lunedì 29 settembre 2014

La Guardiana d'Oche, Grimm n.89, Traduzione Mia

'era una volta una vecchia Regina, vedova da molti anni, che aveva una bella figlia, promessa ad un Principe che abitava in terre lontane. Approssimandosi la data stabilita per le nozze, la Principessa si apprestò a partire per il Regno straniero, e la vecchia madre preparò per lei preziosi arredi e gioielli, coppe e ornamenti, sia d'oro che d'argento: ogni cosa era degna di una dote regale poiché la Regina amava teneramente sua figlia. Le diede inoltre un'ancella perché si prendesse cura di lei durante il viaggio, e la consegnasse nelle mani dello sposo. Entrambe ebbero un cavallo: quello della Principessa si chiamava Falada e sapeva parlare.
Arrivato il momento del commiato, la vecchia madre condusse la Principessa nella propria camera, prese un coltellino e si ferì un dito lasciando cadere tre gocce del suo sangue su di un candido fazzoletto che porse alla figlia, raccomandandole di serbarlo con cura e di non separarsene mai, perché le sarebbe stato utile durante il viaggio. Poi si salutarono con grande dolore; la Principessa ripose il fazzoletto nel corsetto, salì a cavallo e partì per raggiungere il suo promesso.
Cavalcavano da un'ora, quando alla Principessa venne una gran sete e disse alla sua ancella:
"Scendi, e riempi la coppa che hai portato per me con l'acqua dal ruscello: sono assetata."
"Se avete sete - rispose l'ancella - scendete voi stessa da cavallo, inginocchiatevi sulla riva e bevete: non ho intenzione di farvi da serva!"
La Principessa aveva tanta sete che smontò da cavallo, si inginocchiò sulla sponda del ruscello e bevve senza poter usare la sua coppa d'oro.
Allora disse: "Ah, Dio mio!"
E le tre gocce di sangue udirono e risposero:
"Se lo sapesse tua madre, le si spezzerebbe il cuore!"
Ma la Principessa non disse nulla e risalì a cavallo.


Vogel H.


Proseguirono per alcune miglia. La giornata era calda, il sole scottava, e, ben presto, la Principessa ebbe nuovamente una gran sete. Giunte nei pressi di un altro corso d'acqua, ella disse all'ancella:
"Scendi, e dammi da bere nella mia coppa d'oro", poiché aveva dimenticato l'accaduto.
Ma l'ancella le rispose ancòra più sgarbatamente:
"Avete tanta sete? Scendete e bevete, non ho più voglia di farvi da serva!"
La Principessa aveva tanta sete che smontò da cavallo, si chinò sull'acqua e disse piangendo: "Ah, mio Dio!"
E le gocce di sangue udirono e risposero:
"Se lo sapesse tua madre, le si spezzerebbe il cuore!"
E, mentre era curva sull'acqua, intenta a dissetarsi, il fazzoletto con le tre gocce di sangue le cadde dal corsetto e sparì nella corrente, ma la Principessa, oppressa dalla pena, non se ne accorse neanche.
L'ancella, però, aveva visto tutto e, in cuor suo, se ne rallegrò perché adesso la sposa era in suo potere: aveva perduto le tre gocce del sangue materno ed era debole e senza alcuna difesa. E, quando la Principessa si apprestò a risalire sul suo cavallo - Falada - l'ancella disse:
"Falada spetta a me, tu prendi il mio ronzino!"
La Principessa fu costretta a ubbidirle. Poi, l'ancella le ordinò, con parole ancòra più dure e crudeli, di spogliarsi delle vesti regali per indossare il suo abito disadorno, e, infine, la costrinse a giurare che, una volta giunte a destinazione, non avrebbe detto una parola dell'accaduto, e minacciò di ucciderla se si fosse rifiutata. Intanto, Falada aveva osservato e ascoltato ogni cosa.
L'ancella montò in sella a Falada, mentre la vera sposa saliva sul ronzino, e proseguirono il viaggio finché giunsero alla reggia del promesso sposo.
Il loro arrivo fu salutato con grande gioia, e il Principe corse loro incontro e aiutò l'ancella a smontare da cavallo, pensando che si trattasse della sua sposa. Così, mentre quella veniva scortata su per lo scalone, la vera Principessa dovette restare in cortile. Ma alla finestra c'era il vecchio Re, che notò, laggiù, quella fanciulla immobile, così fine, delicata e bella. Andò, allora, nella sala del trono e domandò alla promessa sposa chi fosse la sua accompagnatrice.
"L'ho presa con me durante il viaggio per avere un po' di compagnia, ma datele qualcosa da fare, ché non resti con le mani in mano."
Il vecchio Re non sapeva proprio che lavoro assegnarle. Infine, le disse:
"C'è un ragazzino che custodisce le oche: potrebbe aiutarlo."
Il ragazzo si chiamava Konrädchen e la vera sposa dovette aiutarlo a governare le oche. Non passò molto tempo che la falsa sposa disse al Principe:
"Caro sposo, vi prego di farmi un piacere!"
"Con tutto il cuore!", rispose lui.
"Fate chiamare il macellatore perché tagli la testa del mio cavallo: durante il viaggio mi ha fatto tribolare."
In realtà, temeva che il cavallo rivelasse cosa aveva fatto alla Principessa.
E, quando si sparse la voce che Falada doveva morire, anche la vera Principessa venne a saperlo. Si recò in gran segreto dal macellatore e gli promise una moneta d'oro se le avesse reso un servizio. Nelle mura della città c'era un grande, buio passaggio che lei doveva attraversare di buon mattino e la sera con le sue oche:
lo pregò di inchiodare sopra il passaggio la testa di Falada, perché potesse vederlo ancòra, ogni tanto. Il macellatore promise. Tagliò la testa del cavallo e la inchiodò sopra il buio passaggio.
La mattina, di buon'ora, quando la Principessa attraversò il passaggio con Konrädchen, disse:
"O Falada, appeso lassù!"
E la testa rispose:
"O disgraziata Principessa che passi laggiù! Se lo sapesse tua madre, le si spezzerebbe il cuore!"
Ella uscì dalla città, conducendo le oche al pascolo. E, giunta in mezzo al prato, si mise a sedere e si sciolse i capelli, che erano d'oro fino; e, quando Konrädchen vide come risplendevano, avrebbe voluto strappargliene qualcuno per sé.
Allora, la Principessa disse:

"O vento, forte devi soffiare,
il suo cappello lontano fai volare,
e che a lungo lo debba cercare
ché i miei capelli io possa pettinare,
e in decorosa foggia intrecciare."

E si levò una folata di vento così forte che strappò via il cappello a Konrädchen, e il ragazzo fu costretto a rincorrerlo. Quando ritornò, la Principessa aveva già intrecciato i suoi bei capelli, e Konrädchen non poté averne neanche uno. Allora, si imbronciò e non le rivolse più una parola; così, governarono le oche fino a sera, e, poi, se ne tornarono a casa.



Anderson Anne


Il mattino dopo, nell'attraversare il buio passaggio, la fanciulla disse:
"O Falada, appeso lassù!"
E Falada rispose:
"O disgraziata Principessa che passi laggiù! Se lo sapesse tua madre, le si spezzerebbe il cuore!"
E, una volta in mezzo ai prati, si mise a sedere sull'erba e incominciò a pettinarsi i capelli.  Konrädchen corse per rubargliene qualcuno, ma la Principessa, presto presto, disse:

"O vento, forte devi soffiare,
il suo cappello lontano fai volare,
e che a lungo lo debba cercare
ché i miei capelli io possa pettinare,
e in decorosa foggia intrecciare."



Nielsen K.


E il vento soffiò forte e portò lontano il cappello del ragazzo, e lui dovette rincorrerlo. Quando ritornò, la fanciulla si era acconciata i capelli da un bel pezzo e Konrädchen non poté rubargliene neanche uno; così governarono le oche fino a sera. Ma, una volta tornati a casa,  Konrädchen andò davanti al vecchio Re e disse:
"Non voglio più custodire le oche con quella!"
"Perché mai?" domandò il vecchio Re.
"Mi dà il tormento tutto il giorno!"
Allora il vecchio Re gli ordinò di raccontare ogni cosa.
E Konrädchen disse:
"Al mattino, quando attraversiamo con le oche il passaggio nelle mura, sul muro è appesa una testa di cavallo, e lei gli parla: 'O Falada, appeso lassù!' E la testa risponde: 'O disgraziata Principessa che passi laggiù! Se lo sapesse tua madre, le si spezzerebbe il cuore!'"
E Konrädchen continuò a raccontare come, una volta in mezzo al prato, egli dovesse rincorrere tutto il giorno il suo cappello portato dal vento.



Cramer R.


Ma il vecchio Re gli ordinò di condurre le oche al pascolo anche il giorno seguente, e, di buon'ora, si nascose all'ingresso del passaggio buio, e ascoltò il dialogo della fanciulla e di Falada. Poi la seguì fino al prato, e si nascose dietro un cespuglio.
E vide con i propri occhi la fanciulla sedersi sull'erba, e la osservò mentre scioglieva e pettinava i capelli d'oro lucente. Subito, ella disse:

"O vento, forte devi soffiare,
il suo cappello lontano fai volare,
e che a lungo lo debba cercare
ché i miei capelli io possa pettinare,
e in decorosa foggia intrecciare."

Ed ecco, si levò una folata di vento e si portò via il cappello di Konrädchen, che dovette corrergli dietro. La fanciulla pettinò  e intrecciò i suoi bei capelli, e il vecchio Re osservava ogni suo gesto. Poi, non visto, si avviò alla Reggia, e, a sera, quando la guardiana d'oche rincasò, la mandò a chiamare e le chiese una spiegazione.
"Non posso confidarmi né con Voi né con altri giacché, minacciata di morte, ho fatto un solenne giuramento".
Ma il Re non si arrese e continuò a tormentarla, senza ottenere, però, alcuna risposta.
"Se non puoi parlare con me - disse, infine - confidati con il forno."
"Sì, lo farò", rispose la fanciulla. Così, si rannicchiò nel forno di ferro e aprì il suo cuore, raccontando per filo e per segno il misfatto della crudele ancella.
Ma il forno aveva un'apertura in alto e il vecchio Re si mise in ascolto e udì ogni parola. Immediatamente, ordinò che la rivestissero con abiti regali, e la Principessa pareva un miracolo, tanto era bella.
Il vecchio Re chiamò il Principe e gli rivelò che al suo fianco c'era la falsa sposa - una semplice ancella -  e che la vera sposa era lì, davanti a lui, ed era la guardiana d'oche. Il Principe fu felicissimo, colpito dalla sua grande bellezza.
Venne allestito un gran banchetto e furono invitati tutti i Nobili di Corte e gli amici.
A tavola, lo sposo sedeva tra la Principessa  e l'ancella, che, abbagliata dalla magnificenza delle vesti e degli ornamenti, non riconobbe la vera sposa. Quando i convitati ebbero mangiato e bevuto, ed erano tutti allegri, il vecchio Re si rivolse all'ancella chiedendole cos'avrebbe meritato qualcuno che avesse ingannato i suoi Signori nel peggiore dei modi. E raccontò tutta la storia per filo e per segno, concludendo:
"Quale condanna meriterebbe?"
Allora, la falsa sposa rispose:
"Non meno severa che l'essere spogliata e rinchiusa in una botte foderata di chiodi acuminati. E che la botte sia legata a due cavalli bianchi che la trascinino su e giù per le strade fino alla sua morte."
"Hai pronunciato tu stessa la tua condanna - esclamò il vecchio Re - e sarà fatto ciò che hai detto."
Eseguita la condanna, il Principe si unì in matrimonio alla vera sposa, e regnarono da allora e per sempre felici e contenti.



