'era una volta una bambina, figlia d'un calzolaio. La
madre, cullandola, le cantava sempre: "Dormi, figlia Regina!
Dormi, il Reuccio arriva!"
Il marito, battendo le suole le faceva il verso, per ridere:
Dormi, il Reuccio arriva!
Dormi, figlia Regina!
La madre, dopo pochi mesi, morì e il calzolaio riprese
subito moglie. Da prima, parve che la matrigna volesse
bene alla figliastra. Spesso, accarezzandola, le diceva: "Ora ti faccio un fratellino."
"Fratellini non ne voglio."
"Perché?"
"Perché... "
Passò un anno. Vedendo che non c'era nessuna speranza
di avere un figliuolo, la matrigna, indispettita, cominciò
a prendersela con la bambina. La maltrattava
senza ragione, la picchiava, le faceva patire la fame.
Il
suo babbo le voleva bene, ma si lasciava menare pel
naso da quella donna. "Babbo, vostra moglie m'ha picchiato!"
"Perché non la chiami mamma? Chiamala mamma."
"La mia mamma non è più qui."
"Allora, fa bene a picchiarti, figlia Regina!"
Soleva dirle così.
Una volta la poverina era stata lasciata languire di
fame un'intera giornata, e la matrigna voleva che le stesse
davanti, a guardarla, mentre mangiava a due palmenti.
"Ogni boccone, uno stranguglione!", borbottò la
bambina.
"Figlia di tua madre, via di qua! Non ti voglio più
tra' piedi. Via di qua!"
E, a pugni e a pedate, la cacciò fuori di casa.
Il marito era andato a consegnare un paio di stivali a
un avventore. Tornato in bottega, domandò:
"Dov'è la bambina?"
"A fare il chiasso, la fannullona!"
Viene la notte, e la bambina non si vede.
"Oh Dio! Le sarà accaduto un malanno! Vado a cercarla."
"A quest'ora? Lasciamo socchiuso l'uscio di casa."
Quando torna, se ne va a letto.
II calzolaio, che faceva sempre la volontà della moglie,
non insistette. La mattina però, levatosi per tempo,
il suo primo pensiero fu per la bambina.
Il letto era ancora intatto, e l'uscio socchiuso.
"Ah, figliolina mia! Dove sarà mai? Vado a cercarla."
"Vuoi perdere la giornata? - disse quella donnaccia - Tu resta a lavorare; vado io. Vedi com'è cattiva!
Se la trovo, la picchio di santa ragione."
E uscì fuori.
"Vicine, avete visto quella bambina?"
"Ieri andava di corsa laggiù laggiù. Domandatene
più in là."
"Comari, avete visto ieri una bambina che correva?"
"Andava di corsa laggiù laggiù. Domandatene più
in là."
"Buona nonna, ieri avete visto passare una bambina? "
"Che bambina o bambino? Non ho visto anima
viva!"
"Perché rispondete con quella vociaccia e quel visaccio,
brutta strega? Vi ho detto forse qualcosa di
male?"
"Il male non l'hai detto, ma l'hai fatto. Tieni!"
E le buttò addosso un catino d'acqua.
Di donna che era, la matrigna diventò lupa; ma lei
non se n'accorgeva. Credeva di parlare e abbaiava.
La gente fuggiva al solo vederla comparire.
Torna a casa e infila l'uscio. Il marito spaventato, comincia
a tirarle addosso forme, gambali, tutto quel che
gli capita sotto mano; poi, afferra un bastone, e giù colpi
da orbo.
lunedì 29 maggio 2017
domenica 28 maggio 2017
lunedì 22 maggio 2017
Cannetella, Pentamerone, Giornata Terza, Trattenimento Primo
Cannetella non trova marito che le vada a genio; ma il suo peccato la
fa incappare nelle mani d'un orco, che la condanna a trista vita,
finché da un votacessi, vassallo di suo padre, è liberata.
'era una volta un re di Bellopoggio, che aveva maggiore brama di fare razza che non hanno i facchini delle esequie per raccogliere la cera. Tanto che promise per voto alla dea Siringa che, se gli faceva fare una figlia, le avrebbe messo nome Cannetella [1], per memoria che essa si era trasformata in canna. E tanto pregò e strapregò che ottenne la grazia, ed ebbe da Renzolla, sua moglie, una bella bambinetta, alla quale mise il nome che aveva promesso.
Cannetella crebbe a palmi e diventò lunga quanto una pertica. E allora il re le disse:
"Figlia mia, già sei fatta (e il Cielo ti benedica) come una quercia, e sei nel punto giusto di accompagnarti con un maritino, meritevole di cotesta bella faccia tua, per mantenere la razza della casa nostra. Perciò io, che ti voglio bene quanto le pupille degli occhi miei e bramo il piacer tuo, desidero conoscere la qualità di sposo che tu vorresti. Quale sorta d'uomo ti andrebbe a genio? Lo vuoi letterato o spadaccino? garzoncello o attempato? brunetto o bianco e rosso? lungo della persona o bassottino? stretto nei fianchi o tondo come un bue ? Tu scegli ed io metto la firma ".
Cannetella, che senti queste larghe offerte, ringraziò il padre e gli dichiarò dapprima che essa aveva consacrato la sua verginità a Diana, né voleva per niun conto andarsi a perdere con un marito. Per altro, alle preghiere insistenti del re, fini coi rispondere:
"Per non mostrarmi sconoscente a tanto amore, mi contento di fare la volontà vostra; ma a patto che mi sia dato un uomo tale che non vi sia l'altro al mondo".
Lieto di questa risposta, il padre si pose dalla mattina alla sera alla finestra, squadrando, misurando e scandagliando tutti quelli che passavano per la piazza dinanzi al palazzo reale. Passò, finalmente, un uomo di assai buon garbo, ed egli disse alla figlia:
"Corri, affacciati, Cannetella; e vedi se costui è a misura delle voglie tue".
Ed essa lo fece venir su, e gli offersero un bellissimo banchetto, dove c'era quanto si possa mai desiderare. Senonché, nel mangiare, cadde dalla bocca al fidanzato una mandorla; ed egli, chinatosi, la ripigliò destramente e la pose sotto la tovaglia, e, finito il desinare, se ne andò. II re disse a Cannetella: "Come ti piace il fidanzato, vita mia?".
