martedì 17 dicembre 2013

Senza-Orecchie, Fiaba di Luigi Capuana

'era una volta un Re che avea una bimba. La Regina era morta di parto, e il Re avea preso una balia che gli allattasse la piccina. Un giorno la balia scese, insieme colla bimba, nel giardino reale. La bimba avea tre anni, e si divertiva a fare chiasso sull'erba, all'ombra dei grandi alberi. Sull'ora di mezzogiorno la balia s'addormentava; ma quando si svegliò, non trovò più la Reginotta. Cerca, chiama per tutto il giardino; nulla! La bimba era scomparsa. Come presentarsi al Re, che andava matto per quella figliuola? La povera balia si picchiava il petto, si strappava i capelli: Dio! Dio! Sua Maestà l'avrebbe fatta impiccare! Agli urli della balia erano accorse le guardie. Fruga e rifruga, tutto fu inutile. Venne l'ora del pranzo. "E la Reginotta?", domandò il Re. I ministri si guardarono in faccia, più bianchi di un panno lavato. "La Reginotta dov'è?"
"Maestà, - disse un ministro - è accaduta una disgrazia!" Il Re pareva fuori di sé dal gran dolore. Fece subito un bando: Chi riporta la Reginotta, gli si concede qualunque grazia. Ma eran già passati sei mesi, e al palazzo reale non s'era visto nessuno. I banditori andavano di regno in regno: Sia cristiano, sia infedele, chi riporta la Reginotta, gli vien concessa qualunque grazia. Ma passò un anno, e al palazzo reale non si presentò nessuno. Il Re era inconsolabile: piangeva giorno e notte.

Stegg A.

Nel giardino reale c'era un pozzo. La Reginotta, mentre la balia dormiva, s'era accostata all'orlo e vi si era affacciata. Vedendo, laggiù, nello specchio dell'acqua, un'altra bimba sua pari, l'avea chiamata: - Ehi! Ehi! - , accennando colle manine. Allora era sorto dal fondo del pozzo un braccio lungo lungo, peloso peloso, che l'afferrò e la tirò giù. E così, da parecchi anni, lei viveva in fondo a quel pozzo, col Lupo Mannaro che l'aveva tirata giù. In fondo al pozzo c'era una grotta grande dieci volte più del palazzo reale. Stanze tutte oro e diamanti, una più bella e più ricca dell'altra. È vero che non ci penetrava mai sole, ma ci si vedeva lo stesso. La bimba veniva servita da quella Reginotta che era. Una cameriera per spogliarla, una per vestirla, una per lavarla, una per pettinarla, una per recarle la colazione, una per servirla a pranzo, una per metterla a letto. S'era già abituata e non ci viveva di cattivo umore. Il Lupo Mannaro russava tutto il santo giorno e la notte andava via. Siccome la bimba, quando lo vedeva, strillava dalla paura, si facea veder di rado: non volea spaventarla. Intanto la Reginotta s'era fatta una bella ragazza. Una sera, entrata in letto, non poteva dormire. Sentito che il Lupo Mannaro si preparava ad andar via, tese meglio l'orecchio. Il Lupo Mannaro con quella sua vociaccia ròca, urlava:"Chiamatemi il cuoco". Il cuoco venne. "Credo che siamo in punto, - gli disse - mi pare una quaglia" "Bisogna vedere", rispose il cuoco.
La Reginotta sentì che giravano adagino il pomo della serratura: Ahimè! Dunque si trattava di lei? Il Lupo Mannaro voleva mangiarsela. Le si accapponò la pelle, sfido io! Si fece piccina piccina, e finse di dormire. Il Lupo Mannaro s'accostava al letto, svoltava le coperte con cautela, e il cuoco cominciava a tastarla tutta, come gallina da tirargli il collo. "Ancora una settimana, - disse il cuoco - e sarà un boccone reale".
Come intese queste parole, la Reginotta si senti rinascere: Otto giorni! Oh, quella quaglia il Lupo Mannaro non l'avrebbe mangiata; no, no! Pensa e ripensa, le venne un'idea. La mattina, saltata giù dal letto, appostossi alla bocca della grotta, dentro il collo del pozzo, ed aspettò che venisse gente ad attinger acqua. La carrucola stride, la secchia fa un tonfo, ed ecco la Reginotta che s'afferra alla corda, puntando i piedini sull'orlo della secchia. La tiravano su lentamente; era un po' pesa. A un tratto la corda si rompe, e secchia e Reginotta, patatunfete, giù! Accorsero le cameriere e la ritirarono dall'acqua. "Ebbi un capogiro e cascai. Non ne fate motto, per carità; il Lupo Mannaro mi picchierebbe". E passò un giorno. Il secondo giorno, aspetta aspetta, la secchia non venne giù. Bisognava trovare un altro mezzo: ma non era come dirlo. Quale? La grotta non aveva che quell'unica uscita. E passò un altro giorno. La Reginotta non si perdette d'animo. Appena aggiornava, era al suo posto; ma la secchia non calava. E passarono altri due giorni.

