"Il Signore abbia del suo schiavo pietà:
da ogni sventura lo salverà."
'era una volta una povera donna. Non solo era povera, ma era anche sterile. Le estati e gli inverni, gli inverni e le estati andavano e venivano, e ancora la donna non concepiva. Le spose del suo anno passavano con un figlioletto in braccio da una parte, e una figlioletta in braccio dall'altra; lei sola restava senza figli. Quando andava alla fontana a prendere acqua con le altre donne e vedeva una cammella col suo piccolo appena nato sotto la curva delle cosce, la povera donna piangeva. Quella notte uscì dalla casa e stette ritta sotto il cielo stellato. Sollevò il suo velo dalla fronte e pregò Dio di concederle la benedizione di un figlio.
"Non importa che sia maschio o femmina, mi basta che sia un bambino. Bambino o bestiolina, purché sia un figlio mio da tenere in braccio - un cammellino neonato sarebbe maggior sollievo che non restare senza figli del tutto!". Il Misericordioso sentì la sua preghiera ed esaudì il suo desiderio: passarono i giorni e la donna si accorse di essere incinta. E quando i giusti mesi furono al termine, partorì - e ciò che diede alla luce era un piccolo cammello.
Le sue vicine alzarono le mani al cielo, incredule e sgomente. Ma la povera donna chiamò il piccino Jumail, o Piccolo Cammello, e lo amò con tutto l'amore di un cuore di madre. La mattina presto lo conduceva al pascolo e al cader della notte lo riportava nel cortile della sua casa.
Quando Jumail fu cresciuto, entrò nella stanza della madre e parlò:
"Madre, io voglio una moglie."
Senza por tempo in mezzo la donna andò in cerca di una moglie per suo figlio. Infine, trovò una fanciulla contadina, il cui padre si contentò di ricevere una sola moneta d'oro come dote nuziale. Fecero il bagno alla sposa e le pettinarono i capelli a sommo del capo, profumandoli con acqua di rose. Le misero una veste di velluto e la portarono alla casa di Jumail.
Ma il Piccolo Cammello rifiutò di guardarla.
"Voglio in sposa la figlia minore del Sultano" disse a sua madre.
La povera donna sapeva che la figlia minore del Sultano, la principessa Ward, era la più bella di tutte le sue figlie, e che suo padre la amava come la luce dei suoi occhi. "Come può una misera donna come me chiedere la mano della principessa Ward? - esclamò - Il Sultano mi taglierà la testa!"
Ma il suo amatissimo figlio Jumail continuava a ripetere: "Io voglio la figlia minore del Sultano in sposa!"
Può mai una madre rifiutare qualcosa al suo unico figlio? La donna inghiottì amaro, perché era veramente terrorizzata: tuttavia chiese udienza al Re. E fu condotta al suo cospetto.
"Dimmi ciò che desideri " comandò il Sultano, perché era magnanimo di cuore e cortese con tutti quelli che chiedevano il suo aiuto.
"Io sono venuta a chiedere la mano della principessa Ward per il mio unico figlio."
"E chi è tuo figlio?" chiese il Sovrano.
"L'ho chiamato Jumail - rispose la donna - perché è nato cammellino."
Il Sultano sorrise nella barba: ma non voleva far vergogna alla povera donna davanti a tutta la sua corte. Così disse:
"Nulla impedisce questa unione, se tuo figlio è in grado di pagare la dote nuziale per la principessa."
"E quanto è la dote?"
"Il suo peso in oro."
Tornata a casa, la donna cominciò a rimproverare il figlio.
"Ora tu non potrai più trovar moglie - gli disse - Hai rifiutato la giovane contadina e volevi la figlia del Sultano. Adesso fammi vedere come si può racimolare la dote nuziale per una principessa!"
" La troverò!- replicò Jumail - Torna al palazzo domattina e di' al Sultano così e così e così."
Il giorno dopo, i soldati riunirono tutti i cammellieri della città.
"Dio salvi la salute del nostro Sultano, ma ha smarrito il cervello, altrimenti non ci obbligherebbe a eseguire gli ordini di un animale" borbottavano.
Jumail, che era in attesa fuori dalle mura della città, li condusse fino a una collina coperta di grossi macigni. A una sua parola i macigni si mossero e comparve l'ingresso di una buia caverna. Dentro v'erano mucchi e mucchi d'oro e d'argento e vassoi colmi di pietre preziose, perle e coralli e gioielli senza prezzo. Gli uomini caricarono i loro animali e quando ebbero finito i macigni si chiusero dietro di loro come una muraglia. Il Sultano impallidì al vedersi davanti un mucchio d'oro e di tesori che valeva il peso non di una, ma di tutte le sue figlie. Come avrebbe potuto immaginare che il figlio di una povera donna, che per di più era un cammello, potesse portargli quello che aveva chiesto e anche di più? Ma aveva dato la sua parola, e non poteva ritirarla. Così mandò a chiamare il Cadì, e andò da sua figlia a spiegarle la sventura che gli era capitata. In principio la principessa pianse e gemette e pregò il padre di liberarla da quel guaio. Ma, infine, benché riluttante, si lasciò persuadere; e il messo reale fu mandato a sgomberare le strade col grido: "Tutti in casa! Vuotate le strade, o gente, perché stanotte la principessa Ward passerà di qui per andare alla casa del suo sposo."
