ei tempi antichi a nord del lago di Peipus si trovava un bel boschetto, chiamato bosco di Tontla, in cui nessuno osava entrare. Alcuni sfrontati, che per caso una volta si erano avvicinati per spiare, raccontarono di aver visto degli strani esseri dalle forme umane, che brulicavano come formiche sull'erba nei pressi di una casa diroccata. Tra questi individui sporchi e stracciati, che sembravano vagabondi, v'erano molte donne anziane e bambini seminudi.
Una volta un contadino, rincasando da un banchetto a tarda notte attraverso il bosco di Tontla, raccontò di aver visto un gruppo di donne e bambini raccolto attorno al fuoco; alcuni sedevano a terra, altri ballavano sull'erba. Una vecchia, con un grosso mestolo di ferro, di tanto in tanto spargeva della brace ardente sull'erba: i bambini allora, trasformatisi in allocchi, cominciavano a svolazzare gridando intorno al fumo che si sollevava, per poi posarsi nuovamente a terra. Poi vide uscire dal bosco un piccolo ometto, molto vecchio e con una lunga barba, che portava sulla schiena un sacco più grande di lui. Donne e bambini gli corsero incontro ballando e cercarono di strappargli il sacco dalla schiena, ma il vecchio si liberò di loro. In quel momento un gatto nero, grosso come un puledro e con gli occhi ardenti, che fino a poco prima era rimasto accucciato davanti a una porta, saltò sul sacco del vecchio per poi sparire nella capanna.
Anche se non si poté stabilire con certezza cosa vi fosse di vero e cosa di falso nel racconto di quel contadino, notevole resta il fatto che tali storie sul bosco di Tontla venivano tramandate di generazione in generazione. Nessuno sapeva dare delle notizie più precise.
Il re di Svezia aveva ordinato più di una volta di abbattere quel bosco così temuto, ma la gente non aveva il coraggio di eseguire l'ordine.
Una volta un uomo particolarmente audace diede alcuni colpi con un'accetta sul tronco di un albero. Immediatamente dalla ferita cominciò a sgorgare del sangue e si udirono grida di dolore simili a lamenti umani. Il boscaiolo fuggì terrorizzato. Da quella volta nessun ordine e nessuna ricompensa riuscirono ad attirare un boscaiolo nella foresta di Tontla.
Un altro particolare inquietante era che il bosco non presentava alcuna via di accesso né di uscita, né si vedeva mai alzarsi un po' di fumo che indicasse la presenza di esseri umani. Se il bosco fosse veramente stato popolato da esseri viventi, questi dovevano essere probabilmente simili alle streghe, capaci di muoversi nell'aria, durante la notte, quando i campi e i paesi intorno erano immersi nel sonno.
H.J.Ford
A poca distanza dal bosco di Tontla si trovava un paese piuttosto grande, dove un contadino vedovo si era risposato con una giovane donna. Dalla prima moglie aveva avuto una figlia, che ora aveva sette anni; una bimba sveglia e affettuosa di nome Else. La cattiva matrigna però rendeva la vita impossibile alla poveretta; la picchiava da mattina a sera e le dava da mangiare un cibo peggiore di quello dei cani. Né la bimba poteva contare sull'appoggio del padre perché lui stesso temeva la matrigna. Per più di due anni Else sopportò questa dura vita versando lacrime amare. Una domenica però andò con altri bambini del paese a raccogliere bacche, e senza accorgersene giunsero al margine del bosco di Tontla, dove crescevano delle bellissime fragole. I bimbi ne mangiarono un bel po' e riempirono i loro cestini. D'un tratto uno dei più grandicelli, avendo riconosciuto il posto, gridò: Fuggite, fuggite, siamo nel bosco di Tontla!, e tutti scapparono. Else, che si era allontanata un po' più degli altri, sentì il grido del ragazzo, ma non volle lasciare quel luogo tanto ricco e, convinta che comunque gli abitanti del bosco di Tontla non avrebbero potuto essere peggiori della sua matrigna, si trattenne ancora.
