sabato 29 aprile 2017

La Penta Mano-Mozza, Pentamerone, Terza Giornata, Secondo Trattenimento

Penta respinge indignata le nozze propostele dal fratello e, tagliatesi le mani, gliele manda in dono. Quegli la fa gettare a mare in una cassa, che capita a una spiaggia, dove un marinaio la raccoglie e conduce Penta a casa sua; ma la moglie, gelosa, la fa rigettare a mare nella stessa cassa. Raccolta da un re, gli diventa moglie; ma, pei raggiri della stessa malvagia femmina, è discacciata dal regno, e, dopo lunghi travagli, ritrova il marito e il fratello, e restano tutti contenti e consolati.



Il re di Pietrasecca, rimasto vedovo, senza donna a fianco, fu istigato da Farfarello [Nome di uno dei diavoli della quinta bolgia dell'Inferno dantesco] a prendere in isposa la propria sorella, Penta; onde un giorno, chiamatala da solo a sola, le disse:
"Non è, sorella cara, da uomo di giudizio far andar via il bene dalla casa propria: oltre che non sai quel che ti tiri addosso, lasciandovi metter piede a gente forestiera. Ho riflettuto assai su questo punto e sono venuto infine nella risoluzione di prendere te per moglie. Tu sei fatta al fiato mio, e io conosco l'indole tua: contentati, dunque, di fare con me quest'incastro, questa lega di botteghe [1], questo unianlur acin [2], questo misce et fiat polum [3], che condurremo l'uno e l'altra una vita serena".
Penta, al sentire questo sbalzo di quinta rimase fuor di sé, e un colore le usciva e un altro le entrava; perché non avrebbe potuto mai immaginare che il fratello venisse a siffatte stravaganze e cercasse di dare a lei un paio d'uova barIacee, mentre esso proprio aveva bisogno, per suo conto, di cento uova fresche [4]. Stette, per un pezzo, muta, pensando quale risposta potesse dare a domanda cosi impertinente e fuor di proposito; ma, in ultimo, scaricando la soma della pazienza, disse:
"Se voi perdete il senno, io non voglio perdere la vergogna: mi meraviglio di voi che vi fate scappare dalla bocca proposte di cotesta sorta, che, se sono dette per celia, sono asinerie, se sul serio, puzzano di caprone; e mi duole che, se voi avete una lingua per dire di queste brutte cose, io abbia orecchie per udirle. Io, moglie a voi? Dove avete il cervello ?. Da quando in qua si fanno di coteste capriate [5], di coteste olle podride, di coteste mischianze? E dove stiamo? Al Ioio?. Vi sono sorella o cacio cotto con olio? [6]. Mettete la testa a segno, per la vita vostra, e non vi fate più scivolare dalla bocca parole come queste; se no, farò cose da non credere, e, se voi non mi onorerete come sorella, io non vi tratterò da quello che mi siete!".
Ciò detto, corse in furia a chiudersi in una camera, puntellandola di dentro, e non vide la faccia del fratello per più di un mese, lasciando lo sciagurato re, che era andato con una fronte da maglio a stancare le palle (5\ scornato come un fanciullo che ha lotto l'orciuolo, e confuso come una cuoca alla quale il gatto ha portato via il tocco di carne.
A capo di quei tanti giorni, Penta fu citata di nuovo dal re alla gabella delle sue sfrenate voglie; ed essa volle appurare esattamente di che cosa il fratello si fosse incapricciato nella persona sua, e, uscita dalla camera, lo andò a trovare.
"Fratello mio, - gli disse - io mi sono vista e mirata allo specchio, e non trovo in questo mio volto cosa che possa essere meritevole dell'amor vostro; che, in verità, non sono un boccone cosi goloso da far commettere pazzie alla gente".
Il re le rispose:
"Penta mia, tu sei tutta bella e compita dal capo al piede; ma la mano è quella che sopr'ogni cosa mi rapisce: la mano, forchettone che dalla pignatta di questo petto tira fuori le interiora; la mano, uncino che dal pozzo di questa vita porta su la secchia dell'anima; la mano, morsa che stringe questo spirito, mentre Amore vi lavora di lima. O mano, o bella mano, che sei mestolo che minestra dolcezza, tenaglia che strappa le voglie, paletta che aggiunge carbone per far bollire il mio cuore!".


