martedì 18 febbraio 2014

La Superbia Punita, G.B. Basile, Giornata Quarta, Cunto Decimo

Il Re di Belpaese, disprezzato da Cinziella, figlia del Re di Solcolungo, dopo aver preso di lei gran vendetta riducendola a mali termini, la fa sua moglie.


'era una volta un Re di Solcolungo, che aveva una figlia chiamata Cinziella, bella come una Luna, ma nella quale ogni dramma di bellezza era contrappesato da una libbra di superbia. Cosicché, non facendo essa stima di persona alcuna, non era possibile che il povero padre, il quale desiderava collocarla, trovasse marito, per buono e grande che fosse, che riuscisse a lei di soddisfazione. Fra tanti principi, che erano concorsi a chiederla in moglie, ci fu il Re di Belpaese, il quale non tralasciò cosa alcuna per cattivarsi l'amore di Cinziella. Ma non tanto esso le faceva buon peso di servitù, quanto quella gli ricambiava cattiva misura di premio; non tanto esso le dava buon mercato dei suoi affetti, quanto quella gli mostrava carestia di volontà; non tanto le era liberale dell'anima, quanto quella gli era scarsa di cuore.

"Sabina", M. Cheval

E non c'era giorno che il pover'uomo non le dicesse:
"Quando, o crudele, fra tanti cocomeri di speranze, che, al coglierli, mi sono riusciti zucche, ne troverò uno rosso? Quando, o cagna spietata, cesseranno le tempeste della tua crudeltà, e io potrò con vento prospero dirizzare il timone dei disegni miei al tuo bel porto? Quando, dopo tante scalate di scongiuri e di preghiere, pianterò lo stendardo dei desideri miei sulle mura di cotesta bella fortezza?".
Ma erano tutte parole gettate al vento, che essa aveva bensi occhi da traforare le pietre, ma non orecchi da sentire i lamenti di chi, ferito, gemeva; e anzi gli mostrava cattiva céra, come se le avesse tagliato la vigna. Talché, infine, quel povero Signore, sperimentate le crudeltà di Cinziella, che di lui faceva quel conto che altri fa di un qualsiasi furfante, si ritirò con le sue entrate, e, con impeto di disdegno, disse: "Mi chiamo fuori del fuoco d'amore!"
Ma, insieme, fece giuramento di vendicarsi di quella mora saracina, in tal maniera che si dovesse chiamar pentita di averlo tanto tormentato. Partito da quel paese, e fattosi crescere la barba e datosi una tinta alla faccia, a capo di alcuni mesi, travestito da villano, tornò a Solcolungo, dove, a forza di mance, procurò di entrare per giardiniere del Re. Lavorando in quel giardino come meglio poteva, un giorno stese sotto la finestra di Cinziella una roba all'imperiale, tutta puntali d'oro e diamanti. Le damigelle, che la videro, subito la additarono alla padrona, che mandò a dire al giardiniere se la volesse vendere; e colui rispose che non era né mercante né rivenditore di spoglie vecchie, ma che l'avrebbe donata a patto che lo avessero lasciato dormire una notte nella sala della Principessa.
Le damigelle dissero a Cinziella:
"Che ci perdi, signora, a dare questa soddisfazione al giardiniere, e beccarti quella roba, che è cosa da regina?".
E Cinziella, fattasi uncinare dall'amo che pesca ben altri pesci che questi, si contentò, e si prese la roba e gli die quel gusto.
La mattina dopo, fu vista nello stesso luogo stesa un gonna della medesima fattura; e, ripetendo Cinziella la domanda, ne ebbe uguale risposta, con la richiesta di dormire nell'anticamera della Principessa.
E anche questa volta Cinziella si fece tirare dalla gola e, per acquistare il vestito, accordò al giardiniere quel contento. La terza mattina, prima che il Sole venisse a battere il focile sull'esca dei campi, il giardiniere mise in mostra nel medesimo luogo un bellissimo giubbone, che andava di concerto col vestito; e Cinziella, mirandolo, disse:"Se non ho quel giubbone, non sarò contenta".
Chiamò, dunque, il giardiniere, e gli parlò:"E' necessario, brav'uomo mio, che tu mi venda quei giubbone che ho veduto nel giardino, e prenditi il mio cuore".
Il giardiniere rispose:
"Io non lo vendo; ma, se vi piace, vi do il giubbone, e anche una catena di diamanti, e voi fatemi dormire una notte nella camera vostra".
"Ora hai del villano ! - esclamò Cinziella - Non ti basta che hai dormito nella sala, e poi nell'anticamera: ora vuoi la camera! A poco a poco, vorrai dormire nel mio letto!".
Il giardiniere disse: "Signora mia, io mi tengo il giubbone mio, e voi la camera vostra: se avete voglia di stringere l'affare, conoscete la strada. Io mi contento di dormire per terra, cosa che non si negherebbe a un turco; e, se vedeste la catena che voglio darvi, forse mi dareste un peso più giusto".
Cinziella, in parte tirata dall'interesse, in parte sospinta dalle damigelle, che aiutavano i cani alla salita, si lasciò andare a contentarlo. E, venuta la sera, quando la Notte, come corsaro, getta l'acqua di concia sulla pelle del Cielo, onde essa diventa nera, il giardiniere, presi la catena e il giubbone, andò all'appartamento della Principessa, e, consegnatele queste cose, fu introdotto nella camera.
La Principessa lo spinse in un angolo e gli disse:
"Ora sta' costà, fermo, e non muoverti, per quanto stimi la grazia mia", e, tirata per terra una linea col carbone, soggiunse: "Se questa passi, la vita ci lasci", e, fatto attorniare della tenda il suo letto, si coricò.

"Fury Path", M. Cheval

Tosto che il giardiniere-Re la sentì addormentata, sembrandogli tempo di lavorare i campi dell'amore, le si coricò a lato, e, prima che la padrona del luogo si svegliasse, colse i frutti amorosi. Costei, destatasi e visto quel che le era accaduto, non volle, per rimediare a un male, farne due, e, per rovinare il giardiniere, mandare in rovina lo stesso giardino; e, traendo di necessità vizio, si contentò del disordine e senti piacere dell'errore; ed essa, che aveva tenuto a disdegno le teste coronate, non si trattenne dall' assoggettarsi a un villanzone, che tale pareva il Re e per tale essa lo stimava. La pratica continuò e Cinziella venne incinta; e, vedendosi di giorno in giorno ingrossare la persona, disse al giardiniere che si conosceva rovinata, se il padre s'accorgeva della cosa, e perciò pensassero tra loro a rimediare al pericolo.
Quegli rispose che non sapeva trovare altro rimedio al male che avevano fatto che di andarsene insieme, e l'avrebbe condotta in casa di una sua antica padrona, la quale le avrebbe dato qualche comodità nel prossimo parto.
E Cinziella, ridotta a mal partito, tirata dal peccato della sua superbia, che la gettava di scoglio in scoglio, si lasciò persuadere da quelle parole, e, abbandonando la propria casa, si commise all'arbitrio della fortuna.
Dopo lungo cammino, colui la condusse a casa sua, e, informata di ogni cosa sua madre, la pregò che dissimulasse, perché voleva farsi pagare la passata boria di Cinziella. E cosi, adattatala in una stalluccia del palazzo, la tenne in vita miserabile, mandandole il pane con la balestra. E un giorno che le serve di casa facevano forno, egli disse loro che chiamassero Cinziella ad aiutarle, e nel tempo stesso insinuò a Cinziella di trafugare qualche ciambelletta per rimedio alla loro fame. La sventurata Cinziella, nel cavare il pane dal forno, profittando dell'istante, tra occhi e occhi, sottrasse una ciambelletta e se la nascose in tasca.
Ma in questo sopravvenne il Re, vestito da quel che era, e disse alle ragazze:
"Chi vi ha dato il permesso di far entrare cotesta donnicciuola guitta in casa? Non vedete alla faccia che è una ladra? Mettetele le mani in tasca e troverete il delitto in genere".
E, frugatala, le trovarono il pane nella tasca, e le lavarono il capo di buona maniera, che tutto il giorno durò la baia e la beffa. Il Re riprese il suo travestimento, andò da Cinziella e la trovò scornata e triste per l'affronto ricevuto. Ma egli le disse che non si desse tanta pena per quel caso, giacché la necessità è tiranna degli uomini, e, come disse quel poeta toscano [1]:

... '1 poverel digiuno 
viene ad atto talor che in miglior stato
avria in altrui biasmato." 

E, se la fame caccia il lupo dal bosco, essa doveva tenersi scusata se faceva quello che non starebbe bene ad altri. E le insinuò di salire ora dove la signora stava tagliando certe tele, e, offrendosi di aiutarla, vedesse di agguantarne qualche pezzo, perché, essendo prossima a partorire, le bisognava tutto.
Cinziella, che non sapeva contrariare il marito (che per tale lo teneva), salì all'appartamento della Regina e, frammischiatasi alle damigelle a tagliare lenzoletti, fasce, berrettini e dande, trafugò un pannolino e se lo mise sotto le vesti. Ma, tornato il Re e fatto un altro rimprovero come già pel pane, e trovatole addosso il furto, ne ebbe un'altra sciroppata d' ingiurie, come se le avessero scoperto sotto un intero bucato; e, rossa di vergogna, se ne ridiscese alla stalla. Anche questa volta il Re ricomparve travestito, e, vedendola afflitta e disperata, la confortò a non lasciarsi vincere dalla malinconia, che tutte le cose del mondo sono opinione, e perciò vedesse ancora se potesse guadagnarsi qualche cosetta, perché ormai il parto era imminente.
"In questo momento, c'è piovuta una bella occasione. La padrona ha fidanzato il figlio con una signora forestiera, alla quale vuol mandare un dono di vesti di broccato e di tela d'oro, belle e fatte, e la fidanzata è giusto della tua statura. Sarà facile dunque, che ti venga nelle mani qualche bel ritaglio, e tu mettilo in corbona [2], che lo vendiamo e campiamo la vita".
Cinziella, eseguendo il comando del marito, s'era chiuso in petto un buon palmo di broccato riccio, quando capitò il Re, e, fatto un gran fracasso, ordinò di frugare Cinziella; e, trovato il furto, la scacciò con vergogna grande.
Ma poi, travestitosi da giardiniere, scese di corsa a consolarla; che, se con una mano la pungeva, con l'altra, per l'amore che le portava, si compiaceva di ungerla, per non spingerla alla disperazione. La sciagurata Cinziella, pel cruccio di quello che le era accaduto, e che teneva castigo del Cielo a causa dell'arroganza e superbia già mostrata, sicché essa, che trattava da stracci pei piedi tanti principi e re, ora era trattata da vile donnicciuola, e avendo avuto il cuore duro ai consigli del padre, ora faceva il viso rosso alle baiate delle serve; per la collera, dico, che provò della vergogna inflittale, si senti venire le doglie.
La Regina, subito avvisatane dal figliuolo, la fece salire nel suo appartamento, e, mostrando compassione dello stato suo, la mise in un letto tutto ricamato d'oro e di perle, in una stanza tappezzata di tela d'oro: cosa che fece strasecolare Cinziella, vedendosi trasportata da una stalla a una camera reale, dal letame a un letto tanto prezioso, e non sapeva rendersi conto di quel che le era accaduto. E le fu attorno gente premurosa, e le dettero brodi e biscottini per ingagliardirla al partorire. Ma, come volle il Cielo, senza troppo affanno, die alla luce due bellissimi maschiotti, che erano la più vaga cosa che si potesse vedere.
Non appena ebbe partorito, che entrò il Re, il quale disse:
" E dove se n' è andato il vostro giudizio, che avete messo la gualdrappa all'asino? È letto cotesto per una brutta donnaccola? Presto, fatela saltare a colpi di randello da questo luogo, e spandete suffumigi di rosmarino nella camera, perché se ne tolga il puzzo".
La Regina allora disse:
"Non più, figlio mio; basta, basta il tormento che hai dato a questa povera giovane! Dovresti ora esser sazio di averla ridotta, con tanti strazi, a berretto di notte; e, se non ancora sei soddisfatto del disprezzo che ti mostrò alla corte sua, a pagarti il debito valgano queste due belle gioie, che essa ti dona".
E fece portare i bambini, ch'erano la più bella cosa del mondo. Il Re, al vedere quei due pacioncelli, si senti tutto intenerire; e, abbracciata Cinziella, si die a conoscere per quel che era, dicendole che quanto le aveva fatto era stato per sdegno di veder trattato a quel modo un re pari suo, ma che da ora in poi l'avrebbe tenuta in palma di mano. E la Regina, dall'altro canto, abbracciandola come nuora e figlia, le dette, insieme col Re, cosi buona mancia per quei figli maschi, che le parve assai più dolce questo istante di consolazione che tutti i passati affanni: benché sempre, d'allora in poi, ebbe in mente di tener basse le vele, ricordando come
figlia della superbia è la rovina.

Traduzione e note di Benedetto Croce
Dalle note:
[1] Petrarca
[2] Testo: miettelo ncorbona, cioè propriamente nella borsa in cui si raccolgono nei templi le offerte.

Il testo originale è nella pagina G.B. Basile.

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