Stegg A.

Una mattina, mentre lei piangeva dirottamente, guardando fisso nell'acqua vide lì un pesciolino rosso, che parea d'oro, colla coda bianca come l'argento, e con tre macchie nere sulla schiena. "Ah! Pesciolino, tu sei felice! Tu sei libero in mezzo all'acqua, ed io qui sola, senza parenti né amici!"
Il pesciolino montava a fior d'acqua, dimenando la coda, aprendo e chiudendo la bocca; pareva l'avesse sentita: "Ah! Pesciolino, tu sei felice! Tu sei libero in mezzo all'acqua, ed io qui sola, senza parenti né amici. Fra quattro giorni sarò mangiata!"
Il pesciolino rosso, dalla coda bianca e dalle tre macchie nere sulla schiena, s'era accostato alla sponda: "Se tu fossi di sangue reale e volessi sposarmi, saremmo liberi tutti e due. Per vincere il mio incanto non ci vuol altro".
"Son sangue reale, pesciolino d'oro, e son tua sposa fino da questo momento"
"Cavalcami sulla schiena e tienti forte".
La Reginotta si mise a cavalcioni del pesciolino e gli si afferrò alle branchie; e il pesciolino, nuota, nuota, la portò in fondo al pozzo. Di lì passava un fiume, sotto terra. Il pesciolino infilò diritto la corrente e la Reginotta gli si tenne sempre ben afferrata alle branchie. Ma ecco, in un punto, un pesce grossissimo, con tanto di bocca spalancata, che voleva ingoiarli: "Pagate il pedaggio, o di qui non si passa". La Reginotta si strappò un'orecchia e gliela buttò.
Nuota, nuota, ecco un altro pesce più grosso del primo, con tanto di bocca spalancata e una foresta di denti: "Pagate il pedaggio, o di qui non si passa". La Reginotta si strappava l'altra orecchia e gliela buttava.
Quando la corrente sboccò all'aria aperta, il pesciolino depose la Reginotta sulla sponda e diè un salto fuor dell'acqua. Era diventato un bel giovane, con tre piccoli nèi sulla faccia. Lei disse:
"Andiamo a presentarci al Re mio padre. Son tredici anni che non mi vede".
Al portone del palazzo reale non volevano lasciarla passare.
"Sono la Reginotta! Son la figliuola del Re!"
Non ci credeva nessuno, nemmeno il Re. Pure ordinò di fargliela venire dinanzi: Chi sa? Poteva anche darsi! Il Re la guardò da capo a piedi: gli pareva e non gli pareva. Lei gli raccontò la sua storia; ma non disse nulla delle orecchie, per vergogna. Infatti nascondeva il suo difetto, tenendo basse le trecce. Ma un ministro se n'accorse: "E le orecchie, figliuola mia? Dove le perdeste le orecchie?" Il Re, indignato, la condannava a rigovernare i piatti e le stoviglie della cucina reale.
Il principe Pesciolino (lo chiamarono subito così) fu dannato a spazzar le stalle: Imparassero in tal modo a farsi beffa del Re! Un giorno Sua Maestà volea mangiare del pesce. Ma in tutto il mercato c'era due pesci soltanto, e nessuno sapeva che razza di pesci si fossero, neppure i pesciaioli. Ed erano lì dal giorno avanti, e cominciavano a passare. Ma il Re volea del pesce ad ogni costo, e il cuoco li comprò: "Maestà, non c'è che questi; nessuno sa che pesci siano, neppure i pesciaioli. Trovansi in mercato da due giorni e cominciano a passare". "Sta bene, - disse il Re - portali in cucina".
In cucina il cuoco fa per sventrarli, e che gli trova nelle budella? Due orecchie di creatura umana, ancor stillanti sangue! Chiamarono subito Senza-orecchie, come le aven messo il nomignolo: "Senza-orecchie, Senza-orecchie, ecco roba per te!" La Reginotta accorse: eran davvero le sue orecchie. Tremante dalla contentezza se le adattò al capo e le si appiccicarono; il sangue avea servito da colla. Colle orecchie, il Re suo padre raffigurolla ad un tratto: "È lei! È la mia figliuola!"
E bandì feste reali per otto giorni. Poi, siccome era vecchio, volle lasciare il regno. E il re Pesciolino e la regina Senza-orecchie regnarono a lungo dopo di lui. 

Stretta la foglia, e larga la via, 
Dite la vostra, ché ho detto la mia.

Da:
C'era una Volta...Fiabe

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