'era una volta un re di Frattombrosa, chiamato Milluccio, cosi perduto per la caccia che mandava a monte le cose più necessarie dello stato e della casa sua per andar dietro le tracce di una lepre o il volo di un tordo; e tanto continuò per questa strada, che un giorno la fortuna lo portò a un bosco, che aveva fatto uno squadrone fitto e serrato di alberi e di terra per non essere rotto dai cavalli del Sole. Ivi, sopra una bellissima pietra di marmo, trovò un corvo, che era stato ucciso di fresco. A quel vivo sangue, schizzato sopra la bianchissima pietra, il re gettò un gran sospiro e disse:
"Oh Cielo! e non potrei avere una moglie cosi bianca e rossa come questa pietra, e che avesse i capelli e le sopracciglia cosi nere come le piume di questo corvo!".
In tal pensiero Milluccio si sprofondò tanto, che per un tratto formò il paio con quella pietra, e parve una statua di marmo che facesse all'amore con un altro marmo. E, ficcatosi quel doloroso capriccio nel cervello, e andandone in cerca col vischio del desiderio, quello si fece in poco tempo da stecchino pertica, da melofioccolo zucca d'India, da caldaietta di barbiere fornace di vetraio e da nanerottolo gigante: di guisa che Milluccio non pensava ad altro che a quell'immagine incastrata nel suo cuore come pietra con pietra [1]. Dovunque volgeva gli occhi sempre vedeva quella forma, che portava nel petto; e, scordatosi di ogni altra faccenda, altro non aveva che quel marmo nel capo; e si era assottigliato in modo su questa pietra che se ne andava in consunzione. Gli era, quella pietra, mulino che gli macinava la vita; porfido, dove si stemperavano i colori [2] dei giorni suoi; focile, che metteva fuoco allo zolfanello dell'anima; calamita, che lo tirava; e, finalmente, pietra radicata nella vescica, che non gli dava requie. lennariello, suo fratello, vedendolo cosi giallo e smorto, gli disse:
"Fratello mio, che cosa ti è accaduto che porti il dolore alloggiato negli occhi e la disperazione arrolata sotto l'insegna pallida di questa faccia? Parla, sfògati con tuo fratello! Il puzzo del carbone in una camera chiusa appesta le persone; la polvere, compressa in una montagna, fa volare le schegge in aria; la rogna, rinserrata nelle vene, infracida il sangue; la ventosità, ritenuta nel corpo, genera flati e coliche violente. Perciò apri la bocca e dimmi quel che senti. In ultimo, puoi assicurarti che, in quel che posso, metterò millanta vite per giovarti".
Milluccio, masticando parole e sospiri, lo ringraziò del buon amore, dicendogli che non dubitava del suo affetto, ma che il male che sentiva non aveva rimedio, perché nasceva da una pietra, dove aveva seminato desideri senza speranza di frutti; da una pietra, dalla quale non aspettava neanche un fungo di piacere; da una pietra di Sisifo, che, portata sul monte dei disegni, toccando la cima, rotolava giù al piede. Pure, in ultimo, dopo mille preghiere, gli disse tutto quel che era del suo strano innamoramento. Udito il caso, lennariello lo consolò come meglio potè e gli fece animo, che non si lasciasse trascinare dall'umore malinconico; perché esso, per dargli qualche soddisfazione, era deliberato di viaggiare tutto il mondo, finché trovasse una donna che fosse l'originale di quella pietra.
