Col tempo però la sua ira si placò, anche se la sua vecchia ferita impiegò ben novecentonovanta anni a rimarginarsi.
Infine, oppresso dalla noia, accettò la proposta del suo buffone di Corte di fare una gita di piacere sui Monti dei Giganti.
Il lungo viaggio fu compiuto in men che non si dica.
In un baleno egli si ritrovò sul prato dove un tempo c'era stato il suo giardino e gli ridiede l'antico aspetto. Gli uomini però non potevano scorgere nulla: i viandanti che attraversavano le montagne non vedevano null'altro che una zona paurosamente selvaggia.
La visione del giardino gli ravvivò in cuore l'antica passione, ma il ricordo della fanciulla amata e dell'umiliazione subita riaccese anche la sua rabbia contro tutta la razza umana.
"Razza di vermi!- gridò il Nano guardando giù nella valle i campanili delle chiese, i monasteri delle città e i borghi - Siete ancora qui nella valle dunque.
Ora mi ripagherete per i raggiri e le perfidie, vi perseguiterò e vi farò vedere io di che cosa è capace lo Spirito della montagna!"
Non sempre Contarape risarciva con una azione generosa i poveretti che colpiva con i suoi scherzi.
Anzi, a volte, perseguitava gli uomini solo per il gusto di provocare danni, senza preoccuparsi minimamente di sapere se la persona da lui presa di mira fosse un lazzarone o un uomo onesto.
Spesso, senza che neanche se ne rendessero conto, si univa ai viandanti solitari e, facendo loro perdere la strada, li abbandonava vicino a un burrone o in una palude e se ne andava ridendo fragorosamente.
Spesso azzoppava il cavallo di qualche viaggiatore, o spezzava una ruota o un asse del carro, oppure faceva cadere davanti agli occhi dei carrettieri un grosso masso, e loro dovevano spostarlo sul ciglio con enorme fatica per poter proseguire.
Se una carrozza non riusciva a muoversi, trattenuta da un potere misterioso, e nemmeno la forza di sei cavalli era sufficiente per spostarla, il carrettiere non sbagliava certo, pensandosi vittima di uno scherzo di Contarape.
Se però, invece di subire pazientemente, cominciava a inveire contro lo Spirito, ecco che allora un esercito di calabroni innervosiva i cavalli, una mano invisibile lanciava una pioggia di pietre o dispensava una sonora bastonata.
[...] Se era facile giocarsi l'amicizia di Contarape, altrettanto semplice era conquistarsela.
The Motherland, Bouguereau W.A.
n giorno, il nostro Spirito stava prendendo il sole vicino alla siepe del suo giardino, quando vide avvicinarsi con gran spigliatezza una donnetta, che attirò la sua attenzione per lo strano corteo che si portava dietro.
Aveva un bimbo al seno, uno lo portava sulla schiena, un terzo lo teneva per mano, mentre un ragazzino un po' più grandicello la seguiva con un cesto vuoto e un rastrello, per raccogliere erba per il bestiame.
'Una madre - pensò Contarape - è davvero una creatura speciale, si porta in giro quattro bimbi e nonostante ciò svolge il suo lavoro senza lamentarsi e poi si porta anche il peso della cesta: certo che le paga proprio care le gioie dell'amore!' Facendo queste considerazioni, si sentì pieno di benevolenza e disposto a scambiare quattro parole con la donna.
Costei mise a sedere i suoi bambini sul prato e cominciò a rastrellare un po' di fronde.
I bimbi però, che si annoiavano, cominciarono a piangere, così la madre fu costretta ad abbandonare la sua occupazione per giocare e trastullare i figli. Li prese in braccio saltellando con loro qua e là, poi, cantando e scherzando, li fece addormentare e se ne tornò al lavoro.
Un attimo dopo le zanzare punsero i bimbi addormentati che subito ricominciarono la loro sinfonia: la madre non si spazientì, andò nel bosco, raccolse fragole e lamponi, e attaccò il figlio più piccolo al seno.
Questo trattamento materno piacque moltissimo allo Gnomo.
Solo il bimbo che poc'anzi era sulla schiena della mamma non si lasciava consolare: era un bimbo cocciuto e ostinato, gettava via i lamponi che la madre premurosa gli porgeva e strillava come un matto.