Rackham A.


Grimm n.89, "Die Gänsemagd".
Classificazione: AaTh 533 [The Speaking Horsehead]
                          AaTh 403  [La Sposa Bianca e la Sposa Nera]

Traduzione: Mab's Copyright

Il testo in lingua originale è nella Pagina: "Brüder Grimm"

sabato 27 settembre 2014

La Schiavotta, G. B. Basile, Pentamerone, Seconda Giornata, Cunto Ottavo (Seconda Parte)

E' il momento di riannodare le fila di Biancaneve e, più genericamente de "La Bella nella Bara". Fiaba dopo fiaba, postando, quindi, esempi e non schemi, ho cercato di proporre il complesso percorso di una fiaba che si intreccia o è la matrice di numerosi tipi fiabeschi. In realtà, tutte le grandi fiabe "femminili" sono profondamente intrecciate tra loro. Pelle d'Asino e Cenerentola sono praticamente identiche per quanto attiene allo sviluppo della seconda parte. Unica fra le "Grandi", però, a Cenerentola manca la permanenza, anche solo simbolica, lontano da casa, nella foresta. Ma Cenerentola si apparenta molto più con altre tipi, nonostante l'evidente somiglianza con la trama di Pelle d'Asino.
Ne "La Guardiana d'Oche alla Fonte", che mai viene accostata, con un certo metodo, a Biancaneve, pur presentando le stesse dinamiche fondamentali: la persecuzione ingiusta, l'allontanamento, il soggiorno in un luogo remoto, (addirittura in un'altra pelle, presso una vecchia e misteriosa protettrice), il "ritorno alla vita", e quindi, il Matrimonio e la Corona, quando il tempo dell'iniziazione è finito, è presente il tipo Bene Come il Sale, che troviamo anche in alcune varianti popolari di Biancaneve. E non solo. Ma anche nella seconda parte, laddove i Grimm mettono un punto con la morte della Matrigna e le nozze con le Prince Charmant, la tradizione popolare riparte gloriosamente con ulteriori intrecci e conseguenti scoperte.
Naturalmente, il nuovo percorso riparte dalla Madre di Biancaneve, tra le fiabe colte ma che hanno attinto al patrimonio tradizionale, ovvero da "La Schiavotta" del Basile.

Mab


uando il marito ritornò dalla partita di caccia e vide questa giovinetta così maltrattata, domandò chi ella fosse. E la moglie rispose che era una schiava, mandatele dalla zia, un'esca di bastonate, e che bisognava sempre castigarla.
Ora una volta che il signore ebbe occasione di andare a una fiera, domandò a tutti di casa, persino ai gatti, che cosa desideravano che comprasse per loro.
E quando ognuno aveva chiesto chi una cosa chi un'altra, in ultimo si volse alla schiavotta. Ma la moglie montò sulle furie e fece cose non da cristiana:
"Metti pure su al paro degli altri, questa schiava musuta, [4] e riduciamo tutti allo stesso livello, pisciamo tutti all'orinale! [5] Lasciala stare alla malora, e non diamo tanto prosunzione a una brutta cagna!".
Ma il signore, che era cortese, volle, per ogni costo, che anche la schiavotta chiedesse qualche cosa. Ed essa gli disse:
"Io non voglio altro che una bambola, un coltello e una pietra pomice, e, se tu te ne dimentichi, non possa mai passare il primo fiume che trovi per la strada!".
Il barone comprò tutte le altre cose, e si scordò appunto di quelle  che gli aveva chieste la nipote, e, quando fu a passare un fiume, che portava pietre e alberi alla marina per gettar fondamenta di paure e alzar mura di stupore, non gli fu possibile guadarlo. Gli sovvenne allora della bestemmia gittatagli dalla schiavotta, e tornò indietro e comprò puntualmente i tre oggetti, e, al ritorno a casa, distribuì a ciascuno quello che gli aveva chiesto.
Avute le sue cosette, Lisa se n'entrò in cucina, e, postasi dinanzi la bambola, cominciò a piangere e lamentarsi, raccontando a quell'involto di stracci tutta la storia dei suoi travagli, come se parlasse a persona viva. E, poiché quella non le rispondeva, prendeva il coltello, e, affilandolo con la pietra pomice, diceva:
"Bada, che, se non mi rispondi, t'infilo [6] e finiamo la festa!".
E la bambola, gonfiandosi a mo' di sampogna quando si dà fiato, in ultimo rispondeva:
"Sì, che t'ho intesa più d'un sordo!".
Durava questa musica da un paio di giorni, quando il barone, che aveva una sua stanzetta a muro con la cucina, sentì una volta questo repetìo, e, messo l'occhio al buco della serratura, vide Lisa che raccontava alla bambola il salto della mamma sulla rosa, la foglia inghiottita, il parto, la fatagione, la bestemmia dell'ultima fata, il pettine rimasto nella capigliatura, la morte, la chiusura nelle sette casse,


Larsson C.


il collocamento nella camera, la morte della mamma, la chiave affidata al fratello, la partenza per la caccia, la gelosia della moglie, l'entrata nella stanza contro l'ordine del marito, il taglio dei capelli, il trattamento da schiava, con tanti e tanti strazi che le aveva inflitti. E, così dicendo e piangendo, diceva:
"Rispondimi, bambola, se no, mi uccido con questo coltello!".
E, affilandolo con la pietra pomice, si voleva trapassare, quando il barone, spalancata con un calcio la porta, le tolse il coltello di mano.
Fattosi meglio raccontare la storia, egli abbracciò la nipote e la portò via dalla casa, affidandola a una sua parente, a rifarsi un po', ché era diventata magra e smunta per effetto dei mali trattamenti di quel cuore di Medea.
E, dopo alcuni mesi, che era venuta bella come una dea, la richiamò a casa, dicendo a tutti che era una sua nipote. E, ordinato un gran banchetto, al levar delle mense, volle che Lisa raccontasse la storia degli affanni durati e della crudeltà della moglie, cose che fecero lacrimare i convitati. E allora, egli scacciò la moglie, rinviandola ai parenti, e dette alla nipote un bel marito, secondo il suo cuore. E Lisa toccò con mano

che quando l'uomo meno se l'aspetta.
sopra gli piove le sue grazie il Cielo.


[4]."Dalle grosse labbra", (B. Croce)
[5] "Ricordo del tempo in cui l'uso di quell'arnese si considerava raffinatezza", (B. Croce)
[6] In realtà il resto recita me 'mpizzo, quindi, mi infilzo.

La Richiesta dei Regali e l'Impedimento a Passare il Fiume perché il barone non ha comprato quanto richiesto dalla nipote sono caratteristici della fiaba di Cenerentola ("La Gatta Cennerentola", Basile) e sono presenti anche in alcune varianti de "La Bella e la Bestia".
La Pietra della Pazienza è anche nella Biancaneve armena, "Nourie Hadig".

Testo e note a cura di Anna Buia

La prima parte de "La Schiavotta", è QUI.



sabato 20 settembre 2014

La Zarevna Morta e i Sette Bogatyri, A. Pushkin (Quarta Parte)

La vil Zarina intanto
la Principessa ricorda e ancora
la sua bellezza non le perdona
e col suo Specchio fa la musona
per lungo tempo, fino a che un giorno
non scorda l'ira e fa ritorno
a lui davanti a rimirarsi
tutta sorrisi ed a vantarsi:
"Salve specchietto! Dimmi tu il vero
senza menzogna e per intero:
non sono al mondo io la migliore,
candida e rosa come un bel fiore?"
A lei lo Specchio pronto risponde:

"La tua bellezza certo confonde,
ma senza averne mai gloria alcuna,
tra verdi querce, vive là
con sette Prodi, serenamente
ed è più bella sicuramente."

E la Zarina dalla Neretta
subito vola: "Ah, maledetta,
m'hai ingannata! La Principessa..."
Quella sgomenta tutto confessa.
La vil Zarina allor catene
per lei minaccia e dure pene
e la fa sceglier: morir lei stessa
oppure uccider la Principessa.




Così un bel giorno la Principessa,
mentre i fratelli a casa aspetta,
alla finestra siede a filare,
ma a un tratto il cane sente abbaiare
e vede fuori tutta tremante
una vecchina che, mendicante,
dal can si para con la stampella.
"Nonnina, aspetta - le grida quella -
ora ti levo di torno il cane
e poi ti porto un po' di pane".
"Questa bestiaccia è maledetta -
fa in risposta da fuor la vecchietta -
bisogna, cara, che lo allontani
qui manca poco che non mi sbrani!"
La Principessa, preso del pane,
vuole andar fuori, ma pronto il cane,
appena è uscita, par che le dica:
"non t'accostare alla mendica!"
E se la vecchia un passo tenta
come una belva quello s'avventa.
"Ma che gli prende tutto ad un tratto?
Ha mal dormito o forse è matto -
dice stupita la giovinetta -
beh, prendi al volo!" E il pane getta.
Afferra il pane ben la mendìca.
"Che Dio, carina, ti benedica!
Ma prendi in cambio almen qualcosa!"
E una dorata mela succosa
alla fanciulla giunge volando.
A balzi il cane va guaiolando
ma giunge tardi, ché a volo,
già l'ha afferrata la giovinetta.
"Che questa mela possa giovarti,
non ho altro modo per ringraziarti."
dice la vecchia, la riverisce
e poi nel bosco lesta sparisce...








Ma a saltellare il cane insiste
e fisso in volto la guarda triste
come se in cuore sentisse pena
e ringhia, e tutto poi si dimena
come volesse poterle dire:
"getta la mela, stammi a sentire!"
Lei lo carezza dolce e gli chiede:
"Chètati caro, che ti succede?"
Ignara in casa, poi torna, ancora
chiude la porta e come ognora
alla finestra siede a filare
mentre i fratelli resta ad aspettare.
Ma gli occhi ha sempre su quella mela
che la dolcezza sua le rivela
tanto è fresca e profumata,
parte scarlatta, parte dorata,
piena di miele pare e d'essenza,
mostra i semini in trasparenza;
sì, sì, vorrebbe ben aspettare
l'ora di pranzo, ma come fare?...
Tanto che in mano già l'ha afferrata
ed alla bocca l'ha avvicinata;
ne morde un pezzo con labbra ghiotte
e con gran gusto poi se lo inghiotte...
Ma all'improvviso, ahi mia piccina,
le manca il fiato, tutta reclina
e le sue mani piano disserra
sì che la mela rotola a terra,
rovescia gli occhi, cade in avanti
sotto le icone dei buoni Santi,
il capo adagia sopra la panca
e resta immota, silente e bianca...





Ecco che intanto in bel plotone
tornano i sette alla magione,
reduci appena da eroico scontro,
ma uggiolando va loro incontro
di corsa il cane e par chiamarli.
"D'una disgrazia pare ci parli -
dicono quelli - sveltiamo il passo!"
Entrati in casa restan di sasso.
E ancora il cane la mela azzanna
forte abbaiando, lesto s'affanna,
la inghiotte e tosto cade stecchito:
Ch'era veleno s'è ormai chiarito.
Ed i fratelli or costernati
restano muti, chini e prostrati
la principessa morta a onorare.
La risollevan, si dan da fare
nella preghiera, a rivestirla
e poi vorrebber ben seppellirla,
ma non ardiscon perché ancor sembra
che solo sonno copra le membra
di lei che giace li tanto fresca
che a respirare pare ancor riesca.
E cosi aspettan tre giorni in veglia,
ma dal suo sonno non si risveglia.
Funebre prece allor recitata,
in una bara l'hanno adagiata,
di sol cristallo ben trasparente,
e tutti insieme van tristemente
a collocarla nella montagna
e mezzanotte già li accompagna.
Lì a sei pali con gran catene
legan la bara appesa bene,
poi all'intorno ben rinforzata
ancora innalzan alta inferriata.
Della sorella morta al cospetto
prostrato a terra con gran rispetto
dice il maggiore: "Dormi qui in pace
nella tua bara. Odio rapace
ha presto spento la tua bellezza.
L'anima porti in ciel la brezza.
Tutti noi sette t'abbiamo amata
al tuo promesso t'abbiam serbata.
Ma ahimè nessuno ti fu mai sposo
sol questa bara ti da riposo."