W. Goble



E più voleva dire, quando Penta rispose:
"Sta bene: v'ho inteso. Aspettate un po', non vi movete di qui, che or ora torno". E, rientrata nella sua camera, fece chiamare un suo schiavo mezzo insensato, gli consegnò un coltellaccio con un gruzzolo di patacche e gli disse:
"Ali mio, tagliare mani mie, volere fare bella secreta e diventare più bianca".

lunedì 24 aprile 2017

La Romanza della Vilja, da La Vedova Allegra

La Romanza della Vilja
da
La Vedova Allegra (Die lustige Witwe )
di
Franz Lehár (1870-1948)
Libretto di Viktor Léon e Leo Stein

Traduzione tratta dal programma di sala del Teatro Regio di Torino, stagione 1998-99.





Atto II

Vi prego, fermatevi un po’ qui,
dove ora, secondo l’usanza patria,
si celebra la festa del principe,
come se fossimo là in Cetinje!

Ah! Mi velimo dase dase veslimo!
Esultiamo e cantiamo!
Balliamo e saltiamo!

Ma ora, come là in patria,
intoniamo il nostro canto,
di una fata che -
come si sa -
noi chiamiamo la Vilja!
C’era una Vilja, una fanciulla dei boschi,
un cacciatore la scorse sulle rocce.
Il giovane provò uno strano sentimento,
guardava e guardava la fanciulla dei boschi.
E un ignoto fremito prese il giovane cacciatore,
con bramosia si mise a sospirare:

Vilja, oh Vilja, o fanciulla dei boschi,

prendimi e fà di me il tuo amato.
Vilja, oh Vilja, che cosa mi fai?
Tremante si lagna un uomo malato d’amore!

Vilja, oh Vilja, o fanciulla dei boschi, ...

La fanciulla dei boschi
gli stese la mano
e lo trascinò nella sua casa di rocce.
Il giovane ha quasi smarrito i sensi,
non così ama né bacia fanciulla terrena.-
Quando ella fu sazia di baci, all’improvviso sparve!
Per sempre il poverino l’ha salutata.

Vilja, oh Vilja, ....







Testo Originale 

Valencienne

Ich bitte, hier jetzt zu verweilen,
wo allsogleich nach heimatlichem Brauch
das Fest des Fürsten so begangen wir,
als ob man in Cetinje wär’ daheim.

Coro

Ah! Mi velimo dase dase veslimo!
Lasst uns jauchzen und lasst uns singen!
Lasst uns tanzen und lasst uns springen!

Hanna

Nun lasst uns aber wie daheim,
jetzt singen unsern Ringelreim
von einer Fee, die - wie bekannt -
bei uns die Vilja wird genannt!
Es lebt eine Vilja, ein Waldmägdelein,
ein Jäger erschaut sie im Felsengestein.
Dem Burschen, dem wurde so eigen zu Sinn,
er schaute und schaut auf das Waldmägdlein hin.
Und ein nie gekannter Schauer fasst den jungen Jägersmann
sehnsuchtsvoll fing er still zu seufzen an:
Vilja, o Vilja, du Waldmägdelein,
fass mich und lass mich dein Trautliebster sein.
Vilja, o Vilja, was tuts du mir an?
Bang fleht ein liebkranker Mann!

Coro 

Vilja, o Vilja, du Waldmägdelein,

Hanna 

Das Waldmägdlein streckte
die Hand nach ihm aus
und zog ihn hinein in ihr felsiges Haus.
Dem Burschen vergangen die Sinne fast sind,
so liebt und so küsst gar kein irdisches Kind.
Als sie sich dann sattgeküsst, verschwand sie zu derselben Frist!
Einmal noch hat der Arme sie gegrüßt.

