Edward Dubs Shimer
'era una volta in Irlanda* un Re. E questo Re aveva tre figlie. E meravigliosamente belle erano le tre Principesse. Un giorno, mentre passeggiavano sul prato, il Re chiese loro, per gioco, chi avrebbero voluto come sposo.
"Io prenderò per marito il Re dell'Ulster*", disse una.
"E io il Re del Munster*", disse un'altra.
"E io non avrò altro sposo che l'Orso Bruno della Norvegia", disse la più giovane.
Una delle loro balie era solita raccontarle la fiaba di un principe stregato che chiamava proprio così - l'Orso Bruno della Norvegia - e la fanciulla se n'era innamorata, così quello fu il primo nome che le salì alle labbra, anche perché, giusto la notte precedente, aveva sognato di lui.
Beh, una sorella scoppiò a ridere, e l'altra anche, e continuarono per tutta la sera, e la Principessa rideva con loro; ma, quella stessa notte, si risvegliò all'improvviso in una grande sala illuminata da migliaia di lampade. Rari e preziosi tappeti ricoprivano i pavimenti e tappezzerie intessute d'oro e d'argento le pareti.
La sala era affollata di invitati, e il bellissimo Principe che aveva visto nei suoi sogni era là, davanti a lei; ed ecco, in un attimo, posava un ginocchio a terra e le diceva quanto profondo fosse il suo amore, e le chiedeva di diventare la sua regina. Le mancò il cuore di rifiutarlo e si sposarono quella notte stessa.
"Ora, mia cara - le disse lui, quando li lasciarono soli - devi sapere che sono prigioniero di un incantesimo. Una Maga, che ha una bellissima figliuola, mi voleva per genero. Ella aveva un grande potere, e, quando mi rifiutai di sposare sua figlia, mi condannò ad assumere le sembianze di un orso durante il giorno, e tale condanna sarebbe cessata solo quando una Dama avesse accettato di sposarmi di sua spontanea volontà e avesse sopportato per me cinque anni di grandi patimenti".
Bene, quando, il mattino dopo, la Principessa si svegliò, si accorse di non avere più il suo sposo accanto, e la giornata trascorse assai tristemente. Ma, non appena le lampade furono accese nella grande sala in cui lei era seduta su un divano ricoperto di seta, le porte si spalancarono, e, un attimo dopo, il marito era seduto al suo fianco. Trascorsero insieme un’altra notte felice, ma il Principe la ammonì che, se un giorno si fosse stancata del suo sposo o avesse smesso di fidarsi di lui, sarebbero stati separati per sempre, e il Principe avrebbe dovuto sposare la figlia della Strega. Così la Principessa si abituò a trascorrere le sue giornate in solitudine, e, dopo un anno di grande felicità, le nacque un bellissimo maschietto. Adesso, ella era doppiamente felice poiché aveva il suo bambino a tenerle compagnia durante il giorno, quando non le era possibile vedere il marito. Un'afosa sera d'estate, i due sposi erano seduti accanto ad una finestra spalancata con il loro bambino, quando un'aquila entrò in volo nella sala, afferrò con il becco le fasce del bimbo e fuggì via dalla finestra portandolo con sé.
Ford H.J.
La Principessa urlò e stava per lanciarsi dalla finestra dietro suo figlio, quando il Principe la afferrò, e la fissò severamente. Lei si sovvenne di ciò che le aveva raccomandato subito dopo le loro nozze, e soffocò le grida e i lamenti che le salivano alle labbra.
Dopo un lungo anno di grande solitudine, le nacque una stupenda bambina, e lei si ripromise di sorvegliarla con grande attenzione, e di non permettere che le finestre fossero dischiuse più di qualche centimetro. Ma ogni precauzione risultò inutile. Una sera, mentre erano tutti e tre riuniti e felici, e il Principe cullava la bimba fra le sue braccia, comparve all'improvviso davanti a loro un magnifico levriero che, in un batter d'occhio, strappò la bimba dalle mani del padre e infilò la porta con lei. Questa volta la Principessa urlò e si precipitò nella stanza accanto, ma lì c’erano alcuni domestici che dichiararono di non aver visto passare né il levriero né la bimba. Lei sentiva che, in un modo o nell'altro, era colpa del marito, ma riprese il dominio di sé e non si lasciò sfuggire neanche un rimprovero.
