giovedì 31 ottobre 2013

Samain Night - Loreena Mckennitt

When the moon on a cloud cast night
Hung above the tree tops height
You sang me of some distant past
That made my heart beat strong and fast
Now I know I'm home at last

You offered me an eagle's wing
That to the sun I might soar and sing
And if I heard the owl's cry
Into the forest I would fly
And in its darknews find you by.

And so our love's not a simple thing
Nor our truths unwavering
But like the moon's pull on the tide
Our fingers touch our hearts collide
I'll be a moonsbreath from your side.









Quando la luna in una notte nuvolosa
Restò appese sopra le alte cime degli alberi
Mi hai cantato di un passato lontano
Questo ha fatto battere il mio cuore forte e veloce
Adesso so di essere finalmente a casa

Mi hai offerto ali d'aquila
Che potrei salire al sole e cantare
E se sentissi il richiamo del gufo
Nella foresta volerei
E nei suoi chiaroscuri trovarti

E così il nostro amore non è una cosa semplice
Né le nostre verità incrollabili
Ma come la luna attira la marea
Le nostre dita che si toccano fanno incontrare i nostri cuori
Sarò un respiro della luna al tuo fianco

http://www.testitradotti.it


All Souls Night - Loreena McKennitt

Bonfires dot the rolling hills
Figures dance around and around
To drums that pulse out echoes of darkness
Moving to the pagan sound.

Somewhere in a hidden memory
Images float before my eyes
Of fragrant nights of straw and of bonfires
And dancing till the next sunrise.

I can see lights in the distance
Trembling in the dark cloak of night
Candles and lanterns are dancing, dancing
A waltz on All Souls Night.

Figures of cornstalks bend in the shadows
Held up tall as the flames leap high
The green knight holds the holly bush
To mark where the old year passes by.

I can see lights in the distance
Trembling in the dark cloak of night
Candles and lanterns are dancing, dancing
A waltz on All Souls Night.

Bonfires dot the rolling hillsides
Figures dance around and around
To drums that pulse out echoes of darkness
And moving to the pagan sound.

Standing on the bridge that crosses
The river that goes out to the sea
The wind is full of a thousand voices
They pass by the bridge and me.




Fiaccole punteggiano le colline ondulate
Figure danzano in circolo
Al suono di tamburi che fanno riecheggiare l'oscurità
Muovendosi al ritmo pagano

In qualche luogo in una memoria celata
Immagini fluttuano davanti ai miei occhi
Fatte di notti odorose, di paglia e fuochi
E di danze fino all'aurora del mattino seguente

Riesco a vedere delle luci in distanza
Che tremulano nel nero manto della notte
Candele e lanterne danzano, danzano
Un valzer sulla Notte di Ognissanti

Fantocci fatti di pannocchie si incurvano nelle ombre
Sostenuti alti mentre le fiamme divampano
Il cavaliere verde tiene il cespuglio sacro
Per segnare il luogo in cui è passato il vecchio anno

Riesco a vedere delle luci in distanza
Che tremulano nel nero manto della notte
Candele e lanterne danzano, danzano
Un valzer sulla Notte di Ognissanti

Fiaccole punteggiano le colline ondulate
Figure danzano in circolo
Al suono di tamburi che fanno riecheggiare l'oscurità
Muovendosi al ritmo pagano

In piedi sul ponte che attraversa
Il fiume che corre al mare
Il vento è colmo di centinaia di voci
Passano oltre il ponte e me.


La Leggenda di Tam Lin,Trasformato in Cavaliere Elfo e Liberato nella Notte di Halloween dal Coraggio di una Mortale Innamorata

a bella Janet era la figlia di un conte delle Terre Basse che viveva in un grigio castello circondato da campi verdi. Un giorno, stanca di ricamare e di giocare a scacchi con le altre dame del castello, decise di andare a esplorare i boschi di Carterhaugh: indossò un mantello verde, raccolse i capelli biondi e partì. Vagò attraverso quiete radure erbose piene di ombre, dove le rose selvagge crescevano rigogliose e le campanule dai verdi stami formavano un soffice tappeto. A un certo punto Janet allungò una mano per cogliere una rosa bianca da appuntare alla vita, ma appena staccò il fiore un giovane uomo le comparve davanti sul sentiero.
"Come osi tu cogliere le rose di Carterhaugh e vagare per questa foresta senza il mio consenso?" chiese a Janet.
"Non intendevo fare alcun male", rispose la ragazza.
"Io sono il guardiano di questi boschi e devo fare in modo che nessuno disturbi la loro quiete", le spiegò il giovane. Poi lentamente sorrise, come se lo facesse dopo molto tempo, e raccolse una rosa rossa che cresceva vicino alla rosa bianca. "Eppure ti darei tutte le rose di Carterhaugh tanto sei bella", disse.
Prendendo la rosa Janet gli chiese: "Chi sei tu che parli così dolcemente?".
"Il mio nome è Tam Lin", replicò il giovane.
"Ho sentito parlare di te!- gridò atterrita Janet - Tu sei un cavaliere degli Elfi!", e spaventata allontanò da sé la rosa.
"Non devi temere, dolce Janet -  disse Tam Lin - perché anche se tutti pensano che io sia un cavaliere degli Elfi, in realtà sono un essere umano proprio come te".
E mentre Janet meravigliata ascoltava, egli raccontò la sua storia.
"I miei genitori morirono quando ero un bambino e mio nonno, il conte di Roxburg, mi portò a vivere con sé. Un giorno mentre stavamo cacciando nel bosco profondo, uno strano vento gelido proveniente dal nord cominciò a soffiare scuotendo ogni foglia. Un profondo torpore mi avvolse e caddi da cavallo. Quando mi risvegliai mi trovai nel paese delle Fate; la Regina degli Elfi mi aveva rapito mentre dormivo.- Poi tacque per un attimo, ripensando a quella verde terra incantata - Da quel giorno sono prigioniero dell'incantesimo della Regina degli Elfi. Durante il giorno sorveglio i boschi di Carterhaugh, e la notte torno nel bosco fatato. Oh Janet, ho una grande nostalgia della vita mortale, vorrei con tutto il cuore liberarmi dall'incantesimo che grava su di me!"
Le sue parole suonavano così addolorate che Janet disse:
"Non c'è alcun modo per liberarti?".
Tam Lin prese la mano di Janet fra le sue e disse:
"Stanotte, Janet, è Halloween, e ogni anno, in questa notte, è possibile ricondurmi alla vita mortale. Nella notte di Halloween le creature fatate cavalcano oltre i confini del loro regno e io vado con loro".
"Dimmi cosa posso fare per aiutarti - disse Janet - Con la forza del mio cuore ti ricondurrò fra gli uomini".
Tam Lin disse: "A mezzanotte dovrai andare al crocevia e aspettare che passi la schiera fatata a cavallo. Resta ferma e lascia passare le prime due compagnie. Io sarò con la terza, monterò un cavallo bianco e avrò un cerchio d'oro sulla fronte. Appena mi vedi corri da me e abbracciami forte; qualunque cosa accada tu tienimi stretto e non lasciarmi, e in questo modo mi permetterai di tornare fra gli uomini".
Poco dopo la mezzanotte, Janet si diresse verso il crocevia e aspettò all'ombra di un cespuglio di biancospino. L'acqua dei fossi rifulgeva alla luce lunare, i cespugli spinosi proiettavano strane ombre sul terreno e i rami degli alberi si agitavano in modo inquietante sulla sua testa. A un tratto avvertì in lontananza un debole suono di campanelli e capì che i cavalli fatati si stavano avvicinando. Tremando un poco si avvolse nel mantello e, sbirciando lungo la strada, vide il balenio argentato dei finimenti, poi la candida criniera del primo cavallo; e in un attimo comparì l'intera schiera fatata: i pallidi volti degli Elfi erano rivolti verso la luna, i loro strani riccioli erano scomposti dal vento. Janet restò ferma mentre passava la prima compagnia, con la Regina degli Elfi a cavallo di un nero destriero; né si mosse quando passò la seconda, ma appena vide il bianco destriero di Tam Lin e il luccichio del cerchio d'oro sulla sua fronte uscì di corsa dai cespugli e afferrando la briglia lo trascinò a terra avvolgendolo nel suo abbraccio. Subito si levò un grido: "Tam Lin va via!".


