martedì 15 aprile 2014

Sfortuna, Fiaba Siciliana Raccolta dal Pitrè

na volta si racconta che c'era un re e una regina; questo re e questa regina avevano sette figlie femmine, e la più piccola si chiama Sfortuna. Al padre fu dichiarata una gran guerra; perse, lo tolsero dal trono e lo presero prigioniero. Mentre il re era prigioniero, i suoi vennero a perdere anche la casa. La regina dovette lasciare il palazzo e si dovette affittare una casa al risparmio. Le cose andavano sempre peggio e si ridussero a uno stato che era un miracolo se avevano da mangiare.
Un giorno passò un fruttarolo, la regina lo chiamò per comprare due fichi; mentre comprava questi fichi, passò una vecchia e le domandò la carità:
"Ah!Vecchia madre, - disse la regina - se io potessi, altro che carità vi farei, ma non posso ché sono poverella!"
"E come mai siete poverella?" le domandò la vecchia.
"Ah!Vecchia madre, non sapete che sono la regina di Spagna e per una guerra che fecero a mio marito sono sprofondata nella più nera sfortuna?"
"Poverina! Avete ragione. Ma lo sapete il motivo per cui ogni cosa vi va storta? In casa avete una figlia che è davvero sfortunata e non avrete più lustro finché lei sarà in casa."
"Allora è mia figlia che devo mandare via?"
"Sissignora."
"E qual è la figlia sfortunata?"
"Quella che dorme con le mani incrociate, quella dovete mandar via. Mandate via lei, riavrete il regno che avete perduto."

Anker A.

A mezzanotte la regina pigliò un lume e passò accanto a tutte le figlie, nessuna aveva le mani incrociate. All'ultimo trovò Sfortuna con le mani incrociate.
"Ah! Figlia mia, proprio te devo mandar via?!" E, mentre diceva così, Sfortuna si svegliò, vide sua madre e gli occhi che le piangevano. "Che avete, mamma?" "Niente, figlia mia. È venuta una vecchia, così e così e mi ha detto che posso avere ricchezze soltanto se mando via da casa la figlia sfortunata che dorme con le mani in croce... e questa sfortunata sei tu!"
"E piangete per questo? - disse Sfortuna - ora mi vesto e me ne vado." Si vestì, si fece il fagotto e se ne andò.
Cammina cammina arrivò in un posto solitario dove c'era una sola casa di un solo piano. In questa casa terragna sentì tessere e guardò dentro. Una di quelle che tessevano disse: "Vuoi entrare?"
"Sissignora" le disse Sfortuna.
"E ci vuoi servire?"
"Sissignora!" E si mise a scopare e a lavorare.
La sera, le donne le dissero:
"Senti Sfortuna, noialtri la sera usciamo e ti chiudiamo dal di fuori, poi tu ti chiudi da dentro. E quando noi torniamo tu ci apri; ma sta attenta che non rubino la seta, i ricami e ciò che abbiamo fatto." E se ne andarono.
Arrivata mezzanotte Sfortuna sentì un fruscio di forbici e vide una donna che con le forbici tagliava tutta la roba d'oro dal telaio; e questa era la sua mala sfortuna. All'indomani vennero le padrone; aprirono di fuori e lei aprì da dentro; entrarono e come videro tutta questa vendetta per terra: "Ah! Svergognata, questa è la ricompensa per quello che ti abbiamo fatto!... Fuori!" E con un calcio la buttarono fuori.
La sventurata cominciò a camminare per la campagna. Entrò in un paese, si fermò davanti a una bottega dove si vendeva pane, legumi, vino e tante altre cose. Domandò la carità, e la padrona della bottega le diede un bel pezzo di pane, un po' di formaggio e un bicchiere di vino. La sera, le fece pena e la fece restare dentro alla bottega in mezzo a un po'di sacchi. Ritornò il marito, mangiarono e si coricarono. La notte sentirono un chiasso del diavolo: le botti tutte stappate e il vino sparso per tutta la casa. Il marito, vedendo questo disastro, si alzò e vide la ragazza, coricata, che si lamentava: "Ah! Svergognata, a far questo devi essere stata tu!" Pigliò un bastone e glielo ruppe in testa e la mandò via. La poveretta, piangendo, se ne andò senza sapere dove andare né dove sbattere. Quando fu chiaro, vide in un campo una donna che lavava:
"Che hai che guardi?"disse questa donna.
"Mi sono persa."
"E sai lavare?"
"Sissignora ."
"Allora resta qui a lavare con me; io lavo col sapone e tu risciacqui."
Poverina, lei cominciò a risciacquare la roba e poi si mise a stendere. Quando si asciugava lei la stirava. Poi si mise a rammendarla, poi la inamidò e alla fine la stirò. Diciamo che questa roba era del reuccio. Come il reuccio la vide gli parve assai bella. "Signora Francesca - disse - quando mai m'avete fatto così le cose!? Per questo, vi voglio fare un regalo." E le diede dieci monete.