Coro 

Vilja, o Vilja, …

sabato 22 aprile 2017

La Vila, Fiaba Slava, Traduzione Mia

n una calda giornata d'estate, un giovane uomo di Veprin, alto e bello, camminava su per il colle Uczka quando vide, sdraiata sull'erba, una fanciulla bellissima, biancovestita, con il capo protetto da un fazzoletto, e rimase assorto nella contemplazione rapita del suo viso stupendo. Usando ogni cautela per non svegliarla, strappò un ramo frondoso e lo infilò delicatamente nel terreno così da creare un'ombra che la riparasse dai raggi del sole. Ben presto, la fanciulla si svegliò, vide il ramo piantato nel terreno, e si accorse dell'ombra creata per proteggerla. E vide il giovane in piedi accanto a lei.
E gli domandò:
"Sei stato tu, giovane uomo, a creare quest'ombra per me?"
E il giovane rispose:
"Sì. Ero rapito dalla tua bellezza e temevo che il sole ti bruciasse".
E la fanciulla:
"E cosa desideri in cambio della tua gentilezza?"
"Permettimi di contemplare il tuo volto meraviglioso, e sii mia moglie!"
"Va bene! - rispose lei - Sarò felice di prenderti per marito, ma devi sapere che io sono una Vila, e che tu non dovrai mai pronunciare questo nome, poiché se, un giorno, dovessi dire: Vila, io sarei costretta ad abbandonarti all'istante".


Remnev A.


domenica 16 aprile 2017

La Mia Fiaba-Frankenstein (à la Manière de Calvino) dei Cigni o Corvi





Tecnicamente, non rientrerebbe tra le fiabe infedelmente tradotte. Infatti, a parte qualche breve frase di collegamento, ho tradotto con grande fedeltà i brani delle varianti Grimm. Il punto è l'assemblaggio. Ovvero, questa fiaba non esiste "in natura", esattamente come le fiabe della raccolta di Calvino. Ho messo insieme le parti più belle (a mio avviso) e convincenti delle varianti dei Grimm, ma, a differenza di Calvino, non ho seguito motivazioni puramente estetiche e/o censorie. Anzi, ho ripescato i dettagli che gli stessi Grimm hanno censurato nelle edizioni successive a quella del 1812. Non ho ancòra inserito filastrocche e altre invenzioni personali, ma... abbiate fede.




