La Fata cattiva e vendicativa che lancia la maledizione sulla regale neonata e la Fata buona - la minore delle "sorelle", come sempre - che addolcisce il maleficio trasformando la Morte in un Sonno secolare. Quindi, Fata cattiva, non strega.
Ma il dualismo non è certo tra la definizione "Fata" - che presuppone una natura benevola - e il suo comportamento crudele e vendicativo. Ho già sottolineato come, sia nelle fiabe popolari che in quelle colte, raramente si usi il termine strega se non per indicare la canonica vecchiaccia di Hansel e Gretel.
Laddove la natura della strega non è sempre e completamente truce - vedi le fiabe del tipo La Bella e la Brutta - si preferisce il termine Fata, anche contro ogni evidenza (vedi le "mamme" delle varianti feline de La Bella e la Brutta, ad esempio). La vera ambiguità è appresentata dalla sbiadita e stordita vecchina in cima alla torre: forse un dolce Essere fuori dal Mondo, forse la Fata cattiva della maledizione trasformatasi in mite adescatrice...
Riflettendoci, sono speculari: la vecchia Fata non invitata al battesimo della piccola Principessa perché era da così tanti anni rinserrata nel suo vecchio castello che il mondo l'aveva creduta morta, e la vecchina appartata in una delle centinaia di stanze della reggia, a cui il mondo era estraneo, tanto da non sapere nulla dell'editto sugli arcolai, pur vivendo nella Casa del Re e da non riconoscere la giovane Principessa che s'affaccia, curiosa, nella sua stanzina.
Dorè G.
Anche le illustrazioni riflettono, nel tempo, questa ambiguità. In alcune, all'arcolaio è seduta una dolce nonnina con scialletto e cuffietta, in altre, il dubbio è insinuato da un gatto nero ch'ella tiene in grembo o sulla spalla, o che striscia come una pantera lungo la parete. Nelle illustrazioni più moderne, il dubbio è sciolto e la vecchina è dipinta senz'altro come la cattiva Fata in agguato. Una più attenta riflessione, una diversa sensibilità o l'assorbimento tout court della versione disneyana? (stra-sic!).
Innocenti R.
Quanto al fuso e all'arcolaio, lascerei perdere azzardati confronti mitologici (e/o il sanguinamento del ditino principesco immancabilmente accostato al menarca): solo nell'Italia del Sud (da Roma in giù) e in Grecia il Filo non si è mai spezzato e la presenza di Iside o Ecate o Medusa o Medea o Febo nelle fiabe è altrettanto naturale di quanto sia far risalire la fondazione di una grande città a Eracle, così come raccontano gli antichi storiografi. E, sinceramente, da Roma al nord Europa, mi risulta stranamente difficile immaginare, nelle loro capanne di fango riscaldate da fuochi di sterco essiccato, i narratori analfabeti (ai tempi in cui neanche avevano raggranellato un proprio alfabeto) dissertare degli amori di Afrodite o della furiosa castità di Artemide.
E' molto più complesso di così... e molto più semplice. Le fiabe, una cinquantina di archetipi in tutto il mondo, raccontate come mantra da centinaia e centinaia di anni, inevitabilmente risentono del luogo, dei tempi, delle peculiari culture e
convenzioni sociali. E, quindi, Mai in un'unica e definitiva versione. Si tratta di innumerevoli stratificazioni. E' il medesimo fenomeno che accade per quanto riguarda una Lingua. Più che antropologo, un amante delle fiabe deve essere un po' geologo un po' Indiana Jones!
A proposito de Il Fuso, l'Aspo e l'Arcolaio..
Storia e folklore nell'opera museografica di Giuseppe Pitrè, di Pasqualina Manzo:
"... Non a caso quindi gli arnesi della filatura sono donati dai fidanzati alle future spose; 'Nelle concezione popolare - dice Pitrè - il fuso ha il naso (muscola) sul cappello (fusaiuolo), unito alla conocchia è sempre un figliuolo; la mamma (la conocchia) dimagra fino a diventare uno stecco ed il figliuolo balla ed ingrassa'. Fuso, aspo, arcolaio 'aprono l'adito a pregiudizi incredibili', carichi come sono di valenze simboliche; il fuso nella stanza di una partoriente è di ostacolo al parto, ma contro la jettatura è molto efficace; una leggenda modicana parla di una vecchia che sta in guardia di un tesoro filando senza mai smettere: se le si tolgono fuso e rocca, sarà possibile cavare il tesoro; l'aspo è efficace contro le "donne di fuori"* se è unito a un corno, una crocetta di canna o a uno straccio rosso; anche le streghe sono tenute lontano dalle case dall'aspo, invece l'arcolaio (animulu) è simbolo del volo vorticoso delle streghe, che di notte percorrono i cieli cavalcando un caprone o un manico di scopa." Gli usi e le credenze connessi al lavoro della filatura sono riportati da Pitrè in più punti della sua Biblioteca: ci sono giorni ritenuti infausti per filare, alcuni infortuni durante la filatura che sono ritenuti cattivi auspici, ci sono formule usate contro il malocchio ed invocazioni devote a sant'Agata, protettrice delle filatrici.
*Le "Donne di fuori" o "donne di casa" o "belle sinore" sono chiamate in Sicilia le Dominae Nocturnae o "bonae res" ricordate nella letteratura medievale italiana e d'oltralpe, girovaganti la notte con Diana, Erodiade o con la "Signora d'Oriente" per visitare le case degli uomini in cerca di cibo e bevande. Se non trovano tavole imbandite, scagliano maledizioni [...] Amano specialmente i bambini, li coccolano e li colmano di doni, ma possono fargli dispetti pericolosi per la loro salute e il loro sviluppo.
(G. Bonomo)
A. Anker, La regina Berta e le filatrici
Ciò detto, sempre da Proppiana convintissima, ricordo che, nel Rito di Iniziazione, la Morte Temporanea veniva indotta nell'Iniziando anche tramite l'introduzione, da parte del celebrante, di oggetti acuminati sotto la pelle e le unghie. E Propp include il fuso de La Bella Addormentata, o il pettine infilato nei capelli di Biancaneve o lo spillone conficcato nella testa della sfortunata eroina di tante fiabe russe tra gli epigoni di quegli oggetti sciamanici.
Mab's Copyright
Nessun commento:
Posta un commento