martedì 25 luglio 2017

Storia del Primo Vecchio e della Cerva, Mille e Una notte

IL MERCANTE E IL GENIO
Novella-cornice



Un ricco mercante intraprende un lungo viaggio per curare i suoi affari. Il quarto giorno, riposandosi presso una fonte, mangia alcuni datteri e lancia i noccioli all'intorno. All'improvviso, compare un Djinn spaventoso, enorme e carico d'anni, che, brandendo una sciabola, gli annuncia la sua prossima morte: uno dei noccioli sbadatamente lanciati dal mercante ha colpito in un occhio il figlio del Djinn uccidendolo. Dopo inutili lacrime e proteste di innocenza, il mercante ottiene un anno di tempo: sistemerà i suoi affari, si congederà da moglie e figli e tornerà per la propria esecuzione. Il mercante fa ritorno a casa, sistema gli affari di famiglia*, e, dopo un anno, rispetta il giuramento e raggiunge il luogo in cui aveva incontrato il Djinn. Mentre attende l'arrivo del suo carnefice, sopraggiungono tre vecchi, che, uno dopo l'altro, ascoltano la sua storia e manifestano il desiderio di aspettare con lui. Una volta comparso il Djinn, quando afferra il mercante per ucciderlo, il primo vecchio, che conduce con sé una cerva al guinzaglio, si getta ai suoi piedi e gli propone di ascoltare la storia sua e di quella cerva: se il Djinn riterrà tale storia meravigliosa e fuori dall'ordinario, rimetterà  al mercante un terzo della sua condanna. Il Djinn accetta.


H.J. Ford





Storia del Primo Vecchio e della Cerva




uesta cerva che Voi vedete, è mia cugina, ed è anche mia moglie. Ella non aveva che dodici anni quando la sposai. Siamo vissuti insieme trent'anni, senza che mi abbia dato figli. E fu unicamente per il desiderio di avere figli che sposai una schiava, la quale partorì un maschio sano e intelligente. Mia moglie si ingelosì e prese in odio madre e figlio, ma nascose così bene i suoi sentimenti che io me ne accorsi troppo tardi.
Intanto, mio figlio cresceva, e aveva già dieci anni quando fui obbligato ad intraprendere un viaggio. Prima di partire, raccomandai a mia moglie la schiava e suo figlio, e la pregai di averne cura durante la mia assenza, che sarebbe durata un anno intero. Ma ella approfittò di quel tempo per sfogare il suo odio. Si diede agli studi della magia, e, quando ne seppe abbastanza di quell'arte diabolica, la scellerata trascinò mio figlio in un luogo isolato, dove, con i suoi sortilegi, lo trasformò in un vitello; quindi, lo affidò al mio intendente. Né si limitò a sfogare la sua rabbia compiendo quel crimine abominevole contro mio figlio: trasformò la schiava in una vacca, e affidò anch'essa alle cure dell'intendente.



Al ritorno, le domandai notizie della madre e del figlio.
"La tua schiava è morta - mi disse - e tuo figlio son due mesi che non lo vedo, né so che ne sia stato di lui".
Mi addolorò grandemente la morte della schiava: ma, quanto a mio figlio, che era solamente scomparso, mi sosteneva la speranza di ritrovarlo.
Ma trascorsero otto mesi senza che ne avessi alcuna notizia. Giunse la festa del gran Bairam.
Ordinai al mio intendente di condurmi una vacca bella grassa da sacrificare in onore della festività.
Egli scelse la vacca che era stata, per l'appunto, la mia schiava. La legai, ma, nell'istante in cui mi apprestavo a sacrificarla, essa cominciò ad emettere muggiti strazianti: e mi accorsi che dagli occhi le scorrevano due ruscelli di lacrime.
Mi parve un fatto commovente e straordinario e non riuscii a sacrificarla, e ordinai al mio intendente di condurmi un’altra vacca.
Mia moglie, che era presente, inorridì della mia compassione.
"Sposo mio, che fai? - gridò - Sacrificala!"
Per compiacerla, tornai ad accostarmi alla vacca, e, combattendo con la pietà che mi ispirava, feci per infliggerle il colpo mortale, quando la povera vittima raddoppiò lacrime e muggiti, disarmandomi per la seconda volta.
Allora, lasciai la scure nelle mani dell'intendente, e gli dissi:
"Sacrificala tu ché i suoi muggiti e le sue lacrime mi spezzano il cuore!"
L'intendente, meno impietosito di me, la sacrificò, ma, quando fece per scorticarla, scoprì che, a dispetto del suo aspetto florido, sotto la pelle non aveva che le ossa.
Io ne fui grandemente dispiaciuto, e gli dissi:
"Tienila tu, e conducimi il vitello più grasso che possiedo".
Poco dopo, mi condusse un vitello bello grasso. Appena mi vide, fece uno sforzo così grande per correre a me che ruppe la corda. Si gettò ai miei piedi, toccando terra con il muso, come se avesse voluto suscitare la mia compassione.
Il suo comportamento mi sbalordì ancòra di più dei muggiti disperati della vacca.