Ed essa: "Toglimelo dinanzi cotesto goffo, perché un uomo grande e grosso come lui non doveva lasciarsi sdrucciolare una mandorla dalla bocca".
Il re, udito questo, andò ad affacciarsi un'altra volta; e, passando un altro giovane di buon taglio, chiamò la figlia per sapere se trovasse grazia presso di lei. Come la prima volta, Cannetella volle che salisse, e gli fu dato un banchetto; e, quando si fini di mangiare e quello si accommiatò, il re chiese alla figlia come gli piacesse.
"Che ne voglio fare - essa rispose - di quello sgraziato? che doveva condurre con sé per lo meno due servitori, che gli levassero dalle spalle il ferraiuolo".
"Se è cosi - disse il re, - è pasticcio: coteste sono scuse da cattivo pagatore, e tu vai cercando peli per non darmi il gusto che ti chiedo. Risolviti, perché io ti voglio maritare, e trovare radice valida a far germogliare la successione della mia casa ".
A queste parole stizzose, Cannetella parlò aperto:
"Per dirvela, tata e signore, chiaro e come la sento, voi vangate nel mare e fate male il conto con le dita, perché io non mi assoggetterò ad uomo vivente, se non sarà tale che abbia il capo e i denti d'oro".
E il travagliato re, sentendo che quella testa era dura, fece gettare un bando che chi nei suoi domini si trovasse conforme al desiderio della figliuola, si facesse avanti perché gliela darebbe in moglie insieme col regno.
Aveva questo re un gran nemico, chiamato Fioravante, tanto da lui aborrito che non poteva vederlo neppur dipinto su un muro; il quale, udito il bando, poiché era un bravo necromante, chiamò una frotta di quelli che lontani siano, e comandò che gli facessero subito la testa e i denti d'oro. Risposero quelli che solo grandemente sforzati gli avrebbero reso questo servigio, per essere cosa assai strana nel mondo, laddove piuttosto gli avrebbero fornito le corna d'oro, come più usitate al tempo d'oggi [2], Ma egli li costrinse con scongiuri e incantamenti, e, infine, ne venne soddisfatto; e, quando si vide testa e denti di ventiquattro carati, andò a spasseggiare sotto le finestre del re.
Il re, a cui venne sott'occhio proprio quello che cercava, chiamò la figlia, la quale, guardando, subito disse:
"Questo è quello: non potrebbe essere migliore, se lo avessi impastato con le mani mie stesse".
E, quando Fioravante stava per levarsi e andar via, il re gli disse:
"Aspetta un po', fratello: come sei caldo di reni! Sembra che stii col pegno presso il giudeo, e che abbi l'argento vivo dietro e il pungolo sotto la codola. Piano, che ora ti do bagagli e gente per accompagnare te e mia figlia, che voglio che ti sia moglie".
"Vi ringrazio - rispose Fioravante: - non ce n'è bisogno. Basta solo un cavallo, perché me la metto in groppa e me la porto a casa mia, dove non mancano servitori e mobili quanti l'arena".
Contrastarono per un pezzo, ma, in fine, Fioravante la vinse, e, alzatala sul cavallo, parti.
Alla sera, quando dal mulino del cielo si distaccano i cavalli rossi e vi si mettono i bovi bianchi, giunsero a una stalla, dove alcuni cavalli stavano alla mangiatoia. Lo sposo vi fece entrare Cannetella e le disse: "Bada bene! debbo fare una corsa fino alla mia casa, che ci vogliono sette anni per giungervi. Aspettami in questa stalla, e non venirne fuori, non lasciarti vedere da alcuno; perché, altrimenti, farò che te ne ricordi fino a quando sarai viva e verde".
Cannetella rispose: "Io ti son soggetta ed eseguirò il tuo comando in ogni puntino; ma vorrei sapere che cosa mi lasci per mantenermi in vita durante questo tempo".
Replicò Fioravante: "Quel che rimane di biada a questi cavalli, basterà per te".
'era una volta un re di Bellopoggio, che aveva maggiore brama di fare razza che non hanno i facchini delle esequie per raccogliere la cera. Tanto che promise per voto alla dea Siringa che, se gli faceva fare una figlia, le avrebbe messo nome Cannetella [1], per memoria che essa si era trasformata in canna. E tanto pregò e strapregò che ottenne la grazia, ed ebbe da Renzolla, sua moglie, una bella bambinetta, alla quale mise il nome che aveva promesso.
Cannetella crebbe a palmi e diventò lunga quanto una pertica. E allora il re le disse:
"Figlia mia, già sei fatta (e il Cielo ti benedica) come una quercia, e sei nel punto giusto di accompagnarti con un maritino, meritevole di cotesta bella faccia tua, per mantenere la razza della casa nostra. Perciò io, che ti voglio bene quanto le pupille degli occhi miei e bramo il piacer tuo, desidero conoscere la qualità di sposo che tu vorresti. Quale sorta d'uomo ti andrebbe a genio? Lo vuoi letterato o spadaccino? garzoncello o attempato? brunetto o bianco e rosso? lungo della persona o bassottino? stretto nei fianchi o tondo come un bue ? Tu scegli ed io metto la firma ".
Cannetella, che senti queste larghe offerte, ringraziò il padre e gli dichiarò dapprima che essa aveva consacrato la sua verginità a Diana, né voleva per niun conto andarsi a perdere con un marito. Per altro, alle preghiere insistenti del re, fini coi rispondere:
"Per non mostrarmi sconoscente a tanto amore, mi contento di fare la volontà vostra; ma a patto che mi sia dato un uomo tale che non vi sia l'altro al mondo".
Lieto di questa risposta, il padre si pose dalla mattina alla sera alla finestra, squadrando, misurando e scandagliando tutti quelli che passavano per la piazza dinanzi al palazzo reale. Passò, finalmente, un uomo di assai buon garbo, ed egli disse alla figlia:
"Corri, affacciati, Cannetella; e vedi se costui è a misura delle voglie tue".
Ed essa lo fece venir su, e gli offersero un bellissimo banchetto, dove c'era quanto si possa mai desiderare. Senonché, nel mangiare, cadde dalla bocca al fidanzato una mandorla; ed egli, chinatosi, la ripigliò destramente e la pose sotto la tovaglia, e, finito il desinare, se ne andò. II re disse a Cannetella: "Come ti piace il fidanzato, vita mia?".