Quando passò il corteo nuziale, sembrava il corteo di un funerale, e non di un matrimonio. Le donne sbirciando dalle persiane scuotevano la testa e mormoravano: "Lah! Lah! Che peccato e che vergogna che un Sultano dia sua figlia a un cammello, in cambio di oro e argento!"
La principessa Ward sedeva piegata nel dolore, aspettando Jumail. Quando alzò gli occhi, gettò un grido di spavento perché davanti a lei era ritto un giovane, e che giovane! Alto e bello, e con una grazia e un portamento!
"Non avere paura - egli disse - io sono tuo marito Jumail. Sono il figlio del Re dei Djinn, ma sono stato imprigionato nel corpo di un cammello. Ti farò visita ogni notte se prometti di non svelare il mio segreto. Ma se mancherai alla promessa io sparirò e non mi vedrai mai più."
Il dolore si cambiò in gioia. Quando il Sultano venne a salutare la sposa la mattina dopo, la trovò che sorrideva e non aveva nulla da desiderare.
"Tutto ciò che voglio è la tua prosperità, padre" disse.
Passa un giorno, passa l'altro, il re del Paese vicino marciò col suo esercito contro la città del Sultano. I suoi soldati erano alle porte della città e il loro enorme numero riempì di terrore i cittadini. Il Sultano si preparò alla guerra con il cuore pieno di cattivi presentimenti. Quando la principessa Ward parlò a Jumail del guaio capitato a suo padre, egli disse:
"Io combatterò nella battaglia di domani portando vesti bianche e cavalcando un cavallo bianco: ma non dire che sono io."
La mattina dopo i cittadini salirono sulle terrazze per vedere come andava la battaglia. Insieme alle donne c'erano la principessa Ward e le sue sorelle.
E una disse: " Guardate mio marito! Nessuno è più alto di lui."
Un'altra replicò: "Il coraggio di mio marito fa vergognare tutti quelli che si vantano e non sanno che dire 'Io qua e io là...' Perché vicino a lui non sono proprio niente."
In quel momento un cavaliere in vesti bianche e cavalcando una cavalla bianca si gettò nel più folto della mischia. Vibrando gran colpi di spada a destra e a sinistra, tagliava cinque teste a ogni colpo. I soldati del Sultano strinsero le file e dalla città vennero gli urli delle donne che gridavano di gioia.
"Dov'è il marito di Ward, ora che il Sultano ha bisogno di lui ?" fece beffarda una delle principesse. Le altre risero e dissero: "Non sapete che il marito di Ward è impastoiato nel cortile di casa sua e bruca l'erba che cresce tra le pietre?"
Per tutto il tempo che le sorelle additavano i loro mariti, Ward aveva tenuto la testa voltata dall'altra parte, per impedirsi di parlare. Ma il suo cuore era gonfio e, prima che potesse trattenerle, le parole irruppero dalla sua bocca da sole:
"Il valoroso cavaliere in vesti bianche che sta portando i nostri uomini alla vittoria non è altri che il mio caro sposo Jamail!"
Si battè la mano sulla bocca, ma era troppo tardi. Aveva detto ciò che non doveva dire. Per tutta quella notte, mentre la città festeggiava il Sultano, la principessa cercò il suo sposo Jamail. Era scomparso, e non riuscì a trovarlo in nessun posto. Mandò dei viaggiatori a cercarlo in tutti gli angoli conosciuti e sconosciuti del mondo - in città di bei palazzi e in rovine di pietre diroccate - ma percorsero i più lontani orizzonti senza trovarne traccia.
Costruì un bell'edificio per i bagni, un hammam, con vasche di marmo e piscine d'acqua fresca, e lo chiamò l'Hammam della Principessa Ward. Ogni donna poteva andare a farvi il bagno, a condizione che raccontasse una storia alla principessa. Vecchie e giovani, ricche e povere, tutte accorrevano all'hammam e narravano la loro storia. Ora, c'era una povera vecchia vedova che, non avendo denaro per pagarsi un bagno, non aveva mai bagnato il suo corpo nelle acque di un hammam. Infine, si fece coraggio e disse fra sé:
'Io non so nessuna storia da raccontare: ma andrò lo stesso all'Hammam della Principessa Ward. Forse per strada mi verrà in mente qualcosa.'
E chiamò il suo nipotino perché la accompagnasse. Mentre era a metà strada la luna tramontò e la donna si trovò in un buio nero come la pece. Così lei e il nipotino si arrampicarono sui rami di un ulivo, per passare la notte al sicuro. E mentre stavano là appollaiati, sentirono una gallina e un gallo che si posavano sull'albero. E il gallo cantò: "O pioggia, scroscia!" E la gallina cantò: "O vento, soffia!" E si alzò il vento ed infuriò un acquazzone.