Hicks G.E.
Infine la donna perse la pazienza ed esclamò: "Contarape, vieni e mangiati questo bimbo capriccioso!".
In un attimo lo Spirito comparve sotto le spoglie di un carbonaro, si avvicinò alla donna dicendo: "Eccomi qui, cosa vuoi?".
La donna si spaventò molto dell'efficacia delle sue parole, ma si riprese subito, si fece coraggio e disse: "Ti ho chiamato solo per far tacere i miei bambini, ora che sono tranquilli non ho più bisogno di te. Ti ringrazio comunque molto per il tuo aiuto".
"Lo sai - replicò lo Spirito - che nessuno mi può chiamare senza venire castigato? Ti prenderò sulla parola: dammi tuo figlio che me lo mangio, è tanto che non mi capita un bocconcino così prelibato".
Così dicendo, allungò verso il bambino la sua mano fuligginosa.
Come la chioccia quando il nibbio vola alto nel cielo o il volpino va a caccia in cortile, con un chiocciare impaurito, richiama i suoi pulcini al nido, gonfiando le penne e allargando le ali, pronta a cominciare un'impari battaglia anche contro il più forte dei nemici, allo stesso modo la donna si avventò contro la barba del carbonaro e chiudendo stretti i pugni gridò: "Mostro! Dovrai strapparmi questo mio cuore di madre dal petto, prima di riuscire a portarmi via il figlio!".
Contarape non si sarebbe mai immaginato un attacco così coraggioso, e indietreggiò, non sapendo bene come reagire, perché non aveva mai fatto una tale esperienza.
Sorrise quindi amichevolmente alla donna: "Non indignarti in questo modo! Non sono un mangiatore di uomini come tu credi e non voglio fare alcun male né a te né ai tuoi bambini: lasciami invece il bimbo che piangeva: mi piace, lo tratterò come uno "junker", lo vestirò di velluto e seta e ne farò un prode giovanotto, che sarà poi in grado di provvedere al padre e ai fratelli. In cambio chiedimi tutto il denaro che vuoi".
La madre rispose lesta: "Ah sì, ti piace mio figlio? Bene, e io non lo vendo per tutto l'oro del mondo, anche se è un diavoletto".
"Stolta! - replicò lo Spirito - Non hai già il fardello di altri tre figli, che devi faticosamente nutrire e che ti tormentano giorno e notte?"
"E' vero, ma, visto che sono la loro madre, devo assolvere il mio compito. I bambini danno molto da fare, ma sono anche una gioia".
"Bella gioia portarseli in giro tutto il giorno, curarli, pulirli, sopportare le loro cattive maniere e le loro grida!"
"Perfettamente vero, signore! Pero non conoscete le gioie materne: tutto il lavoro e la fatica sono ripagate da un unico dolce sguardo, dal tenero riso e dal balbettio delle innocenti creature. Guardate come si aggrappa a me il piccolo adulatore! Ora è come se non fosse stato lui a piangere e strillare... Avessi cento mani che vi potessero sollevare e trasportare e lavorare per voi, figli miei!"
"E tuo marito non ne ha di mani per lavorare?"
"Oh certo! A volte le agita pure e mi capita di sentirle".
Lo Spirito sbottò: "Come? Tuo marito ha il coraggio di levare le mani contro di te? Contro una donna come te? Voglio rompergli l'osso del collo!".
La donna rispose ridendo: "Allora avreste molti colli da rompere, se doveste punire tutti gli uomini che mettono le mani su una donna! Gli uomini sono una brutta razza, per questo da noi si dice che il matrimonio è un cattivo affare: mi chiedo proprio per quale ragione mi sia sposata".
"Se sapevi che gli uomini erano una brutta razza, allora è stato proprio sciocco da parte tua sposarti".
"Può darsi! Ma Steffen era un tipo sveglio, che guadagnava bene, e io una povera fanciulla senza dote. Venne a chiedermi in sposa, mi diede un tallero e l'affare fu concluso. In seguito rivolle indietro il tallero, mentre a me rimase un marito rude".
Lo Spirito sorrise e disse: "Forse l'hai reso rude con la tua caparbietà".
