlio del Re era alla finestra e vide questa bella ragazza che se ne veniva per la spiaggia con un vitellino, e disse:
"Sali qui con me."
"Salgo - disse lei - se lasci venire con me il mio vitellino."
"Perché ci tieni tanto?", chiese il figlio del Re.
"Ci sono affezionata perché l'ho allevato con le mie mani e non lo voglio lasciare neanche per un minuto."
Il Reuzzo s'innamorò di questa ragazza e la prese in moglie, e così vivevano, con il vitellino dalle corna d'oro sempre insieme.
Intanto il padre, che era tornato a casa e non aveva più trovato i suoi figlioli, viveva in gran pena. Un giorno, per divagarsi da questa pena, se ne andò a coglier finocchi. Arrivò sulla spiaggia del mare e vide la casina del Reuzzo. Alla finestra c'era sua figlia: lei lo riconobbe e lui no.
"Salite su, buon uomo - disse lei, e il padre salì - Non mi conoscete?", gli disse.
"Se devo dire, non mi parete una faccia nuova."
"Sono vostra figlia!"
Si gettarono nelle braccia l'uno dell'altra; lei gli disse che il fratello era diventato un vitellino ma che lei aveva sposato il figlio del Re, e il padre ebbe molta soddisfazione di sapere che quella figlia che credeva persa aveva fatto un così buon matrimonio e che anche suo figlio era vivo, se pur così cambiato.
"Ora, padre mio, vuotate questo sacco di finocchi, che ve lo riempio di denari."
"Oh, chissà come sarà contenta la vostra matrigna!", disse il padre.
"Perché non le dite di venire a stare qui, insieme a sua figlia orba d'un occhio?", disse la figlia.
Il padre disse di sì e fece ritorno a casa.
"Chi ti ha dato questi denari?", gli chiese la moglie, tutta sbalordita a vedergli aprire il sacco.
"Moglie mia! Sai che ho trovato mia figlia che è moglie d'un Reuzzo e ci vuole tutti a casa sua, me, te e tua figlia orba d'un occhio."
A sentire che la figliastra era ancora viva, la donna si sentì divorare dalla rabbia, ma disse:
"Oh, che bella notizia! Non vedo l'ora di vederla!"
Così, mentre il marito era rimasto a regolare i loro interessi, la moglie e la figlia orba d'un occhio arrivarono alla casina del Reuzzo. Il Reuzzo non c'era, e la matrigna, appena si trovò sola con la figliastra, l'afferrò e la buttò fuori dalla finestra che dava a picco sul mare. Poi vestì la figlia orba d'un occhio delle vesti della sorellastra e le disse:
"Quando tornerà il Reuzzo, tu mettiti a piangere e digli: Il vitellino dalle corna d'oro m'ha accecato un occhio e sono orba!", e dopo averla così istruita se ne tornò a casa, lasciandola lì sola.
Tornò il Reuzzo e la trovò coricata, che piangeva.
"Perché piangi?", le chiese, credendola sua moglie.
"Il vitellino con una cornata m'ha fatto orba di un occhio! Ahi, ahi!"
Il Re, subito, gridò:
"Sia chiamato il beccaio, e sia scannato il vitello!"
Il vitellino, a sentire queste parole, corse via, s'affacciò alla finestra che dava sul mare e disse:

O sorella, mia sorella,
Qui già arrotan le coltella,
Già preparano il bacile
Per il sangue mio gentile!

E dal mare si sentì una voce che diceva:

Le tue lagrime son vane,
Sono in bocca al pescecane!

Il beccaio, a sentir ciò, non ebbe il coraggio di scannare il vitellino, e andò a dire al Reuzzo:
"Maestà, venite a sentire cosa dice il vitellino."
Il Reuzzo s'avvicinò e sentì:

O sorella, mia sorella,
Qui già arrotan le coltella, 
Già preparano il bacile
Per il sangue mio gentile!

E dal mare gli rispose quella voce:

Le tue lagrime son vane,
Sono in bocca al pescecane!

Il Reuzzo subito chiamò due marinai e si misero alla pesca del pescecane. Lo pescarono, gli aprirono la bocca e ne uscì la sua sposa sana e salva.
La matrigna e la sorellastra orba di un occhio furono imprigionate. Per il vitellino chiamarono una Fata che lo fece diventare un bel giovanotto, perché intanto era cresciuto.

(Agrigento)

Calvino n. 178 (da: Pitré, "Fiabe, Novelle e Racconti Popolari Siciliani", n. 283)
Il testo in lingua originale è nella Pagina: "Fiabe Popolari - Italia".


Goble W.


Dalle note di Calvino:
"... di questa fiaba di diffusione europea ho trovato solo versioni infantili e rudimentali. Ho integrato qua e là (per esempio, nei versi) il testo siciliano con altre versioni e ne ho variato il finale troppo truculento."

Naturalmente, Calvino non tradisce la dipendenza dalla sindrome di Frankenstein, ma - e questo è veramente imperdonabile - censura il finale "troppo truculento"... diffusissimo in molte fiabe popolari italiane, in ispecie del tipo "La Bella e la Brutta", che tanto s'apparenta a questo tipo fiabesco (vedi V. Imbriani e la sua Novellaja Fiorentina, ad esempio). E dei versi non avremmo sentito certo la mancanza, tanto è d'effetto la scarna e dolente versione originale.
Riporto l'ultima parte in Siciliano de La Parrastra (La Matrigna), "finale truculento compreso".

La Parrastra

Lu vitidduzzu quannu 'ntisi diri accussì, ca s'avía di scannari, affaccia a lu barcuni, e chiama la suoru di lu mari:

"Oh! suruzza anedda anedda,
Pri mia si scarfa l'acqua,
E s'ammolanu li cutedda."

Rispunni la suoru di (da) lu mari:

"Oh! fratuzzu, 'un t'haju chi fari,
Sugnu 'mmucca di lu piscicani."

