giovedì 25 giugno 2015

La Bella e la Bestia, Madame de Villeneuve (da Andrew Lang), Traduzione Mia. Prima Parte.

La Belle et la Bête.
La prima versione letteraria di questa fiaba precede di una quindicina d'anni la versione più famosa di Mme de Beaumont ed è quella di Mme de Villeneuve, edita nel 1740. In realtà, era un vero e proprio romanzo breve (o un racconto lungo) destinato decisamente ad un pubblico adulto, poiché non insisteva su una sorta di moralismo didattico, ma, piuttosto, sull'ipocrisia della società del suo tempo. Molto più prolisso e ricco di intrighi ed intrecci, di cupezze e stregonerie, della versione Beaumont, passa il filtro di un nuovo moralismo censorio, quello di Andrew Lang, che lo include nel suo "The Blue Fairy Book".






C'era una volta, in un Paese lontano lontano, un mercante che aveva avuto una così gran fortuna in tutti i negozi che aveva intrapreso da accumulare ingenti ricchezze. Tuttavia, poiché era padre di sei figli e sei figlie, scoprì che il denaro non era mai troppo per soddisfare ogni loro capriccio, il che accadeva puntualmente.
Un brutto giorno, una disgrazia tanto rovinosa quanto inaspettata si abbattè sul mercante e sulla sua famiglia: la loro casa prese fuoco e arse fino alle fondamenta, con la raffinata mobilia, i libri, i quadri, gli ori e l'argenteria; in breve, con tutte le ricchezze in essa contenute. E, tuttavia, non era che l'inizio delle loro sventure.




Il padre, che, fino a quel momento, aveva visto prosperare ogni attività intrapresa, improvvisamente, perse, una dopo l'altra, le navi che trasportavano le sue mercanzie, o perché assalite dai pirati, o a causa di un naufragio o di un incendio scoppiato a bordo. Infine, venne a sapere che i suoi dipendenti in Paesi lontani, che avevano sempre goduto della sua incondizionata fiducia, lo avevano ingannato e derubato; così, in breve tempo, da una principesca agiatezza, sprofondò nella miseria più nera.
Tutto ciò che gli era rimasto era una casetta in un luogo sperduto, lontano almeno un centinaio di leghe dalla città in cui aveva sempre vissuto, e dove si vide costretto a ritirarsi con i suoi figli, disperati all'idea di esser ridotti a condurre un tenore di vita tanto differente da quello a cui erano avvezzi.
In effetti, le figlie, in un primo tempo, avevano confidato che i loro amici, tanto numerosi quand'erano ricche, avrebbero insistito affinché accettassero la loro ospitalità, adesso che non possedevano più una casa. Purtroppo, scoprirono presto di essere state dimenticate, e che, anzi, gli antichi amici imputavano l'attuale infelice condizione della famiglia alle loro passate stravaganze, e, certamente, non mostravano la minima intenzione di offrire loro alcun aiuto.
Così, non rimase altro da fare che seguire il padre e stabilirsi nella casetta, che sorgeva nel folto di un'oscura foresta e sembrava il luogo più desolato mai esistito sulla faccia della terra. E, poiché erano troppo poveri per permettersi servitori, le figlie erano costrette a sbrigare i lavori più umili e pesanti, proprio come delle vere contadine, mentre i figli dovevano coltivare i campi per mettere il pane in tavola. Poveramente vestite, e conducendo una vita modestissima, le ragazze non facevano che rimpiangere il lusso e i divertimenti della vita passata: solo la più giovane si sforzava di essere coraggiosa e allegra.






