martedì 9 dicembre 2014

Ninnillo e Nennella, Pentamerone, Giornata Quinta, Cunto Ottavo, G.B. Basile

Iannuccio ha due figli dalla prima moglie i quali, essendosi esso riammogliato, sono odiati dalla matrigna, ed è costretto a lasciarli in un bosco. Sperduti e separati l'uno dall'altro, Ninnillo diventa caro cortigiano di un principe; e Nennella, naufragando, è ingoiata da un pesce fatato; ma, gettata poi sopra uno scoglio e riconosciuta dal fratello, è dal principe riccamente maritata.


'era una volta un padre chiamato Iannuccio, che aveva due figli, Ninnillo e Nennella, ai quali voleva bene quanto alle sue pupille. Ma, avendo la morte con la lima sorda spezzato le inferriate del carcere dell'anima della moglie, egli si prese una brutta strega, che era un pescecane maledetto; la quale, tosto che ebbe messo piede nella casa del marito, cominciò ad essere cavallo di una stalla e a dire:
"Sono venuta, dunque, a spidocchiare i figli di un'altra! Questo mi mancava che mi prendessi tale impiccio e mi vedessi attorno due rompimenti di stinchi! Oh, che mi fossi rotto l'osso del collo prima di venire a quest'inferno per mangiar male e dormir peggio col fastidio di queste zecche! Non è vita da soffrire! Sono venuta per moglie e non per serva. Bisogna che prenda il mio partito e trovi recapito a queste pittime, o trovi recapito per me stessa. È meglio arrossire una volta che impallidire cento volte. Ora c'imparentiamo per sempre! Sono risoluta o di vederne il costrutto o di rompere in tutto e per tutto".
Il povero marito, che aveva posto un po' d'affetto a questa femmina, le disse: "Senza collera, moglie mia, che lo zucchero costa caro! Domattina, prima che canti il gallo, ti leverò questo fastidio dattorno, per tenerti contenta".
Cosi la mattina dopo, innanzi che l'Alba spandesse la coperta di Spagna rossa per scuotere le pulci alla finestra d'oriente, esso, presi per mano i due figli, infilzato al braccio un buon paniere di cose da mangiare, li condusse in un bosco, dove un esercito di pioppi e di faggi stringevano d'assedio le Ombre. Colà giunto, Iannuccio disse:
"Bambini miei, statevene qui; mangiate e bevete allegramente e, se qualcosa vi mancherà, vedete questa striscia di cenere che vado seminando? Questa sarà il filo che, cavandovi dal labirinto, vi porterà passo passo a casa vostra".


Carl Offterdinger, (Hansel Gretel)