Teresa Jenellen



sabato 15 aprile 2017

I Dodici Fratelli, Grimm n.9, Traduzione Mia

'era una volta un Re e una Regina che vivevano insieme in grande armonia. Avevano dodici figli maschi. E il Re disse alla moglie: 
"Se il tredicesimo figlio che partorirai sarà una bambina, i dodici maschi dovranno morire perché ella non debba spartire con loro né le sue ricchezze né il governo del Reame." 
E ordinò dodici bare riempite di trucioli, e in ogni bara c'era un piccolo cuscino funebre; e comandò che le trasportassero in una sala chiusa a chiave, e diede la chiave alla Regina, ordinandole di non farne parola con nessuno. 
Ma la Regina era oppressa da una gran pena, e il più giovane dei suoi figli, che era il suo prediletto e che aveva chiamato con il nome biblico di Beniamino [1], le disse: 
"Cara madre, perché siete così triste?"
"Amato figlio, non posso dirtelo", rispose la Regina. 
Ma egli non le diede requie finché la madre non aprì la sala segreta e non gli mostrò le dodici bare riempite di trucioli. 
Poi disse:
"Mio amatissimo Beniamino, queste bare le ha fatte preparare tuo padre per te e per i tuoi undici fratelli: se partorirò una bambina voi dovrete essere uccisi e seppelliti qui." 
E singhiozzava da spezzare il cuore.
Allora, il figlio rispose: 
"Non piangete più, cara madre! Vedrete, riusciremo a sfuggire a questo triste destino." 
E la Regina disse: 
"Va' nel fitto del bosco con i tuoi fratelli, e che uno di voi stia sempre di guardia sull'albero più alto, senza staccare lo sguardo dalla torre del castello. Se nascerà un maschietto, farò issare un drappo bianco e potrete ritornare. Ma, se nascerà una femmina, farò issare un drappo rosso come il sangue, e allora fuggite il più lontano possibile, e che il buon Dio vegli su di voi. Ogni notte pregherò perché in inverno abbiate un fuoco a cui scaldarvi, e perché, in estate, la calura non vi sfinisca." 
Dopo avere ricevuto la benedizione materna, i figli fuggirono nel bosco.
Montavano di guardia uno dopo l'altro sulla quercia più alta, e non distoglievano mai lo sguardo dalla torre.
Passarono undici giorni e il turno di guardia toccò a Beniamino. Egli vide che veniva issato un drappo, ma non era bianco, bensì rosso come il sangue ed era l'annuncio di morte per lui e per i suoi fratelli.
Quando corse ad avvertire i fratelli, essi montarono su tutte le furie e dissero:
"Dobbiamo dunque morire a causa di una femmina? Giuriamo che, ovunque ci capitasse di incontrare una fanciulla, faremo scorrere il suo sangue purpureo."
Poi, si addentrarono ancor di più nel bosco, là dove si addensavano le tenebre, e trovarono una capanna povera e deserta.
Allora dissero:
"Questa sarà la nostra dimora: noi andremo a caccia e tu, Beniamino, che sei il più giovane e fragile, cucinerai e terrai in ordine la casa."
E, ogni giorno, andavano a caccia e uccidevano lepri, caprioli, uccelli e piccioni, e portavano la selvaggina a Beniamino, che doveva cucinare per tutti loro. E vissero insieme per dieci anni, e tennero fede al loro giuramento, e uccidevano tutte le fanciulle che incontrarono [2], e il tempo trascorso non parve loro così lungo.
Intanto, la bambina che la Regina aveva partorito cresceva: era molto bella e aveva una stella d'oro in fronte.
Una volta - era giorno di bucaro - vide, tra i panni stesi sul prato a sbiancare, dodici camicie da uomo e chiese a sua madre:
"Di chi sono queste dodici camicie? Sono troppo piccole per appartenere a mio padre."
Allora, la Regina, con un sospiro accorato, le disse:
"Mia cara bambina, quelle camicie appartengono ai tuoi dodici fratelli."
Disse la fanciulla:
"Dove sono i miei dodici fratelli? E perché non ne ho mai sentito parlare?"
E la madre:
"Dove sono? Lo sa solo Iddio: vagano per il vasto mondo."
Condusse, allora, la figlia alla stanza segreta, la aprì, e le mostrò le dodici bare con i trucioli e i piccoli cuscini funebri.
"Queste bare - disse - erano destinate a loro, ma sono fuggiti prima che tu nascessi", e le raccontò tutto.
Allora, la fanciulla disse:
"Cara madre, non piangete  più: andrò a cercare i miei fratelli."
Prese le dodici camicie, e si allontanò alla volta della foresta.
Camminò tutto il giorno, e, a sera, giunse alla capanna nel bosco.
Entrò, e le venne incontro un giovinetto, che le chiese:
"Da dove vieni e dove vai?", e grandemente si stupiva che fosse così bella, con i suoi ricchi abiti regali e una stella in fronte.
Ed ella rispose:
"Sono figlia di Re e vado in cerca dei miei dodici fratelli, e non mi fermerò, e camminerò fin dove il cielo è azzurro pur di trovarli."
E gli mostrò le dodici camicie [3].
Allora Beniamino capì che qiella fanciulla era sua sorella e disse:
"Io sono Beniamino, il tuo fratello più giovane!"
La Principessa scoppiò a piangere per la gioia e così Beniamino, e caddero l'uno nelle braccia dell'altra, e si baciarono teneramente.
Poi egli disse:
"Cara sorella, devo avvertirti: noi fratelli giurammo che avremmo ucciso qualsiasi ragazza avessimo incontrato sul nostro cammino."
Allora, ella esclamò:
"Morirò volentieri se ciò servisse a liberare i miei cari fratelli."
"No, no - gridò Beniamino - tu non dovrai morire! Nasconditi dietro quel tino, e aspetta finché non avrò parlato con i nostri fratelli."
La fanciulla obbedì, e, quando scese la notte, gli undici Principi tornarono dalla caccia, e Beniamino servì loro la cena. Sedettero a tavola, e, mentre si accingevano a cenare, domandarono:
"Che c'è di nuovo?"
Beniamino disse:
"Come? Non sapete nulla?"
"No"
E Beniamino:
"Voi girate per la foresta, io rimango in casa, eppure ne so più di voi!" "Racconta!"
Egli rispose:
"Se mi promettete che la prossima fanciulla che incontreremo non sarà uccisa" "Sì, sì - esclamarono i fratelli - la risparmieremo; ma racconta!"
Allora, Beniamino annunciò:
"Nostra sorella è qui."
E andò a prendere dietro il tino la bella fanciulla in abiti regali e con la stella d'oro in fronte. Ed era così affascinante, delicata e radiosa che i fratelli si rallegrarono, la abbracciarono e la baciarono e sentirono di amarla con tutto il cuore.
Da quella notte, la Principessa rimase con loro. Aiutava Beniamino con le faccende di casa, mentre gli undici fratelli erano a caccia, e cucinava per cena le lepri, i caprioli, gli uccelli e i piccioni che le portavano. Si procurava la legna per la stufa e le erbette per il contorno, e, quando gli undici fratelli rientravano, trovavano sempre la cena in tavola e i lettini immacolati e in ordine, cosicché erano tutti felici e contenti e vivevano in grande armonia.
Ma la capanna aveva un piccolo giardino, nel quale c'erano dodici gigli.
Una sera, ella volle usare una gentilezza ai suoi fratelli e colse i dodici fiori, pensando di ornare i loro coperti a cena. Ma, non appena ebbe colto i fiori, i dodici fratelli si trasformarono in dodici corvi e volarono via, e anche la capanna e il giardino sparirono.
La povera fanciulla si ritrovò sola nella foresta cupa e tenebrosa, ma le comparve accanto una vecchia che le disse:
"Ahimé, bambina, che hai fatto? Perché hai toccato i dodici fiori bianchi? Erano i tuoi fratelli, e ora sono tramutati in corvi per sempre."
La ragazza disse piangendo:
"Non vi è modo di liberarli?"  
"Esiste un solo modo - disse la vecchia - ma è così difficile che non ce la farai: dovrai essere muta per sette anni, non potrai parlare né ridere e anche se ti sfuggisse una parola soltanto, e anche se dovesse mancare soltanto un'ora allo scadere dei sette anni, tutto sarebbe vano, e i tuoi fratelli sarebbero uccisi da quell'unica parola.[4]" 
Ma la fanciulla disse tra sé e sé: "Libererò i miei fratelli ad ogni costo!" 
Andò in cerca di un alto albero, vi si arrampicò, e prese a filare, senza parlare né ridere.