Lu Re quannu 'ntisi diri a lu vutieddu sti paroli, va a 'ffaccia a la finestra, e quannu vitti la muglieri chi era nni lu mari, chiama du' marinara, e la fici pigliari, l'acchianaru susu, la fici risturari; e pùa piglià' l'orva e la fici ammazzari; la taglia a piezzi e la sala pi tunnina, e la manna a sò matri.
Quannu sò matri vitti stu rigalu, dissi a li vicini: "Taliati chi mi mannà' mà figlia la Riggina?"
E cumincià' a spennirla a li vicini, e cumincià' a manciarni. Idda avía un gattu e cumincia a maghijari e cci dicía:
"Dunamìnni tanticchia, ca ti lu dicu."
Rispunni a lu gattu e cci dissi:
"Gattazzu tintu, chi mi ha' a diri?"
Rispusi lu gattu e cci dissi:
"Chissa è la carni di vostra figlia orva."
Si mitti a riminari lu varlìri e va a trova la testa cu un uocchiu e li mani, e tannu si pirsuadì' chi era la carni di sò figlia, e ij' nni li vicini, e cci dissi:
"Vummitativi tutti, ca chista è la carni di mà figlia orva."
Sò maritu pi vìdiri comu era stu fattu si nni va nni la figlia pi 'nfurmarsi di lu fattu; chidda cci cunta la ragiuni, vitti ca la figlia avía ragiuni, abbannuna la muglieri perfida e si ristà' cu la figlia.

"La Parrastra", Pitré, da "Fiabe, Novelle e Racconti Popolari Siciliani", n. 283.
Il testo in lingua originale è nella Pagina: Fiabe Popolari-Italia.

Altre segnalazioni su fiabe del tipo "Fratellino e Sorellina", nell'ambito delle mie letture.

Сестрица Аленушка и братец Иванушка, ("Sorella Elenuccia, Fratello Giovannino", Afanas'ev n.29)
La Sorgente che Tramuta in Leone, (Provenza)
Il Principe Cervo, (Turchia, P.S. Buck)
La Ragazza d'Oro, (Zingari, Ungheria)
Aniello e Anella, (De Simone n.6)

lunedì 8 dicembre 2014

La Zarevna Morta e i Sette Bogatyri, A. Pushkin (Ultima Parte)

Elisej Prence va galoppando
pel vasto mondo sempre cercando
la sua promessa da che l'ha persa,
lacrime amare intanto versa.
Domanda a destra, domanda a manca,
di domandare mai non si stanca:
chi gli sghignazza proprio sul volto,
chi invece gli occhi subito ha volto.
E disperato alfin al Sole stesso
rivolge queste parole:
"O Sole nostro tu che altero
nel cielo corri per l'anno intero,
che porti inverno e primavera
e tutto vedi da mane a sera,
dai tu risposta al mio quesito:
non hai tu visto in qualche sito
giovane e bella la Principessa,
la mia amata sposa promessa?"


"Mio caro amico - risponde il Sole -
io non l'ho vista e me ne duole.
Chissà s'è viva la poverina.
Forse la Luna, la mia vicina,
può averla vista in qualche sito
o le sue tracce può aver seguito."
Lì della notte le oscure ore
Elisej brama col suo dolore.
Come la Luna in ciel si leva
la sua preghiera a lei solleva:
"Luna tu cara Luna fidata
o tu brillante falce dorata
che ti sollevi nel buio fondo
sguardo splendente in viso tondo,
tu che le stelle innamorate
guardano fisse come incantate,
dai tu risposta al mio quesito:
non hai tu visto in qualche sito
giovane e bella la Principessa,
la mia amata sposa promessa?"
"Fratello caro - dice la Luna -
io non ho visto fanciulla alcuna.
È vero, monto io di vedetta,
ma solamente quando mi spetta.
La Principessa sarà passata
di certo quando non ero alzata."
Fa Elisej Prence: "Ah, che disdetta!"
E a lui la Luna: "Però, aspetta!
Di lei qualcosa forse sa il Vento.
Se glielo chiedi sarà contento
lui d'aiutarti a ritrovare
la tua amata, non disperare!"


Elisej Prence incoraggiato
il Vento invoca ora accorato:
"Vento veloce, vento possente
tu che le nubi spingi agilmente,
che agiti il mare azzurro e fondo
e soffi ovunque sul vasto mondo,
tu che nessuno temi o paventi
e di Dio solo la voce senti,
dai tu risposta al mio quesito:
non hai tu visto in qualche sito
giovane e bella la Principessa,
la mia amata sposa promessa?"
E turbinando risponde il Vento:
"Oltre un ruscello che scorre lento
alta montagna s'erge e distende,
fonda caverna in lei discende
ed entro ad essa nel buio greve
cristallo puro dondola lieve:
bara sospesa ad alti pali
e non v'è traccia lì di mortali,
vuoto all'intorno, ed entro ad essa
giace - sepolta - la tua promessa."
Fugge lontano veloce il Vento,
Elisej Prence piange sgomento,
verso quel luogo si getta allora
perché una volta almeno ancora
vuoi rivedere la sua fanciulla.


Ecco davanti gli s'erge brulla
l'alta montagna in una spoglia
vasta pianura e nera soglia
d'antro si apre sotto di essa.
Egli veloce dentro s'appressa.
A lui davanti nel buio greve,
cristallo puro dondola lieve,
la lustra bara e dentro quella
l'eterno sonno dorme la bella.
E sulla bara della sua amata
vibra tremenda una mazzata.
Quella si spezza ed immediata
ritorna in vita la fidanzata.
Si guarda intorno stupitamente
e le catene dondolan lente,
poi un sospiro profondo esala.
"Quant'ho dormito!", dice e si cala
fuor dalla bara come d'incanto,
ed ambedue scoppiano in pianto.
La prende in braccio lui e la conduce
via da quell'antro fuori alla luce.
Poi chiacchierando senza più affanno
felici a casa ritorno fanno,
e già veloce la nuova è andata:
la Principessa viva è tornata!