Poco dopo giunse abbaiando un piccolo cane nero con un campanellino d'argento al collo, seguito da una bimba avvolta in un bellissimo vestito di seta, che fece star buono il cane e disse a Else:
"Che bello che tu non sia fuggita con gli altri bambini. Rimani a farmi
compagnia, ci divertiremo molto insieme. La mamma sicuramente non mi negherà questo favore, se glielo chiedo. Vieni, andiamo subito da lei".
Detto ciò la bambina sconosciuta prese Else per mano e la condusse nella profondità del bosco. Il piccolo cane nero abbaiava divertito, saltellava vicino a Else e le leccava le mani, come se la conoscesse da tanto tempo. Quale meraviglia e splendore si aprì ora davanti agli occhi di Else! Un lussureggiante giardino pieno di alberi da frutta e cespugli dl bacche di mille tipi; sui rami degli alberi v'erano uccelli variopinti, coperti di penne d'oro e d'argento, che non avevano paura, e si lasciavano prendere in mano senza timore.
Nel mezzo del giardino sorgeva una casa di vetro incastonata di pietre preziose, con le pareti e il tetto splendenti come il sole. Una signora, vestita molto elegantemente, sedeva davanti alla porta e chiese alla figlia:
"Chi è l'ospite che ci conduci?".
La bimba rispose:
"L'ho trovata sola nel bosco e l'ho portata con me per avere compagnia. Permetti che rimanga qui?".
La madre sorrise, non proferì parola, ma squadrò Else dalla testa ai piedi con uno sguardo penetrante. Poi la fece avvicinare, le accarezzò le guance e le chiese con gentilezza dove abitava, se i suoi genitori erano ancora in vita e se desiderava rimanere. Else baciò la mano della signora, si inginocchio ai suoi piedi, le abbracciò le gambe e rispose tra le lacrime:
"La mamma riposa già da tempo sottoterra. Mio padre vive ancora, ma la cosa non mi è d'aiuto. La matrigna mi odia e mi picchia senza pietà ogni giorno. Niente di quello che faccio le va bene. La prego, mi lasci restare qui. Custodirò il gregge o farò qualsiasi altro lavoro, farò tutto ciò che vorrà e le ubbidirò, ma non mi rispedisca dalla mia matrigna: mi picchierebbe a morte perché non sono tornata con gli altri bambini".
La signora sorrise e disse:
"Vediamo cosa posso fare per te".
Poi si alzò dal suo posto ed entrò in casa. La figlia però disse a Else:
"Non temere, mia madre è molto gentile. Ho capito dal suo sguardo che esaudirà la nostra preghiera, dopo aver riflettuto un momento. Su, andiamo a giocare. Sei già stata al lago?".
Else spalancò gli occhi e chiese: "Che cos'è?".
"Lo vedrai subito", rispose la bimba e prese una conchiglia, due lische di pesce e una foglia di erba stella da uno scatolino. Poi, scuotendo la foglia, fece cadere un paio di gocce dl rugiada sul prato; subito si formò un lago enorme che si estendeva fino all'orizzonte. La conchiglia e le lische di pesce si trasformarono in una barca munita di remi. Le bimbe si cullarono felici sulle onde finché una voce chiamò: Kiisike!.
"Che significa?", chiese Else.
"E' il mio nome - rispose la bimba - è ora di tornare".