Quando le nacque il terzo figlio, la Principessa proibì che si lasciassero aperte anche solo per un attimo porte e finestre, ma non le servì a salvare il suo bambino. Una sera, mentre la famigliuola era seduta accanto al focolare, ecco una dama ritta davanti a loro. La Principessa spalancò gli occhi per il gran terrore e la fissò, e mentre la fissava, la dama avvolse uno scialle intorno al bambino, che era seduto sulle ginocchia del padre, e scomparve con lui, giù nel pavimento o, forse, su per l'ampia cappa del camino. Questa volta, la madre rimase a letto per un mese.
"Mio caro, - disse al marito, quando incominciò a riaversi - penso che sarebbe un bene per me se potessi rivedere una volta ancòra mio padre, mia madre e le mie sorelle. Se mi lascerai tornare a casa mia per qualche giorno, ne sarò felice."
"Va bene - disse lui - acconsento, e, quando avrai voglia di tornare, devi solo esprimerne il desiderio al momento di coricarti".
Il mattino seguente, la Principessa si svegliò nella sua vecchia camera nel Palazzo paterno. Suonò il campanello, e, in un attimo, eccola circondata dalla madre, dal padre e dalle sorelle - che, nel frattempo, s'erano maritate - e tutti risero e piansero di gioia nel riaverla a casa sana e salva.
Un po' per volta, raccontò loro tutto ciò che le era capitato, ma la sua famiglia non sapeva proprio cosa consigliarle.
Era sempre innamorata del marito e dichiarò di essere sicura che lui avrebbe impedito che i loro bimbi le fossero strappati, se ne avesse avuto il potere, tuttavia, aveva paura di dare alla luce un altro figlio e che anch'egli le venisse portato via. Allora, la madre e le sorelle consultarono una donna saggia, la Comare-dei-Polli** che solèva portare le uova al Castello, poiché avevano grande fiducia nella sua sapienza. La donna disse che l’unica via d'uscita era riuscire a mettere le mani sulla pelle d’orso che il Principe era costretto ad indossare ogni mattina, per poi bruciarla, così avrebbe spezzato l’incantesimo, e lui sarebbe stato un uomo sia di giorno che di notte. Incalzata dalla famiglia perché seguisse il buon consiglio della donna saggia, la Principessa promise che lo avrebbe fatto.
Otto giorni più tardi, fu presa da una tale nostalgia del marito che, quella stessa sera, espresse il desiderio di rivederlo, e, quando si svegliò, si ritrovò nel Palazzo del suo sposo, e lui in persona era chino su di lei e la guardava.
Si riabbracciarono al colmo della gioia, e trascorsero insieme molti giorni felici. Poi, la Principessa prese a riflettere: come mai non si svegliava quando suo marito la lasciava ogni mattina? E perché il Principe non dimenticava mai di offrirle con le sue stesse mani, ogni sera, al momento di coricarsi, una bevanda dolce in una coppa d’oro?
Una sera, finse di bere. Così, il mattino dopo, era ben sveglia, e, benché tenesse gli occhi appena dischiusi, vide il marito lasciare la camera attraverso una porta segreta.
La notte seguente, versò nella bevanda serale del marito qualche goccia del sonnifero che era riuscita a mettere da parte la sera prima, e il Principe si addormentò più profondamente del solito. Verso mezzanotte, la Principessa si alzò, aprì la porta segreta, e trovò una magnifica pelle d'orso bruno appesa in un angolo. Allora, la prese, si recò in salotto, e la gettò nel fuoco, dove essa bruciò fino a ridursi in cenere. Poi, si coricò al fianco del marito, lo baciò sulla guancia e si addormentò.
Se avesse vissuto cent'anni, non avrebbe mai dimenticato la disperazione mista a rabbia dipinta sul volto del Principe, che stava ad osservarla, al suo risveglio, il mattino dopo.
"Povera infelice - le disse il marito - ci hai separati per sempre! Perché non hai pazientato per cinque anni? Adesso, sono costretto - mi piaccia o no - a viaggiare per tre giorni fino al castello della Strega e a sposare sua figlia. La mia unica protezione era proprio la pelle che hai ridotto in cenere, e la Comare-dei-Polli che ti ha consigliato altri non era che la Strega in persona. Non voglio rimproverarti oltre: il castigo che ti aspetta sarà fin troppo severo. Addio per sempre!"
Nielsen K.