La vil Zarina quel giorno stesso,
che buona nuova s'attende adesso,
in gran segreto lo Specchio prende
e di sapere ancor pretende:
"Non sono al mondo io la migliore
candida e rosa come un bel fiore?"
Ed in risposta sente ora a tono:

"Di certo dubbi non ve ne sono:
tu mia Zarina sei la migliore, 
candida e rosa come un bel fiore."

(continua)

Le Gif animate sono tratte da fotogrammi dell'omonimo film sovietico del 1954.

martedì 16 settembre 2014

Un Giro Stregato (di CieloAmaranto), Trentino-Alto Adige


Igor Karash


Durante la mia vacanza in Trentino-Alto Adige, all’Alpe di Siusi, mi sono accorta di qualcosa che gli anni scorsi era passato toralmente inosservato (mea culpa): l' Hexen Skitour, il tour delle streghe.
Disseminati per le piste, sulla cima o sul fondo, ci sono delle colonnine di legno con in cima una strega e sui quattro lati una storia sulle streghe locali in quattro lingue. L’Italiano era sempre quella meno raggiungibile, ma mi sono infilata nella neve fresca pur di leggerle.
Ecco quelle che ho trovato più carine.

Si narra che le streghe volassero dal Sassopiatto allo Sciliar fino alla Val Gardena per fare le loro feste e tener sott’occhio il loro reame.
Infatti, per fare i loro sabba, soprattutto di giovedì, le streghe si ritrovavano sul Petz, che è il punto più alto dell’altopiano dello Sciliar. Ma per volare fin lì dovevano fare un unguento a base di rospo e cospargerne le loro scope mentre cantavano questa formula: "vola su e giù, senza cascar" (secondo me, tradotto male dal Tedesco, perché la versione inglese suona "fly up and down, never around", ovvero "vola su e giù, mai d’intorno", e si applica meglio alla fiaba). Dopodiché potevano andare a festeggiare con le loro compagne.


Rackham A.

Una volta - si narra - un contadino entrò in casa di una strega: ella cosparse la scopa con l’olio che stava bollendo nel calderone sul camino, e, pronunciata la solita formula, schizzò su per il camino e sparì alla sua vista.
Incuriosito, il contadino s’avvicinò al pentolone e vide che era avanzata un po’ della magica pozione. Così provò a cospargerne un bastone e a recitare la formula, ma. ahimé, l'aveva capita male! Invece di "Su e giù, mai d’intorno" cantò "Vola su e giù, e tutt’intorno", e, nell’infilarsi su per il camino, volando a zig zag, prese un sacco di botte in testa.
Ma, una volta nel cielo aperto, gli fu più facile girare fino a vedere dall’alto le streghe che ballavano e cantavano festeggiando sotto la luna. Riuscì dunque a scendere e ad unirsi alle loro danze, festeggiando con loro per tutta la notte.

Poco sopra dove stavo io, al Compatsch, c’è una pista di nome Bullaccia o Puflatsch. Da lì si gode un panorama spettacolare, è anche il posto dove va via per ultimo il sole. Lì c’è anche un albero contorto sempre pieno di corvi, che mi ha sempre impressionato con la sua aria fiabesco-decadente. E sulle panchine della Bullaccia la strega più anziana si sedeva spesso, per ammirare il panorama (se ci passate, fermatevi anche voi. Soprattutto verso il tramonto. Merita).
Sulle panchine, inoltre, le streghe preparano le tempeste più violente e più antiche. Sedute lì, facevano apparire nuvoloni neri carichi di tuoni e fulmini, e persino nubi gialle gravide di grandine, che dallo Sciliar, dal Corno del Renon e dalla Val Gardena si trascinano lente sopra Castelrotto, Siusi e Fiè.
Se non si riesce a far suonare in tempo le campane, un temporale infernale si scatena su tutta la zona, provocando enormi danni.

A Sartria, poi, c’erano le streghe del burro, due donne piuttosto inquietanti che vivevano chiedendo l’elemosina e terrorizzando i paesani. La strega Tschelmerin di Piè di Sotto, aveva una grande gobba sulla schiena ed era soprannominata "Jüggale", ed era zitella. La strega "Kneppin", invece, era sposata.
Curavano o facevano ammalare le mucche a loro piacimento, e potevano rovinare la panna del latte come preferivano. Potevano anche fare ammalare i bambini e maledirli per fargli rompere un piede, o guarirli a loro piacimento.
Alla contadina del maso Platider, che evidentemente non aveva pagato l’elemosina, rovinarono il burro con un sortilegio, facendole trovare un ratto orribile nel secchio del latte, per poi prenderla in giro con una canzoncina che fa pressappoco così: "Contadina del Platider, che vuole fare il burro, che il burro lei non farà, oplà! Solo crema impazzita farà, aha! E un topo nel secchio troverà!".


Igor Karash

Non mancavano anche le piccole note storiche, trovate vicino alla pista "Il Sole". Negli anni compresi tra il 1506 e il 1510, nel castello di Presule, sede del tribunale di Fié, si sono svolti nove processi, i più antichi condotti in tutto il Tirolo nei confronti delle streghe.
Dinanzi alla Corte, presieduta da Leonhard von Völs, accanito persecutore di streghe, furono portate nove donne, (i cui nomi sono lì elencati). Una era addirittura una perpetua. Furono giustiziate in modo orribile. E, al di là del "fiabesco", credo sia giusto ricordare donne che furono davvero perseguitate e uccise.

Scritto da CieloAmaranto - (Illustrazioni aggiunte da me)
Dal fu-Blog La Torre di Vetro

sabato 13 settembre 2014

L'Orsa e "L'Orza"- Pelle d'Asino

Per caso, viaggiando attraverso "Comare Formica" e "Pelle di Vecchia", ovvero "Occhi-Marci", avevo ricordato Pelle d'Asino, proprio mentre l'orsa "veniva suicidata". Nel post precedente, operavo una netta distinzione tra le fiabe in cui la principessa si camuffa da animale, ricoprendosi di pelli o della pelle di uno specifico esemplare, e quelle in cui la principessa diventa, è un animale (o una vecchia), ma c'è, forse, differenza nella Storia dietro la fiaba?).
Dimenticando l'aristocratica versione di Perrault, andiamo alla Madre di tutte le Pelle d'Asino, ovvero il Cunto Sesto della Giornata Seconda del Pentamerone (Lu Cunto de li Cunti) di G.B. Basile: "L'Orza".
La principessa Preziosa riceve da una vecchia un pezzetto di legno: mettendolo in bocca, si trasformerà in un'orsa, una vera orsa, e potrà sfuggire al padre incestuoso rifugiandosi nel bosco, dove l'aspetta ciò che il Destino ha in serbo per lei.


Sanderson R.

Preziosa, sentuta sta resoluzione, se retiraie drinto la cammera soia e trivolanno sta mala sciorte non se lassaie zervola sana; e, stanno a fare sto nigro viseto, venne arrivanno na vecchia che la soleva servire d'argentata, la quale, trovannola chiù da chillo munno che da chisto e sentuto la causa de lo dolore suio, le disse:
" Stà de buon armo, figlia mia, non te disperare, ca a ogne male  'nc'è remmedio, fore ch'a la Morte. Ora siente: comme patreto stasera avenno dell'aseno vo' servire pe stallone e tu miettete sto spruoccolo 'n mocca, perché subeto deventarrai n'orza, e tu sfratta, ca isso, pe la paura, te lassarrà fuire e vattenne deritto a lo vosco, dove lo cielo t'ha sarvata la ventura toia. E quanno vuoi parere femmena, comme sì e sarrai sempre, e tu levate lo spruoccolo da vocca ca tornarrai alla forma de 'mprimma"


"Pelle di Vecchia" Non E' "Pelle d'Asino"

La fiaba del post precedente, "Occhi-Marci", raccolta da Gherardo Nerucci, è la fonte popolare della Calvino n.70, "Pelle di Vecchia". Nelle note, Calvino rimanda sia alla n.54, "Bene come il Sale", che alla n.103, "Maria di Legno" (Pelle d'Asino) della sua raccolta.
Cita anche "La Guardiana d'Oche alla Fonte" (Grimm n.179), ma la fiaba dei Grimm non ha nulla a che vedere con il tipo Pelle d'Asino. Effettivamente, Calvino la ricorda giusto per il camuffamento da vecchia. Sbagliando comunque.
E non si tratta di un dettaglio. Anche se la Guardiana e la principessa-Comare Formica sgusciano via dalla larva di vecchia come se fosse una veste, una corteccia, un bòzzolo, è molto chiaro nel racconto che esse siano state effettivamente vecchie e brutte, fino alla liberazione.


Cramer Rie


Nel momento in cui la fiaba del tipo Pelle d'Asino o Bene Come il Sale scivola verso la novella, la principessa in fuga o scacciata e/o maledetta che gira per il mondo da sola ha estremo bisogno di un camuffamento che la protegga dall'interesse degli uomini. In Occhi-Marci è detto esplicitamente.
Ma, non a caso, escludendo l'aristocratica fantasia dell'asino distributore d'oro di Perrault, la fanciulla in fuga sceglie le pelli di animali "impuri", ben al di là della tradizionale ripugnanza che alcuni di loro ispirano (es.:"Pel di Topo" di Afanas'ev).
Le fiabe arabe ne offrono esempi da manuale. E la principessa non fugge, ma viene scacciata  con orrore dal padre proprio perché contaminata da un mascheramento che la rende un'intoccabile.
La "pelle di vecchia" infrange un altro tabu: la Morte, il rispetto per i Defunti, la paura del contatto... e tutto viene esibito ed esorcizzato nella minuziosità con cui si dà conto di certi dettagli truculenti. Questo motivo è diffuso in Italia, ma non si lega in esclusiva al tipo Pelle d'Asino. Anzi, se proprio dovessi individuare un tipo fiabesco, indicherei quello che io chiamo la Principessa-Esorcista. E' la principessa de "Il Pappagallo" e de "Le Mie Tre Belle Corone", per intenderci, anche se, in questo caso, siamo in piena fiaba-novella. E, appena possibile, posterò un esempio che lega lo "scorticamento della vecchia defunta" a due altri tipi fiabeschi assolutamente insospettabili. Eppure, l'origine del motivo "Pelle di Vecchia" è certamente lì.
Nelle fiabe più antiche e più lontane dal tipo Pelle d'Asino (in cui si accenna o viene sottintesa l'eventualità che il padre incestuoso le dia la caccia ), o non viene fornita  alcuna spiegazione, o, più credibilmente, la "pelle di vecchia"  (ovvero, una reale trasformazione) è parte dell'incantesimo/maledizione.
La principessa non trascorre mai il periodo del suo camuffamento nella casa del futuro sposo, il fortunato Prince Charmant. E', spesso, la protagonista girovaga di una fiaba-matrioska, che contiene incontri inquietanti, o vive nascosta in un luogo completamente estraneo.
La principessa è sempre innocente. La pur bellissima Comare Formica non è una fiaba popolare, e l'invenzione di Luigi Capuana, l'esilio come espiazione per un carattere arrogante e superbo, non fa testo.
Anche lì, comunque troviamo una vera vecchia, la nonna regina-fata, che tanta parte ha nel determinare il suo destino.
In tutte queste fiabe, è presente l'alter ego realmente carico d'anni: una Nonna, una Madrina, una Balia. Niente a che vedere, comunque, con la misteriosa vecchia del bosco de "La Guardiana d'Oche alla Fonte", fiaba che è un gustoso manuale per tutte le possibili classificazioni di fiaba iniziatica. Lo sforzo di decifrazione è minimo. E' un peccato che Propp abbia concentrato la sua attenzione ed i suoi studi prevalentemente sulle fiabe cosiddette "maschili", e su un ristretto numero di tipi fiabeschi (e relative varianti) raccolti nella madre Russia.