Quando finì di piovere, la terra di fronte all'ulivo si spaccò. Quaranta schiavi negri ne uscirono, portando troni tempestati di gemme e tavole cariche di cibi squisiti. Poi quaranta colombe bianche scesero dal cielo e si bagnarono nelle pozze di acqua piovana. E si cambiarono in quaranta bellissime fanciulle, e ognuna si sedette a ciascuna delle tavole apparecchiate dagli schiavi.
Ma non appena una di esse stendeva la mano verso le vivande, una voce diceva:
"Indietro! Non toccare queste cose buone
Finché non sono state assaggiate dal tuo padrone!"
Infine apparve un giovane, più bello di quanto possano dire le parole. Sedette su morbidi cuscini di seta, sorseggiando il suo tè in mezzo al banchetto delle fanciulle. E tuttavia per tutto il tempo piangeva e le lacrime scorrevano lungo le sue guance. Prese una mela e la tagliò in quattro spicchi dicendo:
"Un pezzo lo getto a oriente,
Un pezzo a occidente,
Un pezzo è per me,
per un banchetto giocondo,
Un pezzo per la donna
che amo di più al mondo."
Dopodiché batté il suolo col piede e si aprì una larga fossa. E tutte le tavole e i troni e le vivande vi caddero e sparirono. Quando spuntò l'alba, la vecchia e il suo nipotino scesero dall'albero di ulivo e continuarono il loro cammino verso il palazzo. Qui trovarono la principessa Ward, che giaceva su sette materassi, coperta da sette coperte imbottite.
La vecchia disse:
"Mia Signora, a metà strada da qui la luna tramontò e mi lasciò al buio, e fui costretta ad arrampicarmi su un albero di ulivo per passare la notte al sicuro. E mentre ero rannicchiata fra i suoi rami un gallo e una gallina vi si posarono e dissero: 'O pioggia, scroscia! O vento, soffia!' E scoppiò un uragano e infuriava il vento e tempestava la pioggia. Poi finì di piovere, e la terra si aprì e quaranta schiavi imbandirono un banchetto con troni d'oro e tavole coperte di cibi squisiti. Quaranta colombe bianche scesero dal cielo e si bagnarono nelle pozze d'acqua piovana e si trasformarono in quaranta belle fanciulle. Ma nessuna poteva toccare un sol boccone di cibo, perché una voce le ammoniva:
'Indietro! Non toccare queste cose buone
Finché non sono state assaggiate dal tuo padrone."
Così la vecchia continuò:
"Infine comparve un giovane, alto come una canna da zucchero".
A questo punto la principessa gettò via col piede una delle coperte.
"Con grandi occhi molto distanti fra loro."
E qui la principessa gettò via una seconda coperta.
"E un portamento da principe."
E la principessa spinse indietro una terza coperta. E quando la vecchia ebbe descritto come il giovane tagliava la mela ed ebbe recitato i versetti:
Un pezzo lo getto a oriente,
Un pezzo a occidente,
Un pezzo è per me,
per un banchetto giocondo,
Un pezzo per la donna
che amo di più al mondo"
"Portami a quell'albero di ulivo di cui mi hai parlato."
La vecchia condusse la principessa all'albero su cui lei e il nipotino avevano passato la notte. Per sei notti la principessa vegliò fra i suoi rami senza veder nulla. Ma la settima notte vide un gallo e una gallina che accorrevano in gran fretta, dicendo:"O pioggia, scroscia! O vento, soffia!" e una tempesta di vento e pioggia si scatenò sulla campagna. Quando cessò, tutto si svolse come la vecchia le aveva raccontato. Le colombe bianche scesero dal cielo e si cambiarono in fanciulle, e al centro del banchetto ecco il suo sposo Jumail, sdraiato sui morbidi cuscini di seta, piangendo. Quand'egli battè il suolo col piede e si spalancò la fossa in cui tutto il banchetto scomparve, la principessa Ward seguì lo sposo sottoterra e gli gettò le braccia al collo e gli disse: "Torna dalla tua sposa, che è stata malata di dolore per te!"
E Jumail disse: "Tu mi hai seguito nel regno dei Djinn e hai varcato il confine fra il mondo di sopra e il mondo di sotto: tu hai aperto la via per il ritorno. Da oggi in poi io potrò vivere non come un cammello ma come uomo."
Felici li lasciammo e riprendemmo la nostra via.
Possa esser altrettanto felice la vita vostra e la mia.
Da: "Favole del Mondo Arabo", a cura di a cura di Inea Bushnaq.
Da: "Favole del Mondo Arabo", a cura di a cura di Inea Bushnaq.
Variante (con alcune sostanziali differenze) della più affascinante Gomena, il Principe dei Djinn, siriana.
Illustrazioni di Edmund Dulac per il "Rubâiyât" di Omar Khayyám
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