Avvenne che un Re andasse a caccia nella foresta. Questo Re possedeva un grosso levriero, che corse sotto l'albero sul quale aveva trovato rifugio la fanciulla, e prese ad abbaiare e a latrare, lanciandosi in grandi balzi verso la cima.
Il Re si avvicinò e scorse la bellissima Principessa con la stella d'oro sulla fronte, e fu così ammaliato dalla sua avvenenza che le chiese se voleva diventare sua sposa. La fanciulla non rispose, ma accennò lievemente con il capo in segno di assenso.
Allora, il Re salì sull'albero, portò giù la bella fanciulla e la mise sul suo cavallo.
Le nozze furono celebrate con grande pompa e nel tripudio generale, anche se la sposa non parlava né rideva.
Trascorsero felici un paio di anni, quando la madre del Re, che era una donna malvagia, prese a calunniare la giovane Regina e ripeteva al figlio:
"Ti sei messo in casa una mendicante straniera, chissà quali empietà compie in segreto! È muta e non può parlare, ma potrebbe almeno ridere! Chi non ride nasconde una cattiva coscienza."
Sulle prime, il Re non voleva prestarle orecchio, ma la madre non gli dava pace, e continuava ad insinuare calunnie terribili sulle nefandezze della sposa, tanto che egli, infine, si lasciò convincere, e la condannò a morte.
Nel cortile fu acceso un gran fuoco, il rogo sul quale ella doveva essere bruciata, e il Re, dalla sua finestra, guardava nella corte con gli occhi colmi di lacrime, poiché l'amava ancòra.
E, quando la giovane Regina era già legata al palo, e già lingue di fuoco lambivano le sue vesti, ecco, trascorse l'ultimo istante dei sette anni.
Nell'aria si udì un frullare d'ali, e arrivarono dodici corvi, e si posarono a terra, e, non appena toccavano il suolo, riprendevano le sembianze dei suoi fratelli, liberati dal suo sacrificio.
Essi spensero le fiamme, dispersero le fascine del rogo, slegarono la sorella, e la baciarono e l'abbracciarono.
Ora ella era libera di parlare, e raccontò al Re perché prima non poteva pronunciare parola né ridere.
Il Re si rallegrò della sua innocenza, e vissero tutti insieme felici e in armonia fino alla morte.
La malvagia madre fu chiusa in una botte piena di olio bollente e di serpenti velenosi e morì di una mala morte.