Cosi fece armare subito una grossa nave piena di mercanzie e, vestitosi da mercante, tirò alla volta di Venezia, specchio d'Italia, ricetto di virtuosi, libro maggiore delle meraviglie dell'arte e della natura [3], dove, fattosi dare un salvocondotto per passare in Levante, fece vela pel Cairo. Entrando in questa città, si scontrò con uno che portava un bellissimo falcone, e subito se lo comprò per portarlo al fratello, che era cacciatore; e, poco più oltre, s'imbattè in un altro con un cavallo stupendo, che pure comprò; e poi si fermò a una taverna, per ristorarsi dei travagli passati in mare. La mattina seguente, quando l'esercito delle stelle, pel comando del generale della luce, leva le tende dallo steccato del cielo e abbandona il posto, lennariello cominciò a girare per la città, mettendo, come lupo cerviero, gli occhi dappertutto, squadrando questa femmina e quella, per vedere se potesse trovare in un volto di carne la somiglianza di una pietra. E, mentre andava sbalestrato di qua e di là, guardando sempre attorno come ladro che ha paura degli sbirri, incontrò un pezzente, che portava addosso uno spedale di empiastri e una giudecca di cenci. Costui gli disse:
"Galantuomo mio, che cos'hai, che ti vedo cosi sbigottito?".
"Debbo dire a te i fatti miei? - rispose lennariello - Aspetta fin che finisca di fare il pane, e poi conterò i fatti miei agli sbirri".
"Piano! bel garzone mio - replicò il pezzente - che la carne dell'uomo non si vende a peso. Se Dario non raccontava i casi suoi a un mozzo di stalla [4], non diventava re di Persia. Perciò non sarebbe cosa strana che tu dicessi i fatti tuoi a un povero pezzente, perché non c'è fuscello cosi sottile che non possa servire per nettare i denti".
Iennariello, che senti il parlare aggiustato e assennato di questo poveretto, gli espose il motivo che l'aveva portato a quel paese, e che cosa andasse con tanta diligenza cercando. Il pezzente, dopo aver ascoltato, gli rispose:
"Or vedi, figlio mio, come bisogna far conto di ognuno; perché, sebbene io sia spazzatura, pure sarò buono a ingrassare l'orto delle speranze tue. Ascolta! Io, col pretesto di cercare la limosina, picchierò alla porta di una bella giovane, figlia di un necromante. Apri bene gli occhi, vedila, contemplala, squadrala, considerala, misurala, che troverai la figura di quello che tuo fratello desidera".
E picchiò alla porta, e la giovane, che si chiamava Luciella, si affacciò per gettargli un tozzo di pane; e lennariello, tosto che la vide, riconobbe che la fabbrica rispondeva proprio al modello descrittogli da Milluccio. Data perciò una buona limosina al pezzente, se ne andò alla taverna e si travesti da venditore di lacci e spille [5], mettendo in due cassette tutto il bene del mondo; e tornò dinanzi alla casa di Luciella, passando e ripassando e dando la voce della merce che vendeva, finché la giovane lo chiamò. Luciella passò in rassegna quelle belle reticelle, veli pel capo, nastri, filondenti, trine, pizzi, pannolini, fibbie, spille, scodelline di rossetto e tocchi di regina, che portava; e, dopo aver visto e rivisto, in ultimo chiese che le mostrasse qualche altra cosa di bello. lennariello rispose:
"Signora mia, dentro questa cassetta io porto merci grossolane e di poca spesa; ma, se vi degnaste di venire alla nave mia, vi farei vedere roba dell'altro mondo, perché ho tesori di cose belle e degne di gran signore".
Quella, che, per non pregiudicare alla natura delle donne, era piena di curiosità, gli disse:
"Affé, che se mio padre non fosse via, vorrei darvi una guardata".
"Tanto meglio potreste venire - replicò l'altro - perché forse vostro padre non vi concederebbe questo piacere, e io vi prometto di farvi vedere sfoggi da mandare in aria il cervello. Quali collane e orecchini! Quali cinture e busti! Quali lavori di merletto! Insomma, vi vo' fare strasecolare".
Goble W.