Intanto a casa inoperosa sta
la matrigna vile e invidiosa
allo specchietto caro davanti, e
ancor domanda come già avanti:
"Non sono dunque or la migliore
candida e rosa come un bel fiore?"
A lei lo specchio pronto risponde:
"La tua bellezza certo confonde, 
la Principessa però è migliore 
candida e rosa come un bel fiore".
Or la matrigna s'infuria e piange
ed il suo specchio a terra infrange
corre alla porta e su di essa
incontra proprio la Principessa
si che le prende un colpo al cuore
e la Zarina malvagia muore.
Appena quella han sotterrata
gran cerimonia vien celebrata:
Elisej Prence la fidanzata
or finalmente ha impalmata.
E mai al mondo s'era sentito
di sì fastoso, ricco convito.

C'ero, io. 
Birra e miel m'han dato 
tanto che i baffi sol ci ho bagnato!















Gif animate e fotogrammi sono tratti dall'omonimo film sovietico del 1954.

venerdì 5 dicembre 2014

Bee! Coltello Arrotato! (Romagna)

'era una volta un uomo che aveva due figli, una ragazzetta e un bambino. Questo povero cristiano ebbe la disgrazia di perdere la sua donna. Dopo poco tempo, più che altro per dare una mamma ai propri bambini, tornò a sposarsi. Ma capitò in una caporala, che voleva poco bene a lui e ancor meno ai suoi figli. Non poteva soffrirli e gonfiava qualunque sciocchezza essi facessero per metterli in cattiva luce agli occhi del loro padre. Il marito le andava dicendo: "Sta' loro dietro con le buone: sono piccini!", ma questa donnaccia cresceva sempre in cattiveria e nell'avversione a quella povera innocenza.
Un giorno che la sua stizza era più grande del solito, dice a suo marito:
"Così non si dura! Io son decisa: o fuori loro o via io!".
Credendo che fosse una sfuriata passeggiera, lui, andando al lavoro, le fa una delle solite preghiere, ma poco dopo essa li bastonò e li mise fuori dalla porta. Verso sera, quando tornò stanco, gli fece una testa grossa così. I bambini erano ancora fuori senza mangiare ed egli li chiamò e volle che mangiassero insieme con lui. La notte essa continuò ancora, tanto che il marito dovette promettere di condurli via e di lasciarli andare in balia della fortuna. Ma, mentre essi litigavano, la ragazzetta, che era più grandicella, vegliava e, sentendo quei discorsi, si raccomandava alla sua mamma morta.
La mattina presto, la matrigna si alza e si mette al tagliere a smorzare della farina da far delle piade sul testo. Poco dopo, il babbo chiama i bambini:
"Ragazzi, volete venir con me al bosco della Stenta? (Località nella valle del Senio, presso Tebano, così come le altre ricordate di seguito)".
Il bambino, che non sapeva niente, salta su: "Oh, sì, babbo, tanto volentieri!".
Ma la bambina, che aveva sentito quello che dicevano, potete ben pensare che cosa passasse in quel momento per quella povera testina. Saltano giù dal letto e pian piano si vestono. Intanto che il babbo faceva i preparativi per la partenza, questa bambina si riempì un sacchettino di aghi e lo nascose in tasca, e, mentre il suo babbo e il fratellino camminavano avanti, essa li seguiva facendo una sparpagliatina di aghi lungo la strada. Quando arrivarono nel bosco della Stenta, il babbo si mette a segare un sacco di fieno e loro, intanto, per passare il tempo s'erano messi a cogliere dei ciclamini, dei mazzetti di rose salvatiche per farsi i pendenti [Non abbiamo trovato il termine corrispondente al "craver" del testo - N.d.C.] e dei colchici, perché si era in autunno. Quando l'uomo ebbe raccolto il sacco del fieno, era già passato mezzogiorno; allora egli tirò fuori le piade. Erano sopra un monticello e la piada ruzzolò giù per la china. E, intanto che i ragazzi scesero a prenderla, lui scappò. Credevano di tornare dal loro babbo, ma questi non c'era più. Il ragazzino scoppiò in un gran pianto, ma la bambina lo confortò: "Sta' quieto, fratellino mio, ché la strada la so io!".
Lui si quietò, e si misero sotto un castagno a mangiarsi la piada. Seguirono sempre la traccia degli aghi. Passano la piana della Falcona, scendono per altre stradine e finalmente arrivano a casa che era verso sera. Ma non avevano l'ardire di entrare e stavano fuori dall'uscio, quando udirono il loro babbo che diceva:
"C'è rimasta della minestra: se ci fossero quei ragazzetti la mangerebbero".
Il piccolino, senza tanto pensarci, esclama: "Siamo qui, babbo!".
Il babbo vien fuori e li fa entrare. La matrigna brontolava senza dire una parola. Quando ebbero mangiato, il babbo li mise a letto. Fu allora che quella cattivaccia cominciò a sfilare la sua corona:
"Eh, avevi detto di condurli via! Hai fatto una bella commedia per confondermi!". E non la finiva più.
Egli dovette promettere che la mattina seguente li avrebbe condotti in un bosco più lontano, di là da Pergola. Non si vedeva ancora luce che il babbo li chiamò, ma il ragazzetto gli disse sottovoce: "Basta però che non ci abbandoniate!".
La ragazzetta, dato che le ragazze son sempre più assennate, prende su un sacchettino di semola e poi la sparge come aveva fatto l'altra volta. Passano la Stenta, il Romitorio, scendono dalla Pirotta e il babbo da una china gli ruzzola giù le piade. Il bambino non voleva scendere, ma la sorellina gli disse:
"Vacci pure: starò io qui a badare il babbo".
Ma lui confonde la bambinetta dicendo che si sarebbe allontanato un momento per fare un fatto suo: e sparì. Per farla breve, la bambina fece ancora coraggio al fratellino; per tornare a casa vanno dietro la traccia della semola, ma, di quella semola, buona parte se l'eran mangiata le formiche, e ne era restato soltanto qualche poco di quando in quando, tanto che poterono ugualmente trovare la strada per tornare a casa. Era verso sera quando arrivarono all'uscio e sentirono ancora il loro babbo che li ricordava perché era avanzata la minestra anche quella volta. E non aveva ancora finito di parlare che si fece sentire una vocettina:
"Oh, babbo, siamo qui!".
E così poterono ancora mangiare e dormire nel loro letto. Tutta la notte la matrigna non fece altro che brontolare contro il marito e i ragazzi. E lui dovette prometterle che li avrebbe condotti ancor più lontano. La mattina, nell'andarsene, la bambina s'era fatto un sacchettino di miglio. Cammina cammina, dopo aver passato boschi e boschi, arrivano nel grande bosco della Pideura. Nel fondo scorreva il rio Barbavera con delle rive che sembravano toccare il cielo. Sulle querce e sui castagni si sentiva il rigogolo, il gruccione, i voli delle starne, il chiacchiericcio delle ghiandaie; lungo le rive era tutto frassini, avellani, ginepri, e, al disotto, una bella distesa d'erba da presepio, di licheni, di bei funghi: orecchiette, ovuli, porcini. Sarebbe stato un vero paradiso per quei poveri bambini, se non avessero pensato a ciò che stava per succedergli. Il loro babbo, passato il mezzogiorno, gli diede le piade e si mise seduto sotto una quercia; ma, intanto che mangiavano, il babbo si nasconde dietro ad un terrapieno che faceva il monte, così folto di prugnoli, di marucche e di vitalba che un branco di porci ci si sarebbe benissimo potuto smarrire. I bambini se ne accorgono e lo chiamano, e cercano il loro babbo: ma hanno un bel chiamare e cercare! Allora vanno per ritrovare la stradina, ma gli uccelli s'eran mangiato tutto il miglio e i formiconi avevano fatto il resto. Non sapevano come fare e si disperavano. Si mettono a girare. Gira che ti gira, capitano in un posto dove c'era una fontana, sopra cui c'era questa scritta: Chi beverà quest'acqua un animale diventerà!. Il bimbetto aveva una gran sete, tanto più grande in quanto la piada che avevano mangiato, era un po' salata. Ma la sorellina assolutamente non volle: "Chissà che animalaccio diventerai, e io avrò paura di stare con te".
Allora vanno ancora avanti e trovano un'altra fontana, con una scritta che diceva: Chi beverà quest'acqua un agnellino diventerà. La sorellina non voleva che bevesse, ma lui non ne poteva più e si mise a bere, e mentre egli beve, la sorellina disse: "Pazienza se diventerà un agnellino!". E infatti divenne un bell'agnellino. Allora la sorella si toglie la cordella dal grembiule e gliela lega al collo, trascinandosi dietro l'agnello.



