domenica 10 gennaio 2016

Le Due Pizzelle, G.B. Basile. Giornata Quarta, Cunto Settimo


Marziella, essendosi mostrata cortese con una vecchia, riceve la fatagione; ma la zia, che invidia la sua buona fortuna, la getta a mare, dove una sirena la tiene per gran tempo incatenata: la libera poi il fratello, diventa regina e la zia paga la pena del suo delitto.



'erano una volta due sorelle carnali, Lucida e Troccola, che avevano ciascuna una figlia femmina, Marziella e Puccia. Marziella era cosi bella di faccia come di cuore; e, per contrario, il cuore e la faccia di Puccia formavano con unica regola faccia di canchero e cuore di pestilenza, e in ciò somigliava ai parenti, perché Troccola era un'arpìa di dentro e di fuori. Accadde un giorno che, dovendo Lucida lessare quattro pastinache per friggerle con la salsa verde, disse alla figlia: "Marziella mia, bene mio, va' alla fontana e prendimi un'anfora d'acqua".
"Di buona voglia, mamma mia - rispose la figlia - ma, se mi vuoi bene, dammi una pizzella, che me la voglio mangiare con quell'acqua fresca".
"Volentieri", disse la madre; e da un paniere che pendeva a un uncino prese una bella pizzella (che il giorno prima aveva fatto forno di pane) e la dette a Marziella. E questa, messasi l'anfora sul capo sopra un cercine, se ne andò alla fontana, la quale, simile a un ciarlatano, sopra un banco di marmi, alla musica di un'acqua cadente, vendeva segreti per scacciare la sete.
Mentre riempiva l'anfora, giunse una vecchia, che, sul palco di una grossa gobba, rappresentava la tragedia del Tempo; e quella, vedendo la bella pizza che Marziella teneva in mano e che proprio allora stava per addentare, le disse:
"Bella giovane mia, se il Cielo ti mandi buona ventura, dammi un po' di codesta pizza". E Marziella, che odorava di regina, le rispose subito:
"Eccotela tutta, magna femmina mia, e mi dispiace che non sia di mandorle e zucchero, che anche te la darei con tutto il cuore".
La vecchia, sperimentata l'amorevolezza di Marziella, le disse:
"Va', che il Cielo ti possa sempre prosperare per questo buon amore che mi hai mostrato; e prego tutte le stelle che tu possa esser sempre felice e contenta; che, quando respiri, ti escano rose e gelsomini dalla bocca; quando ti pettini, caschino sempre perle e granatini dal tuo capo; e, quando metti il piede sulla terra, ne spuntino gigli e viole ".



Gordeev Denis


La giovane la ringraziò e tornò a casa, dove, poiché la madre ebbe cucinato, soddisfecero al debito naturale che si ha verso il corpo. La mattina dopo, quando nel mercato dei campi celesti il Sole mise in mostra le mercanzie di luce portate dall'oriente, Marziella, nel ravviarsi i capelli, si vide cadere in grembo una pioggia di perle e granatini. Con grande giubilo chiamò la madre e li raccolsero in un canestro; e Lucida si recò poi da un orefice amico suo per ismaltirne una buona parte.


Gordeev Denis



Capitò intanto Troccola a far visita alla sorella, e, trovata Marziella tutta affaccendata per quelle perle, domandò come, quando e dove le avesse avute. Ma la giovane, che non sapeva intorbidar l'acqua e forse non aveva appreso quel proverbio: Non fare quanto puoi, non mangiare quanto vuoi, non spendere quanto hai, né dire quanto sai, spiattellò tutto il negozio alla zia.





