'erano una volta un Re e una Regina che vivevano insieme felici e contenti e avevano dodici figli maschi e nemmeno una figlia. Desideriamo sempre ciò che non abbiamo e non apprezziamo abbastanza quello che già possediamo; la regina non era in questo diversa da noi.
Un giorno d'inverno, quando il cortile del castello era coperto di neve, la regina guardando dalla finestra del salone vide là fuori un vitello appena ucciso dal macellaio e un corvo posato lì accanto.
"Oh, - disse, - se soltanto avessi una figlia con la pelle bianca come quella neve, le guance rosse come quel sangue, e i capelli neri come quel corvo! Per lei darei tutti i miei dodici figli".
Burkert Nancy Elkolm
Nel momento stesso in cui pronunciò quelle parole provò un grande spavento e un brivido la scosse, e un attimo dopo una vecchia dall'aspetto severo stava davanti a lei.
"Ben malvagio è stato il tuo desiderio, - disse, - e per punirti verrà esaudito. Avrai una figlia proprio come la desideri, ma il giorno stesso della sua nascita perderai gli altri tuoi figlioli"
Non appena ebbe detto ciò, la vecchia scomparve. Così avvenne.
Mentre aspettava il momento del parto, la regina fece portare i bambini in una grande sala del palazzo, e la fece circondare dalle guardie, ma nel preciso istante in cui la figlia venne alla luce le guardie poste all'interno e all'esterno del palazzo udirono un gran frullare d'ali e un sibilo, e si videro i dodici principi volare uno dopo l'altro fuori dalla finestra aperta e dirigersi come tante frecce verso il bosco. Il re fu profondamente addolorato per la perdita dei figli, e si sarebbe certo molto adirato con la moglie se solo avesse saputo quanta parte essa aveva avuto nella vicenda.
Maja Chmura
Tutti chiamavano la piccola principessa Biancaneve-e-Rosarossa per il suo bel colorito. Era la più affettuosa e adorabile bambina che si fosse mai vista. Quando ebbe dodici anni, cominciò a essere molto triste e malinconica e a tormentare la madre chiedendole dei fratelli che credeva morti: fino ad allora infatti nessuno le aveva detto che cosa in realtà era loro successo.
Il segreto era un peso opprimente per la coscienza della regina, e poiché la bambina insisteva con le domande, infine glielo svelò.
"Dunque mamma, - disse allora, - è per causa mia che i miei fratelli sono stati trasformati in oche selvatiche e stanno ora soffrendo pene di ogni genere; prima che il mondo sia più vecchio di un altro giorno sarò partita alla loro ricerca, per tentare di riportarli alle loro vere sembianze".
Il re e la regina la fecero sorvegliare attentamente, ma ogni precauzione fu inutile. La sera seguente ella si stava già inoltrando nei boschi che circondavano il palazzo, e per tutta la notte e fino alla sera del giorno dopo camminò e camminò... Aveva con sé alcune focacce, e strada facendo raccolse nocciole, mugoreens (ossia i frutti della rosa di macchia) e succose mele selvatiche.
Giunse infine, proprio al calar del sole, a una graziosa casetta di legno.
C'era tutt'attorno un bel giardino pieno dei più splendidi fiori e un cancello si apriva nella siepe. Entrò e vide una tavola apparecchiata con dodici piatti, dodici coltelli, dodici forchette e dodici cucchiai, e sulla tavola c'erano torte, selvaggina fredda e frutta, e c'era un fuoco accogliente e in un'altra ampia stanza erano allineati dodici letti. Mentre si stava guardando intorno sentì il cancello aprirsi, un rumore di passi sul vialetto, ed ecco entrare dodici giovani: un grande dispiacere si dipinse sui loro volti non appena ebbero posato gli occhi su di lei.
"Oh, quale crudele destino ti ha condotta qui? - disse il più vecchio - Per causa di una ragazza fummo obbligati a lasciare la corte di nostro padre e a prendere durante il giorno l'aspetto di oche selvatiche. Questo avvenne dodici anni fa, e noi prestammo allora il solenne giuramento di uccidere la prima fanciulla che fosse capitata nelle nostre mani. E' un peccato privare il mondo di una ragazza innocente e bella come te, ma dobbiamo tenere fede alla nostra promessa".
"Ma io sono la vostra unica sorella,- rispose lei, - e non sapevo nulla di tutto questo fino a ieri; sono scappata nella notte dal palazzo di nostro padre e di nostra madre per trovarvi e liberarvi, se questo sarà in mio potere"
I giovani giunsero le mani e tennero lo sguardo fisso al suolo: ci fu un silenzio tale che si sarebbe sentito cadere uno spillo, finché il maggiore esclamò:
"Maledetto il nostro giuramento! Cosa possiamo fare?"