Così dicendo immerse lo scatolino nell'acqua: d'un tratto l'intero incantesimo svanì e loro si trovarono nuovamente davanti a casa. Le fanciulle entrarono. In una grande stanza sedevano intorno a un tavolo ventiquattro donne, tutte vestite elegantemente, a capotavola sedeva la signora su una sedia d'oro. Sul tavolo v'erano tredici diversi tipi di cibo, serviti in scodelle d'oro e d'argento. Uno dei piatti rimase però intatto e venne tolto da tavola come era stato portato, senza che nemmeno venisse alzato il coperchio. Else mangiò quelle prelibate pietanze, che le piacquero come non le era mai piaciuto nulla fino a quel momento. A tavola si parlava sottovoce in una lingua straniera, della quale Else non capiva nulla. La signora rivolse poi alcune parole alla cameriera, che stava alle sue spalle e che subito corse via per tornare con un piccolo ometto molto anziano, con una barba lunghissima. Il vecchio si inchinò e rimase sulla porta. La signora gli indicò Else e gli disse:
"Guarda bene questa contadinella. La voglio tenere come figlia adottiva e tu mi devi modellare una sua sosia che domani potremo mandare al paese in vece sua". Il vecchio guardò attentamente Else, come se volesse prendere le misure,
s'inchinò poi nuovamente davanti alla signora e lasciò la stanza. Dopo il pasto la signora disse con gentilezza a Else:
"Kiisike mi ha pregata di tenerti qui a farle compagnia e tu stessa mi hai detto che desideravi rimanere. E' veramente così?".
Else cadde m ginocchio e baciò le mani alla donna per ringraziarla. La signora però la fece alzare, e accarezzandole la testa le disse:
"Voglio prendermi cura di te e della tua educazione finché sarai adulta e potrai arrangiarti da sola. Le mie donne, che danno lezioni a Kiisike, le daranno anche a te, ti insegneranno i lavori manuali più raffinati e molte altre cose".
Poco dopo il vecchio fece ritorno: sulle spalle aveva un recipiente pieno di fango e nella mano sinistra un piccolo cesto coperto che depositò a terra. Prese poi un po' di fango e modellò una bambola dalle forme umane; nel ventre ancora aperto pose tre pesci sotto sale e un pezzo di pane. Poi fece un buco nel petto della bambola, prese dal suo cesto una serpe lunga e nera e ve la infilò.
Dopo che la signora ebbe osservato con attenzione la bambola; il vecchio disse: "Adesso ci serve solo una goccia di sangue della contadinella".
Else quando udì queste parole impallidì, pensando che questo significasse vendere l'anima al demonio. Ma la signora la rassicurò:
"Non avere paura, non vogliamo il tuo sangue per qualche scopo malvagio, ma solo per il tuo bene futuro".
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Prese quindi un piccolo ago d'oro, punse Else sul braccio e lo passò poi al vecchio, che trafisse il cuore della bambola. Alla fine la ripose nel cesto, perché durante la notte potesse crescere e promise alla signora che il mattino seguente tutto sarebbe stato pronto. Ci si andò allora a coricare e anche a Else venne assegnata una stanza, dove le fu preparato un bel letto morbido. Quando il mattino seguente si svegliò nel letto di seta, si accorse di indossare una bellissima camicia da notte, e vide sulla sedia davanti al suo letto dei vestiti raffinati. Entrò quindi nella stanza una ragazza che la fece lavare e pettinare e poi la vestì con quei magnifici abiti, come se fosse stata la più nobile delle bimbe.
I vestiti da contadinella che portava prima erano stati prelevati durante la notte, e si trovavano ora addosso alla bambola di fango che doveva far ritorno al paese al posto suo. La bambola, che camminava come un essere umano, era cresciuta durante la notte ed era diventata una perfetta sosia di Else. Quando la bimba la vide si spaventò molto ma la signora le disse:
"Non avere paura, la bambola di fango non ti può fare alcun male. La mandiamo solo alla tua matrigna, perché sfoghi su di lei la sua violenza. La può picchiare finché vuole perché non sente male, ma se quella donna malvagia non muterà il suo comportamento, alla fine la bambola la punirà come si merita".