Mab's Copyright

giovedì 11 settembre 2014

Occhi-Marci, G.Nerucci

A’ tempi antichi ci fu un Re che aveva tre figliole.
Un giorno le chiamò tutt’assieme e disse alla maggiore:
"Quanto mi vo’ tu bene?"
"Quant’al pane", quella gli arrispose.
"Allora i’ son contento", dice ’l padre.
Poi s’arrivolse alla mezzana:
"E te quanto mi vo’ tu bene?"
"Babbo mio, quant’al vino".
Fa il padre: "Anco di te i’ son contento, perché il vino mi garba e il paragone è giusto. E te, piccina, dimmelo anco te, quanto mi vo’ tu bene?"
Dice la piccina: "Quant’al sale".
"Oh! birbona - sbergola il Re - dunque, tu mi vo’ veder distrutto?"
E s’incattivì, ché alla figliola, per bone ragioni che lei gli portassi del su’ pensieri, nun ci fu verso di farlo persuaso e d’abbonirlo.
Dice lui: "Sì, tu mi vo’ distrutto, perché ’l sale si strugge anco da sé indove si mette. Dunque una figliolaccia come te con meco nun ci pole più stare. Va’ via di casa e ti maledico, e vai indove più ti garba. Ma fuggi via subbito dalla mi’ presenzia e ch’i’ nun ti rivegga più mai".


"Re Lear", Abbey E.A.


Quella poera ragazza, che gli aveva a mala pena quindici anni, fu ubbligata dalle cattive parole di su’ padre a nuscire dalla stanza, e con le lagrime agli occhi andiede a trovare la su’ balia e gli raccontò quel che gli era intravvienuto.
Dice:
"Oh! come farò io, me sciaurata, a girar sola per il mondo e maladetta da mi’ padre?"
La balia la racconsolò, e poi gli disse:
"Nun vi sgomentate. I’ vierrò con voi. Pigliate un sacchetto di monete d’oro e si partirà assieme per indove ci mena la fortuna".
Fecero dunque accosì le du’ donne, e quand’ebbano in mano il sacchetto con le munete e messo a ordine un fagottino di panni, la mattina fuggirno dal palazzo e s’avviorno fora di una porta. Loro camminorno per dimolti giorni; ma tutti i giovani che riscontravano devan dietro alla ragazza e nun la lassavano ben avere, perché la gli dasse retta: la balia era sgomenta, nun sapendo come salvargli l’onore, e sempre con la paura che gli portassen via la ragazza per forza.
Una sera però, arrivate a una città le du’ donne, s’imbatterno in un mortorio e gli dissano che era il funerale d’una vecchia morta a cento anni. Pensa subbito la balia: 'Se mi vendano la pelle di questa vecchia, no’ siemo salve'.
Vanno dunque nella chiesa, e doppo finite le funzioni la balia cerca del becchino e gli domanda, se lui vole vendere la pelle della vecchia. Il becchino in sulle prime gli arrispose di no; ma poi, siccome la balia gli profferse venti scudi, lui s’accordò, e con un coltello scorticata per bene tutta la vecchia, la su’ pelle la diede alla balia. La balia quand’ebbe avuto in mano la pelle della vecchia col viso, i capelli bianchi, le mane con l’ugne e tutto, la fece conciare e cucitala su del cambrì, mascherò con quella la ragazza, sicché la nun si ricognosceva più, e pareva propio la vecchia co’ su’ cento anni addosso e più i quindici della ragazza. Doppo si rimessane in cammino, e i giovanotti alla ragazza nun gli devan più noia; ma la gente correva a vedere quella vecchina che parlava tanto sverta e camminava lesta com’un frullino.
Un giorno le du’ donne arrivorno a una gran città e per istrada riscontrorno il figliolo del Re, che era un giovanotto piuttosto allegro, e andeva a spasso co’ su’ genitori. Quando lui vedde la ragazza travestita da vecchia gli parse di molto buffa, sicché fermò la balia e gli disse:
"Quella donna, quant’anni ha ella codesta vecchia? "
Arrisponde la balia: " Addimandategliene".
E lui: "Nonnina, oh! quant’anni avete voi?"
"I’ n’ho centoquindici".
Scrama il figliolo del Re: "Càspita! Nun mi burlate voi? E d’addove siete?"
E la vecchia: "Del mi’ paese".
"E i vostri genitori chi sono?"
"Guà! il mi’ babbo e la mi’ mamma".
"E ’l mestieri, che mestieri vo’ fate?"
"To’! i’ vo a spasso".
Il figliolo del Re in nel sentire tutte quelle matte risposte rideva a più nun posso; poi dice al Re e alla Regina:
"Vo’ m’avete a fare una grazia".
Dicon loro: "Chiedi pure".
"S’ha da pigliare questa vecchina allegra in nel palazzo e camparla insino a fin di vita".
Dissan loro: "Sì, come ti garba".
A farla corta, la vecchina la condussan nel palazzo reale, e gli assegnorno una stanza nel mezzanino, e il figliolo del Re andeva spesse volte ugni giorno a parlargli, perché ci si divertiva. La balia poi, quand’ebbe accomido al sicuro la su’ ragazza, se ne tornò diviata a casa sua.
La finta vecchia, dunque, la steva lì nel palazzo reale, che nun gli mancava nulla; e siccome pareva che ’gli avessi gli occhi cisposi, e’ gli messane il soprannome d’Occhi-Marci.
Un giorno la Regina gli disse: "Ma che propio vo’ nun sapete far nulla?" Arrisponde la vecchia: "Che vole! Quand’i’ avevo soltanto quindici anni i’ sapevo fare dimolte cose, e anco filavo bene e cucivo. Ma ora, con questi mi’ occhi i’ lavoro male, e le mane e le labbra nun mi servan più al filato".
Dice la Regina: "In ugni mo’, vi potete almanco provare a filarmi un po’ di lino, tanto per nun v’annoiare".
E la vecchia: "Guà! i’ farò l’ubbidienza".


Frederick G.

Gli fece dunque portare la Regina del lino scardassato, e la vecchia, quando tutti furno iti via, si serrò a chiave in cammera e, cavatosi d’addosso la finta buccia, filò tutto quel lino, che era proprio una maraviglia a vedersi. Il figliolo del Re, la Regina e tutta la Corte rimasano sbalorditi, che una vecchia grinzosa, mezzo cieca e con le mane tremolanti avessi possuto lavorare a quel modo. Doppo un po’ di tempo dice la Regina alla vecchia:
"Siccome vo’ lavorate tanto bene di filato, vo’ dovete provarvi a cucire una camicia al mi’ figliolo".
E la vecchia: "Com’i’ so e posso, veh!"
Gli portorno dunque della tela sopraffina; e la vecchia, serrata al solito la porta di cammera sua, tagliò e cucì la camicia tutta di trapunto, e nella pettorina ci ricamò delle rappe a fiori d’oro, ché di meglio era ’mpossibile trovare. Tutti, guà! ’gli è naturale, erano istupiditi e nun sapevano che si pensare di simile bravura. Ma il figliolo del Re poi nun era dimolto persuaso, che non ci fussi qualche malìa sotto, e però si mettiede ’n capo di scoprire ugni cosa; perché lui ragionava ’ntra di sé accosì: 'Questa vecchia la si serra in cammera a chiave, quando lei lavora e quando mangia, che nissuno la pole vedere allora. I’ vo’ sapere quel che lei ci fa lì sola'. Con questo pensieri il figliolo del Re, quando alla vecchia gli portorno da desinare, se n’andiede al buco della toppa, e vede che la vecchia si spogliava ignuda e poi si levava quella buccia finta, e che di sotto c’era una bellissima ragazza. Nun fece discorsi il figliolo del Re; con un calcio butta giù la porta, nentra in cammera e abbraccia la ragazza diviato, sicché lei tutta vergognosa scappò in un cantuccio a ricoprirsi con quel che potiede.
Dice il figliolo del Re: "Oh! chi siei? Perché tu stevi travestita a quel modo?" Arrispose con gli occhi bassi la ragazza e gli raccontò tutta la su’ storia, e come il babbo, che era pur lui un Re, l’aveva scacciata di casa e maladetta.
Il figliolo del Re, allegro a quelle novità, corse a chiamare i su’ genitori e gli disse: "Sapete, i’ ho trovo moglie. Una figliola d’un Re. Vienite a vederla". Vanno, e la ragazza s’era in quel mentre vestita per bene, che pareva un occhio di sole: e anco il Re e la Regina rimaseno a quella bellezza di quindici anni e al racconto che lei fece di quel che gli era successo. Insomma e’ s’accordorno che diventassi moglie del figliolo, e bandirno lo feste per lo sposalizio a tutti i regni vicini e lontani.
Il giorno del banchetto delle nozze ci viense pure il Re babbo della sposa; ma lui nun la ricognoscette. L’apparecchio era, che ognuno aveva a tavola pietanze da sé, e la sposa si mettiede a siedere tra su’ padre e ’l su’ sposo; ma a su’ padre gli fece servire tutto insenza sale, sicché lui nun mangiò propio nulla.
Quando fu finito il desinare, disse la sposa a su’ padre:
"E lei, che è vienuto di tanto lontano, com’è contento di queste feste? Perché lei nun ha mangiato nulla?"
Dice lui: "Che vole! Se ’gli è uso di questi paesi, istarò zitto; ma la robba insenza sale io nun la posso mangiare".
"Dunque lei al sale gli vole bene?", addimandò la sposa.
Dice lui: "Sicuro, ché insenza sale i’ nun so fare io".


 Bussière G.


"Oh! allora, signor padre - scramò la sposa - perché mi mandò via di casa, quand’i’ paragonai il bene ch’i’ gli volevo al bene ch’i’ voglio al sale?"
A queste parole ’mprovvise il padre s’accorgette che era la su’ figliola e disse forte: "T’ha’ ragione! I’ feci male dimolto, e ti chieggo perdono, e ti benedisco con tutto il core".
Accosì, fatte le paci e tornati tutti d’accordo, si feciano grandi allegrie, ché di simili nun se n’eran ma’ viste, e poi ognuno ritornò a casa sua lassando gli sposi a godersela libberamente.

(Raccontata dalla Luisa vedova Ginanni)

Novella n.13 da: "Sessanta Novelle Popolari Montalesi", di Gherardo Nerucci

lunedì 8 settembre 2014

Comare Formica - L. Capuana

'era una volta una povera donna che viveva del suo lavoro. Arrivata in un paese dove nessuno la conosceva, aveva preso in affitto una cameretta a pian terreno e lavorava, lavorava da mattina a sera, filando, tessendo, cucendo, secondo le richieste della gente. Di quel po' che guadagnava, un terzo lo spendeva per vivere, e il resto lo metteva da parte. Campava quasi con niente. Una fetta di pane, un pezzetto di cacio o una cipolla per companatico, e una bella bevuta di acqua era il suo desinare; e la cena nessuna differenza: una fetta di pane, un pezzetto di cacio o una cipolla per companatico, e una bella bevuta di acqua; null'altro.