Rebecca Guay


Il cavallo della Regina si impennò e tornò sui suoi passi; la Regina posò i suoi bellissimi occhi su di loro, e con un sortilegio trasformò Tam Lin in una piccola lucertola che Janet continuò a stringere al petto. A quel punto avvertì qualcosa strisciare fra le dite e si accorse che la lucertola si era trasformata in un gelido, viscido serpente, che ella abbracciò mentre le avvolgeva le spire intorno al collo. Improvvisamente provò un intenso dolore alle mani: il serpente si era trasformato in una barra di ferro rovente. Lacrime di dolore scesero lungo le gote di Janet che tuttavia non abbandonò la presa e continuò a stringere a sé Tam Lin. Allora la Regina degli Elfi capì di aver perso Tam Lin a causa del saldo amore di una donna mortale e gli restituì sembianze umane: Janet si ritrovò così fra le braccia un uomo nudo. Trionfante avvolse Tam Lin nel suo mantello verde e mentre la compagnia degli Elfi riprendeva il cammino e una sottile mano verde afferrava le briglie del cavallo di Tam Lin, si udì la voce della Regina levarsi in un lamento amaro: "Ho perso il più bel cavaliere della mia compagnia, tornato al mondo dei mortali. Addio Tam Lin! Se avessi saputo che una donna ti avrebbe conquistato con la forza del suo amore ti avrei privato del tuo cuore di carne per sostituirlo con uno di pietra. Se avessi saputo che la bella Janet sarebbe venuta nel bosco di Carterhaugh, avrei sostituito i tuoi occhi grigi con degli occhi di legno".
Mentre la Regina parlava la notte rischiarò e, alla debole luce dell'aurora, con uno strano grido, i cavalieri fatati rimontarono sui loro cavalli e scomparvero. Mentre il suono dei campanelli si faceva sempre più lontano, Tam Lin prese fra le sue una delle povere mani piagate di Janet e insieme tornarono al castello, dove viveva il padre di lei.

La Sposa Perduta, K. Briggs

Ma non sempre, anzi, quasi mai, i tentativi di liberare un giovane o una fanciulla o una "levatrice delle Fate" avevano successo come nel caso di Tam Lin.
Katharine Briggs ne riporta un esempio:



Ed Org

"La moglie di un contadino di Lorbian era stata portata via dagli esseri fatati e, durante l'anno di prova, apparve ripetutamente la domenica in mezzo ai suoi figli, pettinando i loro capelli. In una di queste occasioni il marito le si avvicinò; allora ella raccontò cosa le era capitato e gli disse come avrebbe potuto fare per riaverla con sé. Lo esortò a mostrare tutto il suo coraggio, poiché la sua felicità terrena ed eterna dipendeva da lui e dal successo di quel tentativo. Il contadino, che amava ardentemente la moglie, si preparò e il giorno della vigilia di Ognissanti si nascose in un cespuglio di ginestra e aspettò impaziente la processione delle fate. Quando udì il suono delle briglie dei cavalli e il rumore selvaggio e irreale che accompagnava il corteo, il suo cuore miseramente lo tradì e, così, lasciò che la processione passasse senza interromperla. Appena l'ultimo fu passato, l'intera moltitudine sparì tra grida di esultanza, fra le quali, purtroppo, si distingueva la voce di sua moglie che si lamentava perchè egli l'aveva persa per sempre."

mercoledì 30 ottobre 2013

Halloween o Hallowe'en, da All Hallows' Eve (Vigilia di Ognissanti), da Samhain (Samain)

In tutte le tradizioni, in tutte le culture, si celebra il passaggio dalla Luce all'Oscurità, dal periodo dei raccolti e dell'abbondanza a quello della Natura apparentemente rinchiusa su se stessa, avara di vita,  in attesa del ritorno della primavera. La Dèa, ovvero la sua incarnazione, si sacrificava perché dalla sua morte le acque e la terra tornassero feconde, garantendo i futuri raccolti e la pescosità di fiumi e laghi. Questa ricorrenza era la più importante per i Celti e si chiamava Samain. I Celti erano convinti di venire da quello che noi chiameremmo Oltretomba, e il loro luogo di origine era anche uno dei luoghi dei loro "ritorni" dopo la morte. La notte di Samain, la sottile parete che li divideva da quel mondo parallelo cadeva, e, per una notte, il Tempo scorreva in sincronia. A Samain gli Eroi e i Re visitavano le Isole vaganti sulle acque e la Terra degli Eternamente Giovani; a Samain, gli Dèi si avvicinavano agli uomini per chiedere, sorprendentemente,  il loro aiuto, o per riprendersi una sposa immortale reincarnatasi in una donna. Quando san Patrizio cristianizzò l'Irlanda, costringendo i Luminosi Dèi all'esilio e spegnendo la poesia e la bellezza degli Antichi Tempi, ciò che era sacro e fonte di forza divenne pauroso e diabolico. Ridotti a folletti, a spiritelli maligni e dispettosi, gli Dèi, nelle nuove leggende, attendevano quella notte "pericolosa" per tendere astuti tranelli agli esseri umani.
Da questa superstizione, dal rovesciamento di una celebrazione sacra della Vita sulla Morte, discende l'attuale  "Halloween". Ai tempi in cui gli uomini non temevano i morti, perché abitavano nel luogo dal quale essi stessi provenivano,  consacravano quella notte con offerte di cibo. Oggi, i bambini, caricature dei folletti, a loro volta, caricature degli Dèi spodestati, ripetono :"Dolcetto o scherzetto", mescolando il ricordo di un antico tributo al superstizioso terrore della vendetta del Piccolo Popolo.

La zucca intagliata ( in origine, una grossa rapa) si rifa alla leggenda irlandese di Jack O' Lantern, prototipo del furbo contadino di tante storie popolari.
"... trae origine dalla leggenda di un Ne’er-do-well  ( 'non ne combino una giusta') chiamato Stingy Jack, un fannullone e scommettitore dal brutto caratteraccio, assai dedito all’alcool.
Una sera di Halloween, dopo l’ennesima sbronza, gli apparve il Demonio intenzionato ad impossessarsi della sua anima da peccatore. Jack chiese al Diavolo che gli venisse concesso di bere un ultimo bicchierino. Ottenuto il permesso, si lamentò del fatto che non aveva nemmeno un soldo per pagare la consumazione, così pregò il Demonio di trasformarsi in una moneta da 6 pence. Avvenuta la mutazione, Jack afferrò la moneta e la mise nel suo portafoglio, avente la caratteristica di una croce ricamata sopra. Imprigionato irrimediabilmente, per riottenere la libertà, il Diavolo accettò il patto proposto da Jack, che consisteva nel posticipare di un anno la sua morte.La vigilia di Ognissanti seguente, il Diavolo si ripresentò per ottenere l’anima dell’uomo. Questa volta Jack gli propose una scommessa: non sarebbe più riuscito a scendere da un albero. Il Diavolo sorrise ed accettò, salendo su un albero lì vicino. Fu allora che Jack incise sulla corteccia una croce, che impediva al Diavolo di saltare giù.
Con la vittoria in pugno, Jack propose al Diavolo un patto: egli avrebbe cancellato la croce, se lui si fosse impegnato a non tentarlo più. Dopo circa un anno, Jack morì. Al suo bussare alle porte del Paradiso venne risposto che non sarebbe potuto entrare perché aveva condotto una vita dissoluta piena di peccati. Giunto all’Inferno, anche il Diavolo gli negò il permesso di entrare, perché ancora offeso per come era stato raggirato dall’uomo. Tuttavia, il Diavolo donò a Jack un tizzone che gli illuminasse la strada nel limbo oscuro. Jack si ingegnò per far durare più a lungo quella luce e la ripose in una rapa svuotata, ricavandone così una lanterna. Da allora, nelle notti della vigilia di Ognissanti è possibile scorgere la fiammella di Jack, che vaga alla ricerca della sua strada.

Da allora Jack fu soprannominato Jack O’Lantern (ma anche Hob O’Lantern, Fox Fire, Corpse Candle, Will O’ The Wisp).
Si sarà notato che nella leggenda si parla di una rapa e non di una zucca. La spiegazione a ciò sta nel fatto che gli irlandesi sbarcati in America non ebbero più a disposizione il loro tubero e ricorsero, quindi, alle grosse zucche gialle, facilmente reperibili nella nuova terra e ben più grandi".

Questa versione online della leggenda :
http://www.irlandando.it

La leggenda narra, anche, che, la notte di Halloween, Jack cerca una casa da infestare; se, però, gli abitanti hanno preparato una zucca intagliata con un ghigno spaventoso e illuminata dall'interno, batte in ritirata.


Ciò detto, FELICE SAMAIN A TUTTI, in attesa che, il giorno del solstizio d'inverno, il 21 dicembre, si bruci il ceppo di Jol per festeggiare il trionfo della Luce sull'Oscurità.