H.J. Ford



"Va' - dissi all'intendente - riporta indietro il vitello. e abbine gran cura, e, al suo posto, portami un'altra bestia".
Quando mia moglie mi sentì parlare così, non si trattenne e gridò:
"Sposo mio, che fai? Ascoltami e non sacrificare altro vitello che questo".
"Moglie - esclamai - non lo sacrificherò, voglio che viva".
Quella donna malvagia non accettava di arrendersi alle mie preghiere, e non si risparmiò pur di farmi cambiare idea, ma, per quanto dicesse, io fui irremovibile, e, per calmarla, le promisi che l’avrei sacrificato l’anno seguente.
L'indomani mattina, il mio intendente chiese di parlarmi in segreto.
"Vengo - mi disse - a recarti una notizia. Io ho una figlia che sa qualcosa di magia. Ieri, quando ricondussi all'ovile il vitello che ti rifiutasti di sacrificare, ella rise nel vederlo e, un momento dopo, pianse. Le domandai il perché del suo strano comportamento. 'Padre mio - rispose - questo vitello è il figlio del nostro padrone. Risi di gioia vedendolo ancòra in vita, e piansi ricordandomi che ieri sua madre, trasformata in una vacca, era stata sacrificata. E tutto a causa dei sortilegî  della moglie del nostro padrone, che odiava la madre ed il figlio'. Ecco ciò che mi ha detto mia figlia".
A queste parole, o Principe dei Djinn, - continuò il vecchio - vi lascio immaginare quale fu la mia sorpresa. Volli parlare io stesso con la figlia dell'intendente. Ci dirigemmo all'ovile dov'era rinchiuso mio figlio. E io dissi alla fanciulla:
"Figlia mia, sei in grado di restituire a mio figlio la sua forma umana?"
"Sì - mi rispose - ma a due condizioni: la prima, che tu me lo dia in sposo. La seconda, che mi sia permesso di punire la persona che lo ha trasformato in vitello".
"Acconsento - le risposi - ma, prima, restituiscimi mio figlio".
Allora, la giovane donna prese un vaso pieno di acqua, vi pronunziò sopra delle parole a me incomprensibili, e, rivolgendosi al vitello, esclamò:
"O vitello, - disse - se tu sei stato creato dall'Onnipotente, Sovrano e Padrone del mondo, nella forma di vitello, resta nel tuo stato, ma, se sei un uomo e fosti trasformato in vitello a causa di un incantesimo, riprendi la tua forma primitiva con il permesso del Creatore".
Pronunciate  queste parole, gettò l'acqua sul vitello, e, all'istante, egli riacquistò forma umana.
"Figlio mio! Caro figlio! - esclamai allora, abbracciandolo con immensa gioia - È Dio che ci ha inviato questa giovane per distruggere l'abominevole sortilegio di cui eri prigioniero e per vendicare il male fatto a te e a tua madre. Sono certo che, per gratitudine, la prenderai in sposa, consentendomi di mantener fede alla parola che le diedi".
Mio figlio acconsentì con gioia, ma, prima di sposarsi, la fanciulla trasformò mia moglie in una cerva, in questa cerva. Dopo qualche tempo, mio figlio, diventato vedovo, partì. Poiché sono molti anni che non ho sue notizie, mi sono risolto a mettermi in cammino per cercare di averne, e, non volendo affidare ad alcuno mia moglie, ho deciso di condurla con me dovunque fossi andato. Ecco dunque la mia storia e quella della mia cerva. Non è, forse, una delle più straordinarie e meravigliose?"
"Sono d'accordo - disse il Djinn - e, per questa ragione, ti concedo un terzo della vita di questo mercante".

FINE

Traduzione: Mab's Copyright

 * Riporto alla lettera  in che modo il mercante  dispone dei proprî averi. Naturalmente, il maggiore interesse è suscitato dal trattamento riservato alla futura vedova. Ciò che sarebbe stato impensabile per quattro-cinque secoli ancòra nei Paesi occidentali fa, invece, parte della giurisdizione basata sul Corano. La vedova rimane proprietaria della dote versata al momento del contratto nuziale. In più, ha diritto ad una legittima del patrimonio. Mosso da personale generosità, il marito le lascia il massimo consentito dai limiti di legge. Né le assegna un tutore, pratica che in Occidente era prassi.
"Quando comunicò la ferale notizia, la casa cadde nella più grande angoscia. L’indomani, il mercante pensò di mettere in ordine i suoi affari, affrettandosi, prima di tutto, a pagare i suoi debiti. Fece regalie ai suoi amici e ingenti elemosine ai poveri; donò la libertà ai suoi schiavi; divise il patrimonio fra i suoi figli; nominò i tutori per i minorenni, e, dopo aver reso a sua moglie ciò che le apparteneva (la dote) sulla base del contratto di matrimonio, le lasciò quanto più poté, nel rispetto della legge."

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