Da quel giorno Else visse felicemente, senza alcuna preoccupazione, dedicandosi con diligenza agli studi e la sua vita precedente divenne ben presto solo un brutto ricordo. Quanto più profondamente si addentrava nelle gioie di questa vita, tanto più le sembrava stupefacente: un potere sconosciuto e insondabile doveva regnare in quel mondo. Nel cortile, a venti passi dalla casa, si trovava un blocco di granito. Quando si avvicinava l'ora dei pasti, il vecchio dalla lunga barba tirava fuori dal suo vestito una bacchettina d'argento e con questa picchiava tre volte sul masso, che emetteva un suono distinto. A quel punto saltava fuori un enorme gallo d'oro: tutte le volte che il gallo sbatteva le ali e cantava, dal blocco di granito veniva fuori qualcosa. Prima di tutto una lunga tavola apparecchiata che, da sola, entrava in casa come volando. Quando il gallo cantava per la seconda volta comparivano le seggiole e poi le scodelle con i diversi cibi: tutto fuoriusciva dal blocco e come trasportato dal vento andava a posarsi sul tavolo. Quando tutti avevano mangiato abbondantemente, il vecchio toccava di nuovo la roccia con la sua bacchetta, il gallo cantava e ogni cosa tornava nel blocco di granito. Quando era però il turno della tredicesima scodella, dalla quale non si mangiava mai, le cose andavano diversamente: un grosso gatto nero correva dietro alla scodella e si fermava con essa sul masso vicino al gallo, finché veniva il vecchio a portarli via. Questi prendeva la scodella in una mano, il gatto in braccio e il gallo d'oro sulla spalla e spariva dietro al blocco. Dal granito non provenivano solo i cibi e le bevande, ma anche meravigliosi vestiti di seta e tessuti pregiati.
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Un giorno Else, incuriosita, chiese a Kiisike cosa ci facesse la tredicesima zuppiera sempre in tavola, se nessuno vi mangiava mai. Kiisike non sapeva spiegarglielo, ma dovette riferirlo a sua madre perché alcuni giorni dopo costei fece chiamare Else e le disse in tono serio:
"Non stare ad arrovellarti il cervello con inutili pensieri! Vuoi sapere perché non mangiamo mai dalla tredicesima zuppiera? Ebbene non lo facciamo perché essa è la scodella della benedizione nascosta; non possiamo toccarla, altrimenti la nostra vita felice finirebbe. Anche tra gli uomini le cose andrebbero molto meglio, se nella loro avidità non cercassero di arraffarsi tutti i doni, senza nulla lasciare in ringraziamento al benefattore celeste. L'avidità è il più grosso errore degli uomini".
Gli anni trascorsero veloci. Else era diventata un'attraente giovinetta e aveva imparato molte cose che nel suo paese non avrebbe appreso nemmeno in tutta la sua vita. Kiisike era rimasta invece la stessa bambina che era il giorno dell'incontro nel bosco con Else. Le donne che vivevano con la signora dovevano impartire tutti i giorni alcune ore di lezione di scrittura e lettura, oltre che di raffinati lavori manuali, a Kiisike ed Else. La seconda apprendeva tutto molto bene, mentre Kiisike si divertiva di più nei giochi infantili, che nelle altre occupazioni. A volte diceva a Else: "Peccato che tu sia diventata così grande. Ora non puoi più giocare con me".
Dopo nove anni di questa dolce vita, una sera la signora fece chiamare Else nella sua stanza da letto e con gli occhi pieni di lacrime, le disse:
"Cara figliola, è giunto il momento della separazione"
"Separazione?! - gridò Else, e si gettò piangendo ai piedi della signora - No, cara mamma, non può succedere fino a che la morte non ci separi. Mi avete accolta un giorno piena di gentilezza, ora non cacciatemi via".