Ed essa: "Toglimelo dinanzi cotesto goffo, perché un uomo grande e grosso come lui non doveva lasciarsi sdrucciolare una mandorla dalla bocca".
Il re, udito questo, andò ad affacciarsi un'altra volta; e, passando un altro giovane di buon taglio, chiamò la figlia per sapere se trovasse grazia presso di lei. Come la prima volta, Cannetella volle che salisse, e gli fu dato un banchetto; e, quando si fini di mangiare e quello si accommiatò, il re chiese alla figlia come gli piacesse.
"Che ne voglio fare - essa rispose - di quello sgraziato? che doveva condurre con sé per lo meno due servitori, che gli levassero dalle spalle il ferraiuolo".
"Se è cosi - disse il re, - è pasticcio: coteste sono scuse da cattivo pagatore, e tu vai cercando peli per non darmi il gusto che ti chiedo. Risolviti, perché io ti voglio maritare, e trovare radice valida a far germogliare la successione della mia casa ".
A queste parole stizzose, Cannetella parlò aperto:
"Per dirvela, tata e signore, chiaro e come la sento, voi vangate nel mare e fate male il conto con le dita, perché io non mi assoggetterò ad uomo vivente, se non sarà tale che abbia il capo e i denti d'oro".
E il travagliato re, sentendo che quella testa era dura, fece gettare un bando che chi nei suoi domini si trovasse conforme al desiderio della figliuola, si facesse avanti perché gliela darebbe in moglie insieme col regno.
Aveva questo re un gran nemico, chiamato Fioravante, tanto da lui aborrito che non poteva vederlo neppur dipinto su un muro; il quale, udito il bando, poiché era un bravo necromante, chiamò una frotta di quelli che lontani siano, e comandò che gli facessero subito la testa e i denti d'oro. Risposero quelli che solo grandemente sforzati gli avrebbero reso questo servigio, per essere cosa assai strana nel mondo, laddove piuttosto gli avrebbero fornito le corna d'oro, come più usitate al tempo d'oggi [2], Ma egli li costrinse con scongiuri e incantamenti, e, infine, ne venne soddisfatto; e, quando si vide testa e denti di ventiquattro carati, andò a spasseggiare sotto le finestre del re.
Il re, a cui venne sott'occhio proprio quello che cercava, chiamò la figlia, la quale, guardando, subito disse:
"Questo è quello: non potrebbe essere migliore, se lo avessi impastato con le mani mie stesse".
E, quando Fioravante stava per levarsi e andar via, il re gli disse:
"Aspetta un po', fratello: come sei caldo di reni! Sembra che stii col pegno presso il giudeo, e che abbi l'argento vivo dietro e il pungolo sotto la codola. Piano, che ora ti do bagagli e gente per accompagnare te e mia figlia, che voglio che ti sia moglie".
"Vi ringrazio - rispose Fioravante: - non ce n'è bisogno. Basta solo un cavallo, perché me la metto in groppa e me la porto a casa mia, dove non mancano servitori e mobili quanti l'arena".
Contrastarono per un pezzo, ma, in fine, Fioravante la vinse, e, alzatala sul cavallo, parti.
Alla sera, quando dal mulino del cielo si distaccano i cavalli rossi e vi si mettono i bovi bianchi, giunsero a una stalla, dove alcuni cavalli stavano alla mangiatoia. Lo sposo vi fece entrare Cannetella e le disse: "Bada bene! debbo fare una corsa fino alla mia casa, che ci vogliono sette anni per giungervi. Aspettami in questa stalla, e non venirne fuori, non lasciarti vedere da alcuno; perché, altrimenti, farò che te ne ricordi fino a quando sarai viva e verde".
Cannetella rispose: "Io ti son soggetta ed eseguirò il tuo comando in ogni puntino; ma vorrei sapere che cosa mi lasci per mantenermi in vita durante questo tempo".
Replicò Fioravante: "Quel che rimane di biada a questi cavalli, basterà per te".
H.J. Ford
mercoledì 17 maggio 2017
La Fanciulla dalle Mani Tagliate, Paul Sèbillot (Francia)
'era una volta un vedovo che si sposò in seconde nozze: aveva già una figlia di primo letto, e la seconda moglie gliene diede un'altra. La maggiore, che si chiamava Euphrosine, diventò così bella che, quando passava, tutti si voltavano a guardarla, mentre la sorella era piccola e brutta.
La matrigna, invidiosa della bellezza della figliastra, cominciò a perseguitarla approfittando del fatto che il marito, essendo capitano di lungo corso, trascorreva pochissimo tempo a casa.
A. Stegg
Una volta che lui partì per un lungo viaggio, sua moglie tagliò le mani di Euphrosine, la condusse in una foresta lontana, la costrinse a salire su un biancospino alto come un melo e minacciò di ucciderla se solo avesse osato scendere. La crudele matrigna voleva liberarsi di Euphrosine perché sua figlia rimanesse l'unica erede; tuttavia non aveva il coraggio di lasciarla morire di fame e ogni otto giorni le portava del cibo. Facendo salire Euphrosine sull'albero, le si era però conficcata una spina in un ginocchio; la ferita, anziché guarire, andò sempre peggiorando, ed ella fu presto obbligata a rimanere a letto.
Euphrosine, che non aveva più niente da mangiare, cominciò a piangere e disperarsi, e proprio allora una gazza venne a portarle del cibo. Con dolcezza Euphrosine addomesticò l'animale, che, da quel giorno, tornò regolarmente a portarle da mangiare. Quando il padre tornò dal viaggio, fu sorpreso di non trovare la figlia maggiore, e domandò alla moglie che cosa le fosse successo; ella rispose che Euphrosine era una libertina e se ne era andata con dei soldati per seguire l'armata. Il capitano la cercò a lungo senza risultato, e alla fine si rassegnò all'idea di averla perduta.
Un giorno. un soldato, tornato a casa in licenza, andò a caccia nella foresta, e vide con sorpresa i suoi cani abbaiare ai piedi di un biancospino. Per quanto lui fischiasse e chiamasse, loro restavano vicino all'albero. Incuriosito si avvicinò e scorse Euphrosine, che era ancora più bella di quando la sua matrigna l'aveva abbandonata; come la vide il giovane se ne innamorò.
"Che cosa fate sulla cima di quest'albero?", chiese.