"I Dodici Fratelli", Die zwölf Brüder
Grimm n.9
Classificazione; Aa Th 451 [The Brothers Who Were Turned into Birds]
Traduzione. Mab's Copyright

Il testo in lingua originale è nella Pagina: "Brüder Grimm"


[1] Nella prima versione (1812), non è citato il nome del figlio più giovane.

[2] La sottolineatura che i fratelli mantennero il giuramento e che, per dieci anni, si dedicarono all'assassinio di "fanciulle innocenti" è presente solo nella prima versione.

[3] Nella prima versione, il fratello più giovane si accinge ad ucciderla, ma si intenerisce a causa delle sue suppliche. Così accadrà anche con gli altri fratelli. Una volta graziata la nuova arrivata, scopriranno le dodici camicie, la riconosceranno come loro sorella e si rallegreranno per averla risparmiata.

[4] Non ci sono le camicine da cucire. Rimangono i divieti canonici: non parlare e non ridere. Nella prima versione, il numero degli anni corrisponde al numero dei fratelli.

lunedì 10 aprile 2017

I Dodici Buoi, D. Comparetti

ice che c'era una volta un padre che aveva dodici figliuoli già grandi che non stavano più a casa, ma lavoravano e avevano casa da sé.
Accadde che il padre ebbe ancora una bambina, e loro n'ebbero tanto dispetto che non vollero più tornare dal padre e si misero in un bosco a fare i falegnami. Quella ragazza aveva già quattordici o quindici anni e i fratelli li conosceva, ma con loro non era andata mai.
Una volta andò a lavarsi in una fonte e prima si levò i coralli dal collo perché non gli cadessero nell'acqua. Ora, un corvo che passava di là li pigliò e li portò via, e lei dàlli dietro, arrivò in quel bosco dove stavano i suoi fratelli.
Il corvo andò a nascondersi in una capanna dove loro abitavano e lei c'entrò dentro, ché non c'era nessuno, e per paura che poi la maltrattassero si mise sotto al letto. I suoi fratelli, venuti a casa, fecero colazione e se ne tornarono fuori senza vederla. Alla sera lei preparò i taglierini e si nascose di nuovo. Loro mangiarono, ma gli venne il sospetto che fosse qualche strega che avesse fatto questo gioco. E uno di loro, all'indomani, restò a casa e vide uscire di sotto al letto la sorella. La riconobbe e le perdonò di essersi nascosta in quella maniera, e le disse che lui mandava a dire alla madre che lei stava coi fratelli.
Poi l'avvertì di non andar a pigliar del fuoco a una casa vicina perché ci stavano le streghe.
Lei stette una quindicina di giorni senz'andarci. Ma una volta lasciò venir sera e non aveva preparato la cena. Per far presto andò per fuoco in casa delle streghe e trovò una vecchia che gliene diede. Ma quella vecchia le disse che anche lei le domandava un piacere, che all'indomani si lasciasse succhiare un poco da lei il dito mignolo. E per mostrarle come doveva fare, chiuse l'uscio, le fece mettere il dito nel buco e succhiò tanto sangue che quella povera ragazza cascava quasi in svenimento. E la strega le disse che all'indomani voleva fare lo stesso.
I fratelli della ragazza cenarono la sera come al solito, ma poi guardando la sorella si accorsero che doveva aver qualche cosa, e a forza di domande, si fecero raccontare tutto. E lei disse dunque che all'indomani doveva venire la strega a succhiarle il dito.
Il suo primo fratello aspettò la mattina, e quando venne la strega, la sorella non aprì, e quando quella mise la testa dentro per un finestrino, il fratello con una sega gliela tagliò; poi aprì l'uscio e gettò la testa e il corpo della strega giù in un burrone.
Accade che una volta quella ragazza va per acqua a una fonte e trova una vecchia che le voleva vendere delle scodelle bianche; e lei non ne voleva sapere, perché non aveva quattrini. Ma la vecchia tanto fece che lei ne accettò una in regalo e la portò a casa. Arrivano i fratelli che tornavano stanchi dal lavoro e avevano sete. E appena bevono in quella scodella diventano tutti buoi, salvo uno che diventò un agnello perché aveva bevuto poco. Figuratevi il dispiacere della sorella e la paura anche di trovarsi sola affatto in quel deserto e con quelle dodici bestie da mantenere!
Un figliuolo del principe, per fortuna, andando a caccia si smarrì in quella boscaglia e passando vicino alla capanna domandò alloggio. La giovane non voleva riceverlo, ma lui la pregò tanto che finalmente acconsentì.





