L'ubbidienza è una mercanzia sicura, che fa guadagno senza rischio, ed è possesso tale che in ogni stagione produce frutto. E questo vi proverà la figlia di un povero contadino, la quale, per essersi dimostrata obbediente al padre, non solo apri la strada alla buona sorte sua stessa, ma a quella delle altre sorelle, che, per merito suo, furono riccamente maritate.
'era una volta al casale della Barra un uomo rustico chiamato Ambruoso, ch'era padre di sette figlie femmine, e tutto ciò che possedeva per mantenerle all'onore del mondo consisteva in una selvetta di agli [1]. Aveva quest'uomo dabbene grande amicizia con un riccone di Resina, Biasillo Guallecchia, padre di sette figli maschi, dei quali il primogenito, Narduccio, che era il suo occhio diritto, gli cascò malato, e non si trovava rimedio a quel male, sebbene la borsa stesse sempre aperta.
Un giorno che Ambruoso venne a visitarlo, Biasillo gli domandò quanti figli avesse; e quello, vergognandosi di dire che aveva faito innesto di tante femminucce gli rispose: "Ho quattro maschi e tre femmine".
"Se è così, - replicò Biasillo, - mandami uno di cotesti figli tuoi a tener conversazione con mio figlio, che mi farai un piacere grande".
Ambruoso, che si vide preso in parola, non seppe che cosa rispondere e si restrinse ad acconsentire con un cenno del capo. Ma, tornato alla Barra, entrò in una malinconia da morire, non scorgendo modo di adempiere all'impegno preso con l'amico. In ultimo, chiamando una per una le figliuole, a cominciare dalla più grande scendendo alla più piccola, domandò quale di loro si sarebbe contentata di tagliarsi i capelli, vestirsi da uomo e fingersi maschio per tenere conversazione col figlio di Biasillo, che stava ammalato.
F. Leighton
Subito la figlia più grande, Annuccia, rispose: "O che forse m'è morto il padre, che debbo tagliarmi le trecce?"
E Nora, la seconda: "Ancora non mi sono maritata, e già mi vuoi vedere vedova rasa?"
E la terza, Sapatina: "Ho sempre udito dire che le donne non debbono portar brache"
E Rosa, la quarta: "Marragnao! non mi ci peschi! Tu vai in cerca di quel che gli speziali non hanno in bottega per trattenimento di un malato"
La quinta, Gianna: "Di' a cotesto malato che si metta una supposta e si salassi, che io non darei un capello dei mici per cento fili delia vita di un uomo"
La sesta, Leila: "Io sono nata femmina, vivo da femmina, e non voglio, col travestirmi in uomo falso, perdere il nome di buona femmina".
Ma l'ultima covacenere, che era Belluccia, vedendo che il padre a ogni risposta delle sorelle gettava un dolente sospiro, gli disse:
"Se per renderti servigio non basta che io mi mascheri da uomo, mi cambierò anche in animale, e voglio farmi tra le tue dita come un pizzico, pur di darti piacere".
"Oh, sii benedetta! - disse Ambruoso - tu mi rendi la vita in cambio del sangue che t'ho dato. Orsù, non perdiamo tempo: al tornio si foggiano le trottole".
Cosi, tagliati quei capelli, che erano funicelle dorale degli sbirri di amore, e procacciatole un abituccio strappato da uomo, la menò a Resina, dove fu ricevuta da Biasillo e dal figlio, che giaceva a letto, con le maggiori carezze del mondo.
Partito Ambruoso, Belluccia rimase a servire il malato, il quale, vedendo tralucere da quegli stracci una bellezza da far girare la testa, e mirandola e rimirandola e squadrandola tutta, disse tra se stesso:
"Se io non ho le traveggole agli occhi, questa conviene che sia donna: la delicatezza del volto la accusa, il parlare lo conferma, il modo di camminare l'attesta, il cuore me lo dice, Amore me lo rivela. È donna, senz'altro; e sarà venuta con questo stratagemma dell'abito maschile a tendere un'imboscata al mio cuore".
Profondandosi tutto in siffatto pensiero, la malinconia crebbe tanto che gli aggravò la febbre e i medici lo ritrovarono in tristi condizioni. Onde la madre, che ardeva d'amore per lui, prese a dirgli: "Figlio mio, lanterna di questi occhi, gruccia e molle [2] della vecchiezza mia, che vuol dir questo che, invece di riprendere forza, scàpiti in salute? È possibile che voglia tenere sconsolata la povera mamma tua, senza dirle la causa del tuo male perché possa apportarvi rimedio? Dunque, gioiello mio, parla, apriti, sfoga, svapora, dimmi netto che cosa ti bisogna, quello che tu desideri; e lascia fare a Cola, che non mancherò di darti tutti i gusti del mondo".
Narduccio, incoraggiato da queste buone parole, si lasciò andare a effondere la passione dell'animo suo, dicendo come teneva per certo che quel figlio d'Ambruoso fosse una donna, e che, se non gli era data in moglie, era proprio risoluto a troncare il corso della sua vita.
F. Leighton
"Piano! - disse la mamma - che, per dar pace al tuo cervello, vogliamo fare qualche prova per iscoprire se è femmina o maschio, se è campagna rasa o arbustata [3]. Facciamolo scendere alla stalla e cavalcare qualche poliedro di quelli che sono colà, il più selvaggio, perché, se sarà femmina, le femmine sono di poco spirito e la vedremo filare sottile [4] e subito avremo fatto scandaglio di cotesti pesi ".
Piacque al figlio il pensiero e fece andar giù Belluccia alla stalla, dove le consegnarono una mala bestia di poliedro. Ma essa, insellatolo e saltatavi sopra, con un coraggio da leone, cominciò a fare passeggi da stupire, bisce da stordire, ruote da maravigliare, salti da mandare in estasi, corvette dell'altro mondo, carriere da uscir dai panni. E la madre disse a Narduccio: "Togliti, figlio mio, cotesta frenesia dal capo! Prova: vedi questo giovane più saldo a cavallo che non il più vecchio consuma-selle [5] di Porta Reale".
Non per questo Narduccio si tolse quel pensiero, ma persistè a dire che quella, a ogni modo, era donna, e non gliel'avrebbe levato di testa neppure Scannarebecco. La madre, per calmare l'agitazione in cui lo vedeva, gli disse: "Adagio a mali passila. Passeremo alla seconda prova per chiarirti".
E, fatto venire uno schioppo, chiamarono Belluccia, e le dissero di caricarlo e spararlo. Quella, togliendo in mano l'arma, mise la polvere di archibugio nella canna dello schioppo, e la polvere di zanni [6] nel corpo di Narduccio; mise la miccia alla serpentina e il fuoco al cuore dell'infermo; e, scaricando il colpo, caricò il petto dello sventurato di desideri amorosi.
La madre, che vide la grazia, la destrezza, l'attillatura con cui quel giovane aveva sparato, disse a Narduccio: "Levati da quest'angoscia, e considera che una donna non può far tanto". Ma Narduccio, litigando sempre, non si poteva dar pace e avrebbe messo pegno la vita che quella bella rosa era priva di bottone, e diceva alla mamma: "Credimi, mamma mia, che, se quel bell'albero della grazia d'amore darà solo un fico a questo malato, il malato farà le fiche al medico. Perciò, vediamo di venire, con ogni mezzo, alla certezza; altrimenti, io me ne andrò a distruzione, e, per non trovare la strada di una fossa, me ne scenderò in un fosso". La misera madre, che lo vide più che mai ostinato puntare i piedi e seguitare a battere con la lingua, gli disse: "Te ne vuoi chiarire meglio? Menalo con te a nuotare; e qui si vedrà se è Arco Felice o intruglio di Baia [7], se è Piazza Larga o Forcella, se è Circo massimo o Colonna Traiana".
"Bravo! - rispose Narduccio: - non c'è che dire; hai còlto nella punta. Oggi si vedrà se è spiedo o padella, matterello o crivello, fùsolo o bossolo".
Belluccia, che odorò la faccenda, andò a chiamar subito un garzone del padre, che era assai furbo e astuto, al quale die l'istruzione che, come la vedesse alla marina sul punto di svestirsi, accorrendo le portasse la notizia, che il padre suo stava gravemente ammalato e voleva rivederla prima che la trottola della vita gli si arrestasse. Ciò fu eseguito puntualmente; ed erano appena Narduccio e Belluccia giunti alla spiaggia e davano mano a svestirsi, quando il garzone sopravvenne e fece l'imbasciata, servendola del primo taglio. E Belluccia, udito quell'annunzio, chiese licenza a Narduccio e si avviò verso Barra.
Il malato tornò alla madre con la testa bassa, gli occhi stravolti, il colore gialliccio e le labbra smorte, e le disse che la cosa era andata contr'acqua, e, per la disgrazia accaduta, non si era potuta fare l'ultima prova.
"Non disperarti - rispose la mamma, - che bisogna prendere la lepre col carro, Andrai, dunque, per le corte alla casa d'Ambruoso, e, chiamando il figlio, secondo che scenderà presto o tarderà, ti avvedrai dell'insidia e scoprirai l'intrigo".
A queste parole, le guance di Narduccio, che s'erano imbiancate, tornarono a colorirsi di rosso; e la mattina seguente, quando il Sole mette mano ai raggi e scaccia con alterigia le stelle, andò difilato alla casa d'Ambruoso, e, chiamato costui, gli disse che gli bisognava parlare di cose importanti al figlio. Ambruoso si vide a mal partito; tuttavia, rispose che aspettasse un momento, che l'avrebbe fatto scendere subito. E intanto Belluccia, per non essere trovata col delitto in genere, si spogliò gonnella e corpetto, si mise il vestito da uomo, e si precipitò per le scale; ma fu tanta la fretta, che dimenticò di levarsi gli anelletti dalle orecchie.
Narduccio corse subito con lo sguardo a quegli anelletti, e, come dalle orecchie dell'asino si conosce il cattivo tempo, cosi egli dalle orecchie di Belluccia ebbe indizio della serenità che tanto desiderava. Onde l'afferrò forte, come cane corso, e le disse: "Veglio che tu mi sii moglie, a dispetto dell'invidia, a dispetto della fortuna, a dispetto anche della morte!".
Ambruoso, che udi questo buon volere, rispose: "Pur che tuo padre sia contento, esso con una mano ed io con cento!".
E cosi tutti d'accordo andarono alla casa di Biaslllo, dove madre e padre, a vedere il figlio sano e contento, accolsero con piacere fuor dell'ordinario la nuora. E, volendo sapere da Ambruoso per quale ragione avesse fatto coteste gherminelle di mandarla vestita da uomo, e appreso che era stato per ritegno di confessare che aveva messo al mondo sette figlie femmine,
Biasillo disse: "Poiché il Cielo ha dato a te tante figlie femmine e a me altrettanti maschi, affé, vogliamo fare un viaggio e sette servizi. Va', conducile tutte in questa casa, e io le voglio dotare, che, grazie al Cielo, ho agresta che basta per tanta fragaglia"
Ambruoso, a queste parole, si mise l'ali per andar a prendere le altre figlie e menarle a casa di Biasillo, dove si fece una festa con sette sposalizi, e le musiche e i suoni andarono fino al settimo cielo; e, restando tutti allegramente, si vide chiaro che
non tardarono mai grazie divine.
"La Serva d'Aglie", G.B. Basile. Pentamerone, Giornata Terza, Cunto Sesto.
Traduzione di Benedetto Croce.
Da una sua versione popolare deriva "La Prima Spada e l'Ultima Scopa" di Calvino.
Il testo originale è nella Pagina: "G,B, Basile".
Dalle NOTE di B. Croce:
[1] Nel testo, stranamente: "La serva d'aglie", cioè la selvetta di
agli, che è mentovata a principio e non ha alcuna parte nel racconto.Da una sua versione popolare deriva "La Prima Spada e l'Ultima Scopa" di Calvino.
Il testo originale è nella Pagina: "G,B, Basile".
Dalle NOTE di B. Croce:
[2] Le molle per attizzare il fuoco e meglio riscaldarsi.
[3] Alberata. Serbo la parola nella forma che è d'uso nella terminologia agronomica meridionale.
[4] Aver paura.
[5] Testo: cacaselle, esperto cavalcatore.
[6] Qualche polvere che si vendeva da cerretani sulle piazze (onde di zanni), e che aveva virtù eccitante o riscaldante.
[7] Testo: ntruglio de Vaia. Con questa parola quei di Baia chiamano complessivamente i cosiddetti tempi di Venere, di Mercurio, di Diana, grandi edifizì rotondi che servivano a uso di terme. È da sospettare che la parola sia corrotta da quella di trullo (dal greco bizantino) in uso in alcune parti dell'Italia meridionale per designare ruderi di edifìzì a cupola.
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