Anche lei, come tutti gli altri, aveva sofferto per il rovescio di fortuna che aveva colpito il padre, ma aveva recuperato in fretta la sua innata gaiezza, e aveva dedicato le sue energie al tentativo di migliorare le cose: cercava di svagare il padre e i fratelli e di persuadere le sorelle perché si unissero a lei quando danzava o cantava. Ma le sorelle non ci pensavano neanche, e, poiché non la vedevano rattristata quanto loro, finirono con il concludere che quella vita miserabile, con tutta evidenza, le si adattava perfettamente. In realtà, la figlia più giovane era molto più bella ed intelligente delle maggiori: era talmente incantevole che tutti usavano chiamarla Bella.
Un paio d'anni più tardi, quando si stavano lentamente adattando alla nuova condizione, capitò qualcosa che venne a turbare la loro tranquillità: al mercante giunse la buona nuova che una delle sue navi, che credeva perduta, aveva, invece, gettato l'àncora, sana e salva, con il suo ricco carico. I suoi figli pensarono che la misera vita che conducevano era giunta al termine e volevano trasferirsi immediatamente in città, ma il padre, che era più prudente, li pregò di aspettare per un poco ancòra, e, benché fosse tempo di raccolto e la sua assenza si sarebbe fatta sentire, decise di recarsi di persona ad effettuare le dovute indagini.
Solo la figlia più giovane nutriva qualche dubbio sull'eventualità che presto sarebbero diventati ricchi come un tempo, o, almeno, ricchi a sufficienza da vivere tra gli agi in città, dove avrebbero anche ritrovato i divertimenti e le allegre compagnie di una volta. Intanto, le figlie e i figli incaricarono il padre dell'acquisto di una tale quantità di vesti eleganti e di gioielli che, se avesse soddisfatto le loro richieste, avrebbe speso una vera fortuna. Bella, invece, prevedendo che sarebbe stato tutto inutile, non chiese nulla.
Suo padre notò il silenzio della figlia prediletta e disse:
"E cosa vuoi che porti per te, Bella?"
"L'unica cosa che desidero è vedervi tornare a casa sano e salvo", rispose lei.
La sua risposta ottenne come risultato di far montare su tutte le furie le sorelle, convinte che le stesse biasimando per l'esosità delle loro richieste..
Il padre, invece, ne fu compiaciuto, ma, ritenendo che a qualsiasi ragazza della sua età avrebbe fatto piacere ricevere un regalino, insistè perché scegliesse qualcosa.
"Ebbene, caro padre - disse Bella - poiché insistete, vi chiedo di portarmi una rosa: non ne ho vista alcuna da quando siamo venuti a stare qui, e io le amo tanto!".
Il mercante si mise in viaggio e raggiunse la città il più presto possibile, ma solo per scoprire che i suoi antichi soci, credendolo morto, si erano spartiti le mercanzie a bordo della nave. Così, dopo sei mesi di  tribolazioni e di spese, si ritrovò povero come quando era partito, con appena il denaro necessario per il viaggio di ritorno. Oltretutto, fu costretto a partire con un tempaccio da lupi, e, ormai a poche leghe da casa, era stremato per il gelo e la fatica. Sebbene sapesse che avrebbe impiegato diverse ore per attraversare la foresta, era così ansioso di giungere a destinazione che decise di proseguire.
Calò la notte, e la neve alta e i morsi spietati del gelo impedirono al suo cavallo di andare oltre: non una casa in vista, l'unico rifugio possibile era il tronco cavo di un grande albero, dove, tutto rannicchiato, trascorse l'intera notte, la più lunga della sua vita - o così gli parve. Malgrado l'indicibile stanchezza, l'ululato dei lupi lo tenne sveglio, né la sua situazione migliorò con lo spuntar del giorno perché la neve era caduta fitta fitta e aveva ricoperto e nascosto tutti i sentieri e lui non sapeva da che parte rifarsi. Con estenuante lentezza, si aprì una sorta di passaggio nella coltre di neve: all'inizio, il procedere fu molto faticoso, scivolò e cadde più volte, poi, il cammino sembrò farsi più agevole finché si ritrovò in un grande viale alberato, in fondo al quale sorgeva un maestoso castello.
Al mercante sembrò molto strano che proprio quel viale fosse stato risparmiato dalla bufera di neve: infatti, i magnifici alberi che lo fiancheggiavano erano tutti aranci rigogliosi di fiori e carichi di frutti. Entrato nel cortile interno del castello, vide davanti a sé una scalinata di agata, salita la quale, passò attraverso una teoria di belle sale squisitamente arredate. Il piacevole tepore degli ambienti lo rinfrancò e si accorse di avere una gran fame: tuttavia, sembrava che, in quel vasto e splendido palazzo, non ci fosse alcuno a cui chiedere del cibo.
Ovunque regnava un silenzio profondo, così, stanco di vagare attraverso sale e gallerie deserte, si fermò in una camera meno vasta delle altre: nel caminetto scoppiettava un bel fuoco vivace, e, lì accanto, era stato collocato un divano... Pensando che fosse stato preparato per un ospite atteso, si sedette e aspettò il suo arrivo, ma, ben presto, cadde in un dolcissimo sonno.