"Quella poi me l'ha già fatta passare da un pezzo! Steffen è piuttosto avaro, se gli chiedo una monetina strepita adirato per casa come voi fate sulle montagne, rimproverandomi la mia povertà, e su questo punto io non posso che tacere.
Se gli avessi portato una dote, allora gli farei vedere io".
"Qual è la professione di tuo marito?"
"E' un venditore di vetrerie, che guadagna faticosamente i suoi soldi, portandosi in giro per tutta la Boemia i suoi pesanti fardelli. Se qualcosa si rompe siamo naturalmente io e i bambini a farne le spese, ma le botte d'amore non fanno male".
"E tu puoi ancora amare un uomo che ti tratta così male?"
"Perché no? Non è forse il padre dei miei figli? Loro sistemeranno tutto, e ci compenseranno quando saranno grandi".
Dopo il lungo colloquio, lo Spirito rinnovò la sua proposta di comprare il bimbo, ma la donna non lo degnò di risposta, raccolse il fogliame mettendolo nel cesto e vi legò sopra anche il piccolo che aveva pianto e strillato tanto, mentre Contarape fece per andarsene.
Visto che il peso era però troppo e non riusciva a sollevarlo, la donna lo richiamò dicendogli: "Visto che vi ho chiamato, fatemi allora il piacere di aiutarmi a sollevare il cesto, e se volete fare qualcosa per noi, allora regalate al bimbo che vi è piaciuto tanto una moneta per comprare un paio di panini, domani poi torna a casa il padre che ci porterà pane bianco di Boemia".
Lo Spirito rispose: "Ti aiuto volentieri a sollevare il tuo carico, ma se tu non mi dai il bimbo, io non gli regalo proprio nessuna monetina".
"Bene", replicò la donna, e se ne andò per la sua strada.
Più andava avanti e più il cesto diventava pesante tanto che non ce la faceva a reggerlo e ogni dieci passi doveva fermarsi a prendere fiato.
La cosa non le sembrò possibile e pensò che Contarape le avesse giocato un brutto tiro e avesse messo dei sassi sotto il fogliame: si fermò, quindi e, appoggiato il cesto, lo ribaltò per controllarne il contenuto.
Ne uscirono solo fronde e fogliame, niente sassi. Lo riempì quindi a metà e raccolse ancora tutto il fogliame che ci stava nel grembiule.
Ma il cesto le sembrò di nuovo troppo pesante e con suo grande stupore dovette togliere ancora qualcosa. Aveva spesso portato a casa dei grossi carichi di erba, ma non aveva mai provato una tale stanchezza.
Ciò nonostante, giunta a casa, si occupò anche delle faccende domestiche, diede il fogliame alla capra e al giovane capretto, preparò la cena per i figli, li fece addormentare, disse le sue preghiere e poi cadde contenta in un sonno profondo.
La luce rossastra del mattino e il pianto del neonato che reclamava a gran voce la sua colazione chiamarono la donna alle sue faccende giornaliere, togliendola al sonno ristoratore.
The End of a Happy Day, Thomas Faed
Per prima cosa si recò, come sua abitudine, nella stalla col secchio della mungitura.
Ma quale terribile visione si presentò ai suoi occhi! La vecchia capra giaceva morta stecchita, il capretto invece faceva roteare gli occhi in modo orribile, allungava la lingua, era in preda a violente convulsioni, e la morte non avrebbe tardato a coglierlo.
Una tale disgrazia non era mai capitata alla buona donna.
Terribilmente spaventata, si lasciò cadere su un mucchio di paglia e, tenendo il grembiule davanti agli occhi per non vedere il dolore del capretto morente, sospirò profondamente: 'Oh povera me! E adesso che cosa faccio? E che reazioni avrà mio marito tornando a casa? Ah, tutto è perduto a questo mondo!'.
Ma subito dopo si rimproverò per questo pensiero.
'Se le due bestie son tutto quel che hai al mondo - pensò - che cos'è allora Steffen e che cosa sono i tuoi figli?" Si vergognò della sua precipitazione.