Non aveva finito di dire, che la zia, senza più aspettare la sorella, parendole mille anni, corse a casa sua, consegnò una pizzella alla figlia e la spedi alla fontana. Puccia vi ritrovò la stessa vecchia; ma, quando essa le domandò un po' di pizza, rispose: "Non pensavo ad altro che a dar la pizza a te! Mi hai forse impregnato l'asina per chiedermi le cose mie? Va', che i denti sono più vicini dei parenti".
Cosi dicendo, trangugiò la pizza in quattro bocconi, facendo gola alla vecchia, la quale, quando vide sparire l'ultimo e seppellita con essa la sua speranza, tutta rabbiosa disse:
"Va', che, quando respiri possa cacciar schiuma come mula di medico; quando ti pettini, possano cadérti dalla testa a mucchi i pidocchi; e, dovunque metti il piede, possano nascere felci e titimali".
La madre, quando la vide tornare con l'acqua, non mise indugio a pettinarla, e, messosi un bello asciugatoio steso sul grembo, vi piegò la testa della figlia; e, cominciando a scorrerla col pettine, ecco cascarne un torrente di animaletti alchimisti, di quelli che fermano l'argento vivo. Non è a dire come restasse la madre, che alla neve dell'invidia aggiunse il fuoco dello sdegno, e gettò fiamme e fumo dal naso e dalla bocca.
Passato qualche tempo, ritrovandosi Ciommo, fratello di Marziella, alla corte del re di Chiunzo, e discorrendosi della bellezza di varie donne, esso, senza esser chiamato, s'intromise dicendo: che tutte quelle belle sarebbero potute andare a gittare le ossa al ponte, se fosse colà comparsa sua sorella, la quale, oltre alla bellezza delle membra che facevano contrappunto sul canto fermo di una bella anima, aveva nei capelli, nella bocca e nei piedi le virtù che le aveva date la fata. Il re, uditi questi vanti, comandò a Ciommo che la facesse venire, perché, se l'avesse trovata quale egli la esaltava, se la sarebbe presa per moglie.
Non parve questa, a Ciommo, occasione da perdere, e inviò un apposito corriere alla madre, informandola del fatto e pregandola di venir subito con la figlia per non lasciarle fuggire questa fortuna. Lucida, che stava male in salute, senza saper di raccomandare la pecora al lupo, pregò la sorella di accompagnare Marziella fino alla corte di Chiunzo per la tale e tale faccenda. E Troccola, che vide che la cosa andava a seconda del suo desiderio, promise di condurla sana e salva presso il fratello.
Salì, dunque, su una nave, avendo con sé Marziella e Puccia, ma, quando fu giunta in mezzo al mare, cogliendo il momento che i marinai dormivano, spinse Marziella nell'acqua. E già la misera stava per affogare, quando una bellissima sirena la raccolse tra le braccia e se la portò via.
Giunta Troccola a Chiunzo, e ricevuta Puccia da Ciommo come se fosse stata Marziella, giacché per la lunga separazione non ne ricordava le sembianze, la condusse subito innanzi al re; il quale, facendole ravviare i capelli, ne vide piovere quegli animali cosi mortali nemici della verità che sempre offendono i testimoni, e, consideratala in volto, osservò che, anelando forte per la fatica del cammino, aveva fatto una saponata alla bocca, che pareva una gualchiera di panni; e, abbassando gli occhi a terra, scorse un prato d'erbe fetide, che gli misero stomaco a mirarle. Sdegnato, scacciò senz'altro Puccia con la madre, e castigò Ciommo, mandandolo a guardare le oche della corte.
Disperato Ciommo per questo affare, e non sapendo darsene ragione, conduceva le oche pei campi, e lasciandole errare a lor voglia lungo la marina, si ritirava in un pagliaio, dove, fino a sera, quando era tempo di stendersi a dormire, piangeva la sorte sua.



Goble W.



Ma alle oche che scorrevano pel lido si affacciava Marziella dalle acque, e le cibava di pasta reale e le abbeverava di acqua rosa, tanto che esse erano diventate ognuna quanto un castrato, cosi grasse che quasi non potevano aprire gli occhi. E la sera si spingevano fin sotto un orticello, che rispondeva sotto una finestra del re, e cominciavano a cantare:

Pire, pire, pire! 
Il sole è bello ed è bella la luna; 
assai più bella chi governa noi. 

Il re, sentendo ogni sera questa musica ochesca, mandò per Ciommo, e volle sapere dove e come e di che pascesse le sue oche; e Ciommo rispose: "Non do loro altro a mangiare che l'erba fresca dei campi".