Anker A.


Per ciò le vicine l'avevano soprannominata comare Formica. Nonostante la povertà e la fatica, comare Formica era sempre di buon umore.
" Che ve ne fate dei quattrini, comare Formica?"
" Quando saranno parecchi, me ne farò una frittata".
" O che si mangiano i quattrini?"
" Allora... li metterò sotto la chioccia per farli covare".
" O che sono uova i quattrini?"
" Allora... li seminerò in un vaso e aspetterò che vengano su".
" O che sono fiori i quattrini?"
" Provate e vedrete! Intanto lasciatemi filare".
E filando cantava:
"Fuso mio, gira e trotta, 
La camicia della Reginotta; 
Fuso mio, trotta e gira, 
Le lenzuola della Regina; 
Gira e trotta, fuso mio, 
Corda ai piedi a chi dico io!"

Le vicine, sempre curiose, tornavano a domandarle:
" Che ve ne fate dei quattrini, comare Formica?"
" Quando ne avrò parecchi li darò... a chi non li vuole".
" Come a chi non li vuole?"
" Allora... saranno di chi saprà pigliarseli".
" E se vengono i ladri?"
" Allora... dirò ai ladri: datemi i vostri e prendetevi i miei".
" Ma i ladri, se rubano, vuol dire che non ne hanno".
" Allora... Provate e vedrete. Intanto lasciatemi cucire".
E cucendo cantava:
"Gugliata, gugliatina, 
Camicie della Regina; 
Gugliatina, gugliata 
Lenzuola dell'amata; 
Gugliata lunga e corta 
Guanciali per la sposa"

 Le vicine, sempre più curiose, tornavano a domandarle:
" Che ve ne fate dei quattrini, comare Formica?"
" Quando ne avrò parecchi mi farò fabbricare un palazzo".
" Un palazzo per voi sola?"
" Allora... prenderò marito se posso trovarlo".
" Siete già quasi vecchina!"
" Allora .... Aspettate e vedrete. Intanto lasciatemi tessere".
E facendo andare e venire la spola tra l'ordito del telaio, comare Formica cantava:

"Vola, spolina mia, vola, spolina! 
Non ti arrestare mal, spolina cara; 
Trama di seta e argento la mattina, 
Trama di seta e d'oro verso sera. 
Vola, spolina mia... vola, spolina, 
Velo di sposa e veste di Regina". 

Lavorava da mattina a sera, filando, cucendo, tessendo secondo le richieste della gente, e la sua voce squillava per la via così limpida e dolce, che era una delizia stare ad ascoltarla. Le vicine però ridevano delle canzoni che accompagnavano il lavoro di comare Formica e le dicevano:
" Come mai, comare, quel filato così grosso per le camicie della Reginotta e per le lenzuola della Regina? Ahi ah!..."
" La canzone dice così; non l'ho inventata io".
" Come mai, comare, cotesta tela così rozza, velo di sposa e veste di Regina? Ahi Ah! ..."
" Come mai, comare, quei punti così lunghi, gugliata, gugliatina? Ah! Ah! ..."
" La canzone dice così: non l'ho inventata io... Ma ride meglio chi ride ultima, vicine mie. Ah! Ah! Ah! ..."
Le vicine si struggevano di sapere chi fosse costei: ma quando le domandavano:
" Di che paese siete?"- rispondeva: "Oh bella, del mio paese!"
" E dov'è questo paese?"
" Si va per monti, per valli e per piani, si passa fiumi, si passa il mare, e quando si arriva... quello è il paese".
Visto che non ne cavavano nessun costrutto, domandavano
" Come vi chiamate, comare?"
" Come volete chiamarmi. Tutti i nomi mi stanno bene, anche il nome di comare Formica".
" E non avete padre, madre, parenti?"
" Mio padre è Re, mia madre Regina, Ed io sono una povera vecchina!"
" Dunque siete Reginotta? Ah! Ah! Ah!...
" Ride meglio chi ride l'ultima, vicine mie!"
Le vicine, più curiose di prima, pensarono di metterla alla prova; e, canzonando, le dissero: " Comare Formica, quando metterete i vostri soldi sotto la chioccia, per piacere, metteteci anche questi: sono sette".
" Va bene; date qua".
E andavano spesso da lei per sapere se la chioccia covava.
" Cova, non dubitate; tra giorni verranno fuori".
Si attendevano una beffa dall'allegra vecchina; invece, al termine giusto della covata, eccoti tanti pulcini quanti erano i soldi ricevuti... Poteva essere uno scherzo anche questo; ma, dopo qualche settimana, quei pulcini avevano una cresta particolare, della forma e del colore di un soldino; cosa da sbalordire.
Sette galletti dei più grassi, che già cominciavano a far chicchirichi!
Una mattina però tutti a una volta, stirarono le ali, allungarono il collo,
chicchirichì! E caddero morti!
" Che disgrazia, comare! I nostri galletti sono morti! E i vostri?"
" È venuta la volpe e li ha mangiati!"
Le vicine volevano almeno riavere i sette soldi: e, rammentandosi che un giorno aveva detto: "Darò i miei quattrini a chi non li vuole", si presentarono a comare Formica: "Ah, comare! Voi volevate restituirci i sette soldi dei galletti: ma non li vogliamo!"
E aggravarono la voce su le ultime parole.
" Io? Nemmen per sogno. Non do quattrini a chi non li vuole"
" Eppure un giorno voi diceste..."
" Le parole le porta via il vento".
" Avete ragione, comare Formica!", dissero le vicine a denti stretti.
E una di esse pensò una gran birbonata. Aveva sentito dire da suo marito che la grotta in cima al monte serviva di ricovero a una banda di ladri.
" Ascolta, marito mio: potremmo arricchire senza fatica. Vai a trovare il capo dei ladri e digli: Vi insegno io un posto dove potreste fare molto bottino. Faremo a parti uguali. Volete? E indicherai la casa di comare Formica".
" Tu sei pazza, moglie mia!"
" E tu sei sciocco, marito mio!"
La cattiva donna tanto fece e tanto disse, che indusse il pover'uomo ad andare dal capo dei ladri.
" Va bene, ma se c'inganni, guai a te! Ti legheremo a quell'albero: quando saremo di ritorno con la preda, ti scioglieremo e avrai la tua parte. Ma chi c'indicherà il posto?"
" Ve lo indicherà mia moglie: si chiama Boccabella".
Giusto la notte dopo, i ladri dovevano fare un furto nel palazzo di un riccone là vicino; passando avrebbero visitato anche la casetta di comare Formica.
Verso mezzogiorno, la donna vide arrivare un omo vestito da contadino.
" Siete voi la Boccabella? Mi manda vostro marito".
La furba capi, lo fece entrare in casa, e gli diè tutte le indicazioni opportune.
" Se m'ingannate, guai a voi!"
Quella mattina comare Formica, avendo fatto il ranno al filato, parte ne stendeva sul tetto ad asciugare, parte sul davanzale della finestrella e su gli scalini della porta. Passata mezzanotte, ecco i ladri carichi di ogni ben di Dio, danari, argenterie, ori, gioielli, rubati nel palazzo del riccone. Chi dalla finestra, chi dal tetto, chi dalla porta fanno per entrare nella casa di comare Formica. E a un tratto sentono che qualcosa si avvolge attorno alle loro gambe e alle loro braccia, e glieli lega così stretti che una fune non avrebbe potuto far meglio. Più tentano e ritentano di distrigarsi e più il filato si attorce attorno ad essi, quasi fosse cosa viva. La Boccabella, che stava alle vedette, e pel buio non poteva capire perché i ladri stessero inerti, si era accostata zitta zitta.
" Ah infame! Ah traditori, tu e tuo marito!"
Si sentì la voce di comare Formica:
" Grazie, signori ladri! Non occorreva; vi siete disturbati a portarmi tante cose preziose. Grazie, signori ladri".
E, uscendo fuori, prendeva le bisacce ripiene che i ladri avevano deposte in un canto e le portava in casa; poi tornava fuori, frugava nelle loro tasche e ne cavava monete d'oro, pietre preziose, gioie, e li portava in casa, ripetendo:
" Grazie, signori ladri!"
I ladri non fiatavano, si lasciavano svaligiare, atterriti di quelle ritorte che li tenevano immobili, spaventati del peggio che poteva accadere. Già si vedevano in mano della giustizia.
" Avete visto, comare Boccabella? Da ora in poi potranno chiamarvi Boccamara". " Abbiate pietà di noi poveri ladri, comare Formica!"
Erano più morti che vivi. Già spuntava l'alba.
Comare Formica n'ebbe compassione.
" A patto che non facciate male al marito di costei! Il poveretto non ci ha colpa".
" Non gli faremo alcun male".
Sentendosi sciogliere braccia e gambe, i ladri si rizzarono, e via di corsa, senza voltarsi addietro: pareva che avessero le ali ai piedi. E alla Boccabella, dal gran dispiacere, rimaneva la bocca così amara, come se avesse masticato tòssico. D'accordo con le altre sei comari, ella tentò un'altra bricconata. Si presentò da quel riccone che era stato derubato:
" Volete trovare ogni cosa? Io so chi è stata la ladra; ma voglio una buona mancia".
" E una buona mancia avrete. Chi è stata la ladra?"
" Comare Formica".
" Quella povera donnicciola? Non è possibile".
" Mandate subito, i birri: troveranno ogni cosa".
Vanno i birri: cerca, fruga, rimesta, e non trovano niente.
" Se ve l'ha detto la Boccabella, vuol dire che gli oggetti rubati sono in casa sua". Vanno i birri, e senza bisogno di frugare, trovano le bisacce dei ladri riposte in un canto, e nella cassa e nelle cassette tanti altri oggetti di oro e di pietre preziose.
E la Boccabella presa ed ammanettata fu condotta in carcere: e la sua bocca diveniva ancora più amara, quasi avesse masticato tòssico.
Dopo di questo, comare Formica fu lasciata in pace. Le vicine, specie quelle dei galletti, avevano paura di lei. "Dev'essere una Strega!". Lei invece filava, cuciva, tesseva, cantando sempre allegramente:
"Fuso mio, gira · trova...", o pure: "Gugliata, gugliatina...", o pure: "Vola, spolina mia, vola, sposina!..", e la sua voce squillava per la via, così limpida e dolce, che era una delizia stare ad ascoltarla. Le altre vicine, che erano curiose, sì, ma non avevano preso parte alle birbonate contro di lei, le domandarono:
" E il palazzo, quando ve lo farete fabbricare, comare Formica?"
" Una di queste mattine, comari".
" E il marito, lo avete già trovato il marito?"
" Verrà una di queste mattine, comari.

Palazzo finito 
Attende il marito"

" Sempre allegra, comare Formica. Ah! Ah!..."
" Ride meglio chi ride l'ultima".
Ma quale non fu lo stupore di quelle buone comari, quando una mattina videro che la casetta di comare Formica era stata trasformata, durante la notte, in un meraviglioso palazzo assai più grande e più bello del palazzo reale! E comare Formica, con la rocca al fianco e il fuso in mano, filava davanti il grande portone quasi non fosse accaduto niente di nuovo.

"Fuso mio, gira e trotta"

" Chi vi ha fabbricato questo palazzone, comare Formica?"
" Venne il vento e portò i sassi".
" E poi?"
" Venne il vento e portò rena e calce".
" E poi?"
" Venne il vento e portò l'acqua".
" E poi?"
" Sassi, rena, calce ed acqua... e il palazzo si è rizzato".
" Sempre allegra, comare Formica!".
Il giorno dopo, comare Formica cuciva, seduta davanti al portone, quasi non fosse accaduto niente di nuovo.