Stokes M.


Al giorno mangiarono i marroni colati che cadevano dai castagni: venivan giù con dei tonfi che sembravano sassi. Quei marroni li chiamano i furioni. Quando fu verso sera, andavano pensando dove potessero dormire. Delle case vicine, dove poter chiedere la carità di un po' di alloggio, non se ne vedevano. Verso il fondo del rivo vedono un salice cavo e ci si mettono dentro. Alla levata del sole ne escono e si mettono in braccio alla Provvidenza. Il suo agnellino pascolava l'erba un po' dappertutto, ed essa domandava la carità di un po' di pane e di un po' di alloggio. Dio non abbandona mai nessuno, e trovarono sempre da mangiare e da dormire. Tutti facevano l'elemosina a questa giovinetta che girava il mondo col suo agnellino e in ogni casa c'erano delle brave donne che le facevano la carità di un po' di alloggio. Cominciava a farsi una bella giovanottina e l'agnellino cresceva sempre più bello anche lui. Un giorno arrivano in un bel prato che era del Re. Il figlio del Re capita da quelle parti e scorge questa bambinetta che pascolava il suo agnellino. Le chiede chi sia e chi non sia; lei gli racconta tutta la sua storia dolente. Tutto commosso, torna a casa e dice alla sua matrigna, dato che il babbo gli era morto: "Ho trovato nel prato una giovanottina che non ha nessuno: la prenderemo con noi: qualcosa farà. L'aspetto dimostra che ha da essere una buona ragazza; con sé ha un agnellino, che non abbandona mai".
La matrigna nel sentir questo, disse che la prendesse pure insieme col suo agnellino. La misero in cucina ad aiutare la cuoca. Ogni giorno prendeva con sé il suo agnellino e lo conduceva a pascolare. Passando il tempo e mangiando bene, diventava sempre più bella ed anche brava nel cucire e nel ricamare. Il figlio del Re ben presto s'innamorò di lei e volle sposarla. Ma non era ancora passato un anno dal matrimonio, che venne un ordine che il giovane doveva andare alla guerra. Prima di partire si raccomandò tanto alla sua matrigna che cercasse di avere ogni cura della sposa e, siccome voleva comprarsi dei bambini dopo che fosse nata la creatura, che gli facessero sapere in qualunque modo che cos'era nato, se uomo o donna, e che gli mettessero il nome del proprio padre. Il giovane non se n'era - si può dire - ancora andato, che la matrigna cominciò ad avere in uggia la sposa e l'agnellino.
Quando la creatura nacque, la matrigna gli mandò a dire che era nato uno scherzo di natura. Lui rispose che era lo stesso e che bisognava rassegnarsi alla volontà di Dio: che si facesse conto di quel che era nato, e che egli sperava di ritornare presto. Viceversa era venuto al mondo un bambino sano e bello. Essa teneva dentro il suo dolore con la speranza che suo marito tornasse presto a casa. Si consolava col suo bambino e col suo agnellino. Un giorno la vecchia le disse che era una bella giornata e che sarebbe stato bene far prendere un po' di aria buona al bambino. Vanno a passeggio sulla riva del mare. E la vecchia, sul più bello, le dà uno spintone e buttò nell'acqua lei e il suo bambino in braccio.
Quando l'agnellino venne a sapere la fine della sua sorella, andava tutti i giorni sulla riva a chiamare e a parlare con sua sorella. Intanto la vecchia, non ancora contenta di quello che aveva fatto, comincia a dire che non voleva più vedere l'agnellino, che lo portassero via e che lo ammazzassero: voleva vederne la coratella. Il servitore, che era affezionato anche lui all'agnellino, non fu capace di ammazzarlo e lo diede ad un contadino, dicendo di tenerlo bene, ché sarebbe stato ricompensato. Poi comperò una coratella di lepre e la mostrò alla vecchia.
L'agnellino sapeva la sorte che voleva riservargli la vecchia, e andava sulla riva del mare: "Bee! Coltello arrotato: mi vogliono ammazzare!"
E la sorellina:
"Fratello mio, non ti posso aiutare, ché sono nella panza del pesce pagano che ha sposato la figlia del Re prussiano".