E, dato un bacio all'una e all'altro, se ne tornò piangendo a casa. Ma nell'ora in cui tutti gli animali, citati dagli sbirri della Notte, pagano alla natura il censo del necessario riposo, i due fanciulli, per la paura di stare in quel luogo deserto, dove le acque di un fiume, percotendo, per castigarle, le pietre impertinenti, avrebbero fatto sbigottire un Rodomonte, s'avviarono pian piano per quella straduccia di cenere, ed era già mezzanotte quando adagino adagino giunsero a casa.
Al vederli, Pascozza, la matrigna, fece cose non da femmina ma da furia infernale, levando le strida al cielo, battendo mani e piedi, sbuffando come cavallo che s'è adombrato, dicendo:
"Che bella cosa è questa? Donde sono rispuntati questi mocciosi fastidiosi? È possibile che non ci sia argento vivo che valga a scrostarli da questa casa? E possibile che tu me li voglia tenere dattorno proprio per rovello al mio cuore? Va', levameli sul momento dagli occhi, che non voglio aspettare musica di galli e lamenti di galline. Se no, ti puoi stuzzicare i denti ch'io dorma mai più con te; e domattina me la filo a casa dei parenti miei: che tu non mi meriti! Non ti ho portato in casa tanti bei mobili per vederli scacazzati dal puzzo dei deretani altrui; né ti ho dato cosi buona dote per vedermi schiava di figli che non sono miei".
Lo sventurato Iannuccio, che vide la barca male avviata e la cosa andar troppo nel caldo, si prese sull'istante i bambini, e, tornato nel bosco, e, dato loro un altro panierino di cosette da mangiare, disse:
"Voi vedete, figli miei, quanto vi ha in uggia quella cagna di mia moglie, venuta alla casa mia per la rovina vostra e per chiodo di questo cuore. Perciò restatevene in questo bosco, dove gli alberi, più pietosi di lei, vi faranno tetto contro il sole; dove il fiume, più caritatevole, vi darà da bere senza veleno; e la terra, più cortese, vi offrirà sacconi d'erba senza pericoli. E, quando vi mancherà da mangiare, vedete la viuzza di crusca che io vi fo, diritta diritta, e voi potrete venire a domandare soccorso".
Cosi detto, torse il viso dall'altra parte per non farsi vedere a piangere e toglier animo ai poveri piccini. Quando ebbero consumato il contenuto del panierino, i due bambini vollero tornare a casa; ma un asino, figlio della mala ventura, s'era leccata la crusca sparsa per terra, ed essi sbagliarono strada, tanto che andarono per un paio di giorni errando per entro il bosco, pascendosi di ghiande e castagne che raccattavano da terra.


Goble W.


Ma, poiché il Cielo stende sempre la sua mano sugl'innocenti, capitò a caccia, in quel bosco, un principe; e Ninnillo, sentendo l'abbaiar dei cani, ebbe tanta paura che si gettò nel cavo di un albero, e Nennella prese tale fuga che si trovò a una marina. Qui erano sbarcati certi corsari per far legna, e il capo loro se la portò a casa, dove la moglie, alla quale era testé morta una figlia, la tenne in luogo di questa.
Ninnillo intanto, rannicchiato in quella corteccia d'albero, fu attorniato dai cani, che facevano abbaiate da stordire; sicché il principe volle vedere che cosa fosse, e, trovato quel bel bambino, che non seppe dire come si chiamavano il padre e la madre tanto era piccolo, lo aggiustò sul cavallo di un cacciatore e lo portò con sé. E con grande cura fece allevarlo nel suo palazzo e insegnargli le virtù, e, tra le altre, l'arte dello scalco, che non passarono tre o quattro anni, ed egli vi divenne cosi bravo, che spartiva a capello.
In questo tempo, essendosi scoperto che il corsaro, presso cui si trovava Nennella, era ladrone di mare, vollero metterlo in prigione; ma esso, che aveva amici gli scrivani e li teneva a stipendio, se la svignò con tutti i suoi. E forse fu giustizia del Cielo che, avendo egli commesso i suoi imbrogli sul mare, sul mare ne pagasse la pena; sicché, imbarcatosi sopra una barca sottile, nel mezzo del mare gli venne tale raffica di vento e furia di onde che il legnetto si capovolse e tutti affogarono. Solo Nennella, che non aveva, come la moglie e i figli del corsaro, colpa in quei ladrocini, scampò dal pericolo; e, nel momento che gli altri cadevano nell'acqua, si trovò presso la barca un pesce fatato, il quale, aprendo un abisso di gola, se la inghiotti. E, quando la giovinetta credette di aver terminato i giorni suoi, proprio allora ammirò cose da trasecolare nel ventre di quel pesce. C'erano colà campagne bellissime, giardini magnifici, e una casa da signore con tutti gli agi, dove Nennella fu trattata da principessa. Ora accadde che quel pesce la portasse di peso a uno scoglio, dove, essendo la maggiore afa dell'estate e la più ardente fornace, il principe era venuto a prendere il fresco. E, mentre si preparava un gran banchetto, Ninnillo s'era posto a un verone del palazzo, che sorgeva su quello scoglio, ad affilare certi coltelli, assai dilettandosi dell'ufficio suo per farsi onore.


Goble W.