"Ahimè, signore, sono tre anni che sto su questo biancospino, e che vivo grazie a una gazza che mi porta da mangiare".
giovedì 11 maggio 2017
L'Albero Sacro (Austria)
ell'albero sacro, che una volta si trovava in un prato a sud del paese di
Nauders, oggi rimane solo il ceppo.
Il prato si trova su un declivio, a fianco del quale si estende il bosco, e il
lato meridionale si chiude con una collinetta sulla quale un tempo sorgeva un
castello.
Ancora oggi si possono vedere alcuni resti di mura, che secondo la leggenda
appartenevano al castello dell'albero sacro.
Questo albero era un grosso larice, dalla bella corona rotonda; si racconta che rapisse i bimbi appena nati, e preferibilmente i maschietti. Non si poteva raccogliere legna da ardere o tronchi nelle vicinanze del larice; far rumore o gridare lì vicino era considerato un comportamento imprudente e se si pronunciavano bestemmie o si litigava si commetteva un grave sacrilegio che sarebbe stato ben presto punito.
L'ammonimento: Non farlo, qui vicino c'è l'albero sacro! era molto frequente.
Una volta un servo volle provare ad abbatterlo, per prendersi gioco delle credenze del popolo. Dopo il primo colpo, il tronco cominciò a sanguinare, e alcune gocce caddero anche dai rami del larice. Il servo terrorizzato lasciò cadere la scure e se la svignò a gambe levate. I compaesani lo trovarono lungo la strada svenuto e lo portarono a casa, dove si riprese solo il giorno seguente. Le tracce del sangue rimasero visibili sul tronco per molto tempo e la ferita provocata dal colpo d'ascia rimase aperta finché l'albero fu in vita.
Si narra inoltre che il castello vicino all'albero sacro fosse stato colpito da una maledizione e per questo fosse sprofondato nel suolo assieme a tutti i suoi tesori. Nel luogo dove sorgeva un tempo il castello si dice che siano ancora racchiuse nel sottosuolo enormi ricchezze e che, se ci si aggira da quelle parti a tarda ora, si può udire il tintinnio delle monete d'oro e d'argento.
Si è tentato spesso di scavare sulla collinetta per cercare i tesori nascosti ma pare che vi siano a guardia tre giovani donne colpite da una maledizione, che solo il ritrovamento del tesoro potrà liberare. Esse compaiono ai viandanti a tarda notte facendo loro dei segnali o cercando un modo per farli avvicinare. Un pastore che a sera inoltrata cercava le sue mucche, imboccò un bel sentiero largo, che conduceva nelle vicinanze del castello. Quando però si trovò davanti alle rovine ebbe paura e cercò di fuggire, ma si accorse all'improvviso che il sentiero era sparito e dovette faticosamente guadagnarsi la via tra la sterpaglia.
Un contadino invece, che rincasava col suo carico di fieno, vide sul sentiero vicino al castello una vasca piena di denti bianchi. Senza badarci la spinse da parte. Sua moglie però, che camminava dietro il carro, prese tre denti e se li infilò in una tasca dove teneva anche un rosario. Giunta a casa trovò al posto dei denti tre splendenti pezzi d'oro.
Nonostante le varie apparizioni delle tre fanciulle maledette, e i loro tentativi di condurre molti viandanti sul luogo del tesoro, nessuno è finora riuscito a trovarlo.
Di una delle tre donne si racconta che è mezza bianca e mezza nera. Si dice che costei si sia avvicinata un giorno a un ragazzo, che era giunto insieme ad altri per accendere i fuochi di san Giovanni nei pressi del castello.
Costei gridò:
"Johannes (così si chiamava il giovanotto) seguimi, e quando saremo nel luogo giusto spogliati. Io mi trasformerò in serpente e mi attorciglierò intorno a te per tre volte. Non devi avere paura, perché solo in questo modo potrai sciogliere la maledizione che mi colpisce e impossessarti del tesoro".
Johannes ubbidì: si spogliò e si lasciò avvolgere dal serpente per due volte ma alla terza ebbe una gran paura e d'improvviso il serpente scomparve.
Da "Sagen aus Osterreich", a cura di Hans Darnstadt
Questo albero era un grosso larice, dalla bella corona rotonda; si racconta che rapisse i bimbi appena nati, e preferibilmente i maschietti. Non si poteva raccogliere legna da ardere o tronchi nelle vicinanze del larice; far rumore o gridare lì vicino era considerato un comportamento imprudente e se si pronunciavano bestemmie o si litigava si commetteva un grave sacrilegio che sarebbe stato ben presto punito.
L'ammonimento: Non farlo, qui vicino c'è l'albero sacro! era molto frequente.
Una volta un servo volle provare ad abbatterlo, per prendersi gioco delle credenze del popolo. Dopo il primo colpo, il tronco cominciò a sanguinare, e alcune gocce caddero anche dai rami del larice. Il servo terrorizzato lasciò cadere la scure e se la svignò a gambe levate. I compaesani lo trovarono lungo la strada svenuto e lo portarono a casa, dove si riprese solo il giorno seguente. Le tracce del sangue rimasero visibili sul tronco per molto tempo e la ferita provocata dal colpo d'ascia rimase aperta finché l'albero fu in vita.
Victoria Francés
Si narra inoltre che il castello vicino all'albero sacro fosse stato colpito da una maledizione e per questo fosse sprofondato nel suolo assieme a tutti i suoi tesori. Nel luogo dove sorgeva un tempo il castello si dice che siano ancora racchiuse nel sottosuolo enormi ricchezze e che, se ci si aggira da quelle parti a tarda ora, si può udire il tintinnio delle monete d'oro e d'argento.
Si è tentato spesso di scavare sulla collinetta per cercare i tesori nascosti ma pare che vi siano a guardia tre giovani donne colpite da una maledizione, che solo il ritrovamento del tesoro potrà liberare. Esse compaiono ai viandanti a tarda notte facendo loro dei segnali o cercando un modo per farli avvicinare. Un pastore che a sera inoltrata cercava le sue mucche, imboccò un bel sentiero largo, che conduceva nelle vicinanze del castello. Quando però si trovò davanti alle rovine ebbe paura e cercò di fuggire, ma si accorse all'improvviso che il sentiero era sparito e dovette faticosamente guadagnarsi la via tra la sterpaglia.