"Ve lo dirò io, - disse una vecchia apparsa in quel momento tra loro. - Sciogliete questo vostro malvagio giuramento che non torna a onore di nessuno mantenere. Se mai la toccherete anche solo con un dito vi muterò in dodici booliaun buis (ossia steli della pianta d'ambrosia); ma io voglio sia il vostro bene che il suo. A lei è stato affidato il compito di liberarvi in questo modo: dovrà filare e lavorare a maglia per voi dodici camicie con la lanuggine di palude che deve raccogliere con le sue stesse mani nella brughiera appena fuori dal bosco. Ci vorranno cinque anni per farlo, e se in tutto questo tempo parlerà, riderà o piangerà anche una sola volta, sarete condannati a rimanere durante il giorno oche selvatiche, finché non sarete chiamati nell'altro mondo. Prendetevi cura perciò di vostra sorella: è nel vostro interesse"
La fata quindi sparì, e i fratelli fecero a gara per vedere chi sarebbe stato il primo a baciare e ad abbracciare la sorella. Così per tre lunghi anni la povera principessina passò il suo tempo a strappare la lanuggine delle paludi, a filarla e a lavorare alle camicie, e al termine dei tre anni ne aveva finite otto. Per tutto quel tempo non disse mai una parola, non rise né pianse: e quest'ultima era la cosa più difficile da cui trattenersi.
Nadezhda Illarionova
Un bel giorno, mentre era seduta a filare in giardino, balzò dentro un agile levriero che le saltò incontro e le appoggiò le zampe sulle spalle leccandole la fronte e i capelli. Poco dopo un giovane principe molto bello arrivò a cavallo fino al cancelletto del giardino, si tolse il cappello e chiese il permesso di entrare. La principessa acconsentì con un leggero cenno del capo, ed egli entrò. Il principe le chiese mille volte scusa per averla importunata e le fece mille domande, ma non riuscì a farle uscire di bocca una sola parola. Si innamorò a tal punto di lei, fin dal primo istante, che non poté risolversi a lasciarla prima di averle detto di essere il re di un paese che si estendeva sino ai bordi della foresta e averle chiesto di andare con lui ed essere sua sposa. Lei pure non poté fare a meno di ricambiare il suo amore, e anche se da principio continuava a scuotere la testa, e provava dispiacere a lasciare i fratelli, infine disse di sì con il capo e pose la sua mano in quella di lui. Era ben certa infatti che la buona fata e i suoi fratelli sarebbero riusciti a ritrovarla. Prima di andar via prese da casa un cesto in cui aveva messo tutta la lanuggine e un altro con le otto camicie; i servitori li presero in consegna e il principe la fece sedere davanti a sé sul cavallo.
A. Lomaev
La sola cosa che lo turbava mentre cavalcavano verso le sue terre era il disappunto che avrebbe provato la sua matrigna per quanto aveva fatto. Tuttavia era padrone assoluto a palazzo, e non appena arrivato mandò a chiamare il vescovo, fece vestire sontuosamente la sua fidanzata e le nozze vennero celebrate: la sposa si limitò ad assentire col capo. Egli intuiva dal modo di comportarsi le nobili origini della moglie, e non esistevano al mondo due persone più innamorate.
La perfida matrigna faceva tutto il possibile per mettere discordia e andava dicendo che era sicura si trattasse solo della figlia di un guardaboschi, ma niente poteva turbare il sentimento che il re nutriva per la moglie. A tempo debito la giovane regina diede alla luce un bellissimo bambino e il re era così contento che non sapeva più cosa fare per la gioia. Lo sfarzo della cerimonia del battesimo e la felicità dei genitori erano un vero e proprio tormento per la cattiva matrigna, ed ella decise di por fine alla loro serenità. Fece dare una pozione soporifera alla giovane madre e mentre pensava e ripensava a come meglio sbarazzarsi del bambino, vide nel giardino un lupo dall'aspetto feroce che la fissava leccandosi i baffi. Non perse tempo; strappò il bambino dalle braccia della donna addormentata e lo lanciò fuori. La bestia lo afferrò fra le fauci e in un attimo fu al di là della siepe. Poi la perfida donna si punse le dita e sparse il sangue intorno alla bocca della madre ancora addormentata.