Quindi, la baciò per l’ultima volta, e un attimo dopo era già uscito e si allontanava, camminando più in fretta che poteva. La Principessa lo chiamò a gran voce, ma, vedendo che non serviva a nulla, si vestì e lo inseguì. Lui non smise mai di correre, non si fermò mai, non si guardò mai indietro, e, tuttavia, la moglie non lo perdeva mai di vista: quando il Principe raggiungeva una collina, lei era già nella valle, e quando lui scendeva nella valle successiva, la Principessa era in cima alla collina.
Ella era sul punto di crollare per lo sfinimento, quando, proprio mentre il sole tramontava, il Principe svoltò per un viottolo, ed entrò in una casetta. Si trascinò dietro di lui, e, quando entrò, vide che teneva sulle ginocchia un bellissimo bambino, e lo baciava e vezzeggiava.
"Povera cara - disse - ecco il tuo primogenito, e là - aggiunse, indicando una donna che li guardava sorridendo - ecco l’aquila che te lo ha portato via."
La Principessa dimenticò tutte le sofferenze patite quando abbracciò il suo bambino, e rise e lo bagnò con lacrime di gioia.
La donna lavò loro i piedi e li massaggiò con un unguento che cancellò ogni dolore, lasciandoli freschi come una rosa.
Il mattino seguente, poco prima dell’alba, il Principe era già in piedi e pronto a partire.
"Ecco qualcosa che potrebbe esserti utile - le disse - un paio di forbici che trasformerà in seta qualsiasi tessuto taglierai. Nel momento in cui il sole sorgerà, perderò ogni memoria di te e dei bambini, ma la ritroverò al tramonto. Addio!"
Ma il Principe non riuscì a correre tanto lontano che lei non riuscisse nuovamente ad avvistarlo, dopo aver lasciato il suo bambino. Tutto accadde esattamente com'era andata il giorno precedente: al mattino, le loro ombre li precedevano, e, la sera, li seguivano. Lui non si fermò mai, lei non si fermò mai, e, al tramonto, il Principe deviò per un altro viottolo, e là ritrovarono la loro bimba. Trascorsero ore di gioia e di consolazione fino allo spuntar del sole, quando incominciò il terzo giorno di viaggio.
Prima di andarsene, egli le donò un pettine, e le disse che, ogni volta che lo avesse usato per ravviare i suoi capelli, ne sarebbero caduti perle e diamanti.
Il Principe ritrovava memoria di lei dal tramonto all’alba, ma, dall’alba al tramonto, viaggiava prigioniero dell'incantesimo, e non volgeva mai indietro lo sguardo.
Quella sera, giunsero dove si trovava il loro bambino più piccolo, e il mattino seguente, poco prima che sorgesse il sole, il Principe le parlò un'ultima volta.
"Ecco, mia povera moglie - disse - un piccolo arcolaio con un filo d’oro che non finisce mai, e metà del nostro anello nuziale. Se mai tu riuscissi a raggiungermi, e ricongiungessi la metà del tuo anello alla mia, io mi rammenterei di te. Ecco laggiù un bosco: nel momento stesso in cui vi entrerò, perderò memoria di tutto ciò che è accaduto tra di noi, come se fossi nato ieri. Addio, cara moglie e cari figli, addio per sempre!"
In quel momento, si levò il sole, e corse via il Principe, alla volta del bosco.
Lei vide i folti rami aprirsi davanti a lui, e richiudersi alle sue spalle, ma, quando la Principessa giunse sul limitare del bosco, non riuscì a entrarvi, proprio come se avesse tentato di aprirsi un varco in un muro di pietra.
H. P. Hansen
Pianse e si disperò, poi, rientrò in sé e gridò:
"Bosco, per i miei tre doni magici, le forbici, il pettine e l’arcolaio, ti comando di lasciarmi passare!"
Allora, il bosco si aprì e la Principessa percorse un sentiero che la condusse dov'erano un palazzo, un prato e la casetta di un boscaiolo, che sorgeva all’estremità del bosco più vicina al palazzo. Entrò nella casetta e chiese al boscaiolo e a sua moglie di prenderla a servizio. Sulle prime, storsero la bocca, e lei disse che non avrebbe chiesto alcun compenso, ma, anzi, avrebbe dato loro diamanti, perle, pezze di seta e filo d’oro ogni volta che ne avessero espresso il desiderio, e, allora, acconsentirono a farla restare.