'Lascia perdere le ricchezze, hai ancora tuo marito e i tuoi quattro figli. Di latte per il piccolo neonato ne hai ancora e per gli altri tre bambini c'è acqua in abbondanza nella fontana. Se anche litigo con Steffen e lui mi picchia in malo modo, non è altro che un triste momento della vita matrimoniale. Non ho perso comunque nulla. La raccolta ha ancora da venire e posso andare a mietere, durante l'inverno poi voglio filare fino a notte fonda, così riusciremo a comprarci un'altra capra, e, una volta che abbiamo la capra, non mancheranno nemmeno i capretti."
Così meditando tra sé e sé, divenne nuovamente di buon umore, si asciugò le lacrime e si accorse che ai suoi piedi giaceva una foglia, che brillava chiara come se fosse stata d'oro puro.
La sollevò e si accorse che era anche pesante.
Subito si alzò e corse dalla sua vicina ebrea mostrandole ciò che aveva trovato: costei confermò che era oro e glielo comprò per due talleri in contanti.
Tutto il suo dolore era ora dimenticato: finora la povera donna non aveva mai visto tanti soldi in una volta.
Andò dal panettiere e comprò panini e ciambelle al burro, comprò anche un cosciotto di montone per Steffen, quando fosse giunto a casa stanco e affamato, dopo il viaggio.
Come corsero incontro i bimbi sgambettanti alla mamma felice, che portava loro una colazione tanto insolita! Ella si abbandonò completamente alla gioia materna di sfamare i suoi bimbi, e ora la sua più viva preoccupazione era quella di far sparire le bestie, che pensava fossero morte per le arti magiche di una donna malvagia, e di nascondere la disgrazia al marito il più a lungo possibile.
Il suo stupore superò ogni misura quando, guardando nella mangiatoia, si accorse che di fogliame d'oro ve n'era un mucchio intero.
Se avesse conosciuto la favola popolare greca, avrebbe subito capito che il suo bestiame era morto per l'indigestione di re Mida.
Ella immaginò comunque che fosse accaduto qualcosa del genere, per questo affilò il coltello da cucina, aprì il ventre della capra e vi trovò dentro un bel grumo d'oro, grosso come una mela. Trovò la stessa cosa anche nel ventre del capretto dove il metallo era un po' meno, perché l'animale aveva inghiottito meno foglie.
La sua ricchezza era ora illimitata, ma cominciò ad avere anche pressanti preoccupazioni: divenne irrequieta, paurosa, le venne il batticuore, non sapeva se doveva chiudere il tesoro nel cassettone o se doveva seppellirlo in cantina, temeva i ladri e non voleva nemmeno mettere subito al corrente di tutto quell'avaro di Steffen, perché aveva paura che, da strozzino qual era, si sarebbe preso tutti i soldi lasciando al verde lei e i figli.
Pensò a lungo a quale fosse il comportamento migliore, senza però riuscire a trovare una soluzione.
Il parroco del paese era il protettore di tutte le donne oppresse e non permetteva che i loro villani consorti le maltrattassero, imponendo delle pesanti penitenze ai mariti violenti, e prendendo sempre le difese delle donne.
Costei si recò quindi dal curato e gli raccontò tutta l'avventura con Contarape, come le avesse procurato una grossa ricchezza e quali fossero ora i suoi problemi.
Dimostrò anche la veridicità del suo racconto, mostrando il tesoro che aveva portato con sé.
Il parroco si fece più volte il segno della croce udendo questa vicenda prodigiosa, ma, nel contempo, si rallegrò per la fortuna capitata alla povera donna e, girandosi fra le mani il cappello, cercò un buon consiglio perché lei potesse tranquillamente godere del suo tesoro senza che il tenace Steffen se ne impossessasse.
Dopo aver pensato a lungo disse: "Ascolta me figliola, che ho sempre un buon consiglio per tutti. Dammi in custodia l'oro e io me ne prenderò cura, poi scriverò una lettera in italiano, dove si dice che tuo fratello, che molti anni fa se ne andò in cerca di fortuna, salpato per le Indie al servizio di Venezia, è morto in quel lontano paese, lasciandoti in eredita tutti i suoi beni alla condizione che tu sia tutelata dal parroco del tuo paese, contro le cattive intenzioni di terzi. Non voglio per me né ricompensa, né ringraziamenti: pensa solo che devi un ringraziamento alla santa chiesa, per la benedizione che ti è stata concessa dal cielo e promettimi solo una ricca pianeta".