"Gugliata, gugliatina..."

 " Siete così ricca, e vi affannate a cucire?"
" Chi non lavora non mangia".
" Lasciatelo dire a noi, comare Formica!"
" L'apparenza inganna, comari mie".
" E il marito?"
" È in viaggio; arriverà una di queste mattine".
" Come? Ce lo dite piangendo?"
" Solo il mestolo sa i guai della pentola!"
" Ah! povera comare Formica!"




Era stata sempre di buon umore, vivendo con un po' di pane, un po' di cacio o una cipolla per companatico, e una bella bevuta d'acqua, ed ora che aveva quel palazzone e attendeva il marito, ora piangeva? Era proprio vero che solo il mestolo sa i guai della pentola! Il giorno dopo, comare Formica, dentro il portone, tesseva, quasi non fosse accaduto niente di nuovo.

"Vola, spolina mia, 
vola, spolina..."

" Siete ricca e vi spezzate le braccia tessendo?"
" Questa è l'ultima tela, comari mie".
" Perché mai, comare Formica?"
" Perché viene il fuoco e mi brucia rócca, fuso e pennecchio".
" E poi?"
" Viene il fuoco e mi brucia lenzuola e guanciali da cucire".
" E poi?"
" Viene il fuoco e mi brucia velo di sposa e veste di Regina".
" Non piangete, comare Formica!"
" La mia mala sorte vuole così".
" Se avete bisogno di noi, comandateci, comare Formica! Povere siamo ma di buon cuore". Durante la nottata, le vicine sentirono soffi violenti e urli di vento attorno al palazzo di comare Formica. Ahuiii! Ahniii!, quasi il vento gli girasse da ogni lato e tentasse di buttarlo giù o di portarlo via. Non osavano di affacciarsi per vedere quel che succedeva. E se si fossero affacciate avrebbero visto il palazzo tutto illuminato, tutte le finestre spalancate e due ombre correre per le stanze, una inseguendo l'altra, come spinte da una furia di vento che urlava: Ahuiii! Ahuiii! Non era il vento, ma l'Orco che voleva afferrare comare Formica e non riusciva a raggiungerla. Intanto verso l'alba il rumore cessava. L'Orco scappava via - Ahuiii! Ahuiii! - per paura del sole, e il palazzo tornava allo scuro, con le con le finestre tutte chiuse.
" Avete sentito, comare Formica, che ventaccio stanotte?"
" Non ho sentito niente, comari mie".
" Come? Sembrava che volesse sradicare il vostro palazzo!"
" Non mi sono accorta di niente. Ho il sonno duro".
" Perché piangete, comare Formica?"
" La mia mala sorte vuole così".
" Non filate oggi, comare Formica?"
" Il fuoco mi ha bruciato rócca, fuso e pennecchio".
" Non cucite oggi, comare Formica?"
" Il fuoco mi ha bruciato lenzuola e guanciali da cucire".
" Non tessete oggi, comare Formica?"
" Il fuoco mi ha bruciato telaio, spola, ordito, velo di sposa e veste di Regina".
E, la notte dopo, l'Orco tornava precisamente a mezzanotte. Ahuiii! Ahuiii! Vuoi essere l'Orchessa, sì o no?"
" No! No! No!"
" Invece di pane, con cacio o cipolla per companatico, mangeresti carni tenere di bambini e di bambine; invece di acqua, berresti sangue fresco di giovani e di zittelle. Vuoi essere l'Orchessa, sì o no?"
" No! No! No!"
" Prendo te e ne fo un boccone!". E le vicine, se si fossero affacciate, avrebbero visto il palazzo tutto illuminato, tutte le finestre spalancate, e due ombre correre per le stanze una inseguendo l'altra, come spinte da furia di vento. Verso l'alba il rumore cessava.
" Avete sentito, comare Formica, che urli stanotte?"
" Non ho sentito niente; ho il sonno duro".
" Perché piangete, comare Formica?"
" La mia mala sorte vuole così!"
" Buon tempo e cattivo tempo non durano gran tempo".
" Forse dite bene, comari!"
" Parliamo di cose allegre: e il marito, comare Formica?"
" Prima devo ringiovanire"
" Sempre allegra, nonostante i guai!"
" Aspettate e vedrete".
Insomma, con quella comare Formica non ci si capiva nulla; metteva a covare i soldi e i pulcini nascevano; menava vita da poveretta e si faceva fabbricare un palazzo più grande e più bello di quello del Re; venivano i ladri per rubarle i quattrini messi da parte, e invece lei legava e spogliava i ladri; piangeva la sua mala sorte e subito dopo le scappava di bocca una facezia. Chi era? Perché aveva detto: Mio padre è Re, mia madre Regina, Ed io sono una povera vecchina ? 
Ed ora perché aveva detto: Prima devo ringiovanire ? Le volevano bene: era buona, non dava noia a nessuno, ma avrebbero pagato chi sa che cosa per penetrare il mistero che la circondava. E la notte dopo, di nuovo, precisamente a mezzanotte - Ahuiii! Ahuiii! - l'Orco arrivava come un uragano.
" Vuoi esser l'Orchessa, sì o no?"
" No!... Sì!... No!..."
Dal terrore la poverina non sapeva quel che si dicesse.
" Sì o no?"
" Sì, sì! Ma devi darmi tempo un mese e un giorno".
" Un mese, un giorno e un'ora!"
" E devi promettermi che per tutto questo tempo non mangerai carni tenere di bambini e di bambine, né berrai sangue fresco di giovani e di zittelle; non mangerai carne di sorta alcuna".
" Te lo prometto".
" Porterai qui i bambini e le bambine, i giovani e le zittelle, e... e faremo un gran banchetto il di delle nozze".
" Ah! bella! Ah bella!". L'Orco, enorme, brutto, peloso, faceva così strani movimenti di tutto il corpo per significar tutta la sua gioia, che comare Formica non poté trattenersi dai ridere. Ma già si avvicinava l'alba, ed egli si affrettava ad andar via per paura, del sole… Ahuiii! Ahuüi!
" Avete sentito, Comare Formica, che urli questa notte?"
" Non ho sentito niente; ho il sonno duro".
" E il marito, comare Formica?"
" Prima devo ringiovanire".
" Sempre allegra, nonostante i guai!"
Insomma con quella comare Formica non ci si capiva nulla. Le volevano bene; era buona, non dava noia a nessuno: ma avrebbero pagato chi sa che cosa per penetrare il mistero che la circondava. Invecchiava - il tempo passava anche per lei - e lei parlava di ringiovanire! E la notte dopo, Ahuiii! Ahuiii! - ecco l'Orco con tre bambini e tre bambine, un giovane e una zittella.
" Ingrassali bene con latte e riso; da qui a un mese saranno un boccone da Re".
" Mi son dimenticata il meglio: per regalo di nozze devi portarmi una conocchia di argento e un fuso di oro; più un agoraio di oro e un ago di argento; più un telaio di argento e una spola di oro".


Tenggren G.


" Vado e torno subito". E in men che non si dica - Ahuiii! Ahuüi! - le riportava i regali di nozze richiesti. Nella giornata le vicine si stupirono vedendo comare Formica che filava davanti al portone del palazzo, come una volta.
" Oh la bella rócca! Oh il bel fuso!"
" Cosine da niente, comari mie!"
Più tardi: " Oh il bell'agoraio! Oh la bella spola!"
" Cosine da niente, comari mie!"
" Ci avete gente in casa? Ridono, fanno il chiasso..."
" Chi vuole un bel bambino o una bella bambina, glieli regalo".
" Bocche che mangiano non ne prende nessuno. Sempre allegra, comare Formica!"
Come? regalava anche dei bambini? Ora se ne capiva meno di prima! Avrebbero pagato chi sa che cosa per penetrare il mistero che la circondava.
La mattina dopo, comare Formica filava davanti al portone e cantava:

"Fuso mio, gira e trotta..."

Molti ragazzi si erano radunati attorno a lei, con la bocca aperta di ammirazione per la bella rócca di argento e il bel fuso d'oro.
" Comare Formica, perché non ci raccontate una fiaba?"
" Se state cheti, ve la racconterò".
" Come l'olio, comare Formica".


Lady Laura Alma Tadema


" Dunque... C'era una volta una Reginotta, vanitosa, superbiosa, disubbidiente, gelosa, cattiva che era la disperazione della nonna. Non voleva far niente. Non voglio sciuparmi le mani! - Se non ti emenderai verrà l'Orco e t'inghiottirà in un boccone - Ben venga l'Orco; quando sarò cresciuta me lo prenderò per marito! La nonna era una Maga, di quelle però che fanno opere buone; e per virtù di filtri e d'incanti la trasformò in maniera che l'Orco non potesse riconoscerla. L'Orco aveva appreso le parole di quella sventata, ed era contentissimo di sposare una bella Reginotta, e la cercava per mare e per terra".
" È finita?"
" Per oggi è finita".
La mattina dopo, comare Formica cuciva davanti al portone:

"Gugliata, gugliatina..."

e i ragazzi si erano di nuovo radunati attorno a lei, con la bocca aperta di ammirazione pel bel ditale d'oro e per il bell'ago di argento.
" E la fiaba lasciata in asso, comare Formica?"
" La riprenderò, se state cheti".
" Come l'olio, comare Formica".
" Dunque... Dove eravamo rimasti? Ah! Che l'Orco contentissimo di sposare una bella Reginotta, la cercava per mare e per terra e non riesciva a trovarla. La nonna voleva, sì, gastigare la cattiva nepotina e ridurla buona, e a questo fine ne aveva fatta una vecchina, l'aveva mandata in un paese lontano, dove nessuno la conosceva, lusingandosi che l'Orco non l'avrebbe trovata. E siccome pel termine del giusto castigo mancavano pochi mesi, così la nonna gli aveva preparato un magnifico regalo..."
" Quale regalo, comare Formica?"
" Ve lo dirò un'altra volta".
La mattina dopo, comare Formica era dentro il portone col bel telaio di argento e la bella spola d'oro e tesseva:

"Vola, spolina mia, vola, spolina!" 