Un contadino invece, che rincasava col suo carico di fieno, vide sul sentiero vicino al castello una vasca piena di denti bianchi. Senza badarci la spinse da parte. Sua moglie però, che camminava dietro il carro, prese tre denti e se li infilò in una tasca dove teneva anche un rosario. Giunta a casa trovò al posto dei denti tre splendenti pezzi d'oro.
Nonostante le varie apparizioni delle tre fanciulle maledette, e i loro tentativi di condurre molti viandanti sul luogo del tesoro, nessuno è finora riuscito a trovarlo.
Di una delle tre donne si racconta che è mezza bianca e mezza nera. Si dice che costei si sia avvicinata un giorno a un ragazzo, che era giunto insieme ad altri per accendere i fuochi di san Giovanni nei pressi del castello.
Costei gridò:
"Johannes (così si chiamava il giovanotto) seguimi, e quando saremo nel luogo giusto spogliati. Io mi trasformerò in serpente e mi attorciglierò intorno a te per tre volte. Non devi avere paura, perché solo in questo modo potrai sciogliere la maledizione che mi colpisce e impossessarti del tesoro".
Johannes ubbidì: si spogliò e si lasciò avvolgere dal serpente per due volte ma alla terza ebbe una gran paura e d'improvviso il serpente scomparve.
Da "Sagen aus Osterreich", a cura di Hans Darnstadt
mercoledì 10 maggio 2017
Kate Schiaccia-Noci, Scozia, Traduzione Mia
'erano una volta, un Re ed una Regina. Il Re aveva una figlia che si chiamava Anne, e la Regina una figlia di nome Kate. Anne era molto più bella della figlia della Regina, tuttavia, le due fanciulle si amavano come fossero sorelle. La Regina divenne molto gelosa della figlia del Re perché era più bella della sua, e non pensava ad altro che a come rovinarne l'avvenenza.
Così andò a consigliarsi dalla Comare dei Polli che le disse di mandarle la ragazzina l'indomani mattina presto, e si raccomandò che fosse digiuna.
E, il giorno dopo, la Regina mandò a chiamare Anne e le disse:
"Cara, va' dalla Comare dei Polli, nella valle, e chiedile un po' di uova".
Anne obbedì, ma, mentre attraversava la cucina, vide una crosta di pane, la prese e la masticò strada facendo.
Una volta arrivata a casa della Comare dei Polli, le chiese un po' di uova, così come le era stato ordinato di fare.
La Comare dei Polli le disse:
"Alza il coperchio di quella pentola e guardaci dentro".
La fanciulla obbedì, ma non accadde nulla. Allora, la Comare dei Polli le disse:
"Torna a casa da tua madre e dille di sorvegliare meglio la dispensa!"
La Regina capì che Anne doveva aver mangiato qualcosa prima di uscire, così, il mattino dopo, la sorvegliò attentamente finché non si allontanò, ma la Principessa incontrò dei contadini che raccoglievano piselli sul bordo della strada, si fermò a salutarli, poiché aveva un animo gentile, e accettò una manciata di piselli che mangiò lungo la via.
Una volta arrivata a casa della Comare dei Polli, questa le disse:
"Alza il coperchio di quella pentola e guardaci dentro".
La fanciulla obbedì, ma non accadde nulla. Allora, la Comare dei Polli montò su tutte le furie e gridò:
"Torna da tua madre e dille che la pentola non bollirà mai lontano dal fuoco!":
E, il terzo giorno, la Regina in persona accompagnò Anne dalla Comare dei Polli, e, questa volta, quando la fanciulla alzò il coperchio della pentola, la sua bella testa cadde giù, e, al suo posto, le saltò sulle spalle una testa di pecora.
Così andò a consigliarsi dalla Comare dei Polli che le disse di mandarle la ragazzina l'indomani mattina presto, e si raccomandò che fosse digiuna.
E, il giorno dopo, la Regina mandò a chiamare Anne e le disse:
"Cara, va' dalla Comare dei Polli, nella valle, e chiedile un po' di uova".
Anne obbedì, ma, mentre attraversava la cucina, vide una crosta di pane, la prese e la masticò strada facendo.
Una volta arrivata a casa della Comare dei Polli, le chiese un po' di uova, così come le era stato ordinato di fare.
La Comare dei Polli le disse:
"Alza il coperchio di quella pentola e guardaci dentro".
La fanciulla obbedì, ma non accadde nulla. Allora, la Comare dei Polli le disse:
"Torna a casa da tua madre e dille di sorvegliare meglio la dispensa!"
La Regina capì che Anne doveva aver mangiato qualcosa prima di uscire, così, il mattino dopo, la sorvegliò attentamente finché non si allontanò, ma la Principessa incontrò dei contadini che raccoglievano piselli sul bordo della strada, si fermò a salutarli, poiché aveva un animo gentile, e accettò una manciata di piselli che mangiò lungo la via.
Una volta arrivata a casa della Comare dei Polli, questa le disse:
"Alza il coperchio di quella pentola e guardaci dentro".
La fanciulla obbedì, ma non accadde nulla. Allora, la Comare dei Polli montò su tutte le furie e gridò:
"Torna da tua madre e dille che la pentola non bollirà mai lontano dal fuoco!":
E, il terzo giorno, la Regina in persona accompagnò Anne dalla Comare dei Polli, e, questa volta, quando la fanciulla alzò il coperchio della pentola, la sua bella testa cadde giù, e, al suo posto, le saltò sulle spalle una testa di pecora.
martedì 9 maggio 2017
La Troll nel Bosco, Scandinavia
n giorno un boscaiolo stava abbattendo alberi con due suoi compagni a Hurdal.
Avevano appena rovesciato un tronco pesante quando all'improvviso dei gomitoli
rotolarono ai loro piedi.
Meravigliati, gli uomini si chiesero che cosa mai significasse.
Quando il primo di loro sollevò lo sguardo per vedere da dove erano caduti, vide
in cima all'altura una giovane donna, la cui bellezza era così accecante che il
boscaiolo dovette chiudere gli occhi.
"Non mi vuoi riportare uno dei gomitoli?", gli chiese la donna.
Il boscaiolo le si avvicinò e si accorse che era ancora più bella di quel che sembrava. Se non avesse dovuto terminare il lavoro sarebbe certamente rimasto a contemplarla. Tornò invece ad abbattere tronchi, e quando, qualche istante dopo, volse nuovamente lo sguardo alla montagna, la donna era sparita. Il boscaiolo aveva sentito parlare spesso di Huldren e Troll e sapeva bene cosa succedeva a coloro che davano troppa confidenza a questi esseri. Durante la notte si coricò perciò in mezzo ai suoi due compagni per sentirsi al sicuro, e decise di non pensare più alla troll.
