"Perché, mastro Acconcia-e-guasta?"
"Perché sì."
I chiodi che avanzavano li rendeva, la colla no; la metteva da parte.
"Perché, mastro Acconcia-e-guasta?"
"Perché sì."
Era la sua risposta; e tirava su una presa di tabacco. Guadagnava pochino: intanto se la scialava meglio di un principe. Di dove li cavava tanti quattrini? La mattina andava al mercato per far la spesa:
"Macellaio, quel filetto di bue quanto costa?"
"Non è per la vostra bocca, mastro Acconcia-e-guasta; è per la tavola del Re."
"Ho la bocca come lui!"
Glielo dicevano a posta ogni volta per fargli rispondere così. E tutti ridevano:
"Bravo, mastro Acconcia-e-guasta!"
"Pesciaiolo, quello storione quanto costa?"
"Non è per la vostra bocca, mastro Acconcia-e-guasta; è per la tavola del Re."
"Ho la bocca come lui!"
E tutti ridevano:
"Bravo mastro Acconcia-e-guasta!"
Comprava un monte di roba, carne, pesce, formaggio, salame, erbe, frutta, le meglio cose.
"Chi se la mangia tutta cotesta roba, mastro Acconcia- e-guasta?"
"Io e i miei figliuoli."
"O che avete dei figliuoli?"
"Sì: Seghina, Piallina, Scalpellino, Martellino, Tanaglina e Succhiellino che è il minore."
E la gente rideva:
"Buon appetito a tutti, mastro Acconcia-e-guasta!"
Tornato a bottega, riponeva in un canto la cesta con la roba, e si metteva a lavorare senza mai smettere fino a tardi, finché vi si vedeva.
"E il desinare, mastro Acconcia-e-guasta?"
"Lo preparano, in cucina."
A un'ora di notte, mastro Acconcia-e-guasta si chiudeva in bottega e metteva tanto di spranga alla porta. Ed ecco, acciottolìo di piatti, tintinnìo di bicchieri, rumore di argenteria e di coltelli smossi, quasi lì dentro apparecchiassero una gran tavola. E, poco dopo, risate, strilli, e mastro Acconcia-e-guasta che gridava: "Sta' buona, Seghina!... Attento, Scalpellino! Tu mi rompi quella bottiglia!... Bada, non conciarti, Tanaglina!... Sporcaccione di Martellino!... Piallina, Succhiellino, a posto le mani!"
I vicini, dietro la porta, stavano a sentire, stupiti. La mattina:
"Gran pranzo, eh, mastro Acconcia-e-guasta? I figliuoli vi fanno disperare."
"Eccoli lì, cheti cheti."
E mostrava gli arnesi attaccati a una parete della botteguccia; ma la cesta era vuota, e di quel monte di roba da mangiare non restava briciolo, neppure le lische del pesce, o i nòccioli della frutta. I vicini non sapevano che almanaccare per scoprire il mistero di mastro Acconcia-e-guasta; e perdevano il tempo inutilmente. Di giorno vedevano un povero vecchio che si rompeva le braccia a lavorare fino a tardi in quel bugigattolo che pareva una tana. E tutta la roba da mangiare? E l'acciottolìo de' piatti, e le risa, e gli strilli? Invano avean tentato più volte di far un buco alla porta per guardare dentro. Il legno sembrava mezzo fradicio; non c'era però succhiello che potesse arrivare a penetrarlo.
"Che legno è questo, mastro Acconcia-e-guasta!"
"Legno-ricotta."
"Allora perché non ve lo mangiate?"
"La ricotta non mi piace."
"Non ce la date a intendere, mastro Acconcia-eguasta!"
Egli alzava le spalle e tirava su una presa di tabacco:
"Lasciatemi in pace."
La cosa giunse fino all'orecchio del Re:
"Ah! - dice - Ho la bocca come lui?"
E ordinò che a mastro Acconcia-e-guasta i venditori dessero la peggiore roba che avevano, pena la vita. Quella mattina, mastro Acconcia-e-guasta dovette rassegnarsi a portar via certa carnaccia che non l'avrebbero voluta neppure i cani; pesce guasto, formaggio inverminito, frutta mézza.
"Siete contento, mastro Acconcia-e-guasta?"
"Se son contento io, non saran contenti gli altri."
"Perché?"
"Perché sì."
Il Re dava un pranzo al Ministri e al dignitari di corte. Portano in tavola, e Re, Ministri, dignitari arricciarono il naso. La carne puzzava come una carogna, il formaggio camminava da sé su pei piatti, tanto formicolava di vermi, la frutta ammorbava di fracidume.
"Come mai? - urlò il Re. - Venga qui quel birbante del cuoco."
Il povero cuoco giurò e spergiurò che aveva comprato roba buona; ci aveva i testimonii. In cucina, le pietanze spandevano un odore da resuscitare anche un morto. Re, ministri, dignitari dovettero acconciarsi con un po' di pan duro, bagnato nell'acqua; altrimenti sarebbero morti di fame.
"Questo è un tiro di mastro Acconcia-e-guasta!", disse uno dei Ministri.
"Vo' andare a vedere se è vero."
Si travestì e via dal falegname, portando addosso una cassaccia vecchia, per pretesto.
"Acconciatemi questa cassa, mastro Acconcia-eguasta."
"Posatela lì. Andate a comprare i chiodi e la colla."
"Colla ce n'avete tanta!"
"Quella serve per me."
"Che buon odore di vivande, mastro Acconcia-eguasta!"
"Sono i resti del desinare; eccoli là."
Il ministro si sentì venire l'acquolina in bocca a vedere un bel tòcco di filetto arrosto e mezzo pesce con la salsa che dicevano: Mangiami, mangiami!
"O dove l'avete comprata questa buona roba?"
"Dove si vende, in mercato."
"So che c'è ordine reale di non darvi roba buona."
Mastro Acconcia-e-guasta alzò le spalle e tirò su una presa di tabacco. Il Ministro rapportò tutto al Re. Tennero consiglio.
"Questo mastro Acconcia-e-guasta dev'essere un Mago! Leviamogli tutti gli arnesi; vediamo che farà."
Andarono le guardie e gli sequestrarono pialla, succhiello, martello, sega, ogni cosa. Il Re li volle riposti in una stanza accanto alla sua camera, e per maggior cautela si legò alla cintura la chiave dell'uscio. Durante il giorno, gli arnesi stettero cheti; ma dopo l'un'ora di notte, in quella stanza si udì un rumore d'inferno: la sega segava, la pialla piallava, il martello martellava, il succhiello succhiellava, la tanaglia attanagliava; e, dopo un pezzetto, strilli e pianti.
"Abbiamo fame! Abbiamo fame!"
Il Re corse ad aprire; gli arnesi stavano al loro posto per terra, dove li avevano buttati alla rinfusa. Appena richiuso l'uscio, rumore daccapo, strilli e pianti:
"Abbiamo fame! Abbiamo fame!"
Per quella notte il Re non poté dormire neppure un minuto. La sera appresso fu peggio. Il Ministro disse:
"Maestà, proviamo a dar loro da mangiare."
La sega segava, la pialla piallava, il martello martellava, il succhiello succhiellava, la tanaglia attanagliava.
"Chetatevi, in nome di Dio! Ecco qui da sfamarvi."
E chiusero l'uscio. Ed ecco, acciottolìo di piatti, tintinnìo di bicchieri, rumore di argenteria e di coltelli smossi, quasi lì dentro stessero ad apparecchiare una gran tavola; e poi, risa e strilli:
"Tu mi conci! Tu mi strappi! Tu mi inzuppi."
Un portento.
"Oh, mastro Acconcia-e-guasta dev'essere un Mago!"
Il Re spedì le guardie e se lo fece condurre davanti:
"Che è questo, mastro Acconcia-e-guasta? I vostri arnesi parlano e mangiano; come mai?"
Colui si strinse nelle spalle, e tirò una presa di tabacco.
"Se non svelate il mistero, vi faccio tagliare la testa."
"Che mistero o non mistero, Maestà! Essi sono i miei figli."
"E perché ridotti in quello stato?"
"Per aiutarmi a buscarci il pane."
Il Re gli credette, e ordinò che gli restituissero ogni cosa.
"Badate però di non dire più: Ho la bocca come lui! Ve ne pentirete."
Mastro Acconcia-e-guasta riprese a lavorare. Ma gli avventori diventarono scarsi; la gente avea paura di aver che fare con lui. Invano egli andava attorno per le vie, gridando a ogni quattro passi:
"C'è mastro Acconcia-e-guasta! Chi ha roba da guastare e da acconciare!" Nessuno lo chiamava.
"E ora come farete, mastro Acconcia-e-guasta?"
"Finché c'è colla, s'ingolla!"
Infatti di colla in bottega n'aveva una catasta. Di giorno in giorno però essa veniva mancando. Mangia oggi, mangia domani, colla non ce ne fu più.
"E ora come farete, mastro Acconcia-e-guasta?"
Mastro Acconcia-e-guasta alzava le spalle e tirava su grandi prese di tabacco. Il Re aveva sei figliuoli, tre maschi e tre femmine, tutti belli e di ottima salute. Ma appunto in quei giorni si ammalarono tutti e sei, e il medico non capiva di che male. Languivano, senza appetito, senza poter tollerare il più leggiero cibo nello stomaco. Consulti dietro consulti, medicine, intrugli d'ogni sorta non giovavano a niente. La figliuola maggiore morì. Mentre la portavano a seppellire, ecco mastro Acconcia- e-guasta, con una cassettina da morto su la spalla che andava dietro l'accompagnamento:
"Chi vi è morto, mastro Acconcia-e-guasta?"
"Mi è morta Seghina!"
Il giorno dopo morì uno dei maschi; e mentre lo portano a seppellire, ecco mastro Acconcia-e-guasta, con una cassettina da morto su la spalla, che andava dietro l'accompagnamento:
"Chi vi è morto mastro Acconcia-e-guasta?"
"Mi è morto Martellino!"
Così, ogni giorno, ora moriva un figliuolo, ora una figliuola del Re, e mastro Acconcia-e-guasta appariva dietro l'accompagnamento con una cassettina da morto su la spalla:
"Chi vi è morto, mastro Acconcia-e-guasta?"
"Mi è morto Scalpellino! Mi è morta Piallina!"
Il Ministro, che era furbo, saputo che mastro Acconcia- e-guasta era stato veduto ogni volta con una cassetta da morto su la spalla dietro l'accompagnamento dei figliuoli del Re, disse:
"Maestà, se non volete morti tutti i vostri figliuoli, mandate a chiamare mastro Acconcia-e-guasta. La disgrazia vi viene da lui."
Oramai restava in vita una sola figliuola del Re, ed era già all'agonia.
"Ah, mastro Acconcia-e-guasta, salvate la mia cara figliuola!"
"Ah, Real Maestà, salvate il mio caro Succhiellino!"
"In che modo?"
"C'è un solo modo: farli sposare!"
Il Re, lì per lì, per amor della figliuola stimò giusto acconsentire:
"Poi, gliela farò vedere io, a mastro Acconcia-eguasta!", disse fra sé.
La Principessa, che era diventata Reginotta perché più non c'erano altri figliuoli, in pochi giorni guarì. Il Re disse a mastro Acconcia-e-guasta:
"Conducete Succhiellino a palazzo."
"Badate, Maestà: di giorno sarà proprio un succhiello, la notte no. Per ora, la sua sorte è questa."
"E dopo?"
"Dopo, quando Dio vorrà, sarà altrimenti."
"Allora, del matrimonio non ne facciamo nulla per ora."
"Come piace a Vostra Maestà."
Di tratto in tratto, il Re domandava a mastro Acconcia- e-guasta:
"È ancora succhiello il giorno e la notte no?"
"Ancora, Maestà"
"Allora del matrimonio non ne facciamo nulla."
"Come piace a Vostra Maestà."
Gli anni passavano. Il Re era contento che il matrimonio della Reginotta con Succhiello andasse per le lunghe, e si divertiva a canzonare mastro Acconcia-e-guasta:
"Questo è latte che non rappiglia! E voi che fate, mastro Acconcia-e-guasta? Ora non avete più arresi e vi rimane soltanto il succhiello."
"Racconto fiabe a Succhiellino. Ieri glien'ho raccontata una bella assai. Volete sentirla, Maestà?"
"Sentiamola, mastro Acconcia-e-guasta!"
"C'era una volta un Re che aveva due figliuoli, uno buono e l'altro cattivo. Quello buono era il Reuccio e alla morte del padre doveva essere Re. La cosa non garbava al fratello cattivo."
Il Re si turbò, e lo interruppe:
"La vostra fiaba non mi piace."
"State a sentire, Maestà: il bello comincia qui. Dunque, al cattivo non garbava e pensò di disfarsi del fratello buono, per diventare Re lui alla morte del padre. Disse al fratello: Andiamo a caccia. E andarono. Quando furono in un bosco, lontani dalle persone del séguito, cava fuori la spada e dà addosso al fratello che non si aspettava il tradimento."
Il Re si turbò maggiormente, e lo interruppe:
"No, no, la vostra fiaba non mi piace."
"Ecco il più bello, Maestà; state a sentire. Egli credeva di averlo ammazzato, e lo lasciò lì per morto dopo averlo coperto con erbacce e rami d'albero. E al padre riferì: Lo hanno sbranato le fiere!"
"Ahimè! - gridò il Re. - Tu sei mio fratello! Perdona!"
E gli si buttò ai piedi, tremante e piangente:
"Non mi far male!... Eccoti la corona! Non mi far male! Sii Re!"
"Né tu, né io! - rispose mastro Acconcia-e-guasta. - Il Re sarà Succhiellino e la tua figliuola Regina."
Mastro Acconcia-e-guasta indossò abiti principeschi; non sembrava più lui, e andò a prendere Succhiellino. Non era più un succhiello, ma un bel giovane che pareva proprio nato a posta per essere Re. La Reginotta non era da meno di lui. I due fratelli si abbracciarono, si baciarono; e colui che poco prima aveva il nome di mastro Acconcia-eguasta raccontò la propria storia: in che maniera era scampato da morte; e poi diventato falegname. La gente la dice la fiaba della Figlia dell'Orco; ve la racconterò un'altra volta. Succhiellino e la Reginotta si sposarono con grandi feste, vissero lieti lunghi anni ed ebbero molti figli.
E chi più ne vuole più ne pigli.
Luigi Capuana, da Il Raccontafiabe.
Nessun commento:
Posta un commento