Non passò molto tempo che sentì parlare di un giovane principe, appena arrivato, che viveva nel palazzo della giovane Signora. Si mostrava molto raramente in pubblico, ma chi lo aveva visto non poteva fare a meno di osservare quanto apparsse silenzioso e sofferente, come una persona in cerca di qualcosa che aveva perduto.
I servitori della grande casa vennero a sapere della bellissima giovane donna nella casetta del boscaiolo, e presero ad importunarla con la loro impudenza.
Il primo valletto si dimostrò il più molesto, e la Principessa, un bel giorno, lo invitò a prendere il té con lei. Oh, quanto gongolò e come se ne vantò nella stanza della servitù! Ebbene, giunse la sera e il primo valletto si recò alla casetta e venne ricevuto nel salottino della Principessa, poiché il padrone di casa e sua moglie avevano soggezione di lei, e le avevano riservato l'uso di due graziose camerette. Il valletto sedeva dritto e rigido come un fuso, e, mentre lei preparava il té e il pane tostato, chiacchierava con sussiego della grandiosità della vita a Palazzo.
"Oh, - gli dice la Principessa - vi dispiace allungare la mano fuori dalla finestra per prendermi un ramoscello o due di caprifoglio?"
Lui si alzò baldanzosamente e sporse una mano e la testa fuori dalla finestra, e lei disse:
"Per i miei doni magici, che ti spunti sulla testa un bel paio di corna!"
Detto, fatto: un corno gli spuntò davanti a ciascun orecchio, allungandosi verso la nuca. Oh, povero disgraziato: quanto urlava e strepitava! E i servi con i quali era solito vantarsi scesero in massa dal castello, e sghignazzavano e lanciavano grida di giubilo, sbattendo con gran fracasso tenaglie, pentole e badili, mentre lui imprecava e bestemmiava, con gli occhi fuori dalle orbite, e scalciando come un matto. Infine, la Principessa ne ebbe pietà e annullò l’incantesimo: le corna caddero a terra, e lui l’avrebbe ammazzata seduta stante, se non fosse stato debole come un bambino, e gli altri domestici entrarono in casa, lo presero e lo riportarono al castello.
Bene, in un modo o nell’altro, questa storia arrivò all'orecchio del Principe, che andò a passeggiare da quelle parti. La Principessa cuciva accanto alla finestra, e indossava una veste da povera contadina che non riusciva a nascondere la sua grande bellezza, e il Principe, dopo che l'ebbe rimirata, rimase confuso così come è confuso chi si domanda se qualcosa gli sia accaduto davvero, magari tanti anni prima, o sia solo frutto di un sogno.
Ma anche la figlia della Strega aveva sentito parlare di quella strana ragazza, e andò a trovarla, e che cosa vide se non che era impegnata a ritagliare il modello di una veste da un foglio di carta marrone, e che, ad ogni sforbiciata, la carta si trasformava nella seta più ricca che lei avesse mai visto? Gli occhi della figlia della Strega luccicarono di bramosia, e le disse:
"Quanto vorresti per quelle forbici?"
"Non voglio nient'altro che una notte nella camera del Principe", rispose la ragazza.
Ebbene, l’altezzosa signora si infuriò e stava per rivolgerle parole terribili, ma le forbici continuavano a tagliare e la seta continuava ad ammassarsi, sempre più ricca, centimetro dopo centimetro. Così accordò alla ragazza ciò che aveva chiesto.
Al calar della sera, la Principessa venne condotta al castello, dove si coricò, ma il sonno del Principe era talmente profondo che, per quanti sforzi facesse, non riuscì a svegliarlo. Ella gli cantò questi versi, sospirando e singhiozzando, e continuò a cantare per tutta la notte, ma inutilmente:
Quattro lunghi anni sono stata sposata con te;
Tre
dolci bimbi ho messo al mondo per te;
Orso Bruno della Norvegia, non vuoi tornare da me?
Ford H.J.
Alle prime luci dell’alba, l’altezzosa signora entrò nella camera e la mandò via; e il valletto - quello delle corna - le mostrò la lingua mentre lasciava il palazzo.
Quella volta non aveva avuto fortuna, ma, il giorno dopo, il Principe passò di nuovo, la guardò e la salutò con la cortesia che un principe può riservare alla figlia di un contadino, e continuò per la sua strada.