Diverse ore dopo, la fame lo ridestò: era ancòra solo, ma un tavolino imbandito con una squisita cena era stato allestito accanto al divano, e, poiché non toccava cibo da ventiquattr'ore, non perse altro tempo e placò la fame, con la speranza che presto avrebbe avuto modo di ringraziare il suo premuroso ospite, chiunque egli fosse. Ma non comparve anima viva, anche dopo un'altra lunga dormita che lo ristorò completamente, ed un nuovo pasto - dolci e frutta - preparato per lui sul tavolino accanto al divano.
Poiché era un uomo di natura timorosa, quel lungo silenzio prese ad incutergli terrore, così decise di esplorare ancòra le vaste sale, ma fu tutto inutile: non s'imbatté neanche in un domestico. In quel grande palazzo non c'era alcun segno di vita!
Per distrarsi, finse che tutti quei tesori che aveva sotto gli occhi fossero suoi, e prese a fantasticare su come li avrebbe divisi tra i suoi figli. Quindi, scese in giardino: sebbene in ogni altro luogo imperversasse il gelo invernale, là, il sole risplendeva, gli uccelli cantavano, i fiori sbocciavano, e l'aria era dolce.
Estasiato dalle meraviglie che aveva visto e udito, il mercante si disse:
'Tutto questo dev'essere  destinato a me: vado subito a prendere i miei figli perché condividano con me queste delizie'.
Benché, al suo arrivo, fosse stremato e intirizzito, aveva ricoverato il suo cavallo nella stalla e si era premurato che avesse di che sfamarsi. Pensò di sellarlo per il viaggio di ritorno, e così imboccò il sentiero che portava alle stalle.
Ai lati, il sentiero era bordato da rigogliose siepi di rose, e il mercante si rese conto che mai aveva visto fiori più belli e profumati. Le rose gli ricordarono la promessa fatta a Bella: si fermò, e ne aveva appena colta una per sua figlia che fu stordito da un terribile fragore alle sue spalle.
Si voltò e vide una spaventosa Bestia, che sembrava furiosa, e che disse con voce terribile:
"Chi ti ha detto che avevi il permesso di cogliere le mie rose? Non è bastato che ti abbia concesso di ripararti nel mio palazzo e che mi sia dimostrato un ospite generoso? È questa la tua gratitudine? Rubare i miei fiori? Ma la tua insolenza non resterà impunita!"
Il mercante, terrorizzato dalla violenza di quelle parole, lasciò cadere la rosa fatale, e, si gettò in ginocchio, gridando:
"Perdono, nobile Signore! Sono sinceramente grato per la vostra ospitalità, talmente munifica che mai avrei potuto immaginare di arrecarvi offesa prendendo una cosa di così lieve importanza come una rosa".
Ma l'ira della Bestia non fu placata dalle sue parole.
"Sei bravo a tirar fuori scuse e belle frasi - gridò - ma ciò non ti salverà dalla morte che meriti".
'Ahimé! - pensò il mercante - se solo mia figlia sapesse in quale tremendo pericolo mi ha messo la sua rosa!'.
E, in preda alla disperazione, cominciò a raccontare alla Bestia le sue disgrazie e il motivo del suo viaggio, senza dimenticare di menzionare la richiesta di Bella.
"Il riscatto di un re non sarebbe bastato per le richieste delle mie figlie maggiori - disse - ma ho pensato che, almeno, avrei potuto portare a Bella la sua rosa. Vi supplico di perdonarmi, perché vedete bene che non avevo intenzioni malvagie".
La Bestia riflettè un momento, quindi, disse, con un tono meno violento:
"Ti perdonerò, ma ad una condizione: che tu mi dia una delle tue figlie".
"Ah!- gridò il mercante - se io fossi così crudele da comprare la mia vita al prezzo di quella di una delle mie figlie, che scusa potrei escogitare per condurla qui?"
"Non ci sarà alcuna necessità di inventare scuse - rispose la Bestia - Se verrà, dovrà farlo di sua spontanea volontà. Non l'avrò in nessun altro modo. Scopri tu stesso se tra loro ce n'è una abbastanza coraggiosa e che ti ami tanto da venire qui per salvarti la vita. Mi sembri un onest'uomo, quindi, mi fiderò e ti lascerò tornare a casa. Ti do un mese per scoprire se una delle tue figlie sarà disposta a venire qui con te per restare, permettendoti di andartene libero. Se nessuna di loro vorrà farlo, dovrai ritornare da solo, dopo aver detto loro addio per sempre, poiché, in quel caso, tu apparterrai a me. E non credere di poterti nascondere. Se mancherai alla tua parola, ti scoverò e verrò a prenderti!", soggiunse la Bestia minacciosamente.
Il mercante accettò la proposta, anche se non credeva affatto che una delle sue figlie si sarebbe lasciata convincere a seguirlo al castello. Promise solennemente di ritornare alla scadenza stabilita, e, ansioso di rifuggire la presenza della Bestia, chiese il permesso di partire immediatamente, ma la Bestia invece rispose che non sarebbe partito prima del giorno seguente:
"Domani, troverai un cavallo pronto per te. Ora va' a mangiare la tua cena, e attendi i miei ordini".
Più morto che vivo, il povero mercante ritornò nella sua camera, dove una cena squisita era stata apparecchiata sul tavolino, davanti alla gaia fiamma del caminetto. Era troppo terrorizzato per mangiare, tuttavia, piluccò qualcosa dalle varie portate, per tema che la Bestia s'infuriasse per la sua disobbedienza. Quando ebbe finito, udì un gran frastuono nella stanza accanto che gli annunciava l'imminente arrivo della Bestia, e, dal momento che nulla poteva per evitare quell'incontro, non gli restava altro da fare che sforzarsi di sembrare meno atterrito possibile.