Questo consiglio soddisfece pienamente la donna, che senza indugio promise al parroco la pianeta. Costui pesò quindi scrupolosamente l'oro e lo mise nella cassaforte della chiesa, mentre la donna prese commiato con cuore contento e leggero.
Bauer J.
Anche Contarape era patrono delle donne come il buon parroco di Kirchsdorf, ma con una differenza. Quest'ultimo onorava tutte le donne perché, come diceva, anche la Santa Vergine era una di loro, ma non prediligeva nessuna in particolare - cosa che avrebbe potuto rovinare la sua buona fama.
L'altro, al contrario, odiava tutte le donne per colpa di quella che lo aveva raggirato, anche se a volte si trovava in una disposizione d'animo più mite, che lo portava a prenderne una sotto tutela e a essere gentile con lei.
Mentre il comportamento della coraggiosa madre aveva conquistato la sua benevolenza, il rude Steffen aveva suscitato la sua ira.
Gli venne quindi una gran voglia di vendicare la brava donna giocando al marito un brutto tiro, che lo spaventasse a tal punto da farlo diventare mansueto e completamente sottomesso alla moglie.
A questo scopo si mise in sella del vento del mattino, galoppò sopra montagne e valli, spiò come un gendarme tutte le strade e gli incroci di Boemia, e dove scorgeva un viandante che portava un fardello gli era subito alle costole, per controllare il suo carico.
Per fortuna, nessuno dei viandanti incontrati trasportava vetrerie, altrimenti, anche senza essere il marito della donna protetta, sarebbe stato sicuramente vittima della burla di Contarape, e i danni subiti non gli sarebbero stati risarciti.
Steffen, carico come un mulo, non poté comunque sfuggire alle sue ricerche.
Verso l'ora del vespro, lo Gnomo vide avvicinarsi un bell'uomo con un grosso fardello sulla schiena, sotto i cui passi decisi risuonava il tintinnante carico che portava in spalla.
Lo Gnomo in agguato si rallegrò molto non appena lo scorse in lontananza, e lo riconobbe.
Ora era sicuro della sua preda e si accinse a giocargli un brutto tiro.
Steffen ansimando era quasi giunto in cima alla montagna, gli mancava solo l'ultima salita che conduceva alla vetta e lesto si dirigeva verso casa, accingendosi a quest'ultima fatica, ma la salita era assai ripida e il suo fardello molto pesante. Dovette riposarsi più di una volta, mise quindi il bastone nodoso sotto il cesto, cercando così di alleggerirne il peso, e si asciugò il sudore che gli bagnava la fronte. Con le ultime forze riuscì finalmente a raggiungere la cima della montagna, dove un bel sentiero portava sul crinale.
In mezzo alla strada c'era un abete appena segato e vicino si trovava il suo ceppo, dritto e ben levigato come il piano di un tavolo, tutt'intorno cresceva una bella erbetta.
La vista di questo luogo fu tanto allettante per l'uomo stanco sotto il peso della sua mercanzia, che subito appoggiò il pesante cesto sul ceppo e vi si sdraiò di fronte all'ombra, disteso sulla tenera erbetta.
Qui si mise a contare il guadagno netto che aveva accumulato questa volta e poté stabilire che, se non avesse dissipato nulla in casa, dove al cibo e ai vestiti provvedeva la sua laboriosa moglie, avrebbe avuto abbastanza denaro per comprarsi un asino al mercato di Schmiedenberg.
Il pensiero di poter caricare un asino e poi camminargli comodamente a fianco era così consolante in quel momento in cui le spalle gli dolevano per il peso portato, che come succede, cominciò a fantasticare sul futuro.
'Se riesco a procurarmi un asino - pensò - troverò presto il modo di sostituirlo con un cavallo, poi riuscirò a prendermi un campicello. Da un campo se ne cavano facilmente due, e col passare degli anni si arriva a possedere un intero maso, allora anche Ilse potrà avere una gonna nuova'.
Stava fantasticando in questo modo, quando Contarape fece sollevare un forte vento proprio intorno al ceppo, che rovesciò in un batter d'occhio il cesto di vetrerie, facendo andare tutto in mille pezzi.