Non passò molto che anche la figlia della Strega passò di lì e scopri che, mentre la Principessa si ravviava i capelli con il pettine magico, ne cadevano perle e diamanti. In breve, dopo una contrattazione in tutto simile alla precedente, la Principessa trascorse un’altra notte di dolore, poi, all'alba, lasciò il castello, e il valletto era sempre là, al suo posto, a godersi la sua vendetta.
Il terzo giorno, il Principe tornò da quelle parti e si fermò a parlare con la strana donna. Le chiese se poteva esserle utile in qualche modo, e lei rispose di sì e gli domandò se gli capitasse mai di svegliarsi nel cuore della notte. Il Principe rispose che gli succedeva spesso; però, durante le ultime due notti, aveva sentito in sogno una dolce canzone, ma non era riuscito a svegliarsi, e soggiunse che la voce doveva appartenere a qualcuno che aveva conosciuto e amato in un altro mondo e in un altro tempo.
Lei disse:
"Avete bevuto una qualche pozione soporifera, prima di andare a letto?"
"Le ultime due notti mia moglie mi ha dato qualcosa da bere, ma non so se fosse una bevanda soporifera o meno."
"Ebbene, Principe - disse lei - dal momento che vi siete impegnato a fare qualcosa per me, non assaggiate alcuna bevanda, stanotte."
"Non berrò nulla", disse il Principe, e continuò per la sua strada.
Poco dopo, arrivò la gran dama e trovò la straniera che lavorava ad un arcolaio e ne ricavava un interminabile filo d’oro, e così combinò il terzo affare.
Quella sera, al crepuscolo, il Principe era sdraiato sul suo letto, con la mente turbata; la porta si aprì, la Principessa entrò nella camera, sedette al suo capezzale, e cantò:
Quattro lunghi anni sono stata sposata con te;
Tre
dolci bimbi ho messo al mondo per te;
Orso
Bruno della Norvegia, non vuoi tornare da me?
"Orso Bruno della Norvegia? - disse lui - Non capisco."
"Non rammentate, Principe, che sono stata la vostra devota sposa per quattro anni?"
"No, ma vorrei che fosse la verità”, disse lui.
"Non rammentate i nostri tre bambini, e che essi sono vivi?"
"Mostrameli. Sono così confuso..."
"Cercate la metà del nostro anello nuziale che tenete appesa al collo e ricongiungetela a questa."
Lui obbedì, e, in quell’istante, l’incantesimo fu spezzato, riebbe indietro tutti i suoi ricordi, e gettò le braccia al collo della moglie, ed entrambi scoppiarono in lacrime.
Dall’esterno si udì un gran grido, mentre le mura del castello si fendevano e scricchiolavano. Gli abitanti del castello, terrorizzati, fuggirono, e il Principe e la Principessa si unirono a loro, mettendosi in salvo sul prato, mentre il palazzo crollava, facendo tremare il suolo per miglia e miglia intorno. E, da allora, nessuno rivide mai più la Strega e sua figlia.
Ben presto, il Principe e la Principessa si riunirono ai loro bambini, e tornarono a Palazzo.
I Re di Irlanda, del Munster e dell'Ulster vennero a far loro visita accompagnati dalle rispettive spose... e che chiunque lo meriti, possa essere felice come l’Orso Bruno della Norvegia e la sua famiglia.
Lacca di Fedoskino
Da "The Lilac Fairy Book", Andrew Lang.
Traduzione: Mab's Copyright
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Poiché, sul finale della fiaba, il Re padre verrà chiamato genericamente "il Re d'Irlanda", dovrebbe essere l'Ard Rì, cioé, il Re Supremo. L'antica Eriu o Erin (l'odierna Irlanda) era suddivisa in cinque Regni, ognuno retto da un Re di eguale dignità, mentre l'Ard Rì, che risiedeva a Tara, veniva eletto (la carica non era ereditaria) Capo e Giudice Supremo dell'Isola. Il Munster e l'Ulster - i cui Re sono gli sposi desiderati dalle sorelle della Principessa - erano due delle cinque antiche Province.
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La Comare-dei-Polli è un personaggio ricorrente nelle antiche fiabe scozzesi. Ricopre molti ruoli (=funzioni) sia di Aiutante Magica che (come in questo caso) di Antagonista. Come spesso accade, Donna Saggia è il sinonimo per Strega Buona (o anche Fata), un concetto non ammissibile, e che non era prudente inserire in un racconto.
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