Ma tutto ciò non servì a nulla, perché la donna lo rapì e lo trasportò in volo all'interno di una montagna, in un posto lussuoso e confortevole.
Per tre giorni e tre notti il boscaiolo rimase prigioniero nella montagna.
Il mattino del quarto giorno si risvegliò, tutto turbato, nel suo solito giaciglio del bosco.
"Che tu sia tornato è una bella cosa - gli dissero i suoi compagni - ma ci hai portato sufficienti provvigioni da casa?"
"Certo - rispose il boscaiolo - vi ho portato dei buonissimi tritelli".
Alcuni giorni dopo, mentre stava inserendo un cuneo in un tronco per poterlo fendere in lunghezza, una affascinante donna gli portò un piatto di tritelli, che avevano un aspetto molto invitante e fumavano belli caldi.
"Mangia", gli disse la donna, sedendosi sul tronco.
Proprio allora il boscaiolo si accorse della lunga coda che le penzolava nella fenditura del tronco.
Senza neppure toccare il piatto, estrasse il cuneo dalla fenditura, così che questa si richiuse imprigionando la coda della donna.
L'uomo cominciò poi a pregare ad alta voce, e la troll, urlando e bestemmiando, Iniziò a tirare la sua coda, e infine la strappò e volò via.
Da quel giorno il nostro boscaiolo divenne alquanto strano e cominciò a trascurare il lavoro; non aveva il coraggio di recarsi nel bosco, rischiando di incontrare la troll.
Dopo quattro anni, tuttavia, spinto dalla necessita di lavorare, tornò nel bosco. Mentre si dirigeva nel luogo stabilito, si trovò all'improvviso, senza sapere come, davanti a una casa in cui abitava una vecchia così brutta che al nostro boscaiolo vennero i brividi. Tra i ceppi d'albero giocava un bambino di quattro anni, arruffato e squamoso. La vecchia prese dalla casa un boccale d'acqua e lo porse al bimbo con queste parole:
"Su monello, vai da tuo padre e portagliene un sorso".
Il boscaiolo, a quelle parole, cominciò a tremare e fuggì terrorizzato verso il paese.
Da quel giorno, nonostante le insistenze dei compagni, non volle mai più mettere piede nel bosco.
"La Troll nel Bosco" (Scandinavia), da: "Norske Huldreeventyr og Folkesagn", di P. C. Asbjørnsen.
Da notare la scena dell'agnizione finale, comune a "La Fanciulla Senza Mani", sia la variante più antica che quella con santificazione, ma anche alle fiabe-novelle del tipo "La Moglie/Sorella Calunniata". Sembrerebbe la risposta grottesca a quel finale, in realtà, è l'esatto contrario.
"Non mi vuoi riportare uno dei gomitoli?", gli chiese la donna.
Il boscaiolo le si avvicinò e si accorse che era ancora più bella di quel che sembrava. Se non avesse dovuto terminare il lavoro sarebbe certamente rimasto a contemplarla. Tornò invece ad abbattere tronchi, e quando, qualche istante dopo, volse nuovamente lo sguardo alla montagna, la donna era sparita. Il boscaiolo aveva sentito parlare spesso di Huldren e Troll e sapeva bene cosa succedeva a coloro che davano troppa confidenza a questi esseri. Durante la notte si coricò perciò in mezzo ai suoi due compagni per sentirsi al sicuro, e decise di non pensare più alla troll.
Ma tutto ciò non servì a nulla, perché la donna lo rapì e lo trasportò in volo all'interno di una montagna, in un posto lussuoso e confortevole.
Per tre giorni e tre notti il boscaiolo rimase prigioniero nella montagna.
Il mattino del quarto giorno si risvegliò, tutto turbato, nel suo solito giaciglio del bosco.
"Che tu sia tornato è una bella cosa - gli dissero i suoi compagni - ma ci hai portato sufficienti provvigioni da casa?"
"Certo - rispose il boscaiolo - vi ho portato dei buonissimi tritelli".
Alcuni giorni dopo, mentre stava inserendo un cuneo in un tronco per poterlo fendere in lunghezza, una affascinante donna gli portò un piatto di tritelli, che avevano un aspetto molto invitante e fumavano belli caldi.
"Mangia", gli disse la donna, sedendosi sul tronco.
Proprio allora il boscaiolo si accorse della lunga coda che le penzolava nella fenditura del tronco.
Senza neppure toccare il piatto, estrasse il cuneo dalla fenditura, così che questa si richiuse imprigionando la coda della donna.
L'uomo cominciò poi a pregare ad alta voce, e la troll, urlando e bestemmiando, Iniziò a tirare la sua coda, e infine la strappò e volò via.
Da quel giorno il nostro boscaiolo divenne alquanto strano e cominciò a trascurare il lavoro; non aveva il coraggio di recarsi nel bosco, rischiando di incontrare la troll.
Dopo quattro anni, tuttavia, spinto dalla necessita di lavorare, tornò nel bosco. Mentre si dirigeva nel luogo stabilito, si trovò all'improvviso, senza sapere come, davanti a una casa in cui abitava una vecchia così brutta che al nostro boscaiolo vennero i brividi. Tra i ceppi d'albero giocava un bambino di quattro anni, arruffato e squamoso. La vecchia prese dalla casa un boccale d'acqua e lo porse al bimbo con queste parole:
"Su monello, vai da tuo padre e portagliene un sorso".
Il boscaiolo, a quelle parole, cominciò a tremare e fuggì terrorizzato verso il paese.
Da quel giorno, nonostante le insistenze dei compagni, non volle mai più mettere piede nel bosco.
J. Bauer
"La Troll nel Bosco" (Scandinavia), da: "Norske Huldreeventyr og Folkesagn", di P. C. Asbjørnsen.