George Cruikshank


Ma il re, che non rimase persuaso della risposta, gli mandò dietro segretamente un servo fidato perché osservasse dove esso menava le oche. Il servo, seguendo le sue orme, lo vide entrare nel pagliaio e lasciare le oche sole; le quali, volgendosi verso la marina, giunsero al lido, dove usci dal mare Marziella, che non credo cosi bella sorgesse dalle onde la madre di quel cieco, che, come disse il poeta, altra limosina non chiede che di pianto. Il servitore del re, tutto meravigliato e incantato, corse dal padrone, raccontandogli il bello spettacolo a cui aveva assistito sulla scena della marina, E la curiosità del re, eccitata, lo mosse a recarsi di persona a contemplarlo; e la mattina, quando il gallo, capopopolo degli uccelli li solleva tutti ad armare i viventi contro la Notte, essendo andato Ciommo con le oche al luogo solito, il re, non perdendolo mai di vista, gli tenne dietro.
Ciommo rimase nel pagliaio e le oche si avviarono alla marina; e il re vide venir fuori Marziella, che, data a mangiare una pastetta di paste dolci e da bere una caldaietta di acqua rosa alle oche, si assise sopra una pietra a pettinarsi i capelli, dai quali cadevano a manate le perle e i granatini, e intanto dalla bocca le usciva un nugolo di fiori e sotto i piedi si mirava un tappeto soriano di gigli e viole.
Il re chiamò Ciommo e gli domandò se conosceva quella bella giovane; e Ciommo la riconobbe e corse ad abbracciarla, e in presenza del re udi tutto il tradimento fattole da Troccola, e come l'invidia di quella brutta peste aveva ridotto questo bel fuoco d'amore ad abitare nell'acqua del mare.
Non si può dire il piacere che prese il re per l'acquisto di cosi bella gioia; e, voltosi al fratello di lei, gli disse che aveva gran ragione di lodarla tanto, e che trovava due terzi e più di quello che aveva descritto, e perciò la stimava più che degna di essergli moglie, quando si contentasse di accettare lo scettro del regno suo.
"Oh lo volesse il Sole leone - rispose Marzìella - e potessi venire a servirti come schiava della tua corona! Ma non vedi tu questa catena d'oro, che mi lega il piede e con la quale la maga mi tiene prigione, e, quando prendo troppa aria e troppo mi trattengo alla marina, mi tira dentro alla ricca servitù, incatenata d'oro?"
"Quale rimedio ci sarebbe - disse il re - a levarti dalle branche di cotesta sirena?" "Il rimedio sarebbe - rispose Marziella - di segare con una lima sorda questa catena, e svignarmela."
"Aspettami domattina - replicò il re - che lo me ne verrò con l'ordigno pronto e mi ti porterò a casa, dove sarai il mio occhio diritto, la pupilla del mio cuore e le viscere di quest'anima."
E, datasi una caparra dell'amor loro col toccarsi le mani, essa se ne andò in mezzo all'acqua ed egli in mezzo al fuoco, e a un fuoco tale che non gli die un momento di riposo tutto il giorno. E, quando quella nera schiava della Notte usci a fare tubba-catubba con le stelle, non chiuse occhio e andò ruminando con le mascelle della memoria le bellezze di Marziella, discorrendo col pensiero intorno alle meraviglie dei capelli, ai miracoli della bocca e agli stupori del piede; e, toccando l'oro delle grazie sue alla pietra del paragone del giudizio, le trovava di ventiquattro carati. E malediceva la Notte che tanto tardasse a riposarsi dei ricami che va facendo di stelle, e bestemmiava il Sole che non arrivasse presto col carico della luce ad arricchire la casa sua del bene tanto desiderato, affin di portare alla camera sua una miniera d'oro che gettava perle, una conchiglia di perle che gettava fiori.
Ma, intanto che egli se n'andava per mare pensando a colei che stava nel mare, ecco i guastatori  del Sole spianare il cammino pel quale doveva esso passare con l'esercito dei raggi; e il re si vesti, e, in compagnia di Ciommo, si avviò alla marina. E qui, uscita Marziella dalle onde, egli con la lima che aveva portata, segò di mano propria la catena dal piede della persona amata, sebbene in quell'atto stesso ne fabbricasse un'altra più forte al proprio cuore. E si tolse in groppa al cavallo colei che gli cavalcava il cuore, e trottò alla volta del palazzo reale, dove Marziella trovò, per ordine del re, tutte le belle donne del paese, che la ricevettero e l'onorarono come padrona loro.
Quando il re la sposò, nella gran festa che segui, tra le tante botti che si accesero per luminaria, fu inclusa come botticella anche la persona di Troccola, affinché scontasse l'inganno che aveva fatto a Marziella. Lucida fu mandata a chiamare e visse, insieme con Ciommo, da signora; ma Puccia, scacciata da quel regno, andò sempre pezzendo, e, per non aver voluto seminare un pochetto di pizza, ebbe sempre carestia di pane, perché:

  chi non sente pietà, pietà non trova.


"Le Doje Pizzelle", G.B. Basile, Pentamerone, Giornata IV, Cunto 7
Traduzione di Benedetto Croce.
Il testo originale è nella Pagina: "G.B. Basile".

Vedi "Le Tre Fate", sempre di Basile, Qui.



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