Nennella lo vide e lo conobbe dal fondo delle fauci aperte del pesce, e subito mosse una voce di lamento:

Fratello, mio fratello! 
Affilato è già il coltello, 
già la mensa è preparata, 
e gran gioia a tutti è data:
 solo a me la vita incresce, 
senza te, qui in gola al pesce! 

Sulle prime, Ninnillo non fece attenzione a queste parole, ma il principe, che stava a un altro balcone, vide il pesce e udì un'altra volta le stesse parole, e fu preso da meraviglia. Inviò, dunque, una mano di servitori per vedere se in qualche modo potessero gabbare il pesce e tirarlo a terra; ma poiché, intanto, sempre si udiva replicare quel "Fratello, mio fratello!", domandò uno per uno a tutte le genti se qualcuno avesse perduto la sorella. Rispose Ninnillo, che in quel momento si andava ricordando della cosa come in sogno, che, quando si trovava nel bosco, aveva con sé una sorella, della quale non aveva saputo più nulla.
Il principe gli disse di accostarsi al pesce e vedere che cosa fosse, perché tale ventura, forse, toccava a lui. E, al suo appressarsi, il pesce posò la testa sullo scoglio, e, spalancando sei canne di fauci, lasciò uscire Nennella, che parve appunto lo spettacolo di un intermezzo, nel quale una Ninfa, per incanto di un mago, esce da un animale. Al principe, che la interrogava, Nennella accennò qualche parte dei travagli suoi e dell'odio della matrigna; ma né essa né il fratello sapevano ricordarsi il nome del padre né il luogo dov'era la loro casa. Onde fu gettato un bando che chi avesse perduto in un bosco due figli, Ninnillo e Nennella, andasse al palazzo reale e ne avrebbe avuta buona nuova.
Iannuccio, che stava sempre triste e sconsolato, perché credeva che i figli fossero stati divorati dai lupi, corse giubilando al principe a dirgli che esso proprio aveva smarrito i fanciulli. E, avendo raccontato la storia di come fosse stato sforzato a portarli nel bosco, il principe gli somministrò una grande intemerata, chiamandolo scioccone bestione, che s'era fatto mettere i piedi sul collo da una femmina, riducendosi a mandare all'avventura due gioielli, com'erano i suoi figli. Ma, dopo che gli ebbe rotto il capo con queste parole, vi mise l'empiastro della consolazione, mostrandogli i figli che egli non si saziò di abbracciare e baciare per più di mezz'ora; e il principe, fattogli levare di dosso il rozzo gabbano, lo fece rivestire da gentiluomo. Chiamò poi la moglie di Iannuccio e le additò quelle due foglie d'oro, domandandole:"Che cosa meriterebbe chi loro facesse male e li mettesse a rischio di morte?".
Colei rispose: "Per me, lo metterei chiuso in una botte e lo rotolerei dall'alto di una montagna".
"Ecco che hai quello che chiedi: la capra ha rivolto le corna contro se stessa. Orsù, poiché tu hai scritto la sentenza, e tu la paga; tu che hai portato tant'odio a cotesti belli tuoi figliastri".
E die ordine che si eseguisse la sentenza ch'essa medesima aveva pronunziata. Nel tempo stesso trovò un ricco gentiluomo suo vassallo, e lo die per sposo a Nennella, e la figlia di un altro signore pari a questo, e la die per moglie al fratello; e all'uno e all'altra entrate bastevoli per vivere essi e il padre, senz'aver bisogno di alcuno al mondo.
La matrigna, intanto, fasciata da una botte, sfasciò la propria vita, gridando sempre pel buco finché le restò fiato:

 Tarda il castigo, ma non ti fidare! 
Viene una volta e tutte fa pagare!



Victor Nizovtsev



"Ninnillo e Nennella", G.B. Basile, Pentamerone, Giornata V, Cunto 8.
Traduzione di Benedetto Croce.
Il testo originale è nella Pagina: G.B. Basile.

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