Da notare la scena dell'agnizione finale, comune a "La Fanciulla Senza Mani", sia la variante più antica che quella con santificazione, ma anche alle fiabe-novelle del tipo "La Moglie/Sorella Calunniata". Sembrerebbe la risposta grottesca a quel finale, in realtà, è l'esatto contrario.
lunedì 8 maggio 2017
sabato 6 maggio 2017
Monna Bice e i Tre Figli Storpi, Emma Perodi
'era dunque molti, ma molti anni addietro, un vicario di Poppi, inviato dalla Repubblica Fiorentina, che tutti temevano in paese per la sua perfidia. Questi avea nome Bindo Sergrifi, ed era di famiglia nobilissima. La moglie di lui, madonna Bice, lo temeva più degli altri, perché, se era duro con i suoi dipendenti, si mostrava intrattabile in famiglia e non c’era caso che sorridesse mai. Oltre a questo, era avaro e sprezzante quanto mai, e non permetteva nemmeno che madonna Bice, la quale tuttavia discendeva dalla nobile famiglia degli Agli, si sedesse a mensa insieme con lui, e le faceva indossare abiti più adattati per una contadina che per una gentildonna.
Però, anche vestita poveramente, madonna Bice, giovane e amabile, era bellissima e ser Bindo era brutto come il diavolo nonostante i giustacori di velluto e di seta e le zimarre di drappo foderato di pelliccia. Quando la Repubblica inviò ser Bindo a Poppi, egli aveva da poco menato in moglie la bella madonna Bice, ma già la trattava come una serva, ed ella sopportava tutto senza mai lagnarsi, come si conviene ad una buona e devota moglie.
Multe, imprigionamenti, impiccagioni, furono gli atti con i quali ser Bindo inaugurò la sua vicarìa; madonna Bice, per conto proprio, visitava i poveri, soccorreva le famiglie dei carcerati ed aiutava tutti coloro che sapeva colpiti dalla prepotenza del marito. Questa pietà della bella donna frenava le ire dei malcontenti, e ser Bindo avrebbe dovuto ringraziarla dalla mattina alla sera per averlo, con queste sue opere caritatevoli, salvato dal coltello degli offesi. Invece non faceva altro che rimproverarla, e la povera donna doveva attendere che egli fosse partito a cavallo, per recarsi nelle case dei bisognosi e portarvi conforto.
Dopo pochi mesi che madonna Beatrice era a Poppi, mise al mondo un maschietto; ma un po’ forse per la vita disagiata, un po’ per gli spaventi avuti mentre lo portava nel seno, il bambino nacque con un piede rivoltato in dentro. Ser Bindo, appena lo vide, invece di consolare la madre piangente, disse con la sua vociaccia di disprezzo:
"Meriterebbe che lo gettassi dal merlo più alto della torre; per i deformi non ci dovrebbe essere posto nel mondo"
"Che nome gli daremo?", domandò la signora piangente.
"Quello che ti pare; per me sarà sempre lo storpio", rispose ser Bindo.
La nascita del primo figlio, che è sempre una gioia, una grandissima gioia per ogni donna, fu dunque per madonna Bice un accrescimento di pena. Il vicario, irritato dalla vista di quel povero bimbo deforme, fuggiva le stanze della moglie e aggravava la mano sui suoi dipendenti. Le condanne fioccavano, e la gente era presa dal terrore. L’eco di questo malcontento giungeva agli orecchi della povera signora, la quale, cullando il suo bambino, lo copriva di lacrime.
Però, anche vestita poveramente, madonna Bice, giovane e amabile, era bellissima e ser Bindo era brutto come il diavolo nonostante i giustacori di velluto e di seta e le zimarre di drappo foderato di pelliccia. Quando la Repubblica inviò ser Bindo a Poppi, egli aveva da poco menato in moglie la bella madonna Bice, ma già la trattava come una serva, ed ella sopportava tutto senza mai lagnarsi, come si conviene ad una buona e devota moglie.
Multe, imprigionamenti, impiccagioni, furono gli atti con i quali ser Bindo inaugurò la sua vicarìa; madonna Bice, per conto proprio, visitava i poveri, soccorreva le famiglie dei carcerati ed aiutava tutti coloro che sapeva colpiti dalla prepotenza del marito. Questa pietà della bella donna frenava le ire dei malcontenti, e ser Bindo avrebbe dovuto ringraziarla dalla mattina alla sera per averlo, con queste sue opere caritatevoli, salvato dal coltello degli offesi. Invece non faceva altro che rimproverarla, e la povera donna doveva attendere che egli fosse partito a cavallo, per recarsi nelle case dei bisognosi e portarvi conforto.
Dopo pochi mesi che madonna Beatrice era a Poppi, mise al mondo un maschietto; ma un po’ forse per la vita disagiata, un po’ per gli spaventi avuti mentre lo portava nel seno, il bambino nacque con un piede rivoltato in dentro. Ser Bindo, appena lo vide, invece di consolare la madre piangente, disse con la sua vociaccia di disprezzo:
"Meriterebbe che lo gettassi dal merlo più alto della torre; per i deformi non ci dovrebbe essere posto nel mondo"
"Che nome gli daremo?", domandò la signora piangente.
"Quello che ti pare; per me sarà sempre lo storpio", rispose ser Bindo.
La nascita del primo figlio, che è sempre una gioia, una grandissima gioia per ogni donna, fu dunque per madonna Bice un accrescimento di pena. Il vicario, irritato dalla vista di quel povero bimbo deforme, fuggiva le stanze della moglie e aggravava la mano sui suoi dipendenti. Le condanne fioccavano, e la gente era presa dal terrore. L’eco di questo malcontento giungeva agli orecchi della povera signora, la quale, cullando il suo bambino, lo copriva di lacrime.
Nikolas Gysis
La Fanciulla Perseguitata Diventa Santa
Non potevo essere così ipocrita da evitare un tipo fiabesco che non amo affatto: "La Fanciulla Senza Mani", ovvero la Fanciulla Perseguitata spinta al limite. A maggior ragione perché ho postato fiabe in cui la protagonista - apparentemente - rientra pienamente nel ruolo, tanto da essere accusata di stregoneria, e da rischiare di morire sul rogo, senza dimenticare il soggiorno "penitenziale" nella foresta.
Facile per chi sia digiuno o superficialmente nutrito di letture fiabesche confondere o apparentare, ad esempio, la protagonista delle fiabe con i fratelli trasformati in cigni o in corvi (per non parlare della Sorellina per eccellenza, Biancaneve) e quella della Fanciulla Senza Mani.
Non hanno nulla in comune.