Anker A.

La signora Francesca con queste monete vestì bella pulita Sfortuna; poi comprò un sacco di farina e fece il pane e in mezzo agli altri ne fece due con granelli di anice che sembravano dire Mangiami Mangiami.
L'indomani si rivolse a Sfortuna e le disse: "Con questi due con l'anice vai in riva al mare e chiama la mia sorte: 'Ah! Sorte della signora Francesca, Sorte della signora Francesca ' per tre volte. Alla terza volta lei s'affaccia, le dai un pane e me la saluti. Poi ti fai insegnare dove sta la tua sorte e lei te lo mostra."
Sfortuna ticch ticch , se ne andò in riva al mare. "Ah! Sorte della signora Francesca! Ah! Sorte della signora Francesca! Ah! Sorte della signora Francesca!!!"
Venne la Sorte della signora Francesca e Sfortuna le fece l'ambasciata e le diede la ciambella. Poi le disse: "Sorte della signora Francesca, vossia, mi volete fare la carità di insegnarmi dove sta la mia sorte?"
"Ascolta che devi fare: piglia questa viuzza: cammina un pezzo, poi trovi un forno, vicino allo scopazzo c'è una vecchia smagarata, prendila con le buone; dalle la ciambella: quella è la tua sorte. Se vedi che quella ti fa dei cattivi sgarbi e non la vuole, tu lasciala e vattene."
Sfortuna andò, arrivò al forno, trovò la vecchia e le faceva pure ribrezzo a vederla, tanto era sporca, puzzolente, cisposa e brutta. Le diede il pane e le disse: "Sorticella mia, prendilo!"
"Vattene, vattene! Che non voglio il pane" disse la vecchia e le voltò la faccia. Sfortuna posò la ciambella e se ne andò e tornò dalla signora Francesca. L'indomani era la fine della settimana e si misero a lavare la roba: la signora Francesca ammollava e insaponava e lei lavava e risciacquava. Come fu asciutta, Sfortuna la rammendò e la stirò. La signora Francesca la mise in una canestra e la portò a palazzo. Il re come la vide disse: "Signora Francesca, ma me la volete contare giusta; queste cose non me le avete mai fatte così". E le diede come ricompensa dieci monete.
La signora Francesca comprò dell'altra farina e dell'altra anice per la sua sorte e mandò Sfortuna con l'ordine di dargliela e poi prenderla con le buone, lavarla, pettinarla, magari per forza. Era ora di preparare la roba, la signora Francesca la portò al re quando fu pronta. Il reuzzo si doveva maritare, e siccome doveva maritarsi gli piaceva che la roba gli venisse così ben fatta; e gli diede una ricompensa di venti monete. La signora Francesca comprò dell'altra farina per il pane, e una bella veste con il suo scialle, la sua gonnella, i suoi fazzoletti fini, il profumo, un pettine e altre bagatelle per la sorte di Sfortuna. Fecero una ciambella. Sfortuna la prese e andò al forno.
"Ah! Sorticella mia, tieni qua, questa ciambella."
La prese, si mise a strofinarsela con la spugna e il sapone, e la pettinò bella pulita. "Senti, Sfortuna - disse la vecchia - per 'sto bene che m'hai fatto ti do questa scatolina per i tuoi bisogni." Era una scatolina come quella dei cerini.
Sfortuna volò a casa della signora Francesca, aprì la scatolina e trovò un palmo di gallone. "Uh! - disse - chissà che mi credevo che fosse!" E lo gettò nel fondo del cassetto. La settimana dopo, lavarono dell'altra roba e la signora Francesca andò a palazzo. Il re era arrabbiato perché nel vestito da matrimonio della fidanzata mancava un palmo di gallone, e in tutto il regno non se ne trovava uno uguale.
Entrò la signora Francesca: "Che avete Reuzzo?"che la signora Francesca era in confidenza con il reuccio.
"E che devo avere? Mi devo sposare e all'abito da matrimonio della sposa manca un palmo di gallone e non si trova."
"E sua maestà, vi confondete? Ora ci penso io!" E che fece? Andò a casa, prese il pezzo di gallone gettato nel fondo del cassettone e glielo portò. Lo fanno combaciare, era lo stesso.
Disse il reuzzo: "Per questa difficoltà da cui mi hai levato voglio pagarti questo pizzo a peso d'oro." Pigliò una bilancia, da una parte ci mise il pizzo, dall'altra l'oro. Ma il gallone non si pareggiava mai. Piglia una stadera; stessa cosa. "Signora Francesca, me la dovete contare giusta... Non può essere che questo pezzettino di pizzo pesi tanto. Di chi è?"
La signora Francesca, stretta a mal partito, gli raccontò tutto il fatto. Il re volle vedere Sfortuna e la signora Francesca la fece vestire bella pulita, che la roba gliel'aveva comprata andando avanti, e gliela portò.