Non resistè Luciella alla descrizione di questo grande apparato di cose belle; e, presa per compagnia una sua comare, s'avviò alla nave. E là, mentre egli la teneva incantata, mostrandole tante ricchezze, fece destramente levar l'ancora e tendere le vele; sicché, prima che Luciella alzasse gli occhi dalle mercanzie e si vedesse allontanare dalla terra, già aveva percorso più miglia. Quando tardi s'avvide dell'inganno, cominciò a fare l'Olimpia all'inverso ('), perché, se quella si lamentò lasciata com'era su uno scoglio, essa si lamentò di lasciare gli scogli. Ma lennariello le disse chi era, dove la portava e la fortuna che l'aspettava, e le dipinse la bellezza di Milluccio, il valore, la virtù, e finalmente l'amore col quale l'avrebbe ricevuta; e tanto fece e tanto disse che essa s'acquetò, e anzi cominciò a pregare il vento che l'avesse portata subito a veder colorito il disegno che lennariello le aveva delineato.
Cosi navigando allegramente, a un tratto sentirono sotto la nave mormorare l'onda, che, sebbene parlasse sottovoce, fu intesa dal padrone della nave, il quale gridò: "Ogni uomo all'erta, che ora viene un temporale, che Dio ce la mandi buona!". A queste parole si aggiunse la testimonianza di un fischiar di vento; e il cielo si coverse di nuvole e il mare di cavalloni. E, poiché le onde curiose di conoscere i fatti altrui, senz'essere invitate a nozze, salivano sulla nave, chi raccoglieva l'acqua con le conche e la versava in una tinozza, chi le dava lo sfratto con una tromba; e, mentre ogni marinaio, poiché si trattava di causa propria, attendeva chi al timone, chi alla vela, chi alla scotta, lennariello sali sulla gaggia per mirare con un occhiale di lunga vista se poteva scoprire terra, alla quale dar fondo. Ed ecco, mentre superava cento miglia di distanza con due palmi di cannello, vide passare un colombo e una colomba, che, fermatisi sull'antenna, disse il maschio: "Rucche-rucche!"; e la femmina rispose: "Che hai, marito mio, che ti lamenti?". E il colombo: "Questo sventurato principe ha comprato un falcone pel fratello, che, subito che andrà in mano a colui, gli caverà gli occhi; e chi non glielo porterà o chi l'avviserà, pietra di marmo diventerà". Ciò detto, tornò a gridare: "Rucche-rucche!"; e la colomba, di nuovo, gli disse: "E ancora ti lamenti? C'è altro di nuovo?". E il colombo: "C'è dell'altro. Ha comprato anche un cavallo, e il fratello, la prima volta che lo cavalcherà, il collo si romperà; e chi non glielo porterà o gliel'awiserà, pietra di marmo diventerà. E rucche-rucche!". "Oimè! altri rucche-rucche? - riprese a dire la colomba - che altra cosa e' è in campo?". E il colombo: "Costui conduce una bella moglie al fratello; ma, la prima notte che si coricheranno insieme, saranno mangiati l'una e l'altro da un brutto dragone; ma chi non gliela condurrà o l'avviserà, pietra di marmo diventerà".
E, col finire di questa conversazione, fini la burrasca e passò la collera al mare e la rabbia al vento. Più forte tempesta, per altro, si agitò nel petto di lennariello per quel che aveva udito; e più di quattro volte volle gettare tutte le cose a mare, per non portare la causa della rovina al fratello. Ma, dall'altra parte, pensava a se stesso, e la prima causa cominciava da se medesimo, e, dubitando se non portava quelle cose al fratello, o se l'avvertiva, di diventar marmo, si risolse di mirare piuttosto al proprio che all'appellativo, perché la camicia lo stringeva più forte del giubbone. Arrivato al porto di Frattombrosa, trovò il fratello sulla marina, che, avendo visto l'appressarsi della nave, aspettava con gioia grande. E, quando seppe che conduceva quella che egli aveva nel cuore, e, confrontata l'una e l'altra faccia, non vi ebbe trovato la più piccola divergenza, tanto fu il giubilo onde fu pieno, che l'eccessivo carico di contentezza stava per schiacciarlo sotto il peso. E, nell'abbracciare il fratello con gran piacere, gli domandò:
"Che falcone è questo, che porti in pugno?".