domenica 9 aprile 2017

Giocare il Gioco di Calvino (Che gli Dèi delle Fiabe lo Perdonino)

Se volessi "calvineggiare", beh, quello de "I Sei Cigni" sarebbe l'inizio preferito della mia fiaba-Frankenstein sui fratelli-animali e la sorella eroina.
Per il motivo del matrimonio forzato con la creatura della foresta, la Figlia della Strega. Ovviiamente, madre e non matrigna della progenie del Re (Capuana è stato molto più audace ne "La Figlia dell'Orco"). Che l'invenzione della suocera orchessa della Bella Addormentata - in luogo della più imbarazzante (sic!) moglie tradita del Prince Charmant - derivi dalle stesse leggende vagamente melusiniane?
Conserverei il pellegrinaggio della "Sorellina" dal Sole e dalla Luna, crudeli e cannibali. Conserverei la sciamanica Montagna di Vetro.
Dei poveri "briganti" che si fanno carico dell'aspetto omicida dei Primcipi ho già parlato. Lascerei ai fratelli la responsabilità dei loro assassinii di fanciulle innocenti.
E, sempre se fossi inCalvinata, come resistere alla tentazione di inserire, magari in una fiaba calabrese o emiliana, il motivo dello spogliarello a favore dei cacciatori del Re? Perché si sa: la fanciulla "muta" del bosco deve essere nuda, coperta solo dai suoi lunghissimi capelli.



H.J. Ford


sabato 8 aprile 2017

Cigni, Corvi, "Sorelline", Fratellini Assassini, Sole Cannibale, Luna-Orco...

Ho tradotto e postato  "I Sette Corvi" prima della programmata  "I Dodici Buoi" di Comparetti. Apparentemente una fiabuccia rispetto a ben più ricche varianti come "I Sei Cigni".
C'è un perché.
Intanto, consideriamo le principali differenze.

La "Sorellina" rimane tale dall'inizio alla fine della fiaba. E' una bambina. E non si trasforma, in corso d'opera, in una giovane donna di strabiliante bellezza. Non incontrerà e non sposerà il Re-cacciatore, che, quindi, è assente.



L. Campinoti



Ovviamente, manca anche la seconda parte, con l'accusa di stregoneria, la condanna a morte sul rogo, il salvataggio in extremis.

Sempre procedendo a ritroso, scopriamo che alla bambina non è richiesto neanche l'annoso sacrificio - con relativi divieti - che, nelle altre varianti, la porterà diritta sul suddetto rogo.

venerdì 7 aprile 2017

mercoledì 5 aprile 2017

I Sette Corvi, Grimm n.25, Traduzione Mia




Teresa Jenellen




n uomo aveva sette figli maschi, ma neanche una figlia femmina, benché la desiderasse con tutto il cuore. Finalmente, la moglie diede alla luce una bambina. Grande fu la gioia dei genitori, ma, ahimé, la neonata era minuscola e gracile, e si giudicò dovesse essere battezzata immediatamente, tanto debole era la speranza che riuscisse a sopravvivere.
Il padre inviò in gran fretta uno dei figli al pozzo a prendere l'acqua per il battesimo, ma anche gli altri sei ragazzi gli corsero dietro, e, poiché ciascuno voleva essere il primo ad attingere l'acqua, la brocca sfuggì loro di mano e cadde nel pozzo. I ragazzi rimasero là, confusi ed impietriti, incapaci di trovare il coraggio di rientrare in casa. Intanto, il padre, che temeva che la neonata morisse senza battesimo, non capiva perché i figli tardassero tanto.
"Quei ragazzacci! - disse - staranno perdendo tempo a giocare, e non si curano affatto della povera piccola".
Infine, non vedendoli arrivare, lanciò loro una maledizione:
"Che possano diventare tutti corvi!".