                                                       Anker A.

Come Sfortuna entrò nella camera reale fece una bella riverenza (che l'educazione non le mancava, era figlia di re!). Il reuzzo la salutò e la fece sedere. Poi le chiese: "E tu chi sei?"
"Io sono Sfortuna, la figlia piccola del re di Spagna, quello che fu cacciato dal trono e fu preso prigioniero. La mia mala ventura mi ha fatto andare spersa per il mondo, soffrendo mali disprezzi e bastonate." E gli raccontò tutto. Il re fece chiamare subito quelle che avevano tessuto i ricami a cui poi la mala sorte l'aveva tagliato con le forbici e chiese loro quanto erano costati quei pizzi. Loro gli dissero, mettiamo, duecento monete; allora lui disse: "Questa povera giovane che avete bastonato, era figlia di re; pensate che 'ste cose, di dare bastonate, non si fanno. Avanti!"
Fece chiamare quelle a cui si erano rotte le botti del vino e gli chiese il danno che aveva avuto: "Trecento monete." E il reuccio pagò trecento monete e disse:
"Un'altra volta, 'sta cosa di dar bastonate a una figlia di re, non si fa. Avanti!"
Poi lasciò l'altra fidanzata e si sposò con Sfortuna, e per dama di corte si prese la signora Francesca. Lasciamo il reuccio bello contento e prendiamo la madre di Sfortuna. Dopo la partenza della figlia, la ruota si voltò in suo favore e la stessa cosa successe ai fratelli e ai nipoti che con la forza armata ripresero il regno. La regina con tutti i suoi figli tornò ad abitare nel palazzo antico e là stavano con tutte le belle comodità; ma sempre in pena per Sfortuna, ché di lei non ne sapevano né di nuove né di vecchie. Cerca di qua,dà una voce di là, alla fine seppero l'una dell'altra dov'erano. E come? Il reuzzo come seppe che la madre di Sfortuna aveva vinto il regno, le mandò un ambasciatore e le fece sapere tutto. Considerate la contentezza della madre. Ci andò con cavalieri e dame di corte. Come vide sua figlia le si attaccò al collo e non la lasciò più. Poi vennero le sorelle, considerate pure la sua contentezza; e fecero una festa grande per tutto il regno, e restarono felici e contenti.


Raccontata da Agatuzza Messia, Palermo
Raccolta da Giuseppe Pitrè, n86
Tradotta dalla lingua siciliana da Cecilia Codignola.

Il testo in lingua originale è nella Pagina: "Fiabe Popolari - Italia"




Maclise D.

Calvino scrittore non si discute (almeno, io non lo farò sicuramente) ma come autore della più popolare raccolta di fiabe italiane... Dio lo perdoni! Non ricorrerò alla sua macedonia di frutta se non costretta ...Questa fiaba è la numero 149 della sua raccolta e, se non avessi avuto a portata di mano la fedele traduzione dell'originale, non l'avrei proposta qui. Anche se, per la verità, in questo caso, è stato insolitamente rispettoso (Anche perché aveva pochissime varianti da impastrocchiare insieme per creare una specie di fiaba-Frankenstein).

Queste le sue osservazioni su "Sfortuna":
"Una delle più struggenti fiabe meridionali è questa della ragazza perseguitata dalla sua mala sorte, che porta sfortuna a sè e agli altri. Contro il costume di considerare ostilmente la persona portatrice di jettatura, qui essa è vista con profonda pietà, nel quadro di un culto individuale della Sorte, cui vengono tributate offerte votive e impetrate grazie. Della capricciosa psicologia delle Sorti, gli uomini sono in balìa: di scorcio la Messia tratteggia magistralmente il carattere della Sorte cattiva e pazza della protagonista. Ma i personaggi più belli della Messia vengono fuori da tipi come la lavandaia caritatevole, maestra del Culto delle Sorti, vista con così solida simpatia...."

È profondamente sbagliato focalizzare l'attenzione sulla "jettatura"...In questa fiaba, come in moltissime altre, soprattutto meridionali, si parla di Fato, di Destino e di Predestinazione. Sfortuna, (ingenuamente grottesca la scelta del nome), è, in realtà, la Predestinata, quella che, con l'intreccio delle sue vicende, incontrerà un destino di felicità e ricchezza che si estenderà a tutta la sua famiglia. Fiabe simili a questa le ho lette solo in raccolte arabe, non a caso. Ma lì il concetto di fondo è totalmente diverso, o lo è diventato dopo l'avvento dell'Islam ...Una delle virtù prettamente femminili più preziose è la saabr', ovvero la pazienza incrollabile con cui si affrontano le avversità. Ovviamente, l'antico Fatalismo che la rende cugina della fiaba siciliana è ancòra chiaramente leggibile.

Mab's Copyright

Nessun commento: