lunedì 14 dicembre 2015

La Storia della Yara (Brasile), A.Lang - Traduzione Mia

l Sud, dove il sole risplende con tanto ardore che ogni essere inanimato e ogni essere vivente dorme tutto il giorno, e persino la grande foresta sembra assorta in un silente torpore, tranne la mattina presto o la sera tardi, dunque, in questo Paese, vivevano un giovane uomo e una fanciulla. La ragazza era nata in città e se n’era allontanata di rado, ma il giovane era originario di un altro Paese ed era venuto nella città sul grande fiume solo perché dove viveva non riusciva a trovare lavoro.
Qualche mese dopo il suo arrivo, quando le giornate rinfrescarono e la gente non dormiva per tutto il tempo, si tenne una grande scampagnata appena fuori città, e a questa festa accorsero a frotte anche da più di trenta miglia di distanza. Chi venne a piedi e chi a cavallo - alcuni arrivarono in splendide carrozze dorate - ma tutti indossavano magnifici abiti rossi e blu, e nei loro capelli erano intrecciate ghirlande di fiori.
Era la prima volta che il ragazzo partecipava ad una grande festa, e se ne stava in disparte, ammirando le danze armoniose e i piacevoli giochi eseguiti dagli altri giovani. E, mentre guardava, notò una ragazza biancovestita, con purpurei fiori di melograno tra i capelli, che gli parve la più bella di tutte.



Stanislaus Soutten Longley


Quando la festa terminò e il giovane se ne ritornò a casa, il suo comportamento era così insolito da attrarre l’attenzione dei suoi amici.
Il mattino seguente, al lavoro, il ragazzo continuava a vedere il volto della fanciulla mentre lanciava la palla alle sue compagne o intrecciava vaghe danze con gli altri giovani.
Quella notte, il sonno fuggì lontano da lui, e dopo essersi rigirato nel letto per ore, il ragazzo si alzò e andò a tuffarsi in un profondo stagno, poco lontano, nella foresta.
Questo stato di cose andò avanti per settimane, finché, finalmente, la fortuna gli sorrise.
Una sera, passando nei pressi della casa in cui abitava la fanciulla, la vide in piedi, spalle al muro, mentre cercava di respingere con il ventaglio gli assalti di un cane inselvatichito che tentava di azzannarla alla gola. Alonzo - questo era il nome del giovane - accorse e con un solo pugno abbatté il cane, che cadde morto sul selciato. Poi accompagnò la fanciulla terrorizzata e mezza svenuta nell’ampia e fresca veranda in cui sedevano i suoi genitori, e, da quel momento, fu un ospite gradito nella loro casa, e, ben presto, diventò il promesso sposo di Julia.
Ogni giorno, terminato il lavoro, andava a casa della fidanzata, una casa quasi sommersa da arbusti in fiore e rutilanti rampicanti, dove i colibrì sfrecciavano da un cespuglio all'altro, e pappagalli di tutti i colori, rossi e verdi e grigi, strillavano in coro. Lì incontrava l'amata che lo aspettava e trascorrevano insieme un’ora o due sotto le stelle - e le stelle erano così grandi e luminose che sembrava quasi di poterle toccare.
"Che cosa hai fatto ieri notte, dopo essere tornato a casa?", chiese improvvisamente, una sera, la fanciulla.
"Quello che faccio sempre - rispose lui - Faceva troppo caldo per dormire: era perfettamente inutile che mi coricassi; così sono andato nella foresta e ho fatto il bagno in uno dei profondi, scuri stagni nei pressi del fiume. Sono mesi che ci vado ormai, ma la scorsa notte è successa una cosa strana. Stavo per tuffarmi un'ultima volta, quando ho udito, proveniente ora da una parte ora da un'altra, un canto più soave di quello di qualsiasi usignolo, anche se non ho compreso neanche una parola. Sono uscito senza indugio dallo stagno, e, dopo essermi rivestito più in fretta che ho potuto, ho frugato in ogni cespuglio e ho cercato dietro ogni albero, pensando che, forse, il mio amico mi stava facendo uno scherzo, ma non c’era anima viva, e, ritornato a casa, ho scoperto che il mio amico dormiva profondamente".
Man mano che raccontava, Julia si faceva sempre più pallida, e tremava tutta come se avesse un gran freddo. Fin da quando era bambina, aveva sentito storie su terribili Esseri che vivevano nella foresta e si nascondevano sotto le rive del fiume, e che solo potentissimi incantesimi potevano tenere a bada.
La voce che aveva stregato Alonzo apparteneva, forse, a uno di loro? Magari - chi può dirlo? - poteva essere la voce di quell'Essere spaventoso, la Iara, che ghermiva giovani uomini alla vigilia delle nozze.
Per qualche istante, Julia fu sopraffatta dal tumulto dei suoi pensieri, poi disse:
"Alonzo, vuoi farmi una promessa?"
"Di che si tratta?"
"Ha a che fare con la nostra futura felicità"
"Ah, dunque è una cosa seria. Prometto. E adesso spiegami"
"Voglio che tu mi prometta di non bagnarti più in quello stagno", rispose lei, e la sua voce si abbassò tanto da ridursi ad un bisbiglio.
"Ma perché no, regina della mia anima? Non ci sono andato, forse, tutte le notti senza riceverne alcun danno, fiore del mio cuore?"
"Ma potrebbe succedere. Se non prometterai, impazzirò di paura. Prometti!"
"Ma perché? Sei talmente pallida! Perché sei così spaventata?"
"Non hai forse udito quel canto?", chiese lei, tutta tremante.
"Ebbene? Che male potrebbe mai farmi? Era il canto più soave che abbia ascoltato in vita mia!"
"Sì, e dopo il canto arriverà l'apparizione. E dopo... E dopo..."
"Non capisco. E dopo?"
"Dopo... la morte!"
Il giovane la fissò: che fosse davvero impazzita? Discorsi simili non erano proprio da lei. Prima che Alonzo riuscisse a schiarirsi le idee, la fanciulla parlò nuovamente:
"Questo è il motivo per cui ti imploro di non tornare laggiù, per nessuna ragione al mondo, non prima che saremo sposati"
"E che differenza potrà mai fare il nostro matrimonio?"
"Una volta sposato non correrai più alcun pericolo e potrai andare a fare il bagno nello stagno tutte le volte che vorrai".
"Ma perché sei così spaventata?"
"Perché la voce che hai udito - so che riderai, Alonzo, ma è l'assoluta verità - era la voce della Iara".
A quelle parole, Alonzo scoppiò a ridere, ma la sua risata era così stentorea e stridula che Julia si ritrasse da lui sudando freddo. Pareva proprio che il giovane non riuscisse a smettere di ridere, ma, più lui rideva, più la povera fanciulla impallidiva, sussurrando mentre l'osservava:
"O Cielo! Era lei! Era lei! Che farò adesso?"
Benché la voce di Julia fosse poco più di un bisbiglio, Alonzo udì le sue parole, e, pur non smettendo di ridere, scosse il capo in segno di diniego.
"Tu puoi anche non rendertene conto, ma è la verità. Nessuno ride così, a meno che non abbia incontrato la Iara". E Julia si lasciò cadere al suolo piangendo amaramente. A quella vista, Alonzo, ritornato improvvisamente serio, si inginocchiò accanto a lei e con sollecitudine l'aiutò a risollevarsi:
"Non piangere così, angelo mio - disse - Ti prometterò qualsiasi cosa tu voglia purché ti veda sorridere nuovamente".
Con grande sforzo, Julia trattenne il pianto e si rialzò dicendo:
"Il mio cuore è più leggero grazie alle tue parole. So che ti sforzerai di mantenere la promessa e cercherai di stare lontano dalla foresta, ma il potere della Iara è grande e il suono della sua voce riesce a far dimenticare qualsiasi altra cosa al mondo ad un uomo. Oh, io lo so bene. Più di una fidanzata è rimasta sola e con il cuore spezzato. Se mai tu dovessi tornare allo stagno dove hai udito per la prima volta la sua voce, promettimi - almeno - che porterai con te questa scatola".
Aprì una scatola bizzarramente intagliata, ne trasse una grande conchiglia multicolore e cantò una canzone al suo interno.
"Non appena si leverà la voce della Iara - gli disse - accosta la conchiglia all’orecchio e ascolta la mia canzone. Forse - non lo so per certo - ma, forse, potrei essere più forte io della Iara.”





Era notte inoltrata quando Alonzo tornò a casa. In lontananza, la luna scintillava sul fiume, che appariva fresco ed invitante, e sembrava che gli alberi della foresta allungassero i loro rami facendogli cenno di avvicinarsi. Ma il giovane volse con determinazione il viso nella direzione opposta e se ne tornò a casa.
La lotta era stata dura, ma Alonzo ebbe la sua ricompensa il giorno dopo grazie alla gioia e al sollievo con cui Julia lo salutò.
Le assicurò che, avendo vinto la tentazione una volta, non c'era più alcun pericolo, ma Julia, che conosceva bene la malìa del viso e della voce della Iara, non mancò di fargli ripetere la sua promessa.
Per tre notti Alonzo mantenne la parola, non perché credesse all'esistenza della Iara - pensava che le storie su di lei fossero solo sciocchezze - ma perché non avrebbe sopportato le lacrime con le quali sapeva che