La donna cercando di tranquillizzarla le disse:
"Bimba mia, calmati; tu non sai cosa sono costretta a fare per la tua felicità. Le cose devono andare in questo modo, tu sei un essere umano e come tale sei destinata a invecchiare e un giorno a morire; per questo non puoi restare qui più a lungo. Io e la mia gente abbiamo sembianze umane, ma non siamo uomini come voi, siamo esseri superiori, a voi incomprensibili. In una terra lontana troverai un marito affettuoso, che è la tua anima gemella, e con lui sarai felice fino alla fine dei tuoi giorni. Separarmi da te non mi è facile, ma così deve essere e anche tu devi accettarlo". Poi passò il suo pettine d'oro tra i capelli di Else e le ordinò di andare a letto.
Intanto, in tutti quegli anni, la vita in paese era andata avanti allo stesso modo. La matrigna tormentava la sosia giorno e notte, ma la bambola di fango non sentiva alcun dolore. Un giorno però, mentre la matrigna la picchiava come al solito, minacciando di ucciderla, e le stringeva il collo con entrambe le mani per strozzarla, una serpe nera uscì sibilando dalla bocca della bambola e punse la matrigna sulla lingua facendola cadere a terra morta. Quando il marito tornò a casa alla sera trovò la moglie che giaceva morta sul pavimento; la figlia invece era sparita. Alle sue grida accorsero alcuni vicini che dissero di aver sentito verso mezzogiorno un grande baccano provenire dalla casa, ma di non essere andati a vedere. Nel pomeriggio tutto era tornato nuovamente tranquillo, ma nessuno di loro aveva più visto la figlia. L'uomo allora si ritirò nella sua stanza dove trovò tre pesci salati e un pezzo di pane; mangiò e si mise a letto. Il giorno seguente anche lui fu trovato morto. Dopo alcuni giorni vennero sepolti entrambi e della ragazza scomparsa i contadini non seppero più nulla.
Per il dispiacere della separazione Else intanto non era riuscita a dormire per tutta la notte. Il mattino successivo la signora le mise al dito un anello d'oro col sigillo e al collo un medaglione d'oro appeso a un filo di seta, poi chiamò il vecchio, gli indicò Else e tristemente prese commiato da lei. La fanciulla stava ringraziando quando il vecchio le toccò tre volte dolcemente il capo con la sua bacchettina. Else fu trasformata in un'aquila, si sollevò in aria e cominciò a volare. Per molti giorni volò verso sud, riposandosi solo quando le ali erano stanche, senza sentire la fame. Un giorno mentre sorvolava un boschetto si sentì penetrare da una freccia. Cadde a terra e svenne. Quando rinvenne si trovò nelle sue spoglie umane, sotto un cespuglio. Il modo in cui era giunta in quel luogo e la strana storia che aveva vissuto le sembravano un sogno. Proprio allora giunse a cavallo il figlio di un re, giovane e bello, che smontò dalla sella, porse la mano a Else e le disse:
"Oggi sono uscito a cavallo in un'ora fortunata. Sono mesi che sogno durante la notte di trovarvi qui nel bosco e anche se ho percorso già mille volte questa strada, la brama e la speranza di trovarvi non si erano ancora spente. Oggi ho ucciso una grossa aquila e l'ho vista cadere proprio in questo punto; venendo a cercarla ho trovato voi".
Poi aiutò Else a salire a cavallo e la condusse in città, dove il vecchio re la accolse pieno di gioia. Alcuni giorni più tardi venne celebrato un sontuoso matrimonio. Il mattino del matrimonio giunsero cinquanta carri ricolmi di merci preziose, che la madre adottiva le aveva spedito. Dopo la morte del vecchio re, Else divenne regina e negli anni della vecchiaia raccontò lei stessa le vicende della sua giovinezza. Ma del bosco di Tontla da allora non si è più saputo nulla.
"Il bosco di Tontla" (Estonia), da: Friedrich Kreutewald, "Estnische Marchen", a cura di F. Lwe, Halle 1869. Traduzione di Alberto Mari e Ulrike Kindl. (ne "Il Bosco - Miti, leggende e fiabe").
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