MAB

lunedì 28 ottobre 2013

La Vedova e il Diavolo, fiaba Russa

'era una volta un contadino che aveva una bella moglie; gli sposi si amavano molto e vivevano d'amore e d'accordo. Passò qualche tempo e  il marito morì. La povera vedova lo seppellì ed incominciò a diventare malinconica, a piangere, a disperarsi. Pianse per tre giorni e tre notti senza interruzione; al quarto giorno, a mezzanotte in punto, le compare dinanzi il diavolo, nelle fattezze del marito. Lei si rallegrò tutta, gli si gettò al collo e domanda:
"Come hai fatto a venire?"
"Sentivo che tu, poveretta, piangevi per me così amaramente!- dice - Mi facevi pena, ho chiesto il permesso e son venuto".



Si mise a dormire con lei al mattino, non appena i galli cantarono, si dissolse come fumo. Il diavolo andò da lei un mese e un altro; lei non racconta niente a nessuno, ma intanto diventa sempre più magra, si scioglie come una candela sul fuoco!
Una volta viene dalla vedova la vecchia madre, comincia a chiederle:
"Perché sei così magra, figliola?"
"Dalla gioia, mammina!"
"Che gioia?"
"Il mio defunto marito viene da me ogni notte"
"Ah, stupida! che marito, quello è il diavolo!"
La figlia non le crede.
"Beh, ascolta allora quel che ti dico quando verrà a farti visita, e si siederà a tavola, tu fa' cadere apposta il cucchiaio, e quando t'abbasserai, guardagli fra le gambe".
La vedova diede ascolto alla madre: come arrivò il diavolo. lei fece cadere il cucchiaio sotto la tavola, s'abbassò a cercarlo, gli guardò fra le gambe e vide che aveva la coda. Il giorno dopo corse dalla madre.
"Ebbene, figliola era vero?"
"E' vero, mammina! che posso fare, me infelice?"
"Andiamo dal pope".
Andarono, gli raccontarono tutto com'era; il pope cominciò a esorcizzare la vedova, tre settimane la esorcizzò riuscì a fatica ad allontanare il demonio da lei!

Afanas'ev n. 121

domenica 27 ottobre 2013

La Figlia della Madonna, Grimm n.3

avanti a un gran bosco viveva un taglialegna con la moglie e l'unica figlia, una bambina di tre anni. Ma erano così poveri che non tutti i giorni avevano il pane e non sapevano che cosa dare da mangiare alla bimba. Un giorno il taglialegna andò a lavorare nel bosco tutto preoccupato e, mentre tagliava la legna, gli apparve all'improvviso una bella signora d'alta statura, che aveva una corona di stelle lucenti sul capo, e gli disse:"Io sono la Vergine Maria, la madre del Bambino Gesù; tu sei povero e bisognoso: portami la tua bimba; la prenderò con me, sarò la sua mamma e provvederò a lei."



Il taglialegna prese la bimba e la diede alla Vergine Maria che la portò con sé in Cielo. Là stava bene: mangiava marzapane, beveva latte dolce, i suoi vestiti erano d'oro e gli angioletti giocavano con lei. Quando ebbe quattordici anni, la Vergine Maria la chiamò a sé e disse:
"Cara bambina, devo fare un lungo viaggio; prendi in consegna le chiavi delle tredici porte del regno dei Cieli: dodici puoi aprirle e contemplare le meraviglie che custodiscono, ma la tredicesima, per cui si deve usare questa piccola chiave, ti è vietata; guardati dall'aprirla, o sarai infelice."
La ragazza promise di essere ubbidiente e, quando la Vergine Maria se ne fu andata, incominciò a visitare le stanze del regno dei cieli: ogni giorno ne visitava una, fino a quando ne ebbe viste dodici. In ogni stanza c'era un apostolo, e all'intorno un grande splendore. Ella gioiva non avendo mai visto in vita sua tanta magnificenza e grandiosità, e gli angioletti, che l'accompagnavano sempre, gioivano con lei. Ora non rimaneva che la porta proibita; ella provò un gran desiderio di sapere che cosa nascondesse, e disse agli angioletti:
"Non voglio aprirla del tutto, ma soltanto un pochino, che si possa vedere attraverso la fessura."
"Ah, no - esclamarono gli angioletti - sarebbe peccato: la Vergine Maria lo ha proibito e potrebbe essere la tua rovina."
Allora ella tacque, ma non tacquero la curiosità e la brama che continuavano a tormentarla in cuor suo. E una volta che gli angioletti erano via, ella pensò: 'Ora sono sola: chi può vedermi?' Così prese la chiave, e dopo averla presa la infilò nella serratura, e dopo averla infilata la girò. La porta si spalancò, ed ella vide la Trinità circonfusa di fuoco e splendore. Sfiorò appena quel fulgore con il dito, ed esso si ricoprì d'oro. Allora fu presa dalla paura, chiuse violentemente la porta e corse via. Ma qualsiasi cosa facesse, la paura non passava e il cuore continuava a battere forte, e non si voleva chetare, e anche l'oro rimase sul dito e non se ne andò, per quanto lo lavasse.
Dopo pochi giorni la Vergine Maria ritornò dal suo viaggio. Chiamò la fanciulla e disse: "Ridammi le chiavi del Cielo."
Quando la fanciulla le porse il mazzo, la Vergine la guardò e le chiese:
"Non hai forse aperto anche la tredicesima porta?"
"No," rispose.
La Vergine le mise la mano sul cuore, sentì come batteva e capì che ella aveva trasgredito il suo ordine e aveva aperto la porta. Domandò ancora una volta: "Davvero non l'hai fatto?"
"No," rispose la fanciulla per la seconda volta.
Allora la Vergine scorse il dito d'oro, con il quale la fanciulla aveva sfiorato il fuoco divino, vide che aveva peccato e domandò per la terza volta:
"Non l'hai fatto?"
"No," rispose la fanciulla per la terza volta.





Allora la Vergine Maria disse:
"Non mi hai obbedito, hai mentito: non sei più degna di stare in Cielo."
La fanciulla cadde in un sonno profondo e, quando si risvegliò, giaceva sulla terra vicino a un albero alto, circondato da una fitta boscaglia impossibile a penetrarsi. La sua bocca era muta e non poteva pronunciare parola. Nell'albero vi era una cavità dov'ella dormiva di notte e si riparava quando pioveva o vi era tempesta. Radici e bacche erano il suo unico nutrimento, le cercava fin dove poteva arrivare. In autunno raccoglieva le foglie dell'albero, le portava nella cavità e, se nevicava o gelava, si copriva con esse. I suoi vestiti si sciuparono e le caddero di dosso e dovette così avvolgersi nelle foglie. Appena il sole splendeva caldo, usciva e si sedeva davanti all'albero, e i suoi lunghi capelli la ricoprivano da ogni parte come un mantello. Così visse a lungo e sentì il dolore e la miseria del mondo.
Un giorno di primavera il Re di quella terra cacciava nel bosco inseguendo un capriolo e, siccome la bestia si era addentrata nella boscaglia che circondava l'albero cavo, discese da cavallo, spezzò gli sterpi e si aprì un varco con la spada. Penetrato nel fogliame, vide seduta sotto l'albero una fanciulla bellissima, coperta da una chioma dorata che le arrivava fino ai piedi. Egli si meravigliò e disse: "Come hai potuto arrivare in questo luogo deserto?" Ma essa non rispose, perché‚ non poteva schiudere le labbra.
Il Re proseguì: "Vuoi venire con me al mio castello?"
La fanciulla annuì leggermente con il capo. Il Re la prese allora tra le braccia, la mise sul suo cavallo e la portò a casa dove le fece indossare dei vestiti e le diede ogni cosa in abbondanza. E, anche se non poteva parlare, era così bella e leggiadra che egli se ne innamorò e la sposò.