Rispose lennariello: "L'ho comprato per dartelo",
E Milluccio: "Ben si vede che mi vuoi bene, perché cerchi di andarmi a genio; e, certo, se mi avessi portato un tesoro, non avresti potuto darmi maggior gusto che di questo falcone".
E stava per prenderlo con le mani, quando lennariello, cavato rapidamente un pugnale, fece saltare il collo al falcone. Al quale atto, il re tenne per pazzo il fratello, che aveva commesso questa stravaganza; ma, per non intorbidare l'allegrezza del ritorno, non disse parola. Vide poi il cavallo e domandò di chi fosse, e, udito ch'era suo, ebbe subito desiderio di cavalcarlo; ma, mentre si faceva tenere la staffa, lennariello subito con un coltellaccio tagliò le gambe al cavallo. Questo secondo atto die nel naso al re, al quale parve che il fratello glielo facesse per dispetto, e cominciò a bollire di sdegno nel suo interno; ma non giudicò che fosse tempo di risentirsene per non affliggere la sposa al primo arrivo nel regno. Egli non si saziava di mirare e stringere con la mano Luciella; e, salito al palazzo reale, convitò tutti i signori della città a un bel festino, onde si vide nella sala una vera scuola di esercitazione con corvette e bassi e un'accolta di polledre in forma di donne.
Finito il ballo, e dato fondo a un grosso banchetto, gli sposi si ritirarono nella loro camera. lennariello, che non aveva altro pensiero in capo che di salvare la vita al fratello, si nascose dietro il letto nuziale, vigile alla venuta del dragone; quand'ecco, a mezzanotte, entrare quell'orribile mostro, che gettava fiamme dagli occhi e fumo dalla bocca, il quale sarebbe stato buon sensale a far vendere tutta la semenzina degli speziali pel terrore che portava nella vista. lennariello, con una lama damaschina che aveva presa con sé, cominciò a tirar colpi di sbaraglio a diritto e a rovescio; e, tra gli altri, uno cosi smisurato che tagliò per mezzo una colonna del letto del re, il quale al rumore si svegliò e il dragone si dileguò.
Il re, vedendo lennariello con la coltella in mano, e la colonna tagliata, si mise a gridare: "Olà, quattro dei miei! Olà, gente, aiuto aiuto! che il traditore di mio fratello è venuto a uccidermi!".
Alle voci, accorsero gli aiutanti, che dormivano nell'anticamera, e il re fece legare lennariello e chiuderlo senz'altro in carcere. E alla mattina, tosto che il Sole apri banco per liberare il deposito della luce ai creditori del giorno, radunò il Consiglio; e, narrato il fatto, che s'accordava col mal animo mostrato dal fratello a uccidere, per fargli dispetto, il falcone e il cavallo, la sentenza fu che lennariello dovesse morire.
Le lacrime di Luciella non furono possenti ad ammollire il cuore del re, che diceva: "Tu non mi vuoi bene, moglie mia, giacché stimi più il cognato che la vita mia. Tu l'hai visto coi tuoi occhi stessi, questo cane assassino, con la coltella cosi affilata che tagliava un pelo nell'aria, venuto a triturarmi: che, se non mi riparava quella colonna del letto (oh. colonna della mia vita!), a quest'ora saresti vedova".