Tanto per incominciare, la Fanciulla Senza Mani NON È la "Sorellina nel bosco", e già questo renderebbe inutile una qualsiasi discussione ancorché trattata in modo necessariamente stringato e superficiale (trattasi di un post).
Facile per chi sia digiuno o superficialmente nutrito di letture fiabesche confondere o apparentare, ad esempio, la protagonista delle fiabe con i fratelli trasformati in cigni o in corvi (per non parlare della Sorellina per eccellenza, Biancaneve) e quella della Fanciulla Senza Mani.
Non hanno nulla in comune.
Tanto per incominciare, la Fanciulla Senza Mani NON È la "Sorellina nel bosco", e già questo renderebbe inutile una qualsiasi discussione ancorché trattata in modo necessariamente stringato e superficiale (trattasi di un post).
martedì 2 maggio 2017
La Fanciulla Senza Mani, Grimm n.31, Traduzione Mia
n mugnaio era molto povero e non possedeva che il suo mulino e, sul retro, un grande melo.
Un giorno, mentre era nel bosco a far legna, gli si avvicinò uno strano vecchio e gli disse:
"Perché‚ ti spacchi la schiena a far legna? Io ti farò ricco se mi prometti quello che c'è dietro al tuo mulino".
'Che altro può essere se non il mio melo?' pensò il mugnaio; così acconsentì e promise.
Ridendo beffardamente, lo sconosciuto aggiunse:
"Fra tre anni verrò a prendermi ciò che è mio".
Quando il mugnaio tornò a casa, gli andò incontro la moglie e gli disse:
"Uomo, da dove viene tutta la ricchezza che è comparsa in casa nostra? Ceste, casse e madie si sono riempite di ogni ben di Dio, senza che nessuno sia venuto a portar nulla!"
Il mugnaio rispose:
"Uno strano vecchio che ho incontrato nel bosco ha promesso di farmi ricco. In cambio ha voluto ciò he abbiamo dietro il mulino. Possiamo ben dargli il vecchio melo in cambio di quest'abbondanza!"
"Ah, marito! - gridò la donna, atterrita - Quel vecchio doveva essere il Diavolo! E non intendeva certo il melo, ma nostra figlia che, stamane, spazzava il cortile dietro il mulino".
La figlia del mugnaio era una fanciulla buona quanto era bella, e, il giorno in cui il Maligno sarebbe venuto a prendersela, si lavò per bene e tracciò con il gesso un cerchio intorno a sé.
Il Diavolo comparve di buon mattino, ma non poté avvicinarla.
Furioso, ordinò al mugnaio:
"Portale via l'acqua, che non possa più lavarsi, così l'avrò in mio potere".
Terrorizzato, il mugnaio obbedì.
Il giorno dopo, il Diavolo ritornò, ma la fanciulla aveva pianto tanto che le lacrime copiose avevano lavato le sue mani, che erano pulitissime.
Così il Diavolo non poté avvicinarsi neanche questa volta, e, montato in gran collera, disse al mugnaio:
"Tagliale le mani, altrimenti non posso toccarla".
Ma il padre, inorridito, rispose:
"Come posso tagliare le mani a mia figlia?"
Allora, il Maligno lo minacciò dicendo:
"Se non lo fai, sarai mio e prenderò te al posto suo".
In preda al terrore, il padre promise che gli avrebbe obbedito. Poi, andò dalla figlia e le disse:
"Bambina mia, se non ti mozzo le mani, il Diavolo ha detto che mi porterà via, e, spaventato, gli ho promesso di farlo. Ti prego, aiutami e perdonami".
La fanciulla rispose:
"Padre mio, fate di me ciò che volete: sono vostra figlia".
Gli porse le mani e lasciò che gliele mozzasse.
Un giorno, mentre era nel bosco a far legna, gli si avvicinò uno strano vecchio e gli disse:
"Perché‚ ti spacchi la schiena a far legna? Io ti farò ricco se mi prometti quello che c'è dietro al tuo mulino".
'Che altro può essere se non il mio melo?' pensò il mugnaio; così acconsentì e promise.
Ridendo beffardamente, lo sconosciuto aggiunse:
"Fra tre anni verrò a prendermi ciò che è mio".
Quando il mugnaio tornò a casa, gli andò incontro la moglie e gli disse:
"Uomo, da dove viene tutta la ricchezza che è comparsa in casa nostra? Ceste, casse e madie si sono riempite di ogni ben di Dio, senza che nessuno sia venuto a portar nulla!"
Il mugnaio rispose:
"Uno strano vecchio che ho incontrato nel bosco ha promesso di farmi ricco. In cambio ha voluto ciò he abbiamo dietro il mulino. Possiamo ben dargli il vecchio melo in cambio di quest'abbondanza!"
"Ah, marito! - gridò la donna, atterrita - Quel vecchio doveva essere il Diavolo! E non intendeva certo il melo, ma nostra figlia che, stamane, spazzava il cortile dietro il mulino".
La figlia del mugnaio era una fanciulla buona quanto era bella, e, il giorno in cui il Maligno sarebbe venuto a prendersela, si lavò per bene e tracciò con il gesso un cerchio intorno a sé.
Il Diavolo comparve di buon mattino, ma non poté avvicinarla.
Furioso, ordinò al mugnaio:
"Portale via l'acqua, che non possa più lavarsi, così l'avrò in mio potere".
Terrorizzato, il mugnaio obbedì.
Il giorno dopo, il Diavolo ritornò, ma la fanciulla aveva pianto tanto che le lacrime copiose avevano lavato le sue mani, che erano pulitissime.
Così il Diavolo non poté avvicinarsi neanche questa volta, e, montato in gran collera, disse al mugnaio:
"Tagliale le mani, altrimenti non posso toccarla".
Ma il padre, inorridito, rispose:
"Come posso tagliare le mani a mia figlia?"
Allora, il Maligno lo minacciò dicendo:
"Se non lo fai, sarai mio e prenderò te al posto suo".
In preda al terrore, il padre promise che gli avrebbe obbedito. Poi, andò dalla figlia e le disse:
"Bambina mia, se non ti mozzo le mani, il Diavolo ha detto che mi porterà via, e, spaventato, gli ho promesso di farlo. Ti prego, aiutami e perdonami".
La fanciulla rispose:
"Padre mio, fate di me ciò che volete: sono vostra figlia".
Gli porse le mani e lasciò che gliele mozzasse.
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