Dopo circa un anno, la Regina mise al mondo un bimbo. Di notte, mentre era sola, le apparve la Vergine Maria e disse: "Se dici la verità e ammetti di avere aperto la porta proibita, ti dischiuderò le labbra e ti ridarò la parola, ma se ti ostini a mentire rimanendo nel peccato, allora mi prenderò il bambino appena nato."
La Regina poté rispondere questa volta, ma disse: "No, non ho aperto la porta proibita," e la Vergine Maria prese dalle sue braccia il bambino appena nato e scomparve con lui. Il giorno seguente quando si scoprì che il bambino era sparito, la gente cominciò a mormorare che la Regina era un mostro e che aveva ucciso il suo bambino. Ella udiva ogni cosa, ma non poteva replicare nulla. Il Re però non credette a niente di tutto ciò, tanto l'amava.
Dopo un anno la Regina diede alla luce un altro figlio. Di notte comparve nuovamente la Vergine Maria e disse:
"Se ammetti di avere aperto la porta proibita, ti ridarò il tuo bambino e ti scioglierò la lingua, ma se persisti nel peccato e neghi, allora prenderò anche questo neonato con me."
Ma la Regina disse nuovamente: "No, non ho aperto la porta proibita," e la Vergine Maria le prese il bimbo dalle braccia e lo portò con sé in Cielo.
La mattina, scomparso di nuovo il piccino, la gente disse ad alta voce che la Regina lo aveva divorato e i Consiglieri del Re chiesero che fosse giudicata. Ma il Re l'amava tanto che non volle crederlo e ordinò ai consiglieri di non parlarne più, pena la vita.
Dopo un anno la Regina partorì una bella figlioletta; la Vergine Maria le apparve nuovamente di notte e disse: "Seguimi." La prese per mano, la condusse in Cielo e le mostrò i due figli maggiori che le sorridevano e giocavano con la palla del mondo. La Regina se ne rallegrò; allora disse la Vergine Maria: "Se ammetti di avere aperto la porta proibita ti ridarò i due figlioletti."
Ma la Regina rispose per la terza volta: "No, non ho aperto la porta proibita!" Allora la Vergine la lasciò ricadere sulla terra e le prese anche il terzo bambino. La mattina dopo, quando la cosa trapelò, la gente gridò a gran voce: "La Regina è un mostro e deve essere condannata!" E il Re non potè più trattenere i suoi Consiglieri. La Regina fu giudicata e, poiché‚ non poteva rispondere né difendersi, fu condannata a morire sul rogo. Ammucchiarono la legna e, quando fu legata al palo e il fuoco incominciò ad avvampare intorno a lei, il suo cuore fu mosso dal pentimento ed ella pensò: 'Potessi confessare, prima di morire, di avere aperto la porta!' e gridò: "Oh Maria, sì l'ho fatto!" Come ebbe in cuore questo pensiero, dal cielo incominciò a piovere e l'acqua spense le fiamme, ella fu inondata di luce e la Vergine Maria discese fra i due bambini e con la neonata in braccio. Le disse amorevolmente: "Chi si pente della propria colpa e la confessa è perdonato." Le porse i bambini, le sciolse la bocca e la rese felice per tutta la vita.

Grimm n.3, "Marienkind"
Classificazione: AaTh 710, [Our Lady's Child]
Il testo in lingua originale è nella Pagina: "Brüder Grimm"


martedì 22 ottobre 2013

Le Sirene Esistono? Testimonianze e Avvistamenti dal Primo Secolo al 2012...

Uno sguardo nel corso degli anni mostra come molte persone in tutto il mondo abbiano avvistato o avuto esperienze dirette con le sirene. Ecco una cronologia di alcuni dei principali avvistamenti ed esperienze, tra cui Cristoforo Colombo, Plinio il Vecchio e William Shakespeare.



I secolo d.C.: Plinio il Vecchio scrive delle Nereidi, donne con ruvidi corpi squamosi come il pesce. In Storia Naturale sono descritte, "sedute su delfini, ketoi o ippocampi". Plinio descrive come il legatus della Gallia scrisse al vecchio imperatore Augusto "di un numero considerevole di nereidi" che furono "trovate morte sulla riva del mare". Inoltre, "ho anche alcuni illustri informatori di rango equestre che affermano di aver visto essi stessi nel mare di Gades un uomo-marino", scrive Plinio, secondo una traduzione dell'Università di Chicago.

13° secolo: Bartolomeo Angelicus, nel De Propietatibus Rerum, descrive una sirena e racconta dei suoi marinai rapiti dalle loro navi.

Metà del 13° secolo: Una versione tradotta di Speculum Regale o Lo Specchio del Re, originariamente scritto in norreno, appare diversi secoli dopo. Nel libro vi è una descrizione di una creatura trovata al largo delle coste della Groenlandia. "Come una donna fino alla vita, le mani lunghe e i capelli morbidi, il collo e la testa a tutti gli effetti come quelli di un essere umano. Le mani sembrano lunghe e le dita non sono separate, ma unite in una rete come quella sui piedi degli uccelli acquatici. Dalla vita in giù questo mostro sembra un pesce, con scaglie, coda e pinne. Si mostra soprattutto prima di forti temporali. L'abitudine di questa creatura è quella di immergersi frequentemente e risalire in superficie con in mano dei pesci. Quando i marinai la vedono giocare con i pesci o gettarli verso la nave, temono di essere condannati a perdere diversi membri dell'equipaggio, ma quando getta il pesce dalle imbarcazioni i marinai lo prendono come il buon auspicio che non soffriranno perdite nella tempesta in corso. Questo mostro ha una faccia orribile, con ampia fronte e gli occhi penetranti, una bocca larga e il doppio mento".

1493: Cristoforo Colombo vede tre sirene saltare in mare. Colombo scrisse nel diario della sua nave: "non erano così belle come vengono dipinte, anche se in qualche misura hanno un aspetto umano in volto". Annotò inoltre di aver visto creature simili al largo della costa dell'Africa occidentale.

1590: Si crede che William Shakespeare abbia scritto Sogno di una notte di mezza estate tra il 1590 e il 1594. Nell'opera scrive: "Appressati, Puck. Tu certo ben ricordi quando dalla cima d'un alto scoglio udii una sirena assisa sul dorso di un delfino la quale effondeva nell'aria tanto soavi ed armoniosi accenti che il rude mare s'ingentilì al suo canto, e alcune stelle, impazzite fuori balzaron dalle sfere per ascoltare la melodia dell'equorea fanciulla marina". 

1614: il capitano John Smith, conosciuto per Pocahontas, vide una sirena al largo della costa del Massachusetts. Scrisse che "la parte superiore del suo corpo è perfettamente simile a quello di una donna e stava nuotando con tutta la possibile grazia vicino alla riva". Aveva "grandi occhi un po' troppo rotondi, un naso finemente formato (un po' troppo corto), orecchie ben fatte, un po' lunghe e i suoi lunghi capelli verdi le impartivano un carattere curioso tutt'altro che poco attraente".

1797: William Munro, un insegnante in Scozia, scrive una lettera al dottor Torrance a Glasgow, pubblicata sul Times di Londra l'8 settembre 1809. Munro scrive: "Circa dodici anni fa, quando ero maestro di scuola parrocchiale a Reay, mentre camminavo sulla riva del Sandside Bay, essendo una giornata calda in estate, sono stato indotto a prolungare il mio cammino verso Sandside Head, quando la mia attenzione è stata carpita dalla comparsa di una figura simile a una femmina umana svestita, seduta su di una roccia che si estende nel mare, apparentemente nell'atto di pettinare i suoi capelli, che scendevano fluenti attorno alle sue spalle e di colore marrone chiaro. La somiglianza che la figura portava al suo originale in tutte le sue parti in vista era così sorprendente che se la roccia su cui era seduta non fosse stata pericolosa per la balneazione, sarei stato costretto a considerarla davvero una forma umana e per un occhio non abituato alla situazione, deve essere senza dubbio apparsa come tale. La testa era coperta con i capelli del colore di cui sopra e ombreggiati alla radice, la fronte rotonda, il viso paffuto. Le guance rubiconde, gli occhi azzurri, la bocca e le labbra di una forma naturale simili a quelle di un uomo, i denti non li ho potuti intravedere, data la bocca chiusa, i seni e l'addome, le braccia e le dita nella misura in cui le mani sono state impiegate, non sembrano essere palmate, ma quanto a questo non sono sicuro. E' rimasta sulla roccia tre o quattro minuti dopo che l'ho osservata, in quel tempo ha provveduto alla sua pettinatura di capelli, che erano lunghi e folti e di cui è apparsa orgogliosa e poi si lasciò cadere in mare, che arrivava al livello dell'addome; benché non mi riapparve, ho avuto una visione distinta delle sue caratteristiche, essendo a non grande distanza sopra gli scogli rocciosi su cui si era seduta e il sole era splendente". E continua: "Immediatamente prima di entrare nel suo proprio elemento naturale mi sembrava che mi avesse osservato, perché gli occhi erano rivolti verso l'altura su cui mi trovavo. Potrebbe essere necessario osservare, che il periodo precedente all'avvistamento, ne avevo spesso sentito parlare da più persone e alcuni di loro, persone la cui veridicità non ho mai messo in dubbio, avevano visto un fenomeno come quello che ho descritto, anche se poi, come molti altri, non ero disposto ad accreditare la loro testimonianza su questo argomento. Posso dire di una verità, solo vedendo il fenomeno mi sono perfettamente convinto della sua esistenza. Se il racconto di cui sopra può in qualsiasi grado essere utile per stabilire l'esistenza di un fenomeno fino ad allora quasi incredibile per i naturalisti o per rimuovere lo scetticismo di altri che sono pronti a contestare tutto ciò che non possono comprendere fino in fondo, sii il benvenuto, Egregio Signore, Il tuo servo più obbligato e più umile, WILLIAM MUNRO"

1857: Il The Shipping Gazette riferì che marinai scozzesi avevano individuato una creatura al largo delle coste della Gran Bretagna. John Williamson e John Cameron hanno dichiarato: "Abbiamo visto distintamente un oggetto a circa sei metri di distanza da noi nella forma di una donna, con seno pieno, carnagione scura, volto avvenente e bei capelli cadenti in riccioli sul collo e le spalle. Era circa a metà distanza tra il fondale e la superficie, ci guardava e scuoteva la testa. Il tempo era bello, abbiamo osservato la scena completa per tre o quattro minuti".