Che colpo fu per Steffen! Contemporaneamente gli sembrò di udire in lontananza una gran risata, ma pensò che fosse stata solo un'illusione o l'eco delle vetrerie andate in frantumi.
Siccome però il vento sollevatosi poc'anzi non gli sembrava naturale, e quando si guardò intorno il ceppo e l'albero erano scomparsi, indovinò facilmente a chi si doveva attribuire la sua disgrazia e cominciò a lamentarsi:
"Dispettoso di un Contarape, che cosa ti ho fatto perché tu mi derubi del mio pezzo di pane, che mi sono guadagnato sputando sangue? Ah povero me!".
Poi fu preso da un attacco d'ira e cominciò a insultare terribilmente lo Spirito della montagna, per farlo arrabbiare.
"Maledetto!- gridò - Vieni a strangolarmi, adesso che mi hai tolto tutto quello che ho al mondo!". In effetti, in quel momento le sue vetrerie rotte gli sembravano più importanti della sua stessa vita; Contarape però non si fece né sentire, né vedere.
Steffen dovette decidersi a raccogliere per lo meno i pezzi, nella speranza di poterne scambiare qualcuno con vetrerie nuove, per cominciare a rifarsi il campionario.
Sprofondato nei suoi pensieri come un armatore al quale l'oceano ha inghiottito l'intera barca, cominciò a scendere dalla montagna con aria triste e abbattuta, ma cominciò anche ad almanaccare su come avrebbe potuto trovare un risarcimento per il danno subito e riavviare il suo commercio.
Allora gli vennero in mente le capre, custodite dalla moglie in stalla. Sapeva però che la donna le amava quasi come i suoi figli e con le buone non sarebbe mai riuscito a strappargliele.
Decise allora di non dire nulla della sua perdita alla moglie e non solo: invece di far ritorno a casa durante il giorno, pensò di arrivarvi di notte, di prendere di nascosto le capre da portare al mercato di Schmiedenberg, e con i soldi ricavati dalla vendita comprare poi la merce nuova.
Tornando poi a casa avrebbe litigato con la moglie e l'avrebbe rimproverata per essersi lasciata rubare le capre durante la sua assenza.
Con questa intenzione ben premeditata, l'infelice si nascose in un cespuglio nei pressi del paese, e aspettò con impazienza la mezzanotte per poi derubare se stesso.
Al battere della mezzanotte, si mosse, scavalcò la bassa porta del cortile, la aprì dall'interno e con il batticuore si diresse verso la stalla delle capre: aveva paura di venir scoperto dalla moglie.
Al contrario del solito la stalla era aperta.
La cosa lo stupì molto ma nel contempo lo rallegrò, perché quella dimenticanza avrebbe dato fondamento alla sua accusa.
Nella stalla però trovò tutto deserto e silenzioso: nessun essere vivente, nessuna traccia né della capra, né del capretto.
Spaventato, pensò che un ladro più esperto lo avesse preceduto, perché una sventura viene difficilmente da sola.
Sgomento, si accasciò sul fieno e sprofondò nella più cupa tristezza, visto che anche l'ultimo tentativo per riavviare il suo commercio era miseramente fallito. Intanto la laboriosa Ilse, dopo aver lasciato il parroco, era tornata a casa e contenta aveva preparato una bella cenetta per il marito, invitando anche il curato che avrebbe portato una buona bottiglia di vino, e nel corso della cena, quando Steffen si fosse un po' vivacizzato, lo avrebbe messo al corrente dell'eredità toccata alla moglie e delle condizioni alle quali poteva venirne in possesso.
Quando fu ora di cena, la donna cominciò a sbirciare fuori della finestra per vedere se il marito arrivava. Impaziente si recò anche alle porte del paese per cercare di scorgerlo in lontananza e, non vedendolo arrivare, cominciò a preoccuparsi.
Al calare della notte, le preoccupazioni la seguirono nel suo letto.
Il risultato fu che non riuscì a chiudere occhio cadendo in un sonno agitato solo verso il mattino.
Il povero Steffen era intanto nella stalla non meno oppresso e disperato. Era in uno stato così pietoso che non aveva quasi il coraggio di bussare alla porta.
