Un giorno, un cortese e abile apprendista sarto si addentrò in una grande foresta e si smarrì, poiché non ne conosceva i sentieri. Scese la notte e non gli restò altro da fare che cercare un giaciglio in quella paurosa solitudine. Avrebbe potuto dormire su di un letto di soffice muschio, ma aveva troppa paura delle bestie feroci, così decise di trascorrere la notte tra i rami di un albero. Si arrampicò in cima ad un'alta quercia, e ringraziò Dio poiché aveva il suo ferro da stiro con sé, altrimenti il vento, che lassù soffiava forte, lo avrebbe trascinato via. Dopo aver trascorso qualche ora immerso nelle tenebre, tremando di paura, vide brillare una luce a poca distanza, e, pensando che provenisse da una abitazione dove, certamente, sarebbe stato più comodo che in cima ad un albero, scese con ogni cautela dalla quercia e si incamminò in quella direzione.
Christensen J.
La luce lo condusse ad una capannuccia di canne e giunchi intrecciati. Bussò coraggiosamente, la porta si aprì, e, al chiarore che proveniva dall'interno della capanna, vide un piccolo vecchio uomo dai capelli bianchi con indosso una veste fatta di tante pezze colorate cucite insieme.
"Chi sei? E cosa vuoi?", gli chiese questi, con voce ruvida.
"Sono un povero sarto che la notte ha sorpreso in queste contrade selvagge. Vi supplico di ospitarmi nella vostra capanna fino al mattino".
"Va' via - gli rispose quello aspramente - non voglio avere niente a che fare con i vagabondi, io! Cerca riparo su di un albero", e fece per rientrare, ma il sarto lo afferrò per un lembo della veste e lo scongiurò con accenti talmente toccanti che il vecchio - il quale non era poi così cattivo come voleva far credere - finì per addolcirsi e lo lasciò entrare in casa. Gli offrì da mangiare e gli indicò un buon letto in un angolo della capanna. Stanco com'era, il sarto non aveva certo bisogno d'esser cullato: dormì profondamente fino al mattino, e avrebbe anche continuato se un improvviso e orrendo baccano non l'avesse destato di soprassalto. Grida feroci e muggiti possenti gli giunsero all'orecchio attraverso le sottili pareti della capanna.
Animato da un improvviso coraggio, il sarto si alzò, si rivestì in gran fretta e si precipitò fuori: un grande toro nero ed un magnifico cervo erano impegnati in un violento combattimento. Si lanciavano l'uno contro l'altro con tale furia che la terra tremava sotto i loro zoccoli e l'aria rimbombava delle loro grida. Lo scontro durò a lungo, e a lungo l'esito del combattimento sembrò incerto, finché il cervo non sventrò il toro con una cornata. Il toro crollò a terra con un terribile muggito e il cervo lo finì rapidamente. Il sarto, che, stupefatto, aveva seguito il feroce combattimento, era rimasto lì, impietrito, e non ebbe il tempo di fuggire quando il cervo, all'improvviso, si slanciò verso di lui e lo sollevò sulle sue grandi corna. Il sarto non riusciva neanche a riflettere su ciò che gli stava accadendo perché il cervo si era lanciato in una folle corsa per monti e valli, per prati e foreste; si aggrappò con tutt'e due le mani alle estremità delle corna e si abbandonò al suo destino: aveva l'impressione di volare. Infine, il cervo si fermò davanti ad una parete di roccia e lasciò scivolare delicatamente il sarto a terra. Questi, più morto che vivo, ebbe bisogno di un po' di tempo per riaversi. E il cervo, che era rimasto immobile aspettando che si riprendesse, si slanciò con tale impeto contro una porta nella roccia che essa si spalancò al primo assalto. Ne scaturirono alte fiamme e un fumo così denso che nascose il cervo alla vista del sarto. Mentre questi se ne stava sbalordito e indeciso sul da farsi per riuscire ad abbandonare quelle lande selvagge e tornare tra gli esseri umani, una voce si levò dalla roccia e disse:"Entra senza timore, non te ne verrà alcun male". A dire il vero, il sarto esitava, ma, sospinto da una forza misteriosa, oltrepassò la porta di ferro entrando in una grande sala, dove le pareti, il soffitto e il pavimento erano ricoperti da lucide e levigate lastre di pietra su cui erano incise misteriose lettere. Il sarto si guardò intorno con grande stupore, e stava per tornare sui suoi passi, quando, nuovamente, la voce gli parlò:
"Va' sulla grande lastra al centro della sala e attendi la grande felicità che è in serbo per te". Il sarto era diventato così coraggioso che obbedì all'ordine. La pietra incominciò a cedere sotto i suoi piedi, sprofondando lentamente. Quando si fermò, il sarto si guardò intorno e scoprì di trovarsi in una sala che era vasta come la precedente, ma conteneva cose ancòra più interessanti e stupefacenti.
