’era una volta, proprio nel bel mezzo di un vasto Regno, una città, e, in quella città c'era un palazzo, e in quel palazzo c'era un Re. Il Re aveva un unico figlio, ed era fermamente convinto che non fosse mai esistito un figlio più assennato e intelligente, e, in verità, il padre non si era risparmiato perché lo diventasse.
Quando il Principe era un bambino, aveva scelto con ogni cura i suoi maestri e precettori, e, quando era diventato un giovanotto, aveva voluto che girasse il mondo in lungo e in largo perché potesse conoscere i costumi degli altri popoli e scoprire che, spesso, valevano almeno quanto i proprii.
Era trascorso un anno da quando il Principe era tornato, e suo padre sentì che era giunto il momento che il figlio imparasse a governare il Regno che un giorno sarebbe stato suo. Però pareva che, nel corso della sua lunga assenza, il carattere del Principe avesse subito una radicale trasformazione. Da ragazzo allegro e cuor contento, era diventato un uomo cupo e pensieroso. Il Re non si raccapezzava sul perché di un simile cambiamento. Si lambiccò il cervello giorno e notte finché non gli parve di aver trovato la spiegazione: il giovane era innamorato!
Ora, il Principe non aveva mai parlato dei suoi sentimenti, anche perché parlava a malapena di qualsiasi argomento; e il padre sapeva che, se davvero voleva andare in fondo alla questione, doveva darsi da fare subito.
Così, un giorno, dopo cena, prese il figlio sottobraccio e lo condusse in un'altra stanza, completamente tappezzata di quadri che ritraevano bellissime fanciulle, una più attraente dell’altra.
"Mio caro ragazzo - gli disse - sei molto triste: forse, dopo aver viaggiato per il mondo, ti annoi a star solo qui con me. Quindi, penso che sarebbe un gran bene se ti sposassi, e ho raccolto in questa stanza i ritratti delle donne più belle del mondo, e di rango non inferiore al tuo. Scegli tra di loro quella che vorresti prendere in moglie e io manderò un ambasciatore a suo padre per chiedere la sua mano."
"Ahimè, vostra Maestà - rispose il Principe - non è l’amore o il matrimonio a rendermi così triste, ma il pensiero, che non mi dà tregua né giorno né notte, che tutti gli uomini, persino i re, devono morire. Mai tornerò ad essere felice finché non avrò trovato un regno in cui la Morte sia sconosciuta. Ho deciso di non concedermi requie e riposo finché non avrò scoperto la Terra dell’Immortalità."
Il vecchio Re ascoltò le sue parole con grande costernazione: la situazione era più grave di quanto pensasse. Tentò di far ragionare il figlio, e gli disse che per tutti quegli anni aveva atteso con impazienza il suo ritorno per affidargli il Trono e le sue incombenze, che gli risultavano ormai assai gravose. Ma fu tutto inutile: il Principe non volle sentir ragioni, e, il mattino dopo, cinta la spada, partì.
Aveva lasciato alle sue spalle il Regno paterno e viaggiava ormai da molti giorni, quando, sul bordo della strada, scorse un albero imponente. Sul ramo più alto era appollaiata un'aquila che scuoteva i rami con tutte le sue forze. Era un comportamento talmente strano ed inusuale per un'aquila che il Principe si fermò a guardare, sorpreso, e l’uccello lo vide e planò verso di lui.
Nel momento in cui le sue zampe toccarono terra, si trasformò in un re.
"Perché mi guardi così sorpreso?", chiese.
"Mi chiedevo perché scrollassi i rami con tanto accanimento", rispose il Principe.
"Sono condannato a farlo perché né io né alcuno della mia famiglia morirà finché mi impegnerò a sradicare questo grosso albero - rispose il Re delle aquile - Ma ormai è sera e non devo più lavorare per oggi. Vieni a casa mia e sii mio ospite per la notte."
Il Principe accettò con gratitudine l'invito dell'Aquila perché era stanco e affamato. A Palazzo, furono accolti dalla bellissima figlia del Re, che ordinò che fosse subito servita la cena. Durante il pasto, l'Aquila domandò al suo ospite se stesse viaggiando per svago o con uno scopo ben preciso. Allora, il Principe gli narrò ogni cosa e affermò che non sarebbe mai tornato a casa finché non avesse scoperto la Terra dell’Immortalità.
L'Aquila disse:
"Caro fratello, tu l’hai già scoperta e mi rallegra il cuore pensare che resterai con noi. Non mi hai appena udito dire che la Morte non avrà potere alcuno su di me né sulla mia famiglia finché non avrò finito di sradicare il grande albero? Ebbene, mi ci vorranno seicento anni di duro lavoro per riuscirci. Sposa mia figlia e viviamo felici tutti insieme. Dopotutto, seicento anni sono un'eternità!"
"Ah, mio caro Sovrano - rispose il giovane - la vostra offerta è molto allettante, pur tuttavia, al termine dei seicento anni, noi dovremo morire, dunque è un vantaggio relativo. No, devo continuare ad andare finché non troverò il Paese in cui la Morte non esiste affatto."
Allora, toccò alla Principessa tentare di convincere l'ospite, ma egli, pur addolorato, scosse la testa. Infine, vedendolo irremovibile, la Principessa trasse da uno stipo una scatoletta contenente il proprio ritratto e gliela porse, dicendo:
"Poiché non vuoi restare, Principe, accetta questa scatolina che, di tanto in tanto, ti rammenterà di noi. Se ti stancherai di viaggiare prima che tu abbia scoperto la Terra dell'Immortalità, apri questa scatola e guarda il mio ritratto: verrai trasportato sia per terra che per mare, rapido come il pensiero o come un turbine di vento."
Il Principe ringraziò la Principessa per il dono, che ripose nella tunica, poi, con suo grande dolore, disse addio all'Aquila e a sua figlia. Mai nessun regalo al mondo si rivelò utile come quella piccola scatola, e molte volte egli si ritrovò a benedire la Principessa per il suo gentile pensiero.
Una sera, grazie alla scatoletta, aveva raggiunto la cima di un'alta montagna, e là vide un uomo calvo, tutto indaffarato a scavare palate di terra e a gettarle in un cesto.
H.J. Ford