e i ragazzi, figuriamoci se si erano di nuovo radunati attorno a lei con la bocca aperta di ammirazione pel bel telaio di argento e per la bella spola di oro.
" E la fine della fiaba, comare Formica? "
" La mia fiaba non ha fine. Dunque… Dove eravamo rimasti? Ah! Al magnifico regalo della nonna. Ma appunto fu quello che fece scoprire la Reginotta all'Orco... E dovrà forse sposarlo...."
" No! No! Non glielo fate sposare, comare Formica!"
" Le fiabe sono come sono, e non si possono mutare".
I bambini si misero a strillare, e piangendo: "No! no! Non glielo fate sposare, comare Formica!". I bambini strillavano e piangevano e le loro mamme ridevano. " Fàteli contenti, comare Formica!"
" Le fiabe sono come sono e non si possono mutare. Intanto, se mi volete bene, dovete ogni notte far guardia al mio palazzo... E quando sentirete avvicinare... il ventaccio - Ahuiii! Ahuiii! - prendetevi per le mani, da una cantonata all'altra senza lasciarvi un istante... E allora i bambini saranno contenti: non farò più sposare l'Orco con la Reginotta".
Comare Formica diventava più misteriosa di giorno in giorno; di giorno in giorno se ne capiva men di prima. Le vicine avrebbero pagato chi sa che cosa per sapere chi veramente fosse. Una, la più vecchia, disse: "Volete scommettere che la Reginotta vanitosa, superbiosa, disubbidiente, gelosa, disperazione della nonna, era lei?"
"Ma che! Ma che! Una vecchina che per tanti anni ha lavorato da mattina a sera, ha mangiato pane e cacio o pane e cipolla, e ha bevuto soltanto acqua pura! Non può essere! Non può essere! Stiamo a vedere!"
E da parecchie notti, poverine, facevano la guardia al palazzo di comare Formica, prese per mano da mezzanotte all'alba. E ogni notte udivano da lontano il... ventaccio, come aveva detto comare Formica che soffiava: Ahniii! Ahuiii! - e non osava di avvicinarsi. Nessuno capiva quell' Ahuiii! Ahuiii!  Soltanto comare Formica, invece di quel grido, sentiva: "Rendimi almeno i bambini e le bambine! È un mese che non mangio carne cristiana, e non ne posso più! Rendimi almeno il giovane e la zittella, è un mese che non bevo sangue cristiano e non ne posso più. Ahuiii! Ahuiii!"
Erano passati un mese e un giorno: restava un'ora. E appunto prima che finisse quell'ora le vicine videro compirsi un portento. Mentre parlava con loro e rideva e le faceva ridere col buon umore di una volta, tutt'a un tratto, comare Formica cominciò a raccorciarsi, a raccorciarsi, a coprirsi di grinze, quasi la pelle dovesse staccarsi dal corpo, e uscirne fuori qualche altra persona. Le stavano attorno atterrite, senza aver animo di soccorrerla, incapaci di gridare, quando, ecco, le vesti e la pelle di comare Formica si squarciarono e ne usciva una bellissima giovanetta, bionda, con occhi celesti, sorridente, che sembrava essersi destata allora allora da. lunghissimo sonno. E aveva nell’aspetto e nei modi tanta dolcezza, tanta bontà, tanta modestia, da allontanare ogni sospetto che la Reginotta vanitosa, superbiosa, disubbidiente, cattiva, gelosa, disperazione della nonna, fosse stata proprio lei, come aveva detto quella vecchia, e che il gastigo l'avesse cambiata.


Léon-François Comerre

Era o non era dunque?
La fiaba non lo chiarisce e si arresta qui. Se poi volete saperne di più, mettetevi la via tra le gambe, andate nel paese dove comare Formica si fece fabbricare il bel palazzo di cui forse rimane qualche vestigio, se pure il vento, che allora apportò sassi, rena e calcina e acqua, non l'ha, dopo tanto tempo, spazzato via. Ma forse fareste inutilmente questo viaggio... E poi, bambini miei, non è bene essere eccessivamente curiosi.

Larga la via, stretta la foglia 
E siam rimasti tutti con la voglia.

venerdì 5 settembre 2014

La Guardiana d'Oche alla Fonte, Grimm n. 179

'era una volta una donnetta vecchia, vecchissima che viveva col suo branco di oche, in una radura fra i monti e là aveva una casetta. La radura era circondata da un gran bosco: ogni mattina la vecchia prendeva le stampelle e arrancava nel bosco. E la vecchia donna era molto occupata, molto di più di quanto competesse alla sua età: faceva erba per le sue oche, per sé coglieva frutta selvatica, quella che si trovava a portata di mano, e portava a casa tutto sulla schiena. Si poteva pensare che quel gran peso potesse schiacciarla al suolo, invece lo portava a casa senza gran fatica. Se incontrava qualcuno lo salutava con molta gentilezza:
"Buon giorno, compaesano, oggi il tempo è bello! Già, certo vi stupirete che mi tiri dietro quest'erba, ma ciascuno ha da prendersi il suo peso sulle spalle."
Ma la gente non la incontrava volentieri e preferiva allungar la strada, se un padre le passava accanto con il suo bambino, subito gli sussurrava:
"Guardati da quella vecchia, è furba come il diavolo, è una strega."


Kate Baylay



Una mattina veniva attraverso il bosco un bel giovane! Il sole splendeva alto, gli uccelli cantavano e fra gli alberi spirava una brezza fresca, ed egli era contento e felice. Non aveva ancora incontrato nessuno, quando d'un tratto scorse la vecchia strega inginocchiata che tagliava l'erba con la roncola. In un telo ne aveva già messo un bel po', e lì accanto c'erano due cesti pieni di pere e di mele selvatiche. "Ma nonnina - disse egli - come fai a portar via tutta questa roba?"
"Debbo portarla, caro signore - rispose lei - i figli dei ricchi non ne hanno bisogno. Ma presso i contadini si dice: Non ti guardare attorno rimani gobbo tutto il giorno."
"Volete aiutarmi?- disse quando egli le si fermò accanto -Voi avete la schiena bella dritta e le gambe giovani, per voi sarà facile. Poi la mia casa non è lontana: sta in una radura, là, dietro quel monte. In due salti ci siete."
Il giovane ebbe pietà della vecchia:
"Veramente mio padre non è contadino - rispose - E' un Conte e molto ricco, ma perché possiate vedere che non sono solo i contadini che sanno portar pesi, prenderò il vostro fastello."
"Se volete provare - disse la vecchia - mi farà di certo piacere! Certo c'è da camminare per un'ora, ma che vi importa! E dovete portarmi anche le mele e le pere."
Il giovane Conte si insospettì sentendo parlare di un'ora di cammino, ma la vecchia non lo lasciò più andare, gli cacciò il fieno sulla schiena e al braccio i due canestri.
"Vedete, sono leggeri come la piuma," disse.
"No, non sono per niente leggeri - rispose il Conte con una smorfia di dolore - il fascio d'erba pesa come se fosse di pietra, e le mele e le pere hanno un peso tale che paiono di piombo, quasi mi manca il fiato."
Aveva voglia di piantar lì tutto, ma la vecchia non gli dava pace.
"Guarda un po' - disse con voce beffarda - il giovanotto non vuole portare quello che una vecchia come me si è tirata dietro tante volte. A dir belle parole son pronti tutti, ma se si fa sul serio se la vogliono svignare."
"Cosa aspetta? - proseguì - Su, muovetevi. Quel fagotto non ve lo toglie più nessuno."
Fino a che il giovane camminava sul piano, poteva ancora resistere, ma quando giunsero al monte e dovettero salire, e i sassi rotolavano sotto i piedi come se fossero vivi, allora non ce la fece più. Gocce di sudore gli bagnavano la fronte e gli scivolavano giù per la schiena, ora gelide ora cocenti.
"Nonnina - disse - non ce la faccio più debbo riposarmi un po'!"
"Niente affatto - rispose la vecchia - quando saremo arrivati potrete riposarvi, ma ora si va avanti. Chissà che non vi faccia bene."
"Vecchia, sei veramente insolente!" disse il giovane, e voleva gettare a terra il fardello, ma era tutto inutile: gli stava attaccato alla schiena come se l'erba avesse messo radici! Si girò e si scosse qua e là ma non riusciva a liberarsi.
La vecchia rideva e saltava con la sua gruccia, tutta contenta.
"Non arrabbiatevi, caro signore, diventate rosso in faccia come un tacchino - disse - portate il fardello con pazienza e quando saremo a casa vi darò una buona mancia." E lui cosa poteva fare? Dovette rassegnarsi al suo destino e trascinarsi con pazienza dietro alla vecchia. Questa pareva farsi sempre più contenta e giuliva e il carico sempre più pesante. D'un tratto, ella fece un balzo, saltò sul fardello, vi ci si accomodò bene e, secca e magra com'era, pesava più d'una bella contadinotta. Al giovane tremavano le ginocchia, ma se non proseguiva, la vecchia lo picchiava sulle gambe con una verga o con delle ortiche. Sempre lamentandosi, egli salì il monte e, alla fine, giunse alla casa della vecchia, proprio quando stava per stramazzare al suolo.


Accornero V.



Quando le oche videro la vecchia, alzarono le ali. allungarono il collo e le corsero incontro schiamazzando qua qua. Dietro al branco, con una verga in mano, veniva una vecchia donna, grande e grossa e brutta come la notte.
"Signora madre - disse questa alla vecchia - vi è capitato qualche cosa, siete stata via tanto!"
"Tranquillizzati, figlia mia - rispose quella - non mi è capitato niente di male, al contrario, questo buon signore ha portato il mio carico e, pensa, quando ero stanca, ha caricato anche me sulla sua schiena. La strada non ci è parsa affatto lunga, siamo stati in buona allegria e abbiamo scherzato assieme."
Alla fine, la vecchia scivolò giù fino per terra, gli tolse il fardello dalla schiena e i cesti dal braccio, lo guardò benevolmente e gli disse:
"Adesso mettetevi sulla panca davanti all'uscio e riposate. Vi siete guadagnato il vostro compenso e lo avrete."
Poi disse alla guardiana delle oche:
"Tu va' in casa, figlia mia, non va bene che rimani sola con un giovanotto, non si deve versar olio sul fuoco, potrebbe innamorarsi di te."
Il Conte non sapeva se piangere o ridere: 'un tesoruccio come questo, anche se avesse trent'anni di meno, non toccherebbe certo il mio cuore.'
Intanto la vecchia accarezzava e coccolava le sue oche come fossero bambini, poi entrò in casa con la figlia. Il giovane si sdraiò sulla panca sotto un melo selvatico. L'aria era dolce e tiepida, tutt'attorno si stendeva un bel prato verde. pieno di primule, timo selvatico e mille altri fiori, là in mezzo mormorava un ruscello limpido e sopra splendeva il sole, le tre oche bianche passeggiavano su e giù e si bagnavano nell'acqua.
"E proprio bello qui - disse il giovane - ma sono talmente stanco che non riesco a tener gli occhi aperti, dormirò per un po'. Basta che un colpo di vento non mi porti via le gambe, perché me le sento molli come la ricotta."
Dormiva da poco quando venne la vecchia e lo svegliò scrollandolo.
"Alzati - disse - non puoi restare qui. Ti ho tormentato. è vero, ma non ci hai poi rimesso la pelle. Ora avrai la tua ricompensa. Denaro e beni non te ne servono, eccoti qualcosa d'altro."
E gli mise in mano una scatoletta, ricavata da un unico smeraldo.
"Conservala con cura - disse - ti porterà fortuna."
Il Conte balzò in piedi e, sentendosi fresco e rinvigorito, ringraziò la vecchia del suo dono e si incamminò senza nemmeno voltarsi a rimirare la bella figlia.
Aveva già fatto un bel pezzo di strada che ancora udiva l'allegro schiamazzare delle oche. In quella selvaggia radura il Conte dovette vagare per tre giorni, prima di trovare la strada per uscire. Arrivò poi in una grande città e, siccome nessuno lo conosceva, lo condussero al castello reale, dove il Re e la Regina sedevano sul trono. Il Conte fece un inchino, trasse lo smeraldo di tasca e lo porse alla Regina. Ma, appena la Regina l'aprì e vi guardò dentro, cadde a terra come morta. Il Conte fu arrestato dai servitori del Re e stavano proprio per portarlo in prigione, quando la Regina riaprì gli occhi e gridò di lasciarlo libero e che tutti uscissero dalla sala perché voleva parlare da sola con lui.
Quando furono soli, la Regina scoppiò in lacrime e disse:
"A cosa mi servono il lusso e gli onori che mi circondano se ogni mattina mi sveglio nell'ansia e nel dolore? Io ho avuto tre figlie, e la minore era talmente bella, che tutti ne rimanevano incantati! Era bianca come la neve, rosea come i fiori di melo e i suoi capelli brillavano come raggi di sole. Se piangeva, dai suoi occhi non cadevano lacrime, ma perle e pietre preziose! Quando ebbe quindici anni, il Re fece comparire le figlie davanti a lui! Avreste dovuto vedere che occhi fece la gente quanto entrò la più piccola, pareva che sorgesse il sole.



