martedì 10 gennaio 2017

Kalevala: le Vergini Ilmatar e Marjatta e i Loro Figli Divini

Il Kalevala (ovvero Terra degli Eroi)  è una raccolta di rune finniche che narrano le avventure di tre personaggi favolosi, tre Eroi dalle origini divine.
Questo monumento letterario nazionale, conservatisi solo grazie alla trasmissione orale fu raccolto e trascritto da un medico finlandese, Elias Lonnrot, e pubblicato nel 1835. Nel corso dei secoli, e soprattutto con l'avvento del Cristianesimo (1150), la trasmissione non scritta determinò la contaminazione dell'originario carattere magico e cosmico dei miti, che riflettevano la spiritualità "animistica e sciamanica" delle popolazioni finniche.
Così, gli antichi Eroi, gli antichi Dèi, personificazione dei Miti della Natura, furono costretti ad allontanarsi per sempre, come i Túatha Dé Danann, gli Dèi luminosi d'Irlanda, che lasciarono l'Isola sacra o si confusero con il preesistente popolo magico abitatore dei Tumuli, dopo l'invasione vittoriosa degli Uomini e del loro nuovo Dio.





n principio era Ilmatar/Luonnotar, unico Essere, figlia dell'Aria e discesa sulle onde del Mare. Fecondata dal Vento, vagò a lungo, settecento dei nostri anni, senza poter partorire il figlio che portava in grembo. Il Figlio non può nascere perché il Mondo che deve accoglierlo non è stato creato. E un'anatra si posò sul suo ginocchio e nidificò, ma Ilmatar mosse il ginocchio e le uova rotolarono e caddero, e si ruppero, e dai loro frammenti nacquero il Cielo, la Terra, il Sole, la Luna, le Stelle e le Nuvole. In seguito, Ilmatar creò gli abissi marini, le terre sommerse e le terre emerse, i promontori e le montagne. E, finalmente, partorì Väinämöinen, che nacque già vecchio, e trascorsero altri sette anni, e Väinämöinen era in balìa delle onde.




Infine, toccò la terraferma. Si trascinò puntando i gomiti, si rizzò sulle ginocchia, si alzò in piedi, rimirò il Sole, la Luna, le Stelle, la Terra. Ma tutto era brullo e arido intorno a lui. Allora, ordinò a Sampsa Pellervoinen di fecondare la terra.  E nacquero gli alberi, ma un'enorme quercia crebbe tanto da oscurare perennemente il Sole e la Terra giacque nelle tenebre. Väinämöinen abbattè la quercia e tornò la Luce, e la terra si ricoprì di erba e di nuovi germogli. Väinämöinen piantò l'orzo, che maturò in soli sette giorni. E, come i Poeti celtici creatori di mondi con il potere della Parola, Väinämöinen, figlio dell'Unica, creò il mondo per gli uomini con la forza del suo Canto evocatore. E fu onorato tra gli uomini per la sua saggezza e per la potenza del suo canto. In principio, era il Verbo.




Väinämöinen, figlio dell'Unica, abbandona l'ingrato mondo degli uomini nel cinquantesimo runo del Kalevala, che narra la storia della vergine-madre Marjatta. Marjatta concepisce il suo bambino ingoiando una bacca, il nuovo Bambino divino, perseguitato e condannato a morte dal vecchio Virokannas, che, in seguito, pentitosi, lo consacra re di Carelia, incarna e rappresenta il Signore della nuova età del mondo. Non c'è più posto per Väinämöinen. Sdegnoso esiliato e sprezzante esule volontario salpa per le Terre al di là dell'orizzonte conosciuto.
Ma il suo sdegno e la sua amarezza non lo trattengono dal promettere agli uomini il suo ritorno quando essi avranno bisogno di un nuovo sampo, di un nuovo sole e di una nuova luna. Né Väinämöinen li priva del kantele e del ricordo dei suoi Canti perché il nuovo ordine non oscuri completamente la fierezza delle loro origini.

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arjatta era una bella fanciulla che visse a lungo nella dimora del padre e conservò la sua innocenza e si mantenne sempre casta.
Si nutriva di pesce fresco, soffice pane di scorza  ma si rifiutava di mangiare le uova di gallina, perché fecondate dal gallo, così come la carne di pecora che si era unita al montone.
Quando la madre le ingiungeva di andare a mungere, essa si rifiutava dicendo:
"Non toccherei mai le mammelle di una mucca che è stata montata da un toro: le sfiorerei solo se si potesse mungere una giovenca". Lo stesso accadeva quando il padre le ordinava di attaccare lo stallone alla slitta oppure quando le si portava una cavalla. Il suo rifiuto si esprimeva in questi termini:
"Non aggiogherò al carro una cavalla che ha conosciuto la lussuria dello stallone; voglio che a tirare il mio carro siano puledri non più vecchi di un mese".
Marjatta, che continuava a serbare la sua castità, fu messa a custodire il bestiame e mandata a pascere il gregge. Salì su una collina, attraversò il bosco, passeggiò per una macchia di ontani mentre un cuculo levava il suo richiamo. Marjatta guardò e tese l'orecchio, mentre stava seduta su un monticello ricco di bacche, sul pendio del monte. Infine disse queste parole:
"Canta o cuculo! Fai risuonare il tuo canto e dimmi per quanto tempo ancora andrò a capo scoperto come fanciulla, come pastorella per queste grandi pianure e per questi verdi e immensi boschi. Uno, due, cinque o persino per dieci estate ancora? Oppure soltanto fino all'autunno?".
Il suo lavoro da pastorella doveva durare ancora a lungo, ed era duro il lavoro da pastorella, soprattutto per una fanciullina.
Un giorno, udì una bacca che la chiamava dalla collina:
"Vieni a prendermi, o fanciulla, vieni a raccogliermi prima che i vermi e le lumache mi mangino. Già centinaia di persone mi sono passate accanto e molte altre ancora mi si sono sedute accanto, ma nessuno mi ha mai toccato né mi ha raccolto".
Marjatta fece un tratto di strada per andare a vedere la bacca e la trovò sul pendio. Sembrava proprio una bacca, ma era troppo in alto per raccoglierla da terra e troppo bassa per cercare di prenderla da un albero. Raccolse un ramo e con quello fece cadere la bacca al suolo. Ma la bacca, inaspettatamente, incominciò a salire lungo le calzature di cuoio della fanciulla, dalle scarpe fino alle ginocchia, dalle ginocchia alle pieghe del grembiule. Salì quindi sulla cintura, poi dalla cintura al petto, da qui al mento, poi sulle labbra ed infine scivolò dentro la bocca, rotolò sulla lingua, poi nella gola per scendere nel suo ventre.
Fu così che la casta e pudica Marjatta fu fecondata da quella bacca; cominciò a gonfiarsi e diventò più grossa in tutta la persona. Cominciò a non cingersi più la vita, a portare la veste sciolta, a recarsi segretamente nella stanza della sauna, e a scivolare via nel buio. La madre, molto preoccupata, cominciò a chiedersi:
'Cosa avrà mai la nostra piccola? Perché la nostra colombella non si cinge più la vita e porta la veste sciolta? Perché visita segretamente la stanza della sauna e scivola nel buio?'.
Un bambino provò a suggerire che questo atteggiamento fosse dovuto alla lunga permanenza sui monti a pascolare le pecore e alle lunghe ore di solitudine. Ma il motivo reale non era questo; la fanciulla non sapeva come avrebbe potuto spiegare questo suo stato, che risultava incomprensibile anche a lei.
Marjatta portò avanti la sua gravidanza per nove mesi, e al termine della decima luna, la fanciulla fu presa dalle doglie,  il ventre si fece più teso, provocandole forti dolori. La ragazza chiese alla madre di prepararle la stanza della sauna:
"Cara madre, preparatemi un luogo caldo, un posto appartato che mi serva da riparo e che dia sollievo alle mie doglie".
A queste parole la madre fu presa da un attacco d'ira e sbottò:
"Che la sventura ricada su di te, puttana! A chi ti sei concessa? A un uomo senza moglie o a un eroe sposato?"
La fanciulla, proclamando la propria innocenza, rispose:
"Non mi sono concessa mai a nessun uomo; sono andata a cogliere le bacche, colsi quella che mi piacque, poi mi salì sulla lingua, mi scivolò in gola, mi scese nello stomaco. Perciò fui fecondata e per quella bacca rimasi incinta".
Davanti al rifiuto della madre, la fanciulla si rivolse al padre, ma non ebbe accoglienza migliore. Anzi fu ancora più duro della madre:
"Vai via da me, puttana; tu sei una donnaccia degna del fuoco, vai a sgravare i tuoi piccoli nelle caverne dell'orso, nei suoi antri di pietra, sgualdrina!".
A quest'ennesimo rifiuto, la fanciulla disse:
"Non sono affatto una sgualdrina, né una puttana degna del fuoco. Metterò al mondo il Grande Uomo, darò vita alla nuova progenie che dominerà i potenti, vincerà persino Vainamoinen!".
In preda all'angoscia, scacciata di casa e non sapendo dove andare, chiamò la sua ancella e disse:
"Pillti, mia piccola e fedele ancella, vai al villaggio a chiedere un bagno, domanda una sauna a Sarajas, dove una sventurata possa trovare ristoro e sollievo alle sue doglie. Fai in fretta, perché il bisogno è sempre più pressante! Chiedi a Ruotus, la sauna nei dintorni di Sarajas".
Pillti, la piccola ancella, uscì svelta e leggiadra come una bruma, raccolse la tunica con le mani, prese i lembi delle vesti e cominciò a correre verso la dimora di Ruotus. Giunta a destinazione, trovò Ruotus che mangiava e beveva, seduto a capo tavola, vestito della sola camicia, soltanto del camice di lino. Ruotus parlava mentre mangiava e chiese alquanto infastidito:
"Che mi racconti, miserabile, perché sei venuta qui?".
L'ancella, di rimando, disse:
"Cerco un bagno nel villaggio, una sauna a Sarajas dove una povera fanciulla possa trovare ristoro e soccorso in un momento di così grande bisogno".
In quel mentre giunse la brutta moglie di Ruotus, le mani sui fianchi, passeggiando nel centro della stanza, che si mise a chiedere:
"Per chi cerchi un bagno, per chi chiedi soccorso?".
Spiegata la situazione, la piccola ancella dovette subire ancora altri insulti:
"Non c'è stanza da bagno disponibile per un'estranea, nessuna sauna all'ingresso di Sarajas. C'è un bagno sulla terra bruciata, una stalla in mezzo alla macchia dei pini, dove quella sgualdrina può partorire: il soffio caldo del suo cavallo sarà il vapore del suo bagno".
La piccola ancella tornò in fretta sui suoi passi, corse fino a casa e, tutta trafelata, disse:" Al villaggio, la brutta moglie di Ruotus mi ha detto che non c'è alcun posto disponibile per una sgualdrina".
Marjatta, a questo punto, scoppiò in lacrime, poi, ripresasi, disse:
"Dovrò andare come se fossi una schiava, una serva salariata, sulla terra riarsa, in mezzo alla macchia dei pini!".
Sollevò le pieghe della veste, raccolse i lembi nel pugno, prese un mazzetto di fronde di betulle, un tenero fascio per ripararsi, e così si incamminò con passo svelto, tra i dolori acuti delle doglie, verso la capanna tra i pini, verso una stalla. Giunta in quel luogo, si inginocchiò e prese a pregare:" Vieni a proteggermi, Creatore, Dio benigno, soccorrimi in questa prova dolorosa , in quest'ora di angoscia! Liberami dal tormento e dalle doglie così che non soccomba tra le pene e non perisca tra gli spasimi". Poi, rivoltasi al cavallo, disse:" Ora respira, buon cavallo, soffia forte, spandi il vapore come se fosse una sauna, il calore propizio del bagno, affinché abbia ristoro e sollievo".
Il buon cavallo sbuffò e soffiò forte sul ventre indolenzito della fanciulla; il caldo fiato del cavallo riuscì a sostituire in parte il vapore della sauna e Marjatta, la pura vergine, poté bagnarsi in quel vapore quanto ebbe bisogno. Fu così che mise al mondo un bambinello, un innocente fanciullo, sulla paglia del cavallo, nella greppia. Poi lavò il suo piccolo, lo avvolse in fasce di lino, prese il fanciullo sulle ginocchia e lo strinse al seno. Tenne nascosto il figlio e si prese cura del suo tesoro: la mela d'oro e il bastone d'argento. Mentre lo teneva in grembo per pettinarlo, il piccino inavvertitamente saltò dalle ginocchia e fuggì dalla madre.
La povera fanciulla fu presa da un grande affanno, lo rincorse, cercò a lungo il suo bambino. Lo cercò sui colli, tra le pinete, tra i cespugli e le brughiere, frugando in ogni landa, ma non riusciva a trovarlo. Procedeva assorta, camminando con passo lieve, quando una stella le si fece incontro.
Inchinatasi ad essa, la fanciulla disse:
"Cara stella, non sai nulla del mio bambino e dove io possa trovarlo?"
La stella rispose:
"Se lo sapessi non lo direi. Io sono stata creata da lui per vivere questi tristi giorni, brillare in luoghi freddi, scintillare in luoghi oscuri".
La fanciulla riprese il suo cammino e s'imbattè nella Luna, a cui pose la stessa domanda; ma anche questa rispose negativamente alla sua richiesta:
"Se lo sapessi non lo direi. Proprio da lui sono stata creata per vivere questi tristi giorni, vegliare solitaria la notte e stare coricata durante il giorno".
La fanciulla camminò ancora per molto tempo, quando le si fece incontro il Sole, il quale alla sua domanda rispose:
"Certamente so del tuo bambino. Sono stato creato proprio da lui per questi giorni lieti, perché mi ammantassi d'oro. Ecco dove è il tuo piccino, è in quel pantano, immerso fino ai fianchi".




Marjatta cercò il fanciullo nel pantano, lo trovò e lo portò a casa. Qui allevò il suo bambino di cui nessuno conosceva il nome né sapeva come chiamarlo; la madre lo chiamava Fiorellino, gli altri Fannullone. Allora si cercò qualcuno che gli desse un nome, qualcuno che lo battezzasse. Ad assolvere questo compito si presentò un vecchio di nome Virokannas, il quale disse:"Io lo farò volentieri, ma non voglio fare un cristiano di un miserabile, per cui voglio prima che sia esaminato e giudicato."
A esaminare la questione venne il vecchio Vainamoinen, il quale pronunciò questa sentenza:
"Se il bambino fu tratto da un pantano e se fu concepito da una bacca della landa, bisogna che sia messo nella terra accanto a un monticello ricco di bacche, oppure sia sprofondato nel fango e colpito al capo con un bastone".
A queste parole il fanciullo, che aveva soltanto due settimane di vita, disse:
"Vecchio sciagurato, misero e stupido vegliardo! Hai espresso male il tuo giudizio, hai giudicato da stolto e hai applicato male la tua legge. Per ragioni ben più gravi e per azioni di gran lunga peggiori tu non fosti portato al pantano e colpito alla testa con un bastone. Hai forse dimenticato quando, più giovane, consegnasti il figlio di tua madre per salvare la tua testa e riscattare la tua persona? Né fosti gettato nel pantano quando annegasti nelle profondità dei flutti e nella nera melma delle giovani fanciulle".
A queste parole Virokannas non frappose più alcun indugio e decise di battezzarlo, consacrandolo re di Carelia e guardiano di tutto il regno. Allora Vainamoinen fu preso dalla collera e dal dispetto: si allontanò da quel luogo e s'incamminò verso la riva del mare, dove diede voce ai suoi magici canti.
Cantò un'ultima volta: evocò un battello, una barca di rame, sedette a poppa e si allontanò sulle acque chiare. Mentre andava, pronunciò ancora queste parole:
"Lasciate che trascorra il tempo, verrà il giorno in cui avranno ancora bisogno di me, mi cercheranno e mi attenderanno perché io rechi un nuovo Sampo*, fabbrichi un nuovo strumento, porti una nuova luna, conduca un altro sole, quando saranno spariti luna e sole e il mondo sarà privo di gioia, come è già avvenuto".
Quindi il vecchio Vainamoinen si mosse verso il largo con il suo splendido scafo di rame: si spinse fino agli orizzonti più lontani, fino alle regioni più basse del cielo, dove arrestò il suo battello, mettendo fine al lungo viaggio, e lasciando dietro di sé il suo kantele, il bello strumento, alla sua Finlandia, l'eterna gioia al suo popolo, i nobili canti ai figli della sua stirpe. Furono le sole cose che rimasero del vecchio Vainamoinen; nessuno seppe dire se egli avrebbe mai fatto ritorno, è certo però che da quel giorno non si sentì più parlare delle sue imprese, dei suoi prodigi, delle sue magie e dei suoi meravigliosi canti.





*Sampo: un oggetto magico descritto come un mulino a forma di tripode dal coperchio variopinto, che, da un lato, macinava farina, da un secondo, sale, dal terzo, denaro, tutti in quantità illimitata.

La storia di Marjatta e del nuovo Bambino Divino che scaccia gli Antichi è narrata da Erberto Petoia in "Miti e leggende del Medioevo".



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