2008: Un avvistamento di una sirena è accaduto in Suurbraak, un villaggio nel Western Cape del Sud Africa, riferito da Aldo Pekeur, corrispondente per il New Zealand Herald. Un abitante del villaggio, Daniel Cupido, ha detto che lui e i suoi amici erano accanto al fiume intorno alle 11:30, quando hanno sentito qualcosa di simile a qualcuno "battere su un muro". Cupido è andato verso il suono, e ha trovato una figura "come di una donna bianca con lunghi capelli neri che si dibatteva nell'acqua". Cupido ha dichiarato di aver cercato di aiutare la donna, ma la donna ha emesso "un suono stranissimo", tanto che Dina, la madre di Cupido, ha detto che era così addolorato che "il mio cuore non ce la faceva più". Queste creature sono descritte come Kaaiman o metà umano e metà pesci che vivono in acque profonde. Un agente del turismo di Suurbraak, Maggy Jantjies, ha detto di conoscere le persone che hanno visto bene il Kaaiman e che non avevano abusato di alcol.

2009: I rapporti provenienti da decine di persone che hanno avvistato sirene hanno stimolato l'amministrazione comunale di Kiryat Yam, vicino a Haifa, che ha deciso di offrire un milione di dollari a chiunque possa dimostrare con foto o filmati che esistano le sirene. "Molte persone ci dicono di essere sicuri di aver visto una sirena e sono tutti indipendenti l'uno dall'altro", ha detto il portavoce del Consiglio Natti Zilberman a Sky News. "La gente dice che sono metà ragazza, metà pesce, che saltano come delfini. Fanno tutti i tipi di mosse e poi scompaiono".

2012: Un funzionario dello Zimbabwe, ha detto che le sirene perseguitavano i lavoratori del governo addetti alle dighe in vari settori. Secondo il Voice of America, il ministro delle Risorse Idriche, Sam Sipepa Nkomo ha detto al comitato del Senato a marzo che i capi tradizionali stavano per eseguire rituali per sbarazzarsi delle sirene che credono abitare i bacini idrici in Gokwe e Mutare, in cui i lavoratori hanno paura di andare. Hanno riferito che alcuni lavoratori sono scomparsi, mentre altri si sono rifiutati di tornare a installare pompe per l'acqua. Il capo tribù Edison Chihota del Mashonaland orientale ha dichiarato ai media che le sirene esistono. "In qualità di custode della tradizione non ho alcun dubbio", ha detto il capo Chihota. "Per chiunque contestare questo è come contestare se stessi".

http://epochtimes.it/index.html

Le Beate Donnette

iù nello Staich ci sono alte rupi, con grandi caverne, dove anticamente vivevano le Beate Donnette. Queste erano persone piccole, astute e buone e avevano ricavato piccole camere nella caverna e la cucina per fare da mangiare. Di giorno non stavano mai in casa, ma giravano nei boschi o nelle valli per raccogliere radici, fiori e foglie per utilizzarle come intendevano loro. Per dono di Domine Dio, avevano la facoltà di parlare con le bestiole e con gli animali selvatici. Rare volte parlavano con la gente. Quando erano stanche o era tempo di tornare a casa, chi montava su un orso, chi a cavalcioni di una volpe, chi ancora su un capriolo, andavano a casa per cenare o per dormire. Tutte le mattine, al sorgere del sole, le Beate Donnette si facevano sulla porta e battendo una ciotola cantavano:

"Buone bestiole che siete per le valli 
 venite qui oggi dalla Beata Donnetta. 
Capriole che siete nei boschi 
 desidero vedervi e mungere un po'".

Le capriole accorrevano, si fermavano davanti alle caverne e le Beate Donnette le mungevano. Quando si recavano in paese per cercare qualcosa di cui avevano bisogno, vi andavano sempre di soppiatto, senza farsi vedere, ma ogni favore che veniva fatto loro era sempre ricompensato. Una volta, una Beata Donnetta bussò ad una casa per chiedere un po' di farina gialla: era una casa fuori dal paese e vi viveva una donna sola che si chiamava Marietta. Marietta le diede un bel cartoccio di farina e la Beata Donnetta, vedendo che aveva cuore, tolse dal suo corpetto una bella e bianca matassina di lana e la diede alla donna dicendo:

"La Beata Donnetta questa matassina regala, 
 poco essa è ma 
vasta e grande come il mondo 
 non stancatevi se sarà mai 
 dipanata, 
 voi avete da fare quanto vorrete".

Marietta, sentendo queste parole, si meravigliò perché non riusciva a capire come quella piccola matassina potesse essere grande e vasta quanto il mondo. Ritornò a guardare la Donnetta e capì: quella era la più grande cosa che poteva ricevere per il cartoccio di farina gialla che le aveva dato. Salutò la Donnetta dicendo: "Statemi bene e vi ringrazio". Lieta, la Donnetta se ne andò e non si fece più vedere...."
Quella sera, Marietta andò al "filò". Così si chiamava la veglia serale nelle campagne del Veneto.




"Nel cuore dell'inverno, la stalla diventa il centro della vita sociale e, spesso, familiare (i bambini desinavano e cenavano in stalla) perché le case erano fredde e umide come tane di serpenti." Le donne filavano, rammendavano, cucivano... gli uomini riparavano gli arnesi da lavoro... e intanto si chiacchierava, si raccontavano "fole"... insomma, si "faceva il filò"....Marietta raccontò la sua avventura e tutte le donne le si fecero accanto per non perdere una parola sul suo strano incontro.
"Quando la Beata Donnetta mi donò questa matassina pronunciò molte parole che io non ho compreso. Mi pare di ricordare solo che questa matassina è piccola e grande; l'importante è che non mi stanchi di dipanarla". Tutte le donne erano meravigliate ma credevano a Marietta perché la lana era bianca come un dente, soffice come una piuma; lana che non si era mai vista da quelle parti. Doveva essere lana di paesi lontani.
Solo una ragazza fece spallucce e disse che, forse, ci avrebbe ricavato un paio di scarpine per il suo bimbo piccolo. Marietta dipanò, dipanò tutta la sera e la matassina non finiva...
"Quando andò a dormire aveva riempito una gran cesta di gomitoli e tutti si stupivano della matassina della Beata Donnetta. Il giorno dopo dipanò ancora e, dipana dipana, ebbe lana per un intero paese. Le donne andavano a vedere la matassina e la lana dipanata; la matassina era sempre uguale, ma i gomitoli crescevano, crescevano...
"Cosa fate, Marietta, con tanta lana?" chiedevano le donne. 
"Ne darò anche alla povera gente ", rispondeva Marietta.
Un giorno, Marietta se ne stava nella stalla a mungere le vacche e ad un certo punto entrò in casa una donna per latte. Questa donna era sempre stata invidiosa di Marietta e, vedendosi sola, incominciò a dipanare svelta per finire la matassina prima che tornasse Marietta. Ma non riusciva a finirla e, incollerita, esclamò: "Maledetta matassa, ma quando finisci, tu?!"
A queste parole sparirono la matassina e tutta la lana dipanata. La cattiva donna si spaventò per ciò che era successo e di nascosto corse via senza farsi vedere, così quando Marietta tornò non trovo più la matassa e neanche i gomitoli. Marietta vi rimase male e pianse. Alzando gli occhi si vide davanti la Beata Donnetta che la guardava tristemente.

"In questo mondo c'è buona gente, 
 cattiva, brutta che male invidiano il bene 
 degli altri e di tutti 
 gli amici 
 i cattivi moriranno e i buoni 
vivranno.
Non avvilitevi cara buona donna 
 per oggi per domani danneggiata siete 
 chi vi ha danneggiato non 
 progredirà 
 In questo mondo sempre devono patire, 
 sacrificare molto devono 
 le persone, 
 in giro per i boschi e le verdi colline 
 Questa è la vita dei poveri 
 montanari 
 Per l'ultima volta vi saluto, o donna 
 non mi vedrete e non mi 
 sentirete più 
datevi cuore per questa vita 
 il miglior augurio che vi posso fare è: 
salute".

La Beata Donnetta così disse, lasciò per terra un sacco di gomitoli di lana e sparì come un'ombra."




Ma, a volte, era l'ingratitudine, non l'invidia, la causa della perdita del dono prezioso.Anzi, direi che è il "peccato"più ricorrente in questo genere di racconti.



na volta, tanti tanti anni fa, c'era una donna che era diventata troppo vecchia per guadagnarsi da vivere e così fu "costretta a farsi mendicante". Un giorno, divorata dalla fame, scese giù nella Dross, in Valdastico appoggiandosi ad un bastone e tirandosi dietro un sacco vuoto. E chiedeva farina qua e là. Sfinita, sedette a rifiatare, e sentì nell'aria un odore delizioso di pane appena sfornato... Improvvisamente le si presentò davanti una Donnetta Beata, le porse un pane fresco e le disse: 
"Prendi, maiale goloso, un pane lo do anche a te ..." e nello stesso momento sparì come un lampo. Rinfrancata, la vecchia scese giù nella Dross, ma incontrò solo gente dal cuore duro e dallo sguardo di pietra e quasi se ne morì per il freddo e gli stenti. Anzi, sarebbe sicuramente morta se non avesse avuto in corpo il pane della Donnetta. Allora tornò indietro, e, giunta al Lèrchovel, dove aveva sentito l'odore di pane, vide delle belle tele stese sui prati ad imbiancare. E pensò che se avesse avuto una soltanto di quelle pezze di tela, avrebbe cucito delle buone camicie che certo l'avrebbero protetta dal vento gelido più dei suoi stracci. Improvvisamente, ecco di nuovo la Donnetta Beata. Questa volta, con una matassina in mano."Prendi questa matassa, piccolo verme nudo, questa non finirà mai. Bada bene a non dire: Oh, se tu fossi almeno finita! " E immediatamente la Donnetta Beata sparì. La poveretta prese la matassa e tutta contenta fece ritorno al paese. Si mise a dipanare il filo tanto da farne parecchi gomitoli per una bella pezza di tela. Non sapeva tessere, ma pagò il tessitore con un bel pezzo di tela avanzata. Dapprima si cucì una gonna ed una giacchetta per sé Poi, incominciò a vendere la tela in giro e con tutto il denaro ricavato non le mancava nulla. La gente incominciò a chiacchierare sul suo improvviso benessere... E poi... dove la prendeva tutta quella tela? Per un po' la vecchia lasciò correre, ma, un giorno, una donna pettegola e cattiva le brontolò dietro: "Sta' un po'zitta tu... che lo sappiamo tutti dove prendi la tua tela:vecchia strega, è il diavolo che te la regala... e chissà che altro ancora!" La donna si lasciò trascinare in quel brutto litigio, poi, stanca, se ne tornò a casa e riprese a dipanare il filo. Ma la matassina si aggrovigliò e la vecchia, esasperata, esclamò: "Maledetta matassa, se fossi almeno finita presto!"
"... e in quel momento la matassa sparì e sparì tutta la tela che era stata fatta con quel filo, sparì tutto il denaro che aveva accumulato, sparì anche l'abito che indossava ed ella rimase su uno scanno e si trovò ancora più povera di prima".


Liberamente tratto da:"I racconti di Luserna (in Cimbro e Italiano) " a cura di A. Bellotto.

Mab's Copyright

sabato 19 ottobre 2013

L'Incantatrice dello Scoglio del Diavolo, di Emma Perodi

l tempo dei tempi, quando la Madonna, Gesù e i santi facevano miracoli, c'era ad Arezzo, non proprio in città, ma poco fuori delle mura, verso la chiesa delle Grazie, una ragazza per nome Santina. Questa ragazza aveva un cugino chiamato Gosto, e tutt'e due, essendo parenti, eran cresciuti con l'idea di sposarsi un giorno. Ma allorché i loro genitori vennero a morte, essi dovettero allogarsi come garzone e garzona, e nella disgrazia avevan avuto la fortuna di capitare in uno stesso podere, dal medesimo padrone. I due giovani avrebbero potuto campar contenti, aiutandosi scambievolmente, ma invece si lamentavan sempre.
"Se avessimo almeno di che comprare un paio di manzi e un maiale, - diceva Gosto, - si cercherebbe un poderetto e ci potremmo sposare!"
"Sì; - rispondeva Santina, sospirando, - ma son certi tempi, questi! Le bestie son care arrabbiate, e non c'è bene per la povera gente".
"Ho paura che si debba aspettare un bel pezzo! - replicava il giovine. - Eppure, non c'è da dire che io sciupi denari all'osteria."
"Ho paura anch'io" diceva la Santina. Questi lamenti si ripetevano tutti i giorni, e, alla fine, Gosto perse la pazienza. Una mattina egli andò dalla ragazza, che vagliava il grano nell'aia, e le disse che voleva recarsi lontano a cercar fortuna. Santina si turbò molto a questa notizia e fece di tutto per trattenerlo; ma Gosto, che era un giovinotto risoluto, non volle darle ascolto.
"Gli uccelli, - diss'egli, - volano sempre, finché non trovano un campo di grano, e le api girano in cerca di fiori per fare il miele. Ti pare che un uomo debba aver meno criterio di questi animali? Anch'io voglio cercare, finché non trovo ciò che mi manca, cioè di che comprare un paio di manzi e un maiale. Se mi vuoi bene, Santa, non devi opporti a questa mia risoluzione, che affretterà il nostro matrimonio".
La ragazza capì che doveva cedere, e, nonostante che ella si sentisse sanguinare il cuore, disse a Gosto: "Va', e che Dio ti assista! ma prima di partire, accetta ch'io divida con te ciò che mi lasciarono i miei genitori".
Allora condusse il giovane davanti a una cassa, e, apertala, ne cavò un campanellino, un coltello e un bastone. "Queste tre reliquie, - ella disse, - non sono mai uscite dalla mia famiglia. Ecco il campanellino di san Romano, che ha un suono che si sente a qualunque distanza e avverte gli amici del pericolo che corre colui che lo possiede. Il coltello appartenne a san Donato, e tutto ciò che tocca sfugge agli incantesimi dei maghi e del Demonio; il bastone poi è quello del glorioso san Francesco, e conduce dove uno vuol andare. Ti do il coltello per difenderti dai maleficî, il campanello per avvertirmi dei pericoli che corri, e il bastone lo tengo per me, per raggiungerti in caso di bisogno". Gosto ringraziò la Santina, fece due lacrimoni nel lasciarla, poi si diresse verso le montagne. Ma appena compariva davanti a un villaggio, i poveri lo assalivano credendolo un signore, perché era pulitamente vestito. "Questa mi pare una contrada fatta più per finir quei piccioli che ho, che per metterne assieme - disse Gosto, - andiamo più lontano". E, cammina cammina, giunse in Romagna, a poca distanza dal mare. Mentre era sulla porta di un'osteria e stava per entrarvi, sentì due mulattieri, i quali, mentre caricavano le mule, parlavano della Incantatrice dello Scoglio del Diavolo. Gosto si avvicinò ai due uomini e domandò loro spiegazioni. Essi gli risposero che l'Incantatrice non si sapeva chi fosse, né di dove venisse, che abitava uno scoglio pericoloso ed era più ricca di tutti i re della terra. "Non fate come hanno fatto tanti altri, - aggiunse uno dei mulattieri, - che sono andati allo Scoglio del Diavolo per impadronirsi dei tesori della Incantatrice. Chi va da lei non torna più".
Gosto, nel sentire quest'avvertimento, fu subito punzecchiato dal desiderio di quell'avventura. I mulattieri fecero di tutto per trattenerlo e, vedendolo incaponito, ammutinarono il popolo, il quale si affollò intorno a lui e si mise a gridare, dicendo che nessun cristiano poteva lasciar correre alla perdizione un giovanotto. Gosto, vedendo la mala parata, disse che rinunziava all'impresa; ma siccome era tanto povero, pregava quelle anime buone, che dimostravano un interesse così vivo per lui, a fare una piccola colletta col provento della quale potesse comprare un paio di manzi e un maiale. Nell'udir questo, la folla si disperse, dicendo che quel giovane era un testardo e che non c'era mezzo di trattenerlo. Gosto, dunque, rimasto solo, andò in riva al mare e si fece condurre da un barcaiolo allo Scoglio del Diavolo. Questo scoglio era immenso, e nel centro di esso si vedeva uno stagno formato dalle acque del mare. Nel centro poi dello stagno vi era un'isoletta circondata di alghe e di gigli color rosa. Mentre Gosto camminava sulla proda dello stagno, vide nascosta fra un ciuffo d'erbe una barchetta celeste, che si cullava sulle acque tranquille. Quella barchetta aveva la forma di un cigno con la testa ripiegata sotto un'ala. Gosto, che non aveva veduto mai nulla di simile, si accostò a guardar la barca e poi, dopo averla esaminata da ogni lato, vi entrò dentro. Ma appena vi ebbe messo il piede, parve che il cigno si destasse; cavò la testa di sotto le penne, distese le zampe sull'acqua e si allontanò repentinamente dalla riva. Il giovane mandò un grido di spavento; ma il cigno si spinse veloce verso il centro dello stagno. Gosto allora cercò di buttarsi nell'acqua sperando di raggiungere a nuoto la sponda, e il cigno si tuffò nell'acqua trascinando seco il giovane, il quale non poteva neppur gridare, per non empirsi la bocca di acqua nauseabonda. Egli dovette dunque tacere, e così giunse alla casa della Incantatrice. Era quella tutta formata di conchiglie rarissime. Vi si giungeva da una scala di cristallo fatta in guisa che quando uno vi passava sopra, ogni scalino cantava come un uccello in primavera. Tutt'intorno vi erano vasti giardini, ove crescevano foreste di piante marine, e v'erano aiuole di alghe verdi, cosparse di diamanti invece che di fiori. L'Incantatrice era distesa nella prima stanza, sopra un letto d'oro. Era vestita di una tela color verde mare, fina e trasparente come le onde; i capelli neri erano vagamente ornati di coralli e le scendevano fino alle calcagna; il volto di lei era roseo e bianco come l'interno di una nicchia. Gosto rimase a bocca aperta vedendola così bella; l'Incantatrice si alzò allora sorridendo per andargli incontro. L'andatura di lei era leggiera come un'onda bianca che corresse sul mare, o una nuvoletta vagante per l'aria.


Waterhouse W.J.

Giunta vicino a Gosto, lo salutò dicendogli:  "Sii il benvenuto. Qui vi é sempre posto per gli stranieri e per i bei giovanotti." Gosto acquistò coraggio e fece un passo avanti; allora l'Incantatrice gli domandò:
"Chi sei? Donde vieni? Che cerchi?"
"Mi chiamo Agostino, - rispose il giovine, - vengo da Arezzo e cerco di che comprare un paio di manzi e un maiale."
"Ebbene, vieni, - disse la Fata, - e non ti dar cura di nulla perché avrai tutto ciò che potrà farti felice". Ella lo aveva fatto entrare in una seconda sala tutta tappezzata di perle, dove gli apprestò otto qualità diverse di vino in otto boccali d'argento. Gosto vuotò tutti i boccali e quando gli vennero riempiti, li vuotò di nuovo; e più beveva, e più l'Incantatrice gli pareva bella. Costei lo incoraggiava, dicendogli che non doveva temere di mandarla in rovina, poiché lo stagno dello Scoglio del Diavolo comunicava col mare, e tutte le ricchezze inghiottite da esso durante le tempeste, erano ivi portate da una corrente magica. "Per l'anima mia, - disse Gosto divenuto ardito mercè il vino, - non mi meraviglio più se la gente del littorale parla male di voi! Le persone ricche hanno sempre degli invidiosi; per conto mio non domanderei altro che la metà di quello che possedete."
"L'avrai, se vuoi, Agostino", disse la Fata.
"Come devo fare? - domandò egli.
"Io sono vedova di un Nano, - replicò ella, - e, se ti piaccio, possiamo sposarci".
Gosto fu meravigliato di questa proposta. Lui, proprio lui, così povero in canna, avrebbe sposato l'Incantatrice, che era così bella, e poi ricca tanto da dare da bere otto qualità di vino?... È vero che aveva promesso a Santina di sposarla; ma a questo mondo, quando si spera di diventar ricchi, si dimentica quello e altro. Rispose dunque molto gentilmente alla Fata, dicendole che non era fatta per sentirsi dar dei rifiuti e che sarebbe stato un piacere per lui di esserle marito. L'Incantatrice replicò allora che voleva preparar subito il banchetto delle nozze, e apparecchiò una tavola coperta di ogni grazia di Dio. V'erano molte cose che Gosto conosceva, ma molte ancora che non aveva mai viste. Poi ella andò presso un piccolo vivaio, che era in fondo al giardino e si mise a gridare:
"O procuratore! o mugnaio! o marinaro! o lanzichenecco!"  A ogni grido si vedeva guizzar sull'acqua un pesce, che ella metteva in una rete d'acciaio. Quando la rete fu piena, l'Incantatrice andò in una stanza vicina e buttò i pesci in una padella d'oro. Ma a Gosto parve di sentire, invece dello scoppiettar del fritto, tante vocine che bisbigliassero.
"Ditemi, Incantatrice, chi è che bisbiglia nella padella d'oro?"
"Sono le legna, che crepitano", rispos'ella mentre attizzava il fuoco. Un momento dopo le vocine ricominciarono a farsi udire.
"Ditemi, Incantatrice, chi è che mormora?", domandò Gosto.
"È l'olio che frigge", rispose la Fata rimuginando la padella. Ma in breve le piccole voci si fecero risentire.
"Ditemi, Incantatrice, chi è che grida?",  riprese Gosto.
"È il grillo qui fuori", disse la Fata. E si mise a cantare a squarciagola, così che Gosto non sentì più nulla. Peraltro, quello che aveva sentito, lo fece riflettere, e siccome incominciava ad avere paura, così si destarono in lui i rimorsi.
'Gesù mio, - disse fra sé, - come è possibile che io abbia dimenticato così presto Santina per una Incantatrice, che dev'essere figliuola del Demonio! Con questa donna qui non oserei neppur dire le orazioni, né sera, né mattina, e sarei sicuro d'andare all'inferno a bruciare per tutta l'eternità."
Mentre così parlava, la Fata aveva messo in tavola il fritto e spinse Gosto a mangiarne, dicendogli che andava a prendere per lui altre dodici qualità di vino. Gosto cavò fuori il coltello che gli aveva dato Santina, e, sospirando, si preparò a mangiare; ma appena la lama che distruggeva gl'incantesimi ebbe toccato il piatto d'oro, tutti i pesci si rizzarono e ritornarono uomini, vestiti secondo la loro professione. Il procuratore aveva la toga, il mugnaio era coperto di farina, il marinaro aveva la berretta rossa, e il lanzichenecco il vestito di più colori e la lancia, e tutti si misero a gridare:
"Salvaci, se vuoi esser salvato!"
"Maria santa! Chi sono questi uomini, che gridavano nell'olio bollente?", esclamò Gosto tutto meravigliato.
"Siamo cristiani come te, - risposero. - Eravamo venuti allo Scoglio del Diavolo per cercar fortuna, abbiamo accondisceso a sposare l'Incantatrice, e il dì dopo le nozze ella ci ha ridotti come vedi, e come aveva già ridotti i nostri predecessori, che sono nel vivaio."
"Come! - esclamò Gosto - Una donna, che par così giovane, è già vedova di tanti mariti?"
"E tu sarai ben presto convertito in pesce ed esposto a esser fritto e mangiato dai tuoi successori". Gosto fece un lancio. Gli pareva di esser già nella padella d'oro, e corse alla porta cercando di scappare prima del ritorno dell'Incantatrice; ma essa, entrando, aveva inteso tutto. In un batter d'occhio gettò la rete d'acciaio ed egli fu trasformato in ranocchio e portato nel vivaio, dov'erano tutti gli altri mariti. In quel momento il campanellino che Gosto aveva al collo si mise a scampanellare da sé, e Santina lo udì da Arezzo, mentre stava a filar la lana sull'aia del podere. Quel suono le fece provare una trafitta al cuore e gettò un grido: "Gosto è in pericolo!".
E senza attendere un momento, senza consigliarsi con nessuno, corse a mettersi il vestito delle feste, s'infilò le scarpe, ed uscì dal podere appoggiandosi sul bastone di san Francesco. Quando giunse a un crocevia, conficcò il bastone in terra e disse:

"Bastone, bastoncello, 
Del Santo poverello, 
Porta me da Gosto mio, 
Con l'aiuto del buon Dio!"