Nelle pareti si aprivano numerose nicchie e nelle nicchie c'erano vasi di vetro trasparente colmi di alcol colorato o di un fumo azzurrognolo. A terra, collocate l'una di fronte all'altra, c'erano due grandi casse di vetro, che suscitarono immediatamente la sua curiosità. Accostatosi alla prima, scoprì che conteneva una costruzione in miniatura, un castello con le sue case coloniche, e magazzini e fienili e una miriade di tante altre cose del genere. Tutto era di minuscole dimensioni, ma di finissima fattura, come se fosse stato cesellato con estrema perizia da un'abile mano. Si sarebbe soffermato a contemplare a lungo quella meraviglia, se non si fosse fatta sentire ancòra una volta la voce di prima. E la voce gli ordinò di voltarsi e di andare a guardare il contenuto dell'altra cassa di vetro. E con quanta ammirazione scoprì che all'interno della seconda cassa giaceva una fanciulla di straordinaria bellezza! Sembrava immersa in un profondo sonno, ed era avvolta nei lunghissimi capelli come fossero un mantello prezioso. I suoi occhi erano chiusi, ma lo splendore dell'incarnato e un nastro che si alzava e si abbassava, mosso dal soffio del suo respiro regolare, non lasciavano alcun dubbio che fosse viva. Il sarto se ne stava lì a contemplarla, con il cuore che gli batteva forte, quando, all'improvviso, ella spalancò gli occhi, e, vedendolo, saltò su, in preda ad ina gioiosa eccitazione mista a paura. "Cielo! - gridò - la mia liberazione è vicina! Presto, presto, liberami dalla mia prigione: se farai scorrere il chiavistello di questa bara di vetro, sarò libera!". Il sarto obbedì senza esitare. La fanciulla sollevò il coperchio della bara, saltò fuori, e si precipitò in un angolo della sala, avvolgendosi in un grande mantello. Quindi, sedette su una pietra, invitò accanto a sé il giovane sarto, e, dopo averlo teneramente baciato sulle labbra, disse:
Cheval M.
"Oh, il liberatore che ho atteso tanto a lungo! Il Cielo ti ha condotto fino a me per porre fine alle mie sofferenze. E lo stesso giorno in cui esse cesseranno avrà inizio la tua felicità, poiché sei lo sposo che il Cielo ha scelto per me e trascorrerai il resto della tua vita nella più grande letizia, ricco del mio amore, e, in sovrappiù, di ogni bene terreno. Siedi al mio fianco e ascolta la mia storia.
Sono figlia di un ricco Conte. I miei genitori morirono quando ero ancòra in tenera età e mi affidarono a mio fratello, più grande di me, che mi allevò. Ci amavamo teneramente ed eravamo talmente simili nel modo di pensare e nelle nostre inclinazioni che risolvemmo di non sposarci e di vivere insieme per tutta la vita. La nostra casa non era mai vuota: vicini ed amici venivano spesso a trovarci e noi li accoglievamo con la più generosa ospitalità. Così accadde che, una sera, uno straniero a cavallo giunse alla nostra porta, e, con il pretesto di non essere in grado di proseguire oltre, implorò un rifugio per la notte. Accogliemmo con sollecita cortesia la sua richiesta. Quella sera, durante la cena, egli ci intrattenne con la più brillante conversazione, arricchita da interessanti racconti.
Balbusso T.
Mio fratello era così entusiasta del forestiero che lo pregò di trattenersi per qualche giorno, e lui, dopo qualche esitazione, accettò. Lasciammo la tavola a tarda ora. Allo straniero fu mostrata la sua camera, ed io mi affrettai verso la mia perché ero molto stanca. Mi ero appena addormentata quando fui destata dal soave suono di una musica celestiale. Poiché non riuscivo a capacitarmi della sua provenienza, pensai di chiamare la mia cameriera, che dormiva nella stanza accanto, ma, con mio grande terrore, mi resi conto che una forza sconosciuta mi aveva tolto la favella: era come se una montagna premesse sul mio petto, impedendomi di emettere il benché minimo suono. Intanto, alla luce della mia lampada da notte, vidi il forestiero penetrare nella mia camera, nonostante due porte rinserrate con il catenaccio. Si avvicinò al mio letto e mi disse che, grazie alle potenze magiche al suo comando, aveva evocato la musica celestiale che mi aveva svegliato e aveva aperto le porte rinserrate per offrirmi la sua mano ed il suo cuore. Tuttavia, la mia repulsione per le sue arti magiche era talmente grande che non lo degnai di una risposta. Egli si trattenne per un po' accanto al mio letto, immobile, sperando in una risposta favorevole, ma, poiché restavo chiusa nel mio silenzio, s'infuriò e, dopo aver affermato che si sarebbe vendicato e avrebbe escogitato il modo di punire la mia superbia, lasciò la stanza.