E die ordine che la giustizia seguisse il suo corso. lennariello, che s'intese intimare questo decreto, e, per aver fatto bene, si vide condotto a tanto male, non sapeva come risolversi; perché, se non parlava, male, e, se parlava, peggio; trista la rogna e peggio la tigna; e, qualunque cosa avesse fatto, sarebbe caduto dall'albero in bocca al lupo. Se stava zitto, perdeva il collo sotto un ferro; se parlava, finiva i giorni in una pietra. In ultimo, dopo varie burrasche d'interiori consulte, si determinò a scoprire il negozio al fratello; e, poiché ad ogni conto doveva morire, stimava meglio chiarire il fratello del vero e finire i giorni suoi con titolo d'innocente, che tenere chiusa in sé la verità ed essere scacciato dal mondo col marchio di traditore. Fece, dunque, intendere al re che voleva parlargli di cosa importante allo Stato, e, condotto alla presenza di lui, gli espose anzitutto, in un gran preambolo, l'amore che gli aveva sempre dimostrato; poi, entrò a discorrere degli inganni tessuti a Luciella per procurare soddisfazione al desiderio di lui; e del segreto che udì dai colombi intorno al falcone, e come, per non diventare pietra di marmo, glielo portò, ma al tempo stesso, senza rivelare il segreto, lo uccise, per non vedere il fratello senz'occhi. E, mentre cosi diceva, senti le gambe indurirglisi e farglisi di marmo. E, continuando a dire il simile del cavallo, si fece, a vista, miseramente pietra fino alla cintura: cosa che in altro tempo avrebbe pagata a danaro contante (i), e ora gliene piangeva il cuore.
Alla fine, venendo al fatto del dragone, rimase tutto di pietra, come una statua, in mezzo a quella sala. Il re, sbalordito, udendo il discorso e assistendo a quella improvvisa metamorfosi, apprese il proprio grande errore e il temerario giudizio che aveva fatto di un fratello cosi amorevole; e ne fece lutto per più di un anno, e, ogni volta che ripensava all'accaduto, gli scorreva un fiume di lacrime. In questo tempo Luciella die alla luce due figli maschi, che erano i più belli che si potessero vedere al mondo; e, un giorno che la regina era andata per diletto alla campagna, e il padre stava coi due bambini contemplando con gli occhi lacrimosi quella statua, memoria dell'insensatezza sua, che gli aveva fatto perdere il fiore degli uomini, entrò a un tratto nella sala un gran vecchione, a cui la zazzera nascondeva le spalle e la barba copriva il petto. Costui s'inchinò al re e gli disse: "Quanto pagherebbe la Corona vostra, se questo bel fratello ridiventasse com'era prima?".
E il re rispose: "Tutto il mio regno ".
"Non è cosa questa - riprese il vecchio - che voglia premio di ricchezza, perché si tratta di vita, e la vita si deve pagare con altrettanta vita" .
Rispose il re, tratto in parte dall'amore che portava a lennariello e in parte dal rimorso del male che gli aveva fatto:
"Credimi, messere mio, che io metterei la vita mia per la vita sua; e, purché egli uscisse fuori da questa pietra, mi contenterei d'esserci messo dentro io".
"Senza mettere la vita vostra a questo cimento - disse il vecchio, - perché si stenta tanto a tirar su un uomo, basterebbe il sangue dei bambini vostri, che, bagnandone il marmo, lo farebbe subito tornare vivo".
Il re disse a sua volta: "I figli si fanno: c'è la stampa di questi bambolotti; ne faremo degli altri; ma mi si ridia un fratello, del quale non potrò mai avere altro pari".
E, senz'altro, fece dinanzi a quell'idolo misero di pietra sacrificare due agnelletti innocenti; e, non appena ebbe del loro sangue tinta la statua, questa diventò vivente, e il re Millucciò riabbracciò lennariello, e fecero tra loro un giubilo da non dire. I due corpicini furono messi in una cassa per seppellirli con l'onore che si doveva; quando tornò la regina dalla campagna. Il re nascose il fratello, e disse alla moglie: "Che cosa pagheresti, cuor mio, se mio fratello tornasse vivo?".
"Lo pagherei - rispose Luciella - con tutto questo regno".