Barbara C. Freeman
Il re stava entrando proprio allora nel cortile grande di ritorno dalla caccia, e non appena fu nel palazzo la matrigna gli fece un cenno, versò un po' di lacrime di coccodrillo, si mise a urlare e a torcersi le mani e lo condusse in fretta lungo il corridoio verso la camera da letto. Potete pensare quale spavento fu per il povero re vedere la bocca insanguinata della regina e accorgersi che il bambino non c'era più! Ci vorrebbero ore per descrivere la falsità della vecchia regina, lo sconvolgimento, la paura e l'affanno del giovane re e della regina, i brutti sospetti che egli cominciò a nutrire verso la moglie, e la lotta che lei dovette sostenere per reprimere il suo cocente dolore, e per non darne sfogo parlando o piangendo. Il giovane re non permise che venisse chiamato alcuno e ordinò alla matrigna di diffondere la notizia che il bambino era caduto dalle braccia della madre mentre questa stava alla finestra, e che una bestia feroce era scappata portando via il piccolo. La snaturata donna finse di ubbidirgli, ma di nascosto raccontò a tutti quelli con cui parlò ciò che il re e lei stessa avevano visto nella camera da letto.
La giovane regina fu per molto tempo la donna più infelice dei tre reami, afflitta dall'angoscia per il figlio e dalla cattiva opinione che il marito aveva di lei; tuttavia non parlò né pianse: raccoglieva la lanuggine delle paludi e continuava a fare le camicie. Spesso si erano viste le dodici oche selvatiche posarsi sugli alberi del parco o sul soffice prato, e guardar dentro le sue finestre. La regina continuava a lavorare per portare a termine il suo compito, ma si era giunti alla fine di un altro anno e la dodicesima camicia era quasi terminata - ne mancava solo una manica - quando fu obbligata a mettersi a letto, e venne alla luce una meravigliosa bambina. Questa volta il re stava ben attento e non permetteva che madre e figlia fossero lasciate sole un minuto; ma la malvagia matrigna pagò di nascosto alcuni servitori, altri li addormentò, diede la pozione soporifera alla regina e fece appostare una persona pronta a rapire il bambino e ucciderlo. Ma cosa mai non vide in giardino se non lo stesso lupo che, come la volta prima, la guardava leccandosi i baffi? Anche la bambina finì fuori dalla finestra, e il lupo sparì insieme a lei; la vecchia matrigna imbrattò di sangue la bocca e il viso della madre addormentata e poi urlò e strillò, e si mise a chiamare il re e ogni persona che incontrava, e la stanza si riempì di gente, e tutti si convinsero che la giovane regina aveva appena divorato la sua stessa creatura. La povera madre credeva oramai che la vita stesse per abbandonarla. Era in uno stato tale da non riuscire né a pensare né a pregare, ma rimaneva seduta immobile come una statua e continuava a lavorare alla manica della dodicesima camicia. Il re desiderava che venisse ricondotta nella casa del bosco dove l'aveva trovata, ma la matrigna, i signori della corte e i giudici non ne vollero sapere e la regina fu condannata a essere bruciata nel cortile grande alle tre di quello stesso giorno. Quando l'ora fatale fu vicina, il re si ritirò nella parte più remota del palazzo, e in quel momento nel suo regno non c'era uomo più infelice. Arrivati i carnefici per condurla via, la regina prese il mucchio di camicie fra le braccia. Mancava ancora qualche punto, e mentre la stavano legando sul rogo non smise di lavorare. All'ultimo punto sembrò sopraffatta, e una lacrima cadde sul lavoro, ma dopo un istante si rizzò e gridò forte: "Sono innocente, chiamate mio marito!"
I carnefici si fermarono, tranne uno d'animo crudele che diede fuoco alle fascine vicine a lui; e mentre tutti stavano immobili per lo stupore, ci fu un affrettar d'ali e in un attimo le dodici oche selvatiche furono attorno al rogo. Prima ancora che si potesse contare fino a dodici, la regina aveva già gettato una camicia su ciascun uccello e in un batter d'occhio ecco apparire dodici tra i più bei giovani che sia dato di scegliere tra mille.
Mentre alcuni di loro slegavano la sorella, il maggiore, afferrato un grosso bastone, lasciò cadere sul carnefice zelante un colpo tale che questi non ne ebbe mai più bisogno d'un altro. I fratelli stavano confortando la giovane regina e il re stava correndo verso quel luogo, quando apparve fra loro una bellissima donna con la bimba in braccio e per mano il piccolo principe. Non vi furono più che risa e pianti di gioia, e abbracci e baci, e quando si volle ringraziare la buona fata che sotto l'aspetto del lupo aveva portato via i bambini, non la si trovò più. In nessun castello al mondo si conobbe mai una felicità così grande, e se la malvagia regina e i suoi seguaci non finirono squarciati da cavalli selvaggi, l'avrebbero però ampiamente meritato.
Steven Kenny
Patrick Kennedy, "The Fireside Sories of Ireland"
traduzione di Pietro Meneghelli
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