Kinuko Y Craft



Il Re disse: Figlie mie, non so quando verrà il mio ultimo giorno e fino da ora voglio stabilire quello che ognuna di voi avrà dopo la mia morte! So che mi amate tutte e tre, ma quella che mi ama di più avrà la parte migliore. Ognuna disse che lo amava più delle altre. Non sapete dirmi come mi amate?- rispose il Re - così capirò il vostro pensiero. La maggiore disse: Amo mio padre come il più dolce degli zuccheri. La seconda disse: Amo mio padre come il vestito più bello. Ma la più piccola taceva. Allora il padre le chiese: E tu mia carissima piccina, come mi ami? - Non so, non so paragonare a nulla il mio amore, disse la più piccola. Ma il padre insisteva che nominasse qualche cosa. Alla fine ella disse: Il miglior cibo non mi piace senza sale, così amo mio padre come il sale. All'udirla,  il Re si indignò e disse: Se mi ami come il sale, il tuo amore sarà ricompensato con il sale. Divise il regno fra le due prime figlie e alla più piccola fece legare un sacco di sale sulla schiena e due servi dovettero condurla nel bosco selvaggio. Tutti abbiamo pregato ed implorato per lei - disse la Regina - ma la collera del Re fu implacabile! Come piangeva la povera piccola quando dovette lasciarci. Tutta la strada fu cosparsa dalle perle che sgorgavano dai suoi occhi. Ben presto il Re si pentì della sua crudeltà e mandò a cercare la fanciulla per tutto il bosco, ma nessuno riuscì a trovarla. Quando penso che le bestie feroci l'avranno divorata sono fuori di me dal dolore. Talvolta mi consolo e penso che sia ancora viva e che si sia nascosta in una grotta, o abbia trovato rifugio presso qualche anima buona. Ma pensate, quando ho aperto la vostra scatolina di smeraldo, dentro c'era una perla, proprio uguale a quelle che scorrevano dagli occhi di mia figlia. Potete immaginare come il mio cuore si sia commosso a quella vista. Ditemi ora: da dove viene questa perla?"
Il Conte raccontò che gliela aveva data la vecchia del bosco, e che gli era risultata strana, che probabilmente era una strega, ma la figlia della Regina non l'aveva vista e non ne aveva sentito parlare. Il Re e la Regina vollero cercare la vecchia, pensavano che dove c'era la perla lì doveva esserci anche la loro figliola. Fuori nella radura selvaggia sedeva la vecchia e filava. Era già buio e qualche pezzo di legna che ancora ardeva nel camino mandava una luce fioca. Fuori, d'un tratto ci fu un gran baccano. le oche tornavano dalla pastura e facevano delle grida roche. Poco dopo entrò anche la figlia. La vecchia rispose appena al suo saluto e crollò un poco la testa. La figlia sedette accanto a lei; prese l'arcolaio e si mise a filare, veloce come una fanciullina. Così continuarono per due ore senza scambiarsi parola. Alla fine si udì un fruscio alla finestra e guardarono dentro due grandi occhi di fuoco: era un vecchio gufo che per tre volte gridò: Uhu.
La vecchia alzò appena gli occhi, poi disse:
"Ora è tempo, figliola, che tu esca a fare il tuo lavoro."
La figlia si alzò ed uscì. Ma dove andò? Attraverso i prati, giù giù, fino alla valle, fino a che giunse ad una fonte dove c'erano tre vecchie querce. La luna era grande e tonda sopra la montagna ed era tanto chiaro che si sarebbe potuto trovare uno spillo. Ella si tolse una pelle che aveva sul viso, poi si chinò sulla fonte e cominciò a lavarsi. Quando ebbe finito, immerse anche la pelle nell'acqua e la mise sul prato perché si imbiancasse e si asciugasse alla luce di quella luna. Ma come si era trasformata la ragazza! Una cosa del genere di certo non l'avete mai vista. Appena la treccia grigia cadde, ecco sgorgare i capelli d'oro come raggi di sole, e come un manto le ricoprirono tutta la persona. Non si vedevano che gli occhi, scintillanti come le stelle del cielo, e le guance ardevano di un tenue rosa, come fiori di melo. Ma la bella fanciulla era triste, sedette e pianse amaramente: una dopo l'altra le lacrime le scorrevano dagli occhi e rotolavano fra i lunghi capelli. Così stava e sarebbe rimasta a lungo, se non avesse udito uno scricchiolio e un fruscio fra i rami dell'albero vicino. Balzò in piedi come un capriolo che sente lo sparo del cacciatore. Proprio in quel momento, la luna fu coperta da una nuvola scura; in un attimo la fanciulla indossò la vecchia pelle e scomparve come una lampada spenta dal vento. Tremando come una foglia, tornò a casa di corsa.
La vecchia era sulla soglia e la fanciulla voleva narrarle quello che le era accaduto, ma la vecchia rise con benevolenza e disse: "So già tutto."
La condusse nella stanza e buttò un altro legno sul fuoco. Ma non tornò a sedersi all'arcolaio, prese una scopa e si mise a spazzare e a strofinare.
"Deve essere tutto lindo e pulito!" disse alla fanciulla.
"Ma madre, perché vi mettere al lavoro così tardi? Cosa volete fare?"
"Sai che ore sono?" domandò la vecchia.
"Non ancora mezzanotte - rispose la fanciulla - ma le undici sono sicuramente passate"
"Non ricordi? - proseguì la vecchia - oggi sono tre anni che sei venuta da me. Il tuo tempo è trascorso, non possiamo più rimanere assieme."
La fanciulla si spaventò e disse: "Cara mamma, volete scacciarmi? Dove andrò mai? Non ho casa né amici a cui rivolgermi. Ho fatto tutto quello che mi avete ordinato, di me siete sempre stata contenta, non scacciatemi."


Katerina K.Shtanko



La vecchia non voleva dirle quello che l'aspettava.
"Io non posso più stare qui -  le disse - ma prima che me ne vada tutto deve essere pulito, perciò non trattenermi nel mio lavoro. Quanto a te, non preoccuparti, avrai un tetto sotto cui abitare e poi sarai contenta del compenso che ti darò."
"Ma ditemi almeno cosa mi accadrà", disse ancora la fanciulla.
"Ti ripeto, non disturbarmi nel lavoro. Non parlare più e vattene nella tua stanza, togliti la pelle dal viso e mettiti l'abito di seta che portavi quando sei venuta da me e poi aspetta fino a che ti chiamerò."
Ma torniamo al Re e alla Regina, che erano partiti con il giovane Conte e volevano ritrovare la vecchia della radura selvaggia. Di notte, il Conte li aveva preceduti nel bosco e poi perduti, così dovette proseguire da solo. Il giorno dopo gli era parso d'essere sulla strada giusta. Continuò a camminare finché si fece buio, e allora salì su di un albero per passarvi la notte perché temeva di smarrirsi di nuovo. Quando la luna illuminò il bosco, scorse una figura che scendeva dal monte. Non aveva in mano la verga, ma egli la riconobbe come la guardiana delle oche, che aveva visto presso la casa della vecchia. 'Eccola - pensò - se c'è una delle streghe non mi sfuggirà nemmeno l'altra."
Ma rimase di sasso, quando ella si accostò alla fonte, si tolse la pelle, si lavò e le si sciolsero i capelli d'oro. Era così bella come mai ne aveva vista alcuna al mondo. Egli osava appena respirare, ma allungò il collo fra le foglie più che gli era possibile, senza togliere gli occhi di  dosso. O che si fosse sporto troppo, o per qualche altro motivo, d'un tratto il ramo scricchiolò, e subito la fanciulla si infilò la pelle e corse via come un capriolo. In quell'istante si coprì la luna ed egli non la vide più. Appena fu sparita, il Conte scese dall'albero e l'inseguì di corsa.


Kinuko Y Craft


Non aveva fatto molta strada, quando nella fioca luce scorse due figure che vagavano per il prato. Erano il Re e la Regina, che da lontano avevano scorto la luce nella casetta della vecchia, e là dirigevano i loro passi! Il Conte narrò loro di quale meraviglia era stato spettatore alla fonte ed essi non dubitarono che quella fosse proprio la loro figliola perduta. Arrivarono pieni di gioia alla casetta, le oche stavano attorno alla casa con la testolina sotto l'ala e dormivano, e nessuna di loro si mosse. Essi guardarono dalla finestra. La vecchia sedeva in silenzio e filava. faceva solo un cenno di assenso con la testa, ma non si guardava mai attorno. Tutto nella stanza ora era pulitissimo, come se ci abitassero gli omini della nebbia, che mai hanno i piedi impolverati. Ma non videro la loro figliola. Per un po' stettero a guardare ben bene, poi si fecero coraggio e bussarono piano piano alla finestra. Parve che la vecchia li aspettasse, si alzò e gridò allegramente:
"Entrate pure, vi conosco già."
Quando furono dentro. ella disse:
"Avreste potuto risparmiarvi questo lungo cammino, se tre anni fa non aveste scacciato ingiustamente vostra figlia, che è tanto buona ed affettuosa. A lei non ho fatto alcun male. Per tre anni, ha dovuto custodir le oche, così non ha imparato nulla di male e ha mantenuto puro il suo cuore. Ma voi siete stati puniti abbastanza dall'angoscia nella quale siete vissuti."
Poi si avvicinò alla stanza e chiamò: "Esci, piccina mia!"
La porta si aprì e la Principessa comparve nella sua veste di seta, coi suoi capelli d'oro e gli occhi come stelle, e parve che un angelo fosse sceso dal cielo. Si accostò ai genitori, li abbracciò e baciò e tutti piansero di gioia. Il giovane Conte era accanto a loro, e quando ella lo vide si fece rossa in viso come una rosa muschiata, e lei stessa non sapeva il perché. Il Re disse:
"Il mio regno lo ho donato, cara bambina, cosa devo darti?."
"Non ha bisogno di nulla - disse la vecchia - io le dono le lacrime che ha pianto per voi, sono perle, più belle di quelle che si trovano nel mare, e valgono più di tutto il vostro regno! E in compenso dei suoi servigi le lascio la mia casetta." Detto ciò la vecchia sparì.
Si udì un lieve scricchiolio nelle pareti e, come si guardarono attorno, videro che la casetta si era trasformata in un meraviglioso palazzo, una tavola regale era già apparecchiata e i servitori correvano qua e là. La storia continua, ma mia nonna che me la ha raccontata, aveva ormai poca memoria, e il resto se l'era dimenticato.


Kinuko Y Craft




Comunque immagino che la bella Principessa abbia sposato il Conte e che siano rimasti assieme al castello e che là abbiano vissuto, fino a che Dio lo ha permesso, in tutta felicità. Se poi le candide oche custodite vicino al castello fossero tutte fanciulle - nessuna se ne abbia a male - che la vecchia aveva tenuto con sé e che poi abbiano ripreso figura umana, e siano divenute ancelle della giovane Regina, su ciò non so niente di preciso, ma credo proprio di sì.
Certo, quella vecchia non era una strega, come la gente pensava, ma una vecchia saggia che faceva del bene. Probabilmente, alla nascita della Principessa, era stato proprio suo il dono di pianger perle invece che lacrime. Oggi non succede più, altrimenti i poveri diverrebbero presto ricchi.

Grimm n. 179, "Die Gänsehirtin am Brunnen".
Classificazione: AaTh 923 [Bene Come il Sale].
Il testo in lingua originale è nella Pagina: "Brüder Grimm"