giovedì 30 aprile 2015

Il "Seppellimento" de La Bella Addormentata

Dalle braccia di Papi a quelle del Principe.
In quasi tutte le varianti, letterarie e popolari, de La Bella Addormentata, la Regina si limita a mettere al mondo l'agognata erede. E' il padre che tenta una impossibile lotta contro un destino segnato, e, una volta che il maleficio si è compiuto, si occupa di quelle che sono, a tutti gli effetti, onoranze funebri.
Nelle fiabe meridionali, ordina che la figlia venga rivestita con i tre abiti da sposa che non potrà mai indossare - un'usanza che corrispondeva alla realtà sociale: sia le spose giovanissime che le adolescenti nubili venivano seppellite con le vesti nuziali. Plurale perché c'era l'abito della cerimonia civile, quello del rito religioso e quello del "giorno dopo".
Poi, il padre ordina che la Casa o il Castello venga chiuso per sempre (è diventato una cappella cimiteriale) e parte, per non tornare mai più. A volte, le fiabe sembrano popolate da scimmie merlettate che mimano gesti e azioni senza più comprenderne il significato. Propp, solo tu...


Kinuko Y. Craft



La Bella Addormentata: Giudizi e Pregiudizi. Le Prince Charmant era un Re Adultero e uno Stupratore

Come ho già detto, mi sono allontanata dalla (retta?) via (Cenerentola) perché, nel tentativo di riorganizzare, correggere, ed, eventualmente, rieditare, tutto il materiale già postato, ho incontrato  per l'ennesima volta la Bella Addormentata. Divido le "eroine" fiabesche in passive e intraprendenti.
Rosaspina-Aurora-Talia è il simbolo dell'eroina passiva, la sua apoteosi.
Evito accuratamente di farlo, ma, quando mi capita di leggere anche due righe delle varie interpretazioni pseudo-psicologiche delle fiabe, mi piglia male. Sono più indulgente con le testoline imbottite di "Fiabe sonore" e Disney: ingenuamente, credono di conoscere la fiaba originale e, vele al vento, navigano sull'onda di pregiudizi e luoghi comuni.
Ho anticipato qualcosa parlando della Biancaneve-Bella Addormentata, una per tutte, "Giricoccola". Il Prince Charmant si innamora all'istante di una morta (o di una Biancaneve trasformata in una statua). Non contento, se la porta a casa e la chiude a chiave nella sua cameretta, dove solo lui può adorarla. Il motivo è diffuso in tutta Europa, e ne esistono diverse varianti anche in Russia.
In Italia, molte fiabe iniziano con il Principe o il "Reuzzo" che s'innamora di una bambola a grandezza naturale, simile in tutto e per tutto all'eroina. In queste fiabe, varianti o imitazioni popolari di "Sole, Luna e Talia" (Pentamerone-Basile), la madre di tutte le Belle Addormentate, è evidente che non è il Principe a liberare la Bella dall'incantesimo con "il bacio del vero amore".
Nelle fiabe tipo Giricoccola, le sorelle o la madre del Principe necrofilo, casualmente, tolgono il pettine o la camicia che hanno incantesimato l'Eroina, risvegliandola. Persino i Grimm non parlano del bacio, ma Rosaspina si desta semplicemente perché sono scaduti i cento anni del maleficio.






Voglio dire, nulla fa pensare che la visita del Principe sia terapeutica: si trova nel posto giusto al momento giusto (capacità indispensabile nelle versioni meno antiche di fiabe famose o meno). In realtà, una funzione, porello, ce l'avrebbe, ma non è né quella della vulgata stile Disney né quella degli antropo-psicologi. Queste immagini, così in sequenza, riassumono discretamente i luoghi comuni, o quello che è stato plasmato come "sentire comune", su La Bella Addormentata. La bambina-lettrice non è più tanto bambina, oscilla tra Moccia e i film su Sissi. Aurora-Rosaspina non è niente di più di una bambola da ritagliare, prende vita quando riflette la lettrice, i suoi sogni (un po' da bimbaminkia), le sue fantasie sentimentali. Il Romanticismo è altro.



Tokuhiro Kawai


Tokuhiro Kawai


Questa illustrazione interpreta esattamente ciò che vado dicendo: il "bacio magico", l'attesa del bacio reale, il Prince Charmant...



Tokuhiro Kawai


Questo è un po' lo stereotipo del Principe ante Disney: gentiluomo francese, cappello piumato, tanto di baffetto biondo arricciato, ma, soprattutto, cavalier cortese, timido e quasi paralizzato dalla bellezza della Bella.






Poi, è arrivato lui, il giovanottone del Kansas, più boscaiolo che principe, mascella alla Ridge e ciuffo da tamarrone anni '50, mantello rosso con baverone alla Dracula (buono).






Le immagini, che, sotto molti punti di vista, rendono al meglio l'atmosfera della fiaba potrebbero essere queste di Jennie Harbour.






Non è una quindicenne curiosa ma spaventata, consapevole che il suo destino si sta compiendo.
E questo non è le Prince Charmant, ma il Re della fiaba di tutte le fiabe - Sole, Luna e Talia - adultero, stupratore, forse necrofilo (dubita che Talia sia addormentata o morta). Consuma e torna dalla moglie. non senza aver messo incinta Talia (sempre addormentata).




Anche questa di A. Rackham non scherza.



Prima di postare "Sole, Luna e Talia", rimando ad un breve ma - spero - illuminante post sulle origini de "La Bella Addormentata".

venerdì 24 aprile 2015

Rosaspina, Grimm n.50 - Tradotta da Me e Rieditata








'erano una volta un Re e una Regina, che, ogni giorno, si ripetevano l'un l'altro: "Ah, se solo avessimo un figlio!". Ma il bambino tanto desiderato non arrivava mai. Un giorno, mentre la Regina prendeva un bagno, una ranocchia saltò fuori dall'acqua, toccò terra e le disse: "I tuoi voti saranno esauditi. Prima che sia trascorso un anno, darai alla luce una bimba".


Kinuko Y. Craft


Ciò che la ranocchia aveva predetto si avverò. La Regina mise al mondo una bambina tanto bella che il Re era fuor di sé dalla gioia e organizzò una gran festa, e non si contentò d'invitare parenti, amici e conoscenti, ma anche le Sagge Donne del Regno, affinché prendessero la piccola Principessa sotto la loro protezione. C'erano tredici Sagge Donne nel Paese, ma il Re possedeva solo dodici piatti d'oro massiccio, così una non poté essere invitata.

domenica 12 aprile 2015

L'Allodola che Trilla e che Saltella, Grimm n.88 (Traduzione Mia)

'era una volta un uomo che si apprestava a partire per un lungo viaggio. Al momento dei saluti, chiese alle sue tre figlie che cosa avrebbero desiderato ricevere in dono. La maggiore rispose:"Perle", la secondogenita: "Diamanti", ma la minore disse:
"Caro padre, io desidero un'allodola che trilla e che saltella."
Il padre le rispose:
"Sì, bambina mia, se riuscirò a trovarla, l'avrai." Baciò le figlie e partì.
Il tempo passò, e, quando l'uomo prese la via del ritorno, aveva le perle e i diamanti per le figlie maggiori, ma, nonostante l'avesse cercata ovunque, non era riuscito a trovare l'allodola che trilla e che saltella per la minore, e ciò lo accorava perché la figlia più giovane era la sua prediletta. Il sentiero verso casa attraversava una grande foresta, nel cuore della quale si innalzava un magnifico castello, e, proprio accanto al castello, si ergeva un albero, e, in cima all'albero, l'uomo scorse  un'allodola che trillava e saltellava.







"Ah, capiti proprio al momento giusto!", esclamò, felice, e ordinò al suo servo di arrampicarsi sull'albero e di catturare la piccola creatura. Ma, non appena questi si avvicinò all'albero, balzò fuori un leone, che, scuotendo la criniera, emise un ruggito tale da far tremare anche le foglie sugli alberi.
"Chiunque tenti di rubarmi l'allodola che trilla e che saltella - gridò - io lo divoro!"
Allora, l'uomo disse:
"Non sapevo che l'uccello vi appartenesse. Farò ammenda per la mia colpa e pagherò un cospicuo riscatto se solo mi risparmierete la vita!"
"No - rispose il leone - non vi è nulla che possa salvarti, a meno che tu non prometta di consegnarmi il primo essere vivente che ti verrà incontro quando farai ritorno a casa. Se mi darai la tua parola, ti risparmierò la vita, e ti lascerò anche prendere per tua figlia l'allodola che trilla e che saltella."
Ma l'uomo non si rassegnava ad accettare perché - come spiegò:
"Potrebbe trattarsi della mia figlia più giovane: ella mi vuol bene più di ogni altro e mi corre sempre incontro quando ritorno a casa."
Il servo, che moriva di paura, disse:
"Ma perché dovrebbe essere proprio tua figlia a correrti incontro per prima? Non potrebbe farlo un gatto o uno dei tuoi cani?"
L'uomo si lasciò convincere, ma aveva il cuore pesante. Prese l'allodola che trilla e che saltella, e si accomiatò dal leone con la promessa che gli avrebbe consegnato il primo essere vivente che gli fosse corso incontro sulla soglia di casa.







Quando l'uomo tornò a casa, chi altri se non proprio la sua amatissima figlia minore gli andò incontro per prima? Ella arrivò correndo, lo baciò e lo abbracciò, e, quando vide che le aveva portato l'allodola che trilla e che saltella, era fuor di sé dalla contentezza. Ma il padre non poteva condividere la sua gioia; scoppiò a piangere e le disse:
"Bambina carissima, l'ho pagato ben caro quest'uccellino! Ho dovuto promettere di consegnarti ad un feroce leone, e, quando esso ti avrà nelle sue grinfie, ti farà a brandelli e ti divorerà."
E le raccontò per filo e per segno l'accaduto, e la implorò di non andare nella foresta, qualsiasi conseguenza ne derivasse. Ma la figlia lo consolò e disse:
"Padre carissimo, dovete mantenere la vostra parola: io andrò dal leone, lo ammansirò e farò ritorno sana e salva."
Il giorno seguente, fattasi indicare la via, salutò i suoi cari e si addentrò senza alcun timore nella foresta. Ma il leone, in realtà, era un principe stregato: di giorno era un leone - e, come lui, i cortigiani si trasformavano in leoni - e, di notte, tutti riprendevano le sembianze umane.
Al suo arrivo, ella fu accolta cerimoniosamente e condotta nel castello. Quando calò la notte, il leone ridiventò un bellissimo uomo e le loro nozze furono celebrate con grande sfarzo. Gli sposi si amavano e vivevano felici: vegliavano la notte e dormivano durante il giorno.






Passò del tempo, e, un giorno, il principe le disse: "Domani tuo padre darà una gran festa perché si sposa la tua sorella maggiore. Se desideri andarci, i miei leoni ti scorteranno." Ella accettò, felice di rivedere il padre, e tornò a casa in compagnia dei leoni. Al suo arrivo, grande fu la gioia poiché tutti l'avevano creduta morta da tempo, sbranata dal leone. Dal canto suo, ella li rassicurò. Raccontò loro che bell'uomo fosse il principe e quanto fosse felice con lui. Si trattenne per tutto il tempo dei festeggiamenti, poi ritornò alla sua vita nel cuore della foresta.
Quando venne a sapere che anche l'altra sorella era in procinto di sposarsi, ella disse al leone: "Questa volta non ci andrò sola, devi venire anche tu".
Ma il leone si rifiutava, protestando che era troppo pericoloso per lui, perché, se anche il minimo raggio di luce lo avesse sfiorato, si sarebbe trasformato in una colomba e, come colomba, sarebbe volato via e avrebbe vissuto per sette anni con gli uccelli della sua razza. Ma ella insistette giurando che lo avrebbe protetto da qualsiasi pericolo. E così partirono insieme, e portarono anche il loro bambino.







Una volta a casa del padre, ella fece costruire una camera dai muri così spessi e compatti che nessuna luce poteva penetrarvi: là si sarebbe rinserrato il principe quando avrebbero acceso le fiaccole nuziali. Tuttavia, il legno della porta era troppo giovane e si spaccò creando una fenditura, ma talmente piccola che nessuno la notò. E, quando il corteo, sfolgorante di fiaccole e di lanterne, fece ritorno dalla chiesa, sfilò davanti alla porta della camera, e un raggio di luce, sottile come un capello, cadde sul principe, e, non appena egli ne fu sfiorato, si trasformò.
Quando la sposa cercò il principe nella camera serrata, non lo trovò. C'era solo una bianca colomba che le disse: "Bisogna che per sette anni io voli da un capo all'altro del mondo, ma, per indicarti il cammino, ogni sette passi lascerò cadere una rossa goccia del mio sangue e una piuma bianca: se mi seguirai, potrai liberarmi." E la colomba volò fuori dalla porta e, ogni sette passi, lasciava cadere una rossa goccia di sangue e una piuma bianca, a indicarle il cammino.







Ed ella s'inoltrò sempre più nel vasto mondo, senza mai guardarsi intorno e senza riposarsi mai, e i sette anni erano quasi trascorsi e già se ne rallegrava, pensando che la liberazione fosse vicina, e, invece, era ancòra così lontana!
Oh, sì, molto lontana davvero, poiché una volta, mentre camminava, le piume e le gocce di sangue cessarono di cadere, e, levando gli occhi al cielo, si accorse che la colomba era sparita. Pensò che nessun essere umano avrebbe potuto aiutarla, così salì vicino al Sole e gli disse:
"Tu che risplendi sulle vette più alte e nei burroni più profondi, hai visto volare una colomba bianca?"
"No - rispose il Sole - non ho visto niente del genere, ma voglio regalarti una scatolina: aprila quando ti troverai in grande difficoltà."






Ella ringraziò il Sole e proseguì il suo cammino finché scese la sera e nel cielo comparve la Luna, e le chiese:
"Tu che risplendi tutta la notte sui campi e sulle foreste, hai visto volare una colomba bianca?"
"No - rispose la Luna - non ho l'ho vista, ma voglio regalarti un uovo: rompilo quando ti troverai in grande difficoltà."







Ella ringraziò la Luna e proseguì il suo cammino finché giunse dove soffiava il Vento del Nord. Allora ella gli disse:
"Tu che soffi tra gli alberi e scompigli le foglie, hai visto volare una colomba bianca?"
"No - rispose il Vento del Nord - non l'ho vista, ma chiederò agli altri tre venti, forse loro l'hanno vista."
Vennero il Vento dell'Est e il Vento dell'Ovest, ma neanche loro avevano visto la colomba. In ultimo, arrivò il Vento del Sud e disse:
"Ho visto io la colomba bianca: è volata fino al mar Rosso dove si è trasformata nuovamente in un leone, poiché è scaduto il settimo anno, e il leone sta combattendo con un drago, ma il drago è una principessa stregata."






"Ecco il mio consiglio - le disse, allora, il Vento del Nord - Va' fino al mar Rosso, sulla riva destra vedrai un canneto: conta le canne, taglia l'undicesima e con quella colpisci il drago. Solo allora il leone potrà batterlo, ed entrambi riacquisteranno la loro forma umana. Poi, guardati intorno: sulla riva, vedrai un grifone. Saltagli sul dorso con il tuo sposo. il grifone vi porterà a casa sorvolando il mare. Eccoti anche una noce: quando sarai in mezzo al mare, lasciala cadere: essa getterà i germogli, e, in un attimo, dall'acqua s'innalzerà un grande albero di noci sul quale il grifone si riposerà. Se non potesse riposarsi, gli mancherebbero le forze per portarvi sani e salvi sull'altra riva. E, se dimentichi di lasciar cadere la noce, precipiterete in mare."
Ella andò sulle rive del mar Rosso e trovò tutto come aveva detto il Vento del Nord. Tagliò l'undicesima canna e con quella colpì il drago, così il leone poté batterlo ed entrambi riacquistarono il loro aspetto umano. Ma, non appena la principessa che prima era un drago fu libera dall'incantesimo, afferrò il giovane per un braccio, salì con lui in groppa al grifone e lo condusse via con sé.










E quell'infelice che aveva peregrinato per tanto tempo e così lontano, si ritrovò di nuovo sola e abbandonata. E pianse. Ma, ben presto, le tornò il coraggio.
"Andrò fin dove soffia il vento e camminerò finché canta il gallo, e lo ritroverò", disse.
Cammina cammina, giunse finalmente al castello dove colui che era stato un leone e colei che era stata un drago vivevano insieme, e venne a sapere che si sarebbe tenuta una gran festa in onore delle imminenti nozze del principe e della principessa. Ella esclamò: "Che Dio mi assista e venga in mio soccorso!"
Prese la scatolina che le aveva donato il Sole: dentro c'era un abito che risplendeva proprio come il sole. Lo tirò fuori, lo indossò e salì al castello e tutta la gente la guardava ammirata, anche la stessa fidanzata. E alla fidanzata l'abito piacque al punto che lo desiderò per indossarlo come veste nuziale.
"Acconsentireste a vendermelo?", le chiese.
"Non per oro o per denaro - rispose - Carne e sangue sono il suo prezzo."
La fidanzata le chiese che cosa intendesse dire con quelle parole, ed ella rispose:
"Lasciatemi dormire per una notte nella camera in cui dorme lo sposo."







La fidanzata non voleva, ma desiderava talmente quell'abito che, infine, acconsentì, non senza aver ordinato al cameriere personale del principe di somministrargli un potente sonnifero. Quella notte, quando il principe era profondamente addormentato, condussero la giovane nella camera. Ella si sedette accanto al letto e disse:
"Per sette anni ti ho seguito ovunque, sono andata dal Sole, dalla Luna e dai quattro Venti per ritrovarti; ti ho aiutato a battere il drago... e ora ti scordi di me?"
Ma il principe dormiva così profondamente che i suoi lamenti gli parevano il bisbigliare del vento tra gli alberi. All'alba, fu condotta fuori dalla camera e dovette consegnare l'abito d'oro.






Com'era triste! Quanta disperazione nel vedere che anche questo espediente non era servito a nulla; si allontanò dal castello, si lasciò cadere a terra e pianse. Mentre versava tutte le sue lacrime, le venne in mente l'uovo che le aveva donato la Luna. Lo ruppe e ne uscirono una chioccia e dodici pulcini tutti d'oro zecchino, ma vivi e svelti. Correvano qua e là pigolando e becchettando, per poi tornare a rifugiarsi sotto le ali della madre: al mondo non si era mai vista una tale meraviglia. Allora la giovane si alzò, si asciugò le lacrime e spinse dolcemente la chioccia e la sua nidiata innanzi a sé, fin sotto le finestre della fidanzata. Appena li vide, la fidanzata se ne incapricciò e scese subito per domandarle se fosse disposta a venderglieli.
Ed ella rispose:
"Non per oro o per denaro. Carne e sangue sono il loro prezzo. Lasciatemi dormire ancòra una notte nella camera dello sposo."
La fidanzata accettò, decisa ad ingannarla come la sera precedente.
Ma, quando il principe andò a letto, chiese al suo cameriere che cosa era stato tutto quel sussurrare nella notte. Allora, il cameriere gli confessò ogni cosa: lo avevano obbligato a somministrargli di nascosto un potente sonnifero perché una povera fanciulla aveva dormito nella sua camera, e aveva ricevuto gli stessi ordini per quella notte. Il principe allora gli disse:
"Versa il sonnifero accanto al letto."
Più tardi, quando la giovane donna fu condotta nella camera e prese a ricordargli la sua triste storia, il principe riconobbe immediatamente la voce della sua cara sposa; balzò in piedi e disse:
"Adesso sono libero, finalmente! Mi pareva di vivere in uno strano sogno poiché quella principessa sconosciuta mi aveva stregato affinché mi dimenticassi di te, ma Dio mi ha salvato in tempo da questo maleficio dello spirito e dei sensi!"






Poi, protetti dalla notte, scivolarono fuori dal castello, poiché temevano il padre della principessa che era un grande Incantatore. Montarono in groppa al grifone, che li portò al di là del mar Rosso; e, quando furono in mezzo al mare, ella lasciò cadere la noce: subito crebbe un grande albero di noci sul quale il grifone poté riposare, quindi li condusse a casa, dove rividero il figlio, che, nel frattempo, si era fatto grande e bello. E, da quel giorno in poi, vissero sempre insieme, felici e contenti, fino alla morte.





Grimm n.88, "Das singende springende Löweneckerchen".
Classificazione: AaTh 425C [La Bella e la Bestia]
Traduzione: Mab's Copyright

Il testo in lingua originale è nella Pagina: "Brüder Grimm"

martedì 7 aprile 2015

La Cenerentola, V. Imnbriani (La Novellaja Fiorentina n. 11)

Come avviene in molte versioni popolari italiane, in questa novella di Imbriani, la "magia" non si limita a mutare le vesti e quindi lo status di Cenerentola, ma il suo stesso aspetto fisico: da brutta, addirittura ripugnante che era, la fa bellissima, il che rende più logico che le sorelle (qui, il padre e le sorelle come ne La Bella e la Bestia, non la matrigna e le sorellastre) non la riconoscano. E nessuno la esclude, nessuno la perseguita, anzi, le sorelle la spingono a andare con loro, ma Cenerentola rifiuta con la solita rudezza di queste fiabe.E il primo pensiero, quando la bellissima signora sconosciuta fa loro un regalo (con una certa condiscendenza) è per la Cenerentola cocciuta e infelice che non condivide la loro fortuna. E il padre - meschino - non la nasconde ai servitori del Re per cattiveria, ma per vergogna, perché: "Signori, ce n'è un'altra, ma non lo dico neppure. Gli è tutta nella cenere, nel carbone, se vedeste! Io non la chiamo nemmen figliola per vergogna." E non manca il tocco stile "The Ring": l'uccellino Verdeliò l'ha fatta ancor più bella che in precedenza e l'ha dotata delle vesti dell'ultima sera, così belle da accecare, "e l'aveva per dippiù tutte catene d'oro, ma grosse! messe così". Laddove, l'eleganza da "gran signora" è misurabile con il numero, il peso e la grossezza dei giri di collane d'oro di cui è adornata, ma il padre fraintende: "La sentono? - dice il padre - la sentono? La si strascica la catena del cammino. Si figurino che orrenda cosa che sarà quella!"
In queste fiabe il mistero non è tanto nell'uccellino Verdeliò che sostituisce madre morta, alberi meravigliosi nati da una tomba, ecc., e non accetta di sparire quando il  destino è compiuto (Dice l'uccellino: "Portami via, sai? mettimi in seno, via, sai?"
Si mette l'uccellino in seno e principia a scender le scale.), ma nella persistenza del motivo della strana ostinazione di Cenerentola di volersi recare alle feste da ballo in incognito.


Olga Popugaeva & Dmitry Nepomnyastchy


'era una volta un omo che aveva tre figliole. Dunque gli ebbe ordinazione di andare fori via per lavoro. E gli dice: "Giacchè io sono in viaggio, che volete voi quando io torno?"
Una, la gli ordina un bel vestito: l'altra, un bel cappello e un bello scialle.
Dice alla minore: "O te, Cenerentola, o che tu vuoi?" - La chiamavano Cenerentola, perchè la stava sempre nel cammino.
"Vo' m'avete a comperare un uccellin Verdeliò."
"La sciocca! Non si sa che gli abbia a fare dell'uccellino! Invece di ordinarsi un bel vestito, un bello scialle, si piglia l'uccello chi sa per farne che!"
"Chetatevi! - dice - Io son contenta così".
Eccoti il padre va via. Quando torna, a quella porta il vestito; a quella lo scialle, il cappello; e alla Cenerentola l'uccellino.
Eccoti, siccome gli era uno che lavorava a corte, dunque il Re gli dice a quest'omo:
"Io dò tre feste di ballo, tre festini; se tu vuoi condurre anche le tue figliole, conducile; tanto quel poco le si spasseranno".
"Come Lei comanda - dice - "Grazie!" - e accetta.
Torna a casa:
"Sapete, ragazze? Questo e questo; Sua Maestà vole che si vada alla festa da ballo, così e così."
"Vedi tu, Cenerentola, se ti avevi ordinato un bel vestito? Stasera s'ha a fare di andare alla festa di ballo."
Dice: "Non me ne importa nulla! Andate pure, io non ci vengo"
Eccoti la sera, quando gli è l'ora, si preparano tutte per bene, tutte pettinate, dicendo alla Cenerentola: "Vien via, ti si accomoderà anche te."
"Eh, io non voglio venire, andate voi, io non voglio venire."
"Ma - dice suo padre - andiamo, andiamo! Vestitevi e venite via: lasciatela stare."
Quando le sono andate via, la va dall'uccellino:
"Oh Uccellin Verdeliò, fammi più bella ch'io non so' [2]".
La vien tutta vestita di verdemare e tutta brillanti che a guardarla si accecava. Prepara due sacchette di quattrini l'uccellino; gli dice: "Porta questi due sacchetti; e entra in carrozza e va via."
Va alla festa e l'Uccellin Verdeliò lo lascia a casa. Entra nella festa. Appena i signori veggono questa bella signora (la faceva accecare da tutte le parti), il Re, figuratevi, principia a ballare con lei tutta la sera. Eccoti dopo che lei gli ha ballato tutta la sera, si ferma Sua Maestà; e lei si mette accanto alle sorelle. Mentre che lei gli è accanto alle sorelle, caccia fori un fazzoletto e gli casca un braccialetto.
"Oh Signora, - dice la maggiore - Le è cascato questa roba".
"Prendetelo per voi", dice.
"Oh se ci fossi la Cenerentola, chi sa che non fossi toccato a lei?".


E. Le Cain


Il Re aveva dato ordine, che quando andava via questa signora, stessero attenti dove stava di casa. Quando s'è trattenuta un poco, vien via dalla festa. I servitori figuratevi se erano attenti! Lei entra in carrozza e via. Lei si avvide d'essere perseguitata, la prende i quattrini e la comincia a buttarli via, fori della finestra della carrozza. I servitori ingordi, vi lascio dire, vedendo tutte quelle monete, non pensorno più a lei, si fermarono a raccattare i quattrini [3]. Lei la va al palazzo e sale su: "Uccellin Verdeliò, fammi più brutta ch'io non so'".
La vien così brutta, orrenda tutta, tutta cenere, bisognava vedere in che modo! Eccoti le sorelle che tornano: "Ce-ne-reen-to-laa!"
"Oh lasciatela stare! - dice suo padre - la dormirà ora; lasciatela stare!"
Dunque le vanno su e gli fanno vedere questo gran bel braccialetto:
"Vedi, scimunita? Lo potevi aver te."
"Non me ne importa nulla a me."
Eccoti che vanno a cena. Il padre dice: "Andiamo, andiamo a cena, a mangiare, scioccherelle."
Venghiamo a il Re che stava ad aspettare i servitori. I servitori non avevano il coraggio di presentarsi a Sua Maestà, stavano lontani. Li chiama:
"O come è andata?"
Si buttano a' piedi: "Così e così!... Ci ha buttati tanti quattrini!..."
"Vili! che non siete altro - dice - Avevi paura di non essere ricompensati?", dice. "Ahn? bene! - dice - domani sera, pena la morte se voi non istate attenti." Venghiamo la sera dopo, c'è la solita festa. Dicono le sorelle:
"Stasera verrai, eh, Cenerentola?"
"Oh! - dice - non mi seccate! Io non ci voglio venire".
E suo padre le grida: "Oh, quanto siete seccanti! Lasciatela stare!"
Eccoti le si mettono ad abbigliarsi, figuratevi, più meglio dell'altra sera; e vanno via.
"Addio, sai, Cenerentola!"
Eccoti la Cenerentola, quando le sono andate via, la va dall'uccellino:
"Uccellin Verdeliò, fammi più bella ch'io non so'."
La vien tutta vestita di verdemare; ricamate tutte le qualità di pesci del mare e poi brillanti mescolati che non si pol credere, ecco. L'uccellino gli dice: "Prendi due sacchetti di rena. E quando - dice - sarai perseguitata, buttala fora. - dice - Così, rimarranno ciechi."
Così la fa: la va via, si mette in carrozza e la va alla festa. Eccoti Sua Maestà che la vede, mah! subito si mette a ballare con lei e balla quanto può ballare, ecco! Dopo che l'ha ballato quanto poteva (lei non si straccava, ma lui si straccava!) la si mette accanto alle sorelle; tira fori il fazzoletto e gli cade fori un vezzo, ma un vezzo tutto di carbonelle, bello! Dice la seconda sorella:
"Signora, Le è caduta questa roba"
Dice: "Prendetelo per voi."
"Se c'era la Cenerentola, chi sa che non fossi toccato a lei! Eh ma domani sera la s'ha a far venire!"
Eccoti dopo un poco, lei la va via dalla festa. I servitori (figuratevi: pena la morte!) tutti attenti, eh! dietro! La principia a buttar tutta questa rena e rimangon ciechi. Eh, l'arena negli occhi, lascio dire! La va a casa, la smonta e va su. "Uccellin Verdeliò, fammi più brutta ch'io non so'."
La viene così brutta, uno spavento, ecco! Veniamo alle sorelle che tornano:
"Ce-ne-reen-to-laa! - le principian di giù. - Se tu sapessi, che la ci ha dato quella signora!"
"'Un me ne importa nulla!"
"Ma domani sera tu ci hai a venire!"
"Sì, sì! vo' l'areste aère!"
Suo padre dice: "Andiamo a cena, e lasciatela stare: impertinenti proprio che voi siete! Venite a cena". Vanno a cena.
Venghiamo a Maestà che sta aspettando i servitori perchè gli dicano dove sta di casa. Invece gnene riportan tutti ciechi, perchè s'ebbero a fare accompagnare, gua'!
"Briccona! - dice - Questa signora o l'è qualche fata o dove avere qualche fata che la protegge."
Eccoti il giorno dopo le sorelle: "Cenerentola, t'ha' a venire stasera! Senti: l'è l'ultima sera, t'hai a venire."
Suo padre: "Oh lasciatela stare! siete sempre a tormentarla!"
Allora le vengon via e si mettono a prepararsi per la festa. Quando le son bell'e preparate, le vanno via con suo padre, le vanno alla festa. Quando le sono ite via, la Cenerentola va dall'uccellino:
"Uccellin Verdeliò, fammi più bella ch'io non so'."
La viene tutta colore del cielo, proprio dell'aria del cielo; tutte le comete; le stelle, la luna nel vestito, e il sole in mezzo alla fronte. Entra nella festa: chi la poteva guardare! solamente pel sole, gua', bassavan gli occhi, accecavan tutti [4].
Eccoti Maestà si mette a ballare, ma non poteva guardarla, perchè l'accecava: ballava, ma guardare non poteva. Di già aveva dato ordine Maestà ai servitori che stessero attenti, pena la morte: non andassero a piedi, montassero a cavallo quella sera. Eccoti, quando ella ha ballato anche più delle altre sere, la si mette accanto a suo padre codesta sera; tira fori il suo fazzoletto e gli cade una tabacchiera d'oro piena di zecchini d'oro.
"Signora, Le è caduta questa tabacchiera."
"Prendetela per voi!"
Figuratevi quest'omo, l'apre e la vede tutta piena di zecchini: che contentezza!





Quando la s'è trattenuta, la va via come l'altra sera e la va verso la casa. I servitori via a cavallo, lesti; stavano discosti dalla carrozza, ma col cavallo si pena poco. Ella s'avvede di non aver preparato nulla da gittare; non aveva nulla stasera: "Oh! - dice - come ho a fare?"
Ma non poteva buttar nulla, perchè non aveva nulla. Lesta la smonta e gli cade una pianella nel far presto. I servitori la raccattano; prendono il numero dell'uscio; e vengon via. Venghiamo alla Cenerentola che va su:
"Uccellin Verdeliò, fammi più brutta ch'io non so'!"
Non gli risponde l'uccello. Quando la gnene ha detto tre o quattro volte, gli risponde:
"Briccona! bisognerebbe che non ti facessi divenire più brutta, ma....", e la fa divenire brutta e poi gli dice: "Ora e che vuoi fa'? Tu sei scoperta."
La si mette a piangere, piangeva proprio. Venghiamo alle sorelle che tornano: "Ce-ne-reen-to-laa!"
Eh figuratevi questa sera, non gli risponde, cheh!
"Guarda che bella tabacchiera! Se te fossi venuta, la potevi aver te."
"Non me ne importa nulla! Escite di costì!"
"Andiamo, andiamo; venite a cena", dice suo padre. Vanno a cena ed è finito. Venghiamo ai servitori che tornano con la pianella e il numero dell'uscio.
"Che dimani - dice Maestà - appena fatto giorno voi andiate a questa casa; prendetemi la carrozza e portatemi questa signora nel palazzo".
I servitori prendon la pianella: quella che gli stava, era lei; e vanno via. E picchiano. Si affaccia suo padre:
"Oh dio! è la carrozza di Sua Maestà! cosa ci sarà?"
Tiran la corda e van su i servitori. Vanno su.
"Cosa mi comandano?", gli dice il padre, gua', a questi servitori.
"Quante figlie avete voi?"
Dice: "Due."
"Bene, fatecele vedere".
Ecco il padre le fa venire di qua.
"Mettetevi a sedere", dicono a una di quelle. Gli provano la pianella, cheh! la ci entrava dieci volte. Quest'altra si mette a sedere: gli era piccola.
"Ma ditemi, galantomo, non avete altre figlie voi? Badate a dire la verità, veh! Perchè Maestà lo vole: pena la morte!"
"Signori, ce n'è un'altra, ma non lo dico neppure. Gli è tutta nella cenere, nel carbone, se vedeste! Io non la chiamo nemmen figliola per vergogna."
"Nojaltri non siamo venuti nè per bellezza, nè per abbigliatura: si vol vedere la ragazza!"
Eccoti, le sorelle chiamano: "Ce-ne-reen-to-laa!", ma urla, urla! Ma lei non rispondeva. Dopo un pezzo: "Che v'è egli?", la risponde.
"Bisogna che tu venga giù! c'è de' signori che ti vogliono vedere."
"Io non vo' venire, io."
"Ma bisogna che tu venga, ti pare?", dice.
"Sì, ditegli che or'ora vengo."
La và dall'uccellino: "Ah Uccellin Verdeliò, fammi più bella ch'io non so'".
La vien vestita come l'ultima sera, col sole, con la luna e con le stelle, e l'aveva per dippiù tutte catene d'oro, ma grosse! messe così.
Dice l'uccellino: "Portami via, sai? mettimi in seno, via, sai?"
Si mette l'uccellino in seno e principia a scender le scale.
"La sentono? - dice il padre - la sentono? La si strascica la catena del cammino. Si figurino che orrenda cosa che sarà quella!"
Eccoti quelli, quando è l'ultimo scalo, la veggono apparire.
"Ah!", riconoscono la signora dell'altra sera.
Il padre, le sorelle, figuratevi che affanno che fu quello! La fanno mettere a sedere, la gli provano la pianella, eh! l'era sua, la gli stava! La fanno montare in carrozza e la portano a Sua Maestà. E riconosce la signora di queste sere. E figuratevi, innamorato com'egli era, gli dice:
"Assolutamente, voi siete la mia sposa".
Lei acconsente, gua', lo credo! Manda a chiamare il padre, le sorelle e le fa venire tutte nel palazzo. Concludono le nozze. Figuratevi, che feste belle, che cosa che fece a questo sposalizio! I servitori li fa de' maggiori del palazzo, quelli che avevano scoperto dove la stava, in ricompensa. Se ne vissero e se ne godettero e a me nulla mi dettero.


Gilbert A.Y.


Dalle Note:

Cf. con la fiaba XVI: La Maestra
È lo stesso argomento del trattenimento VI, giorn. I del Pentamerone ["La Gatta Cenerentola"]: - Zezolla, 'mmezzata da la Majestra ad accidere la Matreja; e credenno, co' farele avere lo patre pe' mmarito, d'essere tenuta cara; è posta a la cucina. Ma ppe' bertute de le fate, dapò varie fortune, sse guadagna 'no Re pe 'mmarito.

Prima che il libretto e la musica di due Italiani, ringiovanissero la fiaba della Cenerentola e fin dall'anno M.DCC.LIX, fu recitata a Parigi una Cendrillon, parole dell'Anseaume, musica del La Ruette, che non incontrò gran fatto.
Gli aneddotisti dànno per certo, che alcuni anni prima, il basso Thevenard, passando innanzi ad una calzoleria, stupisse della piccolezza elegante d'una pantoffola da ricucirsi; e che s'informasse dello indirizzo della padrona di quella calzatura; e volesse conoscerla; e se ne innamorasse perdutamente; e la chiedesse in matrimonio lì per lì, su due piedi; e non fosse in seguito nè più scontento, nè più infelice di tanti e tanti che hanno arrischiato il duro passo solo dopo mature considerazioni, ponderatamente. Anche il poeta tedesco Di Platen-Hallermünde, sepolto a Siracusa, ha trattato drammaticamente questo tema vaghissimo.

[2] Presso il Basile, invece dell'uccello, abbiamo una palma, ed il carme è questo:

Dattolo mmio 'nnaurato!
Co' la zappetella d'oro t'haggio zappato;
Co' lo secchietiello d'oro t'haggio adacquato;
Co' la tovaglia de seta t'haggio asciuttato:
Spoglia a te e vieste a mme 

[3] Polieno, Stratagemmi, lib. III. - Poscia che Demetrio prese la città di Atene, Lacare vestitosi con certa veste da servo e da villano ed inchiostratasi la faccia, portando un cesto coperto di sterco, segretamente uscì dalla città per una postierla; e montato a cavallo, tenendo dei darici d'oro in mano, se ne fuggì. I cavalieri tarantini però, tennergli dietro a speron battuto senza punto arrestare il corso. In allora egli incominciò a spargere i darici d'oro per la via; i quali veggendo, i tarantini smontavano da cavallo e raccoglievano. Fatto questo più volte, egli tagliò loro il seguitarlo; e perciò Lacare cavalcando se ne venne in Beozia. - Nè molto dissimile è l'altro stratagemma che nel libro IV Polieno narra di Mitridate. Cf. con la favola d'Ippomene ed Atalanta. (V. Guicciardini, Detti e fatti, il racconto intitolato: - Quanto possa l'ajutorio divino nelle cose umane et per contra quanto nuoca la divina indegnatione. - Vedi anche nel XXI dell'Orlando Innamorato del Berni, la storia della figliuola del Re Monodante).


La Gatta Cenerentola, (Pentamerone, Sesto Cunto, Giornata Prima) G.B. Basile - Seconda Parte

ezolla, con giubilo grande che non stava nella pelle, piantò il dattero in un bel vaso; e  mattina e sera lo zappettava, lo innaffiava e  lo asciugava col tovagliuolo di seta.
Con queste cure, il dattero crebbe in quattro giorni alla statura di una donna, e ne venne fuori una Fata, che domandò alla fanciulla:
"Che cosa desideri?".
Zezolla rispose che desiderava uscire qualche volta di casa, e che le sorelle non lo sapessero. Rispose la Fata:
"Ogni volta che ti piaccia, vieni alla pianta e di':

Dattero mio dorato,
con la zappetta d'oro t'ho zappato,
con il secchietto d'oro, annaffiato,
con la fascia di seta t'ho asciugato.
Spoglia te e vesti me!

Quando poi vorrai spogliarti, cangia l'ultimo verso e di': 'Spoglia me e vesti te'''. Venne un giorno di festa, e le figliuole della maestra erano andate in processione fuor di casa, tutte spampanate, strigliate e imbiaccate, tutte nastrini, sonaglini e fronzellini, tutte fiori e odori, rose e cose. Zezolla corse allora alla sua pianta, pronunziò le parole insegnatele dalla Fata e subito fu posta in assetto di regina, sopra una chinea, con dodici paggi attillati e azzimati, e andò anche lei dove erano le sorelle, che non la riconobbero, ma si sentirono venir l'acquolina in bocca per le bellezze di questa vaga colomba.


Kinuko Y. Craft


Volle fortuna che nello stesso luogo capitasse il re, che, alla vista della straordinaria bellezza di Zezolla, rimase incantato, e ordinò a un servitore suo più intrinseco che si informasse nel miglior modo di quella bellissima creatura, chi fosse e dove abitasse. Il servitore si mise subito a pedinarla. Ma essa, che s'accorse dell'agguato, gettò una manata di scudi ricci, che s'era fatti dare dal dattero a quest'effetto; e il servitore, acceso di brama a quei pezzi luccicanti, si scordò di seguire la chinea, fermandosi a raccogliere i danari. E essa di balzo entrò in casa, si spogliò come la Fata la aveva istruita; e sopraggiunsero poi le sei arpie delle sorelle, che, per pungerla e mortificarla, le descrissero a lungo le tante cose belle che avevano viste alla festa.
Il servitore, intanto, era tornato al re e gli aveva raccontato il fatto degli scudi. Si adirò il re e con stizza grande gli disse che, per quattro vili monetuzze, aveva venduto il gusto suo, e che, per ogni conto, avesse procurato nella ventura festa di appurare chi fosse quella bella giovane, e dove s'annidasse così leggiadro uccello.
Venne l'altra festa e le sorelle, uscendo tutte adorne e galanti, lasciarono la disprezzata Zezolla al focolare. Ma immantinente essa corse al dattero, disse le parole solite, ed ecco proromperne una schiera di damigelle, chi con lo specchio, chi con la boccetta d'acqua di cucuzza*, chi col ferro per arricciare, chi col pezzo di rossetto, chi col pettine, chi con gli spilli, chi con le vesti, chi con collane e pendenti. E tutte si misero intorno a lei, e la fecero bella come un sole, e la collocarono in un cocchio a sei cavalli, accompagnato da staffieri e paggi in livrea. E si recò al medesimo luogo dell'altra volta, e aggiunse meraviglia nel cuore delle sorelle e fuoco nel petto del re.
Anche questa volta, al ritorno, il servitore le andò dietro; ma essa, per non farsi arrivare, gettò una manata di perle e gioielli, che quel dabben uomo non poté non chinarsi a beccare, perché non erano cose da lasciar perdere; e  così Zezolla ebbe tempo di ridursi a casa sua e spogliarsi conforme al solito. Tornò il servitore, tutto sbalordito, al re, che gli disse:
"Per l'anima dei morti tuoi, se tu non mi ritrovi quella giovane, ti do una solenne bastonatura, e tanti calci nel sedere quanti hai peli alla barba!".
Al nuovo giorno di festa, e quando già le sorelle s'erano messe in via, Zezolla tornò al dattero e, ripetendo la canzone fatata, fu vestita superbamente e collocata in una carrozza d'oro con tanti servitori attorno, che pareva una cortigiana arrestata al pubblico passeggio e attorniata dagli sbirri**. E, dopo aver eccitato la meraviglia e l'invidia delle sorelle, si partì, seguita dal servitore del re, che questa volta si cucì a filo doppio alla carrozza. Vedendo che sempre le era alle coste, Zezolla gridò:
"Tocca, cocchiere!", e la carrozza si mise in corsa con tanta furia, che a lei, in quell'agitazione, cadde dal piede una pianella***, che non si poteva vedere cosa più ricca e gentile.


Kinuko Y. Craft



Il servitore, non potendo raggiungere la carrozza che ormai volava, raccattò la pianella e la portò al re, narrandogli quanto gli era accaduto. Il re, la tolse tra le mani ed uscì in questi detti:
"Se il fondamento è così bello, che sarà mai la casa? O bel candeliere, dove è stata infissa la candela che mi consuma! O treppiede della bella caldaia, dove bolle la mia vita! O bei sugheri, attaccati alla lenza d'Amore, con la quale ha pescato quest'anima! Ecco, io vi abbraccio e vi stringo, e, se non posso giungere alla pianta, adoro le radici; se non posso attingere i capitelli, bacio le basi! Voi già foste ceppi di un bianco piede, e ora siete tagliuola di un cuore addolorato. Per virtù vostra, colei che tiranneggia la mia vita, era alta un palmo e mezzo di più; e per voi cresce altrettanto in dolcezza questa mia vita, mentre vi guardo e vi possiedo!".
Ciò detto, il re chiama lo scrivano, comanda ai trombetti, e tu-tu-tu, fa gettare un bando che tutte le donne del paese vengano a una festa e a un banchetto che ha determinato di dare. Nel giorno stabilito, oh bene mio! quale masticatorio e quale fiera fu quella! Donde uscirono tante pastiere e casatielli, donde gli stufati e le polpette? donde i maccheroni e graviuoli, che poteva saziarvisi un esercito intero? Le femmine c'erano tutte e di ogni qualità, e nobili e ignobili, e ricche e pezzenti, e vecchie e giovani, e belle e brutte, e, poiché ebbero ben lavorato coi denti, il re, fatto il profizio, si mise a provare la pianella a una a una a tutte le invitate per vedere a chi di esse andasse a capello e bene assestata, tanto che egli potesse dalla forma della pianella conoscer quella che andava cercando. Ma non trovò alcun piede a cui andasse a sesto, e fu sul punto di disperare.


Kinuko Y. Craft


Nondimeno, imposto generale silenzio, disse:
"Tornate domani a far penitenza con me; ma se mi volete bene, non lasciate nessuna femmina a casa, e sia quale sia!".
Parlò allora il principe:
"Io ho una figlia, ma sta sempre a guardare il focolare, perché è una creatura disgraziata e dappoco, non meritevole di sedere dove mangiate voi".
Replicò il re:
"Questa sia a capo di lista, perché l'ho caro".
Così partirono, e il giorno dopo tornarono tutte, e, insieme con le figlie di Carmosina, Zezolla, la quale, come il re la vide, gli dié l'impressione di quella che desiderava; e nondimeno dissimulò. Ma, finito il desinare, si venne alla prova della pianella che, non appena fu appressata al piede di Zezolla, si lanciò di per se stessa, come il ferro corre alla calamita, a calzare quel coccopinto d'Amore. Il re alora strinse Zezolla tra le braccia, e, condottala sotto il suo baldacchino, le mise la corona sul capo, ordinando a tutti di farle inchini e riverenze come a loro regina. Le sorelle, livide d'invidia, non potendo reggere allo schianto dei loro cuori, filarono moge moge verso la casa della madre, confessando a lor dispetto che

pazzo è chi contrasta con le stelle.




E. Le Cain


Traduzione dal Napoletano di Anna Buia.


Dalle note di B. Croce:

*Olio cosmetico e medicinale, che si traeva da alcune specie di zucche.

**Alle cortigiane era vietato di andare in carrozza ai pubblici passeggi e in gondola alla spiaggia di Posilipo, passeggiata quotidiana del vicerè e della nobiltà.Se alcuna contravveniva al divieto, (e il caso non era infrequente), sorpresa e circondata dagli sbirri, era condotta in carcere. [...]

***Le pianelle si sovrapponevano alle scarpette. Il Celano [...]   notava che prima non v'era "dama napolitana che, senza queste, camminato avesse", ma che, ai suoi tempi, "fuor di qualche monaca claustrale e riformata", le pianelle erano disusate "da tutte le donne", che andavano invece "in iscarpette" [...]
Dalla nota 19:
Le pianelle erano fornite di tacchi altissimi o calcagnini, quasi trampoli [...]

venerdì 3 aprile 2015

La Gatta Cenerentola, (Pentamerone, Sesto Cunto, Giornata Prima) G.B. Basile - Prima Parte


Zezolla, 'mmezzata da la Majestra ad accidere la Matreja; e credenno, co' farele avere lo patre pe' mmarito, d'essere tenuta cara; è posta a la cucina. Ma ppe' bertute de le fate, dapò varie fortune, sse guadagna 'no Re pe 'mmarito.

'era, dunque, una volta un principe vedovo, il quale aveva una figlia a lui tanto cara che non vedeva per altri occhi. Le aveva dato una maestra da cucire di prima riga, che le insegnava le catenelle, il punto in aria, le frange e le orlature, dimostrandole tanta affezione che non si potrebbe dire. Ma, essendosi il padre riammogliato di fresco e avendo preso una rabbiosa, malvagia e indiavolata femmina, questa maledetta cominciò ad avere in odio la figliastra, facendole cère brusche, visi torti, occhiate di cipiglio, da darle il soprassalto per la paura.


Leo & Diane Dillon


La povera fanciulla si lamentava sempre con la maestra dei maltrattamenti della matrigna, conchiudendo:
"Oh Dio, e non potresti essere tu la mammina mia, tu che mi fai tanti vezzi e carezze?"
E tante volte le ripeté questa cantilena, che le mise una vespa nell'orecchio, sicché, accecata dal diavolo, la maestra finì col dirle:
"Se vuoi fare a modo di questa testa matta, io ti sarò mamma e tu sarai la pupilla degli occhi miei".
Stava per continuare in questo prologo, quando Zezolla (che così si chiamava la giovane) la interruppe:
"Perdonami se ti rompo la parola in bocca. So che mi vuoi bene; perciò zitto e sufficit; insegnami l'arte ché io sono nuova: tu scrivi e io firmo".
"Orsù - replicò la maestra - ascolta bene, apri gli orecchi, e godrai sempre pane bianco di fior di farina. Quando tuo padre va fuori di casa, di' alla tua matrigna che vuoi un vestito di quei vecchi, che stanno nel cassone grande del ripostiglio, per risparmiare questo che porti addosso. Essa, che ti vuol vedere tutta cenci e brandelli, aprirà il cassone e dirà 'Tieni il coperchio'. E tu, tenendolo, mentr'essa andrà rovistando là dentro, lascialo cader di colpo, ché le fiaccherà il collo. Dopo di ciò, sai bene che tuo padre farebbe moneta falsa per amor tuo e tu, quando egli ti carezza, pregalo di prendermi per moglie, ché, te beata, sarai la padrona della mia vita."


De Morgan E.


Udito il disegno, a Zezolla ogni ora parve mille anni e, messo in atto punto per punto il consiglio della maestra, quando fu trascorso il tempo del lutto per la morte della matrigna, cominciò a toccare i tasti al padre affinché s'ammogliasse con la sua maestra. Dapprima, il principe prese la cosa in celia; ma tante volte Zezolla tirò di piatto, che, infine, colpì di punta, ed egli si piegò alle persuasioni della figliuola. Così si sposò con la maestra Carmosina, e si fece una festa grande.
Ora, mentre gli sposi stavano in gaudio, Zezolla si affacciò a un gaifo della sua casa e in quel punto una colombella volò sopra un muro e le disse:
"Quando ti vien desio di qualche cosa, manda a dimandarla alla colombella delle fate dell'isola di Sardegna*, che tu l'avrai subito".
Per cinque o sei giorni la nuova matrigna incensò con ogni sorta di carezze Zezolla, facendola sedere al miglior luogo della tavola, dandole i migliori bocconi e adornandola con le migliori vesti. Ma, corso pochissimo tempo, mandò a monte e scordò affatto il servigio ricevuto (oh trista l'anima, che ha cattiva padrona!), e cominciò a mettere in iscranna sei figlie sue, che fin allora aveva tenute segrete; e tanto fece che il marito, presele in grazia, si lasciò cascar dal cuore la figlia sua propria. E Zezolla, scapita oggi, manca domani, finì col ridursi a tal punto che dalla camera passò alla cucina, dal baldacchino al focolare, dagli sfoggi di seta e oro agli strofinaccioli, dagli scettri agli spiedi. Né solo cangiò stato, ma anche nome, e non più Zezolla, ma fu chiamata "Gatta Cenerentola".
Ora seguì che, dovendo il principe andare in Sardegna per cose necessarie al suo stato, prima di partire domandò a una a una, a Imperia, Calamita, Fiorella, Diamante, Colombina e Pascarella, che erano le sei figliastre, che cosa volevano che portasse loro al ritorno. E chi gli chiese un abito di lusso, chi galanterie pel capo, chi belletti per la faccia, chi giocattoli per passare il tempo, e chi una cosa e chi un'altra. In ultimo, e quasi per dileggio. egli disse alla figlia:
"E tu, che cosa vorresti?"
Ed essa:
"Nient'altro se non che mi raccomandi alla colomba delle fate, che mi mandi qualcosa e, se ti dimentichi, che tu non possa andare né innanzi né indietro. Tieni bene a mente quel che ti dico arma tua, manica tua**".


Schloe C.


Partì il principe, sbrigò le sue faccende in Sardegna, comprò quanto gli avevano chiesto le figliastre, e Zezolla gli uscì di mente. Ma, quando si fu imbarcato e già erano state spiegate le vele, non fu possibile far che il vascello si staccasse dal porto: pareva che ne fosse impedito dalla remora***. Il padrone della nave, ch'era quasi disperato, si mise a dormire per la stanchezza, e in sogno gli apparve una fata, che gli annunziò:
"Sai perché non potete staccarvi dal porto? Perché il principe, che vien con voi, ha mancato alla promessa verso la figlia, ricordandosi di tutti, fuorché del sangue proprio".
Appena svegliato, il capitano raccontò il sogno al principe, che, confuso per la mancanza commessa, andò alla grotta delle fate, e, raccomandata loro la figliuola, le pregò di mandarle qualche dono.
Ed ecco uscir fuori dalla spelonca una bella giovane, che pareva un gonfalone, e gli disse di ringraziare la figliuola della buona memoria, e che se la passasse lieta per amor suo. Con queste parole, gli porse un dattero, una zappa, un secchietto d'oro e un asciugatoio di seta: il dattero da esser piantato, e le altre cose per coltivarlo e curararlo.
Il principe, meravigliato di questo regalo, si accomiatò dalla fata, volgendosi al suo paese dove, giunto, distribuì alle figliastre le cose che avevano desiderate, e in ultimo consegnò alla figlia il dono della fata.


Schloe C.


Traduzione dal Napoletano di Anna Buia.

Dalle note di B. Croce:

*Secondo la tradizione, le grotte della Sardegna erano popolate di piccole fate (janas o gianas), generalmente benefiche e dotate del dono della profezia.

**Modo di dire proverbiale, "se manchi alla parola, peggio per te".

***Secondo Plinio (Nat. Hist., IX 41), la remora si attacca ad altri pesci o a imbarcazioni per farsi trasportare, rallentandone o addirittura impedendone la navigazione; da qui il suo nome.