Infine si fece coraggio, bussò molto avvilito e chiamò:
"Moglie mia svegliati e apri a tuo marito!".
Non appena Ilse sentì la sua voce, saltò giù veloce dal letto, come una lesta capriola, aprì la porta e lo abbracciò contenta. Costui però reagì molto freddamente alle sue carezze e si gettò di cattivo umore sulla panca.
La donna fu toccata dal dolore del marito e gli chiese sgomenta:
"Che cosa ti tormenta, mio caro? Che cos'hai?".
Egli rispose solo con sospiri e lamenti, ma lei insistette e il marito, che aveva bisogno di sfogarsi, non riuscì a nasconderle a lungo l'accaduto.
Sentito che era stato Contarape a giocargli il brutto tiro, la donna capì subito che l'intenzione dello Spirito era buona e non poté fare a meno di ridere, cosa che Steffen, se non fosse stato così abbattuto, le avrebbe fatto certamente pagare.
Il marito, che della faccenda non aveva capito nulla, chiese poi impaurito alla moglie che fine avessero fatto le capre.
Questa domanda indusse Ilse a nuovo riso, perché in essa vi era la prova che Steffen aveva già spiato dappertutto.
"Che t'importa delle mie bestie? - gli chiese - Non hai ancora chiesto dei bambini! Le capre sono fuori al pascolo. Non lasciarti abbattere così dal tiro di Contarape: chissà che lui o qualcun altro non ci dia un qualche risarcimento per ciò che abbiamo perso".
"Allora sì che puoi aspettare!"
"Non farla così tragica - replicò la donna - Spesso capitano cose insperate.
Su, fatti coraggio Steffen! Non hai più le tue vetrerie e io non ho più le mie capre: abbiamo però quattro figli sani e quattro braccia forti per nutrirli, la nostra ricchezza è tutta qui".
"Oh, che Dio abbia pietà di noi - sospirò il marito sconsolato - se anche le capre non ci sono più allora i nostri quattro figli li puoi subito annegare, perché io non sono assolutamente più in grado di nutrirli".
"Ma lo posso fare io", replicò Ilse.
A queste parole fece il suo ingresso in casa il parroco, che aveva origliato dietro alla porta tutta la conversazione.
Prese dunque la parola tenendo una predica a Steffen e spiegandogli che l'avarizia è la radice di tutti i mali. Dopo averglielo fatto ben capire, gli raccontò anche della ricca eredità della moglie, tirò fuori la lettera e tradusse al marito che il parroco di Kirchsdorf aveva avuto l'incarico di esecutore testamentario e aveva già ricevuto in custodia il lascito.
Steffen se ne stava lì interdetto e non faceva altro che inchinarsi di tanto in tanto, quando menzionando la Serenissima Repubblica di Venezia il parroco sollevava in suo onore il cappello.
Dopo essersi ravveduto, il marito cadde nelle braccia della moglie, facendole una seconda dichiarazione d'amore, appassionata come la prima, che Ilse accettò di buon grado, nonostante sapesse che era mossa da motivi d'altra natura.
Da quel momento, Steffen divenne il più duttile e il più servizievole dei mariti, un padre amorevole per i suoi bambini e anche un oste laborioso e ordinato, che odiava l'ozio.
Il retto parroco cambiò via via l'oro in sonanti monete, comprò un maso dove Ilse e Steffen vissero e lavorarono per tutta la loro vita.
L'eccedenza la diede a prestito dietro interesse e amministrò il capitale della sua protetta così scrupolosamente come amministrava i beni della chiesa, non pretendendo altra ricompensa se non una pianeta.
Ilse gliene fece fare una così sfarzosa che era degna di un arcivescovo. Dal tempo in cui la buona madre Ilse ottenne un regalo tanto prezioso dallo Gnomo, di lui non si seppe più nulla.
Il popolo però mantenne vivo il suo ricordo con mille leggende meravigliose, che la fantasia delle donne, riunite nelle sere invernali, filava ampie e ricche: erano però tutte invenzioni, raccontate soltanto per passare il tempo e divertirsi.
Frank Holl
"Leggende di Contarape" (Boemia), J. K. A. Musaus.
Da : Il Bosco. Miti, leggende e fiabe, A. Mari - Ulrike Kindl
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