"E gli daresti il sangue dei figli tuoi?", domandò il re.
"Cotesto no - replicò la regina, - che non sarei cosi crudele da cavarmi con le mie mani stesse le pupille degli occhi miei".
"Oimè! - continuò il re - che, per veder vivo il fratello, ho scannato i figli. Ed ecco appunto il prezzo della vita di lennariello!".
E le mostrò i figli nella cassa; e Luciella, all'orrendo spettacolo, si die a gridare come pazza: "O figli, figli miei, o puntelli di questa vita, o pupille di questo cuore, o fontane del sangue mio! Chi ha fatto questa macriata (i) alle finestre del Sole? Chi ha salassato, senza licenza di medico, la vena principale della vita mia? Oimè, figli miei, speranza mia distrutta, luce intorbidata, dolcezza avvelenata, gruccia perduta! Voi siete pertugiati di ferro, io trafitta dal dolore; voi, affogati nel sangue, io, annegata nelle lacrime! Oimè, che, per dar vita a uno zio, avete ucciso una mamma; perché io non posso tessere più la tela dei giorni miei senza di voi, contrappesi belli del telaio di questa misera vita: conviene che sfiati l'organo delle voci mie, ora che gli si sono tolti i mantici! O figli, o figli! Perché non rispondete alla mammarella vostra, che già v'infuse il suo sangue nel corpo, e ora ve lo versa dagli occhi! Ma, poiché la sventura mia mi fa vedere seccata la fonte dei miei diletti, non voglio più restare perpetua afflizione a questo mondo. Ora me ne vengo, sulle orme vostre, figlietti miei, a ritrovarvi!". E corse alla finestra per precipitarsi; ma, in quel momento stesso, per quella finestra, entrò il padre suo in una nuvola e le disse:
"Fermati, Luciella! Io, con un viaggio e tre servigi, mi sono vendicato di lennariello, che venne a trafugarmi la figlia di casa, e l'ho fatto stare per tanti mesi, come dattilo di mare(i), in una pietra; ho punito te del tuo cattivo comportamento di esserti lasciata sviare su una nave, col farti vedere due figli, anzi due gioie, scannati dal loro padre stesso; ed ho mortificato il re del suo capriccio di donna gravida, che prima l'aveva reso giudice criminale del fratel suo, e poi boia dei figli. Ma, poiché vi ho voluto bensì radere ma non già scorticare, voglio che tutto il veleno che vi ho dato vi diventi pasta reale; e perciò va' a riprenderti i tuoi figli e miei nipoti, che li troverai più belli di prima; e tu, Milluccio, abbracciami, che ti accetto per genero e per figlio, e perdono a lennariello le offese, avendo egli fatto quel che ha fatto per servire un fratello tanto meritevole".
Ciò detto, vennero i bambini, che il nonno non si saziò di abbracciare e baciare; e in quella allegrezza entrò per terzo lennariello, che, essendo passato per la trafila, ora se n'andava in brodo di maccheroni, sebbene, con tutti i premi che provò poi nella sua vita, non mai gli uscirono di mente i pericoli passati, pensando all'errore del fratello e a quanto convenga all'uomo essere accorto per non cadere in un fosso,
perché ogni umano giudizio è falso e storto.
Dalle Note di B. Croce
1) In un'opera a intarsio.
2) La pietra usata dai pittori per macinare i colori.
3) Il Basile, come si è detto nell'introduzione, era stato venturiero ai servigi della Serenissima, e in Venezia e nei possedimenti veneziani aveva trascorso molti anni della sua giovinezza.
4) Oibare, custode dei cavalli, del quale narra Erodoto, III, 85-87.
5) Di piccoli oggetti che servono all'abbigliamento e ornamento donnesco.
v. "Trusty John", (Faithful Johannes, Der treue Johannes) Grimm n. 6
Classificazione AaTh 516
Il testo in lingua originale è nella Pagina: "G.B. Basile".
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