domenica 24 aprile 2016

Bousse-Tabac, Haiti

anto tempo fa viveva un re cattivo che governava un enorme regno. Aveva anche una bellissima figlia, tanto buona e carina che non c'era abitante che non l'adorasse. Il re padre, invece, era inviso a tutti ed era così malvagio che persino i buoni sentimenti, quando riuscivano a raggiungergli il cuore, si macchiavano come si macchia il latte versato in una casseruola lavata male. E anche il suo amore per la piccola era così egoistico e possessivo, che era diventato ormai solo un nuovo e grande difetto.
Quando la principessa compì vent'anni, tutti i parenti e le persone di corte chiesero al re che la facesse maritare, altrimenti, dicevano, tanta bellezza sarebbe sfiorita senza essere mai stata colta da alcuno. Il re, a malincuore, dovette convenire che era vero e così fu costretto a proclamare un bando, con tanto di tamburi e trombe, nel quale si diceva che la principessa sarebbe andata in sposa a chiunque avesse saputo riempire con le lacrime la più piccola delle sue botti.
A sentire ciò i numerosi pretendenti furono costretti a rinunciare alla mano della principessa, salvo tre, i più tenaci, che, sebbene impauriti dalla difficoltà della prova, decisero di presentarsi il giorno dopo alla corte del re.
Il re vedendoli rideva tra sé e sé, conoscendo il destino di quei poveri infelici.
Il primo cominciò la prova, ma era un unico figlio viziatissimo, fin dall'infanzia poco avvezzo al pianto, cosicché non riuscì a riempire la botte neanche di un dito di lacrime, che queste erano già terminate. Sconfitto, stava per andare via quando il re gli intimò di rimanere, con un sorriso sinistro sulle labbra che lasciava intravedere i suoi lunghi denti.


Donato Giancola




Venne il turno del secondo, un ambizioso che aveva della polvere di pepe nelle tasche, e ogni volta che sentiva venir meno le lacrime, ne annusava un po', starnutiva, e ricominciava soffiandosi il naso. Ma quand'ebbe riempito la botte di tre dita di lacrime, non rimase più una goccia d'acqua in tutto il suo corpo. Anche stavolta il re ordinò che il concorrente rimanesse lì ad aspettare: il suo sorriso era ormai divenuto un ghigno.
Infine si presentò il terzo ed ultimo pretendente. Era il povero, piccolo Bousse-Tabac, che ormai da anni amava disperatamente la figlia del re ed era deciso a tutto pur di averla: la vita per lui non aveva senso senza quella donna. E così cominciò a cantare, mentre piangeva, e raccontò i suoi anni di miseria, la morte dei genitori, il suo amore disperato. E intanto le lacrime riempivano la botte, mentre le sopracciglia del re, preoccupato, si avvicinavano tra loro sempre più. Ma quand'ebbe riempito metà della botte, gli occhi dell'innamorato si asciugarono, ormai secchi. Allora le sopracciglia del re tornarono al loro posto e le sue labbra si aprirono in un sorriso diabolico: "Ha ha ha! Volevate giocarmi, eh? Ora invece tocca a me! Vi ordino di riempire la botte, altrimenti vi faccio mozzare la testa a tutti e tre."
La principessa, in lacrime, intervenne, implorò il malvagio genitore di desistere dal tremendo proponimento, non voleva che quei giovani innamorati morissero, soprattutto Bousse-Tabac, di cui era già innamorata. Ma il re, inflessibile, ripetè: "Che sia loro mozzata la testa!"
I primi due pretendenti si avvicinarono alla botte e cercarono di piangere: pensarono ai loro parenti andati, ai loro amici scomparsi, alla principessa, alla loro disgrazia e soprattutto alla loro morte, mai come ora così vicina. Il dolore era scritto sui loro volti e faceva male a vedersi, ma solo qualche rara lacrima venne fuori da quegli occhi ormai prosciugati.
Bousse-Tabac, lui, non aveva più voglia di piangere, sollevò il capo e disse con voce ferma: "Se vivere per lei non mi sarà possibile, allora mi è dolce pensare che morirò per lei!"
Dopo un'ora di tentativi e sforzi i primi due giovani si gettarono a terra, davanti a Bousse-Tabac, con gli occhi già velati per la paura della morte che sentivano imminente.
"Tagliate loro la testa!- gridò allora il re - tagliatela!"
E, con un colpo di machete, la testa del primo rotolò per terra. Tutti i presenti cominciarono a fuggire lontano da quel re pazzo e crudele, per la paura e per non assistere a quel crimine orrendo. Un altro colpo di machete fece volare lontano la testa del secondo, facendola cadere proprio ai piedi del re. Infine venne anche il turno del giovane innamorato: la sua testa, con gli occhi sbarrati che ancora guardavano la sua donna, volò nella botte dove erano raccolte le lacrime. Improvvisamente, come latte sul fuoco, l'acqua cominciò a ribollire e a crescere di volume. Aumentò sempre di più, fino a che i presenti ebbero dapprima le caviglie immerse nell'acqua, poi il torace, e infine la gola. Dopo un po', tutto il palazzo fu pieno d'acqua, tanto che usciva come una cascata dalle finestre dei piani superiori. Anche le strade ne furono inondate, e tutta la città. Le acque impietose nate dalla testa tagliata di Bousse-Tabac trascinarono con loro anche il malvagio re e la sua bellissima figlia, insieme a tutti gli abitanti della città. Da quel giorno, dove prima sorgeva la città, si trova una distesa enorme di acqua.


Jonas DeRo


Claudio Corvino, "Miti e Leggende del Mar dei Caraibi"

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