Così, quando la Bestia apparve e gli chiese ruvidamente se avesse trovato la cena di suo gradimento, rispose umilmente di sì, mostrando gratitudine per la cortesia del suo ospite. La Bestia lo ammonì di rispettare il loro accordo e di informare in tutta onestà sua figlia su cosa l'aspettava. Poi, soggiunse:
"Domattina, non alzarti prima del levar del sole, e finché non sentirai il suono di un campanello d'oro. Allora, troverai apparecchiata qui la tua colazione, e, giù nella corte, il cavallo sellato per te. E sarà quello stesso cavallo che ti riporterà qui tra un mese con tua figlia. Addio. Porta una rosa a Bella, e rammenta la tua promessa!"
Il mercante si sentì immensamente sollevato quando la Bestia se ne andò, e, benché non riuscisse a chiudere occhio per l'angoscia, giacque nel letto fino al levar del sole. Dopo una colazione consumata in fretta e furia, andò a cogliere una rosa per Bella, montò a cavallo e partì. In un istante, il castello già non si scorgeva più, e la corsa sfrenata del cavallo si arrestò solo davanti alla porta della sua umile casa, mentre il mercante era sempre immerso nei suoi tetri pensieri.
I suoi figli, che erano stati in gran pena per la sua prolungata assenza, gli si precipitarono incontro, ansiosi di conoscere l'esito del suo viaggio, anche se non dubitavano che fosse positivo, a giudicare dallo splendido cavallo che montava e dal ricco mantello in cui era avvolto.
In un primo momento, nascose loro la verità, limitandosi a dire tristemente a Bella, nel porgerle la rosa:
"Ecco ciò che mi hai chiesto: se solo tu sapessi quanto mi è costata!".
Con queste parole, però, non fece che eccitare la curiosità dei suoi figliuoli, al punto che, senza indugiare oltre, narrò loro tutto ciò che gli era capitato, dall'inizio alla fine. Quando si tacque, erano tutti disperati.
Le figlie si lamentarono a gran voce per le loro speranze deluse, e i figli dichiararono che il padre non sarebbe mai ritornato in quel terribile castello, e presero a far piani per uccidere la Bestia se fosse venuta a prenderselo.
Il mercante rammentò loro che aveva dato la sua parola.
Allora, le sorelle maggiori se la presero con Bella, dichiarando che era tutta colpa sua, e che, se avesse chiesto qualcosa di sensato, tutto ciò non sarebbe mai accaduto, e si lamentarono amaramente perché avrebbero dovuto pagare tutti le conseguenze delle sue stravaganze.






Oppressa dall'angoscia, la povera Bella, disse:
"È vero, sono stata io a provocare la nostra disgrazia, ma vi prego di credere che ne sono la causa innocente: chi mai avrebbe potuto immaginare che chiedere una rosa nel cuore dell'estate avrebbe portato a tanta sventura? Ma, dal momento che io sola sono la causa di tutto, io sola ne pagherò le conseguenze. Seguirò nostro padre al castello perché possa mantenere la sua promessa".
Sulle prime, nessuno voleva sentir parlare di questa soluzione, e sia il padre che i fratelli, che l'amavano teneramente, affermarono che nulla li avrebbe persuasi a lasciarla andare, ma Bella si mostrò irremovibile.
Poiché il tempo scorreva veloce, Bella divise i suoi pochi averi tra le sorelle, e disse addio a tutto quanto amava, e, quando il giorno fatale arrivò, si sforzò in ogni modo di dar coraggio al padre mentre montavano entrambi sul cavallo che lo aveva riportato a casa.

(Fine Prima Parte)

Le illustrazioni sono di Gabriel Pacheco.


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