Il bastone si cambiò subito in un cavallo strigliato, bardato, sellato, infioccato sugli orecchi e impennacchiato sulla fronte. Santina gli salì in groppa e il cavallo si mise, prima a camminar di passo, poi di galoppo e alla fine correva tanto, che i fossi, gli alberi, le case, i campanili passavano davanti agli occhi della ragazza come farebbero le stecche di un arcolaio. Ma ella non si lamentava, sapendo che ogni passo la riavvicinava sempre più al suo caro Gosto; anzi, incitava l'animale, ripetendo:
"Il cavallo va più piano della rondine, la rondine va più piano del vento, il vento della saetta; ma tu, cavallino mio, se mi vuoi bene, devi andare più presto di tutti; perché ho una parte del cuore che soffre, la parte migliore del cuore che è in pericolo".
Il cavallo la capiva veramente bene, e correva come una pagliuzza travolta dal vento; ma quando fu a metà costa dell'Appennino, si fermò, perché dalla via presa da Santina non era mai passato nessun cavallo, tanto era ripida e scoscesa. Santina capì la ragione di quella fermata e prese a dire:

"Cavallo, cavallino, 
Del Santo poverino, 
Porta me da Gosto mio, 
Con l'aiuto del buon Dio!"

Appena la ragazza ebbe terminata questa invocazione, le ali spuntarono dai fianchi al cavallo, il quale, trasformatosi in uccello grandissimo, si diede a volare in alto e giunse in vetta a un monte. In quella vetta vide un nido di creta, coperto di borraccina, sul quale stava accovacciato un ometto grinzoso e pelato, il quale vedendo Santina si mise a gridare:
"Ecco la bella ragazza che viene a salvarmi!"
"A salvarti! Ma chi sei, omìno?"
"Sono Cencio, il marito dell'Incantatrice dello Scoglio del Diavolo; è stata lei che mi ha relegato qui." "E che fai su quel nido?"
"Sto a covare sei uova di pietra e non sarò libero finché da queste uova non nasceranno sei pulcini." Santa non poté trattener le risa.
"Povero gallettino, come farò mai a salvarti?"
"Salvando Gosto, che è in potere dell'Incantatrice, salverai anche me."
"Dimmi come posso fare, per carità, e anche se dovessi percorrere in ginocchio il giro di tutti i santuarî, mi metterei subito in cammino."
"Ebbene, occorrono due cose, - rispose il Nano. - Prima devi presentarti all'Incantatrice sotto le spoglie di un giovinotto; poi devi rubarle la rete d'acciaio, che porta alla cintura, e rinchiudervela fino al giorno del Giudizio."
"E dove troverò mai un abito maschile?", domandò la ragazza.
"Lo saprai subito, bella mia!"
Il Nano si mise a scavare la terra e, scava scava, fece una buca profonda. A un tratto si fermò e disse a Santina: "Io non ne posso più; ma tu non sei stanca e potrai scavare ancora. Qui ci devon esser rimpiattate certe valigie tolte dai ladri a un cavaliere. Costoro, dopo il furto, furon presi e impiccati, ma la roba rubata è custodita ancora dalla terra."
Santina scavò tanto e poi tanto, che alla fine trovò le valigie di cuoio intatte. Dentro v'era un ricco vestito di velluto, un tocco piumato, cintura, calzoni e spada. Quando Santina ebbe indossato il ricco abito, pareva proprio un cavaliere. Ella ringraziò il Nano, il quale le diede ancora alcune indicazioni su quel che doveva fare, e poi l'uccello dalle ali smisurate la condusse con un sol volo fino allo Scoglio del Diavolo. Giunta colà ella disse:

"Uccello, bell'uccello, 
Ritorna bastoncello; 
Or son qui da Gosto mio, 
Con l'aiuto del buon Dio!"

Vedendo la barca a forma di cigno, Santina vi entrò e il cigno la condusse al palazzo dell'Incantatrice. Questa, vedendo il bel cavaliere riccamente vestito, fu tutta lieta ed esclamò:
"Per Satanasso! Non vidi mai giovine più bello in quest'isola, e voglio fargli lieta e cortese accoglienza". Ella mosse dunque incontro a Santina, dicendole:
"Cuor mio! Amor mio!". Poi le servì da merenda, e la ragazza, trovando sulla tavola il coltello di san Donato, lasciato lì da Gosto, lo prese per servirsene, caso mai ne avesse bisogno, e seguì l'Incantatrice nel giardino. La Fata le mostrò le aiuole con i fiori di diamanti, le fontane di acqua odorosa, e soprattutto il vivaio, dove nuotavano pesci di ogni colore. Santina li ammirò moltissimo e si sedé in riva all'acqua per vederli più da vicino. L'Incantatrice approfittò di quel momento per domandarle se non sarebbe stata contenta di restar sempre in sua compagnia, e Santina le rispose che non aveva altra brama, altro desiderio.
"Dunque tu mi sposeresti subito? - domandò la Fata.
"Sì, a patto però che tu mi lasci pescare uno di questi bei pesci con la rete d'acciaio che porti alla cintura". L'Incantatrice non aveva nessun sospetto e credé che quel desiderio fosse un capriccio del giovinotto; perciò gli dette la rete e disse sorridendo: 
"Vediamo, bel pescatore, quello che pescherai!"
"Pescherò il Diavolo! - esclamò Santina gettando la rete sulla testa della Incantatrice. - In nome del Redentore degli uomini, strega maledetta, diventa all'aspetto quel che sei in realtà."
L'Incantatrice non poté gettar altro che un grido, che terminò in un gemito soffocato, perché il desiderio di Santina si era compiuto, e la bella Fata delle acque era trasformata in una orribile vecchia, bavosa e rugosa. Santina chiuse la rete e corse a gittarla in un pozzo, sopra il quale mise una pietra col segno della croce, affinché non potesse essere alzata, come quella dei sepolcri, altro che il giorno del Giudizio. Poi tornò in tutta fretta al vivaio, ma i pesci ne erano già usciti e le andavano incontro a guisa di lunga processione, gridando con le vocine roche:
" Ecco il nostro padrone, colui che ci ha liberati dalla rete di acciaio e dalla padella d'oro."
"E vi renderà pure il vostro aspetto di cristiani", disse Santina, cavando di tasca il coltello di san Donato. Ma quando stava per toccare con quello il primo pesce, vide accanto a sé, sull'erba, un ranocchio verde con un campanellino al collo. Il ranocchio piangeva e comprimevasi il cuore con le sue zampette davanti; Santina a quella vista si sentì rimescolare tutto il sangue ed esclamò:
"Sei tu, Gosto mio, sposo mio, mio bene?"
"Sono io", rispose il ranocchio. Santina lo toccò subito con la lama che aveva alla cintura, e Gosto prese l'aspetto di cristiano. Essi si abbracciarono piangendo e ridendo nel medesimo tempo. Le lacrime, esprimevano i rammarici passati; il riso, le speranze dell'avvenire. La ragazza toccò poi tutti i pesci, che ritornarono uomini com'erano prima dell'incantesimo. Quando ella fu per partire, vide arrivare l'omìno della montagna, che stava sul nido, tirato da sei scarafaggi, che erano nati dalle sei uova di pietra. "Eccomi, bella ragazza! - esclamò scorgendo Santina. - L'incantesimo che mi teneva inchiodato sulla vetta del monte, ora è rotto mercè vostra".
E per dimostrarle la sua gratitudine, la guidò nei sotterranei del palazzo, dove l'Incantatrice teneva nascosti i suoi tesori, e le disse di prendere tutto ciò che voleva. Santina e Gosto si empirono le tasche di pietre preziose, e la ragazza ordinò al bastone di diventare una nave abbastanza grande per portare sulle coste di Romagna tutta la gente che ella aveva salvata. Il bastone di san Francesco ubbidì subito, e prima che il bastimento salpasse, Santina toccò lo Scoglio del Diavolo col coltello di san Donato, e lo Scoglio sprofondò nei gorghi del mare. Dopo pochi giorni, Santina e Gosto tornarono al podere delle Grazie, vicino ad Arezzo, e invece di comprar soltanto un paio di manzi e un maiale, acquistarono terre in quantità e celebrarono le nozze con molta pompa. Alla cerimonia assistevano tutte le persone liberate da Santina, le quali, dopo aver avuto ricchi presenti dagli sposi, se ne tornarono a casa loro benedicendo l'accortezza della giovine. Santina fu buona moglie, com'era stata buona fidanzata, ed educò con amore i proprî figli, i quali salirono in alto grado, e fatti nobili dall'Imperatore, posero nel loro stemma un coltello, un campanellino ed un bastone. Mercè loro sorsero in Casentino tre chiese in onore di san Romano, di san Donato e di san Francesco, che erano stati i santi protettori della madre. Il coltello, il campanellino e il bastone perdettero ogni virtù appena la famiglia di Gosto e di Santina fu ricca e felice, ma i discendenti dei due sposi serbarono la fedeltà e la prudenza, che erano stati i veri talismani della loro avola, la quale morì vecchissima, in concetto di santità, e le fu eretta una tomba tutta di marmo dalla famiglia riconoscente.

Vedi La Groach...


mercoledì 9 ottobre 2013

Natalia Rak

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