venerdì 3 aprile 2015

La Gatta Cenerentola, (Pentamerone, Sesto Cunto, Giornata Prima) G.B. Basile - Prima Parte


Zezolla, 'mmezzata da la Majestra ad accidere la Matreja; e credenno, co' farele avere lo patre pe' mmarito, d'essere tenuta cara; è posta a la cucina. Ma ppe' bertute de le fate, dapò varie fortune, sse guadagna 'no Re pe 'mmarito.

'era, dunque, una volta un principe vedovo, il quale aveva una figlia a lui tanto cara che non vedeva per altri occhi. Le aveva dato una maestra da cucire di prima riga, che le insegnava le catenelle, il punto in aria, le frange e le orlature, dimostrandole tanta affezione che non si potrebbe dire. Ma, essendosi il padre riammogliato di fresco e avendo preso una rabbiosa, malvagia e indiavolata femmina, questa maledetta cominciò ad avere in odio la figliastra, facendole cère brusche, visi torti, occhiate di cipiglio, da darle il soprassalto per la paura.


Leo & Diane Dillon


La povera fanciulla si lamentava sempre con la maestra dei maltrattamenti della matrigna, conchiudendo:
"Oh Dio, e non potresti essere tu la mammina mia, tu che mi fai tanti vezzi e carezze?"
E tante volte le ripeté questa cantilena, che le mise una vespa nell'orecchio, sicché, accecata dal diavolo, la maestra finì col dirle:
"Se vuoi fare a modo di questa testa matta, io ti sarò mamma e tu sarai la pupilla degli occhi miei".
Stava per continuare in questo prologo, quando Zezolla (che così si chiamava la giovane) la interruppe:
"Perdonami se ti rompo la parola in bocca. So che mi vuoi bene; perciò zitto e sufficit; insegnami l'arte ché io sono nuova: tu scrivi e io firmo".
"Orsù - replicò la maestra - ascolta bene, apri gli orecchi, e godrai sempre pane bianco di fior di farina. Quando tuo padre va fuori di casa, di' alla tua matrigna che vuoi un vestito di quei vecchi, che stanno nel cassone grande del ripostiglio, per risparmiare questo che porti addosso. Essa, che ti vuol vedere tutta cenci e brandelli, aprirà il cassone e dirà 'Tieni il coperchio'. E tu, tenendolo, mentr'essa andrà rovistando là dentro, lascialo cader di colpo, ché le fiaccherà il collo. Dopo di ciò, sai bene che tuo padre farebbe moneta falsa per amor tuo e tu, quando egli ti carezza, pregalo di prendermi per moglie, ché, te beata, sarai la padrona della mia vita."


De Morgan E.


Udito il disegno, a Zezolla ogni ora parve mille anni e, messo in atto punto per punto il consiglio della maestra, quando fu trascorso il tempo del lutto per la morte della matrigna, cominciò a toccare i tasti al padre affinché s'ammogliasse con la sua maestra. Dapprima, il principe prese la cosa in celia; ma tante volte Zezolla tirò di piatto, che, infine, colpì di punta, ed egli si piegò alle persuasioni della figliuola. Così si sposò con la maestra Carmosina, e si fece una festa grande.
Ora, mentre gli sposi stavano in gaudio, Zezolla si affacciò a un gaifo della sua casa e in quel punto una colombella volò sopra un muro e le disse:
"Quando ti vien desio di qualche cosa, manda a dimandarla alla colombella delle fate dell'isola di Sardegna*, che tu l'avrai subito".
Per cinque o sei giorni la nuova matrigna incensò con ogni sorta di carezze Zezolla, facendola sedere al miglior luogo della tavola, dandole i migliori bocconi e adornandola con le migliori vesti. Ma, corso pochissimo tempo, mandò a monte e scordò affatto il servigio ricevuto (oh trista l'anima, che ha cattiva padrona!), e cominciò a mettere in iscranna sei figlie sue, che fin allora aveva tenute segrete; e tanto fece che il marito, presele in grazia, si lasciò cascar dal cuore la figlia sua propria. E Zezolla, scapita oggi, manca domani, finì col ridursi a tal punto che dalla camera passò alla cucina, dal baldacchino al focolare, dagli sfoggi di seta e oro agli strofinaccioli, dagli scettri agli spiedi. Né solo cangiò stato, ma anche nome, e non più Zezolla, ma fu chiamata "Gatta Cenerentola".
Ora seguì che, dovendo il principe andare in Sardegna per cose necessarie al suo stato, prima di partire domandò a una a una, a Imperia, Calamita, Fiorella, Diamante, Colombina e Pascarella, che erano le sei figliastre, che cosa volevano che portasse loro al ritorno. E chi gli chiese un abito di lusso, chi galanterie pel capo, chi belletti per la faccia, chi giocattoli per passare il tempo, e chi una cosa e chi un'altra. In ultimo, e quasi per dileggio. egli disse alla figlia:
"E tu, che cosa vorresti?"
Ed essa:
"Nient'altro se non che mi raccomandi alla colomba delle fate, che mi mandi qualcosa e, se ti dimentichi, che tu non possa andare né innanzi né indietro. Tieni bene a mente quel che ti dico arma tua, manica tua**".


Schloe C.


Partì il principe, sbrigò le sue faccende in Sardegna, comprò quanto gli avevano chiesto le figliastre, e Zezolla gli uscì di mente. Ma, quando si fu imbarcato e già erano state spiegate le vele, non fu possibile far che il vascello si staccasse dal porto: pareva che ne fosse impedito dalla remora***. Il padrone della nave, ch'era quasi disperato, si mise a dormire per la stanchezza, e in sogno gli apparve una fata, che gli annunziò:
"Sai perché non potete staccarvi dal porto? Perché il principe, che vien con voi, ha mancato alla promessa verso la figlia, ricordandosi di tutti, fuorché del sangue proprio".
Appena svegliato, il capitano raccontò il sogno al principe, che, confuso per la mancanza commessa, andò alla grotta delle fate, e, raccomandata loro la figliuola, le pregò di mandarle qualche dono.
Ed ecco uscir fuori dalla spelonca una bella giovane, che pareva un gonfalone, e gli disse di ringraziare la figliuola della buona memoria, e che se la passasse lieta per amor suo. Con queste parole, gli porse un dattero, una zappa, un secchietto d'oro e un asciugatoio di seta: il dattero da esser piantato, e le altre cose per coltivarlo e curararlo.
Il principe, meravigliato di questo regalo, si accomiatò dalla fata, volgendosi al suo paese dove, giunto, distribuì alle figliastre le cose che avevano desiderate, e in ultimo consegnò alla figlia il dono della fata.


Schloe C.


Traduzione dal Napoletano di Anna Buia.

Dalle note di B. Croce:

*Secondo la tradizione, le grotte della Sardegna erano popolate di piccole fate (janas o gianas), generalmente benefiche e dotate del dono della profezia.

**Modo di dire proverbiale, "se manchi alla parola, peggio per te".

***Secondo Plinio (Nat. Hist., IX 41), la remora si attacca ad altri pesci o a imbarcazioni per farsi trasportare, rallentandone o addirittura impedendone la navigazione; da qui il suo nome.

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