Alexander Timofeev
Trascorsi la notte nella più grande inquietudine e mi addormentai solo verso il mattino. Mi precipitai da mio fratello per raccontargli l'accaduto, ma i suoi domestici mi dissero che, all'alba, era uscito a cavallo con lo straniero, per una battuta di caccia. In preda ai più funesti presagi, mi vestii in gran fretta, ordinai al palafreniere di sellare il mio cavallo, e, con la sola compagnia di un servo, mi inoltrai al galoppo nella foresta. Il servo cadde rovinosamente e non poté più seguirmi poiché il suo cavallo si era spezzato una zampa. Continuai senza esitare finché non vidi avanzare verso di me il forestiero: teneva al laccio un bellissimo cervo. Gli chiesi dove fosse mio fratello e come fosse entrato in possesso di quel cervo dai cui magnifici occhi scendevano copiose lacrime. Invece di rispondermi, lo straniero scoppiò in una clamorosa risata.
Balbusso T.
Furiosa, impugnai la mia pistola e la scaricai addosso a quel mostro, ma il proiettile rimbalzò sul suo petto, conficcandosi nella testa del mio cavallo. Rovinai al suolo e lo straniero mormorò alcune parole che mi privarono della coscienza. Quando ripresi i sensi, mi ritrovai in questa grande caverna sotterranea, in una bara di vetro. Ancòra una volta mi apparve lo stregone. Mi disse che aveva mutato mio fratello in un cervo, che, sempre grazie alle sue arti, aveva miniaturizzato il castello e gli altri possedimenti collocandoli nell'altra cassa di vetro, ed aveva trasformato la nostra gente in fumo azzurrognolo, imprigionandola in bottiglie di vetro. Quindi, mi annunciò che, se mi fossi piegata al suo volere, sarebbe stato facile per lui far ritornare gli esseri umani ed il castello al loro primitivo aspetto, ma io rimasi in silenzio, come la notte precedente. Allora, mi lasciò nella mia prigione, ed un sonno magico si è impossessato di me, un sonno popolato da visioni, e, fra tutte, la più confortante era quella di un giovane uomo che veniva a liberarmi. Oggi, quando ho aperto gli occhi e ti ho visto, ho capito che il mio sogno era diventato realtà. Aiutami a realizzare anche le altre visioni. Per prima cosa, spingiamo la cassa di vetro con il castello sulla grande pietra centrale". Non appena la fanciulla, il sarto e la cassa di vetro si trovarono sulla pietra, essa salì lentamente fino alla sala superiore, da dove i due giovani riuscirono facilmente ad uscire all'aperto. Lì, la fanciulla aprì il coperchio della cassa e, con meravigliosa rapidità, il castello, le costruzioni adiacenti e le case coloniche tornarono alle primitive dimensioni. Ella ritornò nella grotta ed aprì, una dopo l'altra, le bottiglie di vetro, e tutti coloro che vi erano imprigionati, cortigiani, servi, contadini, e gli abitanti del villaggio furono liberi. Ma la gioia della fanciulla fu al colmo quando ella vide uscire dalla foresta l'amato fratello che, ucciso lo stregone quand'era in forma di toro, aveva riacquistato l'antico sembiante, e avanzava verso di loro. Quello stesso giorno, la fanciulla mantenne la sua promessa e si unì in matrimonio al fortunato giovane sarto.
Più vicina ad una novella gotica che ad una fiaba, è una delle fiabe dei Grimm meno conosciuta - o, forse - meno popolare in Italia. Non ne conosco varianti, se non pescando in altri mari. Ha poco a che vedere con La Bella Addormentata, giusto la bara di vetro e il "sonno" indotto magicamente.
Grimm n.163, "Der gläserne Sarg".
Classificazione: Aa Th 410 [Sleeping Beauty]
Traduzione: Mab's Copyright
Il testo in lingua originale è nella Pagina: "Brüder Grimm"
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