Amelia Bauerle (Bowerley)

Dopo pochi giorni arrivò il Re. Appena sceso da cavallo, chiede della sua donna; ma la vecchia gli risponde che tanto lei che quello scherzo di natura erano morti. Egli scoppiò in un gran pianto e domandò dell'agnellino. E il servitore gli disse: "Ce l'ha un contadino: venga a vederlo. E va sulla riva del mare a parlare!".
Egli ci va. L'agnellino, quando lo vede, lo conduce alla riva del mare e poi dice: "Bee! Coltello arrotato! Mi vogliono ammazzare!".
E dal mare viene una voce:
"Fratello mio, non ti posso aiutare ché sono nella panza del pesce pagano che ha sposato la figlia del Re prussiano".
Lui distingue la voce della sua sposa, subito ordina che sia prosciugato il mare e, quando trovano la balena, la aprono e vedono che ne salta fuori la sposa con il bambino in braccio. L'abbraccia, diede tanti baci al bambino e si fece raccontare ogni cosa. Allora diede ordine di prendere la sua matrigna e la matrigna della sua donna, e le fece bruciare in una botte di zolfo nel mezzo della piazza.

La mia favola non è più lunga; 
chi vuole che gliene aggiunga, 
un panetto e una sardella 
e ve ne dirò una ancor più bella; 
un panetto e un po' da bere 
ve ne dirò una di qui, a sedere.

"Fiabe e Leggende Romagnole", Paolo Toschi (A cura di Angelo Fabi)


giovedì 4 dicembre 2014

L'Agnellino e il Pesciolino, Grimm n.141, Traduzione Mia

'erano una volta un fratellino e una sorellina che si volevano bene con tutto il cuore. La loro mamma era morta, e avevano una matrigna che li detestava e, in segreto, cercava l'opportunità di far loro del male. Un giorno, giocavano con altri bambini su di un prato davanti a casa, e sul prato c'era uno stagno che arrivava a toccare un lato della casa.
I bambini correvano lì intorno, giocando a rincorrersi, e ogni tanto facevano la conta:

"Eneke, Beneke, lasciami vivere, 
il mio uccellino io ti darò,
e lui la paglia cercherà, 
alla muccarella io la darò, 
e lei il suo latte darà, 
al fornaio io lo darò, 
e lui un dolce farà, 
al gatto io lo darò, 
e lui i topolini cercherà, 
nel camino li affumicherò 
e, allora, la neve tu vedrai."

I bambini cantavano questa filastrocca stando in cerchio, e quello a cui capitava la parola 'neve' doveva correre via, e gli altri lo rincorrevano tentando di acchiapparlo. Mentre i bimbi giocavano, allegri, la matrigna li guardava dalla finestra, sempre più accesa di rabbia.
E, poiché conosceva l'Arte, gettò un incantesimo sui figliastri: trasformò il fratellino in un pesce e la sorellina in un agnello. E, da allora, il pesciolino prese a nuotare su e giù per lo stagno ed era tutto afflitto, e l'agnellino zampettava su e giù per il prato ed era tutto afflitto e non toccava neanche un filo d'erba.
Trascorse così un po' di tempo, finché‚ un giorno, giunsero in visita al castello dei forestieri. La  matrigna pensò: 'Questa è una buona occasione!'
Chiamò il cuoco e gli ordinò:
"Va' sul prato, prendi l'agnello e ammazzalo, perché non abbiamo altro da offrire agli ospiti."
Il cuoco andò a prendere l'agnellino, lo portò in cucina e gli legò le zampe, e l'agnello sopportava tutto pazientemente. Ma, quando il cuoco tirò fuori il coltellaccio e incominciò ad affilarlo sulle pietre della soglia per scannarlo, si accorse di un pesciolino che, nuotando su e giù per il canaletto di scolo dell'acquaio, lo guardava. Era il fratellino, che, quando aveva visto il cuoco portar via dal prato l'agnellino, l'aveva seguito, nuotando fino alla cucina.
Allora, l'agnellino gli gridò:

"O Fratellino, laggiù nello stagno profondo,
quanto è infelice il mio povero cuore!
Già il coltello il cuoco affila,
presto la vita mi toglierà!"

E il pesciolino rispose:

"O Sorellina, lassù,
quanto è infelice il mio povero cuore,
mentre giaccio in questo stagno!"

Quando il cuoco scoprì che l'agnellino sapeva parlare e ascoltò le tristi parole che rivolse al pesciolino, si spaventò e pensò che non fosse un agnellino come tutti gli altri, ma la vittima di un incantesimo della sua malvagia padrona. E lo rassicurò: "Sta' tranquillo, non ti ucciderò". Prese un altro agnellino e lo cucinò per gli ospiti, quindi, portò l'agnellino stregato da una contadina, una brava donna, alla quale raccontò tutto ciò che aveva visto e ascoltato. Per combinazione, la buona contadina era stata la balia della bambina, e intuì subito chi potesse essere quell'agnellino, e lo portò da una donna che sapeva di magia. Ella benedisse l'agnellino e il pesciolino, che riacquistarono immediatamente le loro sembianze umane, e li condusse in una casetta in un fitto bosco dove vissero felici e contenti.


Grimm n.141, "Das Lämmchen und Fischchen".
Classificazione: AaTh 450 [Little Brother, Little Sister]
Traduzione: Mab's Copyright

Il testo in lingua originale è nella Pagina: "Brüder Grimm"


Erica Williams


Questa è una fiaba minore, o meno conosciuta, dei Grimm. Mi pare evidente che sia tirata via, rendendo ancòra più acuto il rimpianto che non sia stata riportata integralmente la ballata popolare da cui, senza dubbio, proviene. Sembra il "plot" accorciato e concluso frettolosamente della prima parte di "Fratellino e Sorellina". In questo caso, però, entrambi i bambini subiscono la trasformazione animale, e nessuno dei due conquisterà sposo/a e Corona, ma vivranno felici e contenti nella casetta del bosco. Ma non è per questo motivo che ho deciso di riportare una piccola fiaba così sciatta. E' la filastrocca iniziale che ha catturato il mio interesse. Io l'ho tradotta alla lettera, questa, invece, è la traduzione corrente.

"Lasciami, lasciami, ti lascerò
all'uccellino io poi ti darò
e lui la paglia mi cercherà, 
che alla vacchina io poi darò, 
e lei il suo latte mi darà, 
che al fornaio io poi darò, 
e lui la torta mi farà, 
che al gattino io poi darò, 
e lui i topini mi cercherà, 
che nel camino io poi appenderò e affetterò"

Le parti sottolineate sono quelle che differiscono totalmente. Questa versione, inoltre, non spiega il furore crescente della matrigna che sta alla finestra.

"Eneke Beneke": non conoscendo il Tedesco, ho, tuttavia, cercato una traduzione di senso comune. Senza successo. Pare che Beneke sia un nome, o meglio, un cognome, piuttosto comune; "Eneke" è lo stesso cognome senza la 'B'. Potrebbe essere il corrispettivo di una Frau Trude o di una Frau Holle? Evidentemente, un'entità maligna alla quale i bambini dicono: "Lasciami vivere", e alla quale promettono/donano/sacrificano un uccellino. La filastrocca si snoda secondo il tipo "Petruccio", concludendosi però con "e lui i topolini cercherà /nel camino li affumicherò/ e, allora, la neve tu vedrai". Ed è la parola "neve" che scatena l'inseguimento per gioco dei bambini, non "affetterò", come nella traduzione classica. Se prendiamo la parola "neve" alla lettera, torniamo a Frau Holle, se la neve simbolizza i faldoni di cenere derivanti dal rogo dei topolini, torniamo alla diabolica Frau Trude. Ovviamente, l'entità maligna, ovvero la malvagia matrigna, si infuria non tanto perché si senta sbeffeggiata dai bambini, ma perché la filastrocca - è solo la mia opinione - o l'intera originaria ballata, doveva avere una sorta di valenza anti-malocchio, un esorcismo popolare che circuiva e allontanava il Male.

Mab's Copyright

Fratellino e Sorellina nelle Illustrazioni

"Sorellina" viene rappresentata - iconograficamente e nel testo - come una bambina fino all'immediatezza della trasformazione di "Fratellino". Un attimo dopo, è già "la Fanciulla". Ho letto (in occasionali e superati momenti di debolezza) profonde analisi sul fratellino-capriolo come Doppio di Sorellina (e viceversa), in un imperdibile dualismo tra Istinto e Ragione. Il che, oltre ad aprirmi gli occhi sulle più svariate forme di onanismo compulsivo, mi fa venir voglia di precipitarmi nella Capanna dell'Iniziazione per sottopormi ad una morte NON temporanea.


Ségur A.


Ludwig Richter



Gruelle






Tenggren G.


Attwell M.L.


mercoledì 3 dicembre 2014

Fratellino e Sorellina, Grimm n.11, Traduzione Mia

l Fratellino prese la Sorellina per mano e le disse:
"Da quando la nostra mamma è morta, conosciamo solo sofferenze: la matrigna ci picchia ogni giorno, e, se le andiamo vicino, ci scaccia via a pedate. Non mangiamo che croste di pane raffermo, persino il cane sotto il tavolo se la passa meglio di noi! A lui, di tanto in tanto, allunga un buon bocconcino. Mio Dio, se la mamma potesse vederci, quanta pena ne avrebbe! Vieni, andiamocene per il vasto mondo."
Camminarono tutto il giorno attraversando prati, campi, e pietraie, e, quando incominciò a piovere, la Sorellina disse: "Il Cielo piange con noi!".




La sera, entrarono in un grande bosco, e, stremati dal pianto, dalla fame e dal lungo cammino, si rannicchiarono nel cavo di un albero e si addormentarono. Il mattino dopo, il sole era alto nel cielo e il suo calore penetrava nel fitto del bosco.
Allora, il Fratellino disse:"Sorellina, ho sete: se sapessi dov'è una fonte correrei a bere; credo proprio di aver udito il mormorio di un ruscello".
Il Fratellino si alzò, prese per mano la Sorellina, e andarono in cerca della fonte. La cattiva matrigna, in realtà, era una strega: si era accorta della fuga dei bambini, e li aveva seguiti di nascosto, senza fare il minimo rumore - com'è costume delle streghe - e aveva gettato un sortilegio su tutte le acque del bosco. Così, quando i bambini trovarono un torrentello che saltellava come argento vivo sulle pietre, il Fratellino voleva bere, ma la Sorellina udì l'acqua mormorare: "Una Tigre diventerà Chi mi Berrà! Una Tigre diventerà Chi mi Berrà!"
Allora, la Sorellina gridò: "Fratellino, ti prego, non bere, altrimenti diventerai una bestia feroce e mi divorerai!"
Il Fratellino non bevve, benché avesse una gran sete, e disse: "Aspetterò fino alla prossima fonte."
Quando arrivarono ad un secondo ruscello, la Sorellina udì l'acqua che mormorava: "Un Lupo diventerà Chi mi Berrà! Un Lupo diventerà Chi mi Berrà!"
Allora, gridò: "Fratellino, ti prego, non bere, altrimenti diventerai un lupo e mi divorerai!"
Il Fratellino non bevve neanche questa volta, ma disse: "Aspetterò fino alla prossima sorgente, e, allora, qualunque cosa tu dica, io berrò perché sto morendo di sete!".
E, una volta raggiunta una terza sorgente, la Sorellina udì l'acqua mormorare: "Un Capriolo diventerà Chi mi Berrà! Un Capriolo diventerà Chi mi Berrà!"
La Sorellina gridò: "Fratellino, ti prego, non bere, altrimenti diventerai un capriolo e scapperai via da me!", ma il Fratellino si era già inginocchiato presso la sorgente, e si era chinato sull'acqua per  bere: non appena sfiorò l'acqua con le labbra, si trasformò in un capriolo. La Sorellina pianse per la cattiva sorte toccata al Fratellino, e anche il piccolo capriolo pianse, accanto a lei.
Infine, la fanciulla disse: "Non piangere più, caro piccolo capriolo: io non ti abbandonerò mai!"
Si tolse la sua giarrettiera d'oro e la mise intorno al collo del capriolo come un collare, poi raccolse dei giunchi e li intrecciò in una morbida corda. Legò il capriolo, e, insieme, si addentrarono nel bosco.
Cammina, cammina, giunsero ad una casetta, e, visto che pareva disabitata, la fanciulla pensò: 'Potremmo vivere qui.'
Cercò allora foglie e muschio per fare un morbido giaciglio al capriolo, e ogni mattina usciva in cerca di radici, bacche e nocciole per sé e di tenera erbetta per il capriolo, che, tutto contento, le mangiava in mano e le saltellava intorno.
La sera, dopo aver recitato le sue preghiere, la Sorellina, stanca, poggiava il capo sul dorso del capriolo, a mo' di cuscino, e si addormentava serenamente. Sarebbe stata una vita davvero meravigliosa se il Fratellino avesse avuto le sue sembianze umane!
E. per qualche tempo, vissero in felice solitudine, ma accadde che il Re del Paese decidesse di tenere una gran battuta di caccia nel bosco. E così, fino nel cuore della foresta. echeggiarono il suono dei corni, il latrato dei cani e gli allegri richiami dei cacciatori, e il capriolo udì e avrebbe tanto voluto partecipare alla caccia:
"Ti prego - disse alla Sorellina - non resisto più, lasciami andare!"
E tanto la supplicò che ella, infine, acconsentì.
"Ma devi ritornare al calar del sole - si raccomandò - e, poiché sbarrerò la porta per paura dei cacciatori, bussa e di': Sorellina, lasciami entrare. Se non lo farai, non ti aprirò."
Così, il capriolo saltò fuori, e si sentì felice e libero all'aria aperta.
Non appena il Re e i suoi cacciatori avvistarono il bell'animale, si gettarono immediatamente all'inseguimento, ma non riuscirono a raggiungerlo, e, quando credevano di essere lì lì per farcela, il capriolo, con un gran balzo, spariva nel fitto della boscaglia. Al calar della sera, il capriolo tornò alla casetta, bussò e disse: "Sorellina, lasciami entrare!" E la porticina si aprì, e il capriolo entrò e riposò tutta la notte sul suo soffice giaciglio.
Il mattino seguente, la caccia ricominciò, e, quando il capriolo udì il suono dei corni e le grida dei cacciatori, non si tenne più e pregò: "Sorellina, lasciami uscire: devo andare!".
La Sorellina aprì la porta e si raccomandò: "Ricorda: devi tornare al calar della sera e devi ripetere le parole che sai."
Quando il Re e i suoi cacciatori rividero il capriolo con il collare d'oro, si gettarono all'inseguimento, ma il capriolo era troppo veloce ed agile.
La caccia durò tutto il giorno, e, verso sera, i cacciatori riuscirono ad accerchiarlo: uno di loro lo ferì leggermente ad una zampa, così‚ il capriolo, sulla via del ritorno, fu costretto a rallentare il passo poiché zoppicava. Ma un cacciatore lo seguì senza farsi scorgere fino alla casetta, e lo udì pregare: "Sorellina, lasciami entrare!" e vide che qualcuno gli apriva subito la porta, per poi richiuderla alle sue spalle. Il cacciatore andò dal Re e gli raccontò ogni cosa, per filo e per segno. Allora, il Re disse: "Domani torneremo a caccia."
Intanto, la Sorellina, vedendo che il suo piccolo capriolo era ferito, si era spaventata a morte. Lavò la zampa, curò la ferita con erbe e la bendò con foglie fresche e gli disse: "Va' a sdraiarti sul tuo giaciglio, caro capriolo, e riposa, così guarirai in fretta." La ferita era così lieve che, la mattina seguente, il capriolo non sentiva il minimo dolore, tanto che, quando udì il frastuono della caccia, esclamò: "Non ce la faccio, devo correre da loro, ma non mi lascerò prendere di certo!"
La Sorellina pianse e disse: "Invece, questa volta ti uccideranno e io resterò qui tutta sola: non ti lascio uscire."
"E io morirò di malinconia! - ribatté il capriolo - Quando sento i suoni della caccia non sto più nella pelle!"
Allora, la Sorellina gli aprì la porta con il cuore pesante, e il capriolo si tuffò, tutto allegro, nel folto del bosco. Quando il Re lo avvistò, disse ai suoi cacciatori: "Inseguitelo senza tregua per tutto il giorno, ma che non gli venga fatto alcun male!" Non appena calò la sera, il Re disse al cacciatore:
"Conducimi alla casetta nel bosco."


Carl Offterdinger


E, una volta alla porta della casina, bussò ed esclamò: "Sorellina, lasciami entrare!"
Allora, la porta si aprì, e il Re entrò e si trovò davanti la fanciulla più bella che avesse mai visto. Ma la fanciulla si spaventò moltissimo quando, invece del suo capriolo, vide un uomo con la corona d'oro in testa. Il Re la guardò dolcemente, le porse la mano e le propose: "Vuoi venire con me al mio castello e diventare mia moglie?"
"Oh, sì - rispose la fanciulla - ma deve venire anche il capriolo, non lo abbandonerò mai!"
E il Re promise: "Rimarrà con te finché vivrai e non gli mancherà mai nulla."
In quel momento entrò il capriolo. La Sorellina gli mise di nuovo il guinzaglio di giunchi, e, insieme, abbandonarono la casetta nel bosco.
Il Re mise la fanciulla in groppa al suo cavallo, e la condusse al Castello, dove fu celebrato con gran pompa il matrimonio regale, e la fanciula divenne Regina.
I due sposi vissero insieme felici per qualche tempo, né il capriolo mancava di nulla e correva felice nel gran parco del Palazzo.
Intanto, la cattiva matrigna, per colpa della quale i bambini erano fuggiti nel vasto mondo, credeva che la Sorellina fosse stata divorata dalle bestie feroci, e che il Fratellino, trasformato in capriolo, fosse stato ucciso dai cacciatori. Quando venne a sapere che vivevano felici e contenti, l'invidia e la gelosia le invasero il cuore senza darle requie, e non pensava che al modo di precipitarli nuovamente nella sventura. La sua vera figlia, che era brutta come la notte e aveva un occhio solo, non faveva che brontolare: "Lei, Regina! Toccava a me questa fortuna!"
"Tranquilla - disse la vecchia - Al momento giusto, ci penserò io."
Dopo qualche tempo, la Regina, in assenza del Re, impegnato in una partita di caccia, diede alla luce un bel bambino. La vecchia strega, assunte le sembianze della cameriera personale della Regina, entrò nella camera da letto dove giaceva la puerpera e le disse:
"Venite, il bagno è pronto: vi darà sollievo e nuove forze. Affrettatevi, prima che l'acqua si freddi."
C'era anche la brutta figlia della strega: insieme, trasportarono la Regina, che era debolissima, nella stanza da bagno, la immersero nella vasca, e se ne andarono chiudendo a chiave la porta. Nella stanza da bagno avevano acceso un gran fuoco che arroventava l'aria tanto che la povera Regina ne morì soffocata in breve tempo.
Intanto, la vecchia prese sua figlia, la vestì da notte, con tanto di cuffia, e la fece coricare nel letto della Regina. La strega diede alla brutta figlia l'aspetto della Regina, ma non aveva il potere di sostituire l'occhio perduto, così, perché il Re non se ne accorgesse, la falsa sposa si coricò dalla parte dove mancava l'occhio. La sera, il Re ritornò dalla caccia e seppe che gli era nato un bel bambino: pieno di gioia, voleva precipitarsi in camera della Regina, ma la vecchia, prontamente, disse:
"Mi raccomando, tenete chiuse le cortine e non lasciate entrare la luce: la Regina deve riposare!"
Il Re si ritirò e non si accorse che nel letto c'era una falsa Regina.
Ma, a mezzanotte, la bambinaia, l'unica ancòra sveglia nel Palazzo immerso nel sonno, e che sedeva accanto alla culla del neonato, vide la porta della camera aprirsi silenziosamente lasciando entrare la vera Regina.
Ella prese il bambino tra le braccia e lo allattò, poi sprimacciò ben bene il cuscino, rimise il figlioletto nella culla e rimboccò premurosamente la sua copertina. Né dimenticò il capriolo: andò nell'angolo dove riposava sul suo giaciglio e gli accarezzò il dorso. Poi uscì silenziosamente com'era entrata, ma, quando l'indomani mattina la bambinaia domandò alle guardie se durante la notte avessero visto qualcuno entrare nel castello, quelle risposero che non avevano visto nessuno.
La Regina venne per molte notti, sempre in silenzio; la bambinaia la vedeva, ma non osava parlarne con nessuno. Dopo qualche tempo, la Regina, all'improvviso, una notte, incominciò a parlare e disse:
"Che fa il mio bambino? Che fa il mio capriolo? Due volte ancòra tornerò, poi mai più verrò!"
La bambinaia non rispose, ma, non appena la vera Regina scomparve, andò dal Re e gli raccontò ogni cosa.
Disse il Re:"Dio mio, che significa? Stanotte veglierò io accanto a mio figlio."
La sera, aspettò nella camera del bambino. A mezzanotte, apparve la Regina e disse: "Che fa il mio bambino? Che fa il mio capriolo? Una volta ancòra tornerò, poi mai più verrò!"
E, prima di sparire, si prese cura del piccino come sempre. Il Re non osò rivolgerle la parola, ma. la notte seguente, vegliò di nuovo. Questa volta, ella disse:
"Che fa il mio bambino? Che fa il mio capriolo? Mai più Tornerò!"
Allora il Re non poté più contenersi e corse da lei dicendo: "Tu non puoi essere che la mia amatissima sposa."
E la vera Regina rispose: "Sì, io sono la tua cara sposa." E, in quel momento, per grazia divina, la vita tornò a lei, che apparve fresca, rosea e in buona salute. Poi, raccontò al Re il crimine che la strega malvagia e la sua brutta figliuola avevano perpetrato ai suoi danni. Per ordine del Re, le due donne furono giudicate e condannate: la figlia fu condotta nel bosco, dove le bestie feroci la sbranarono, mentre la strega fu gettata nel fuoco e morì di orribile morte. E, quando di lei non rimasero che le ceneri, il piccolo capriolo riacquistò il suo aspetto umano, e Sorellina e Fratellino vissero insieme e felici fino alla morte.


Carl Offterdinger


Grimm n.11, "Brüderchen und Schwesterchen".
Classificazione: AaTh 450
Traduzione: Mab's Copyright.

Il testo in lingua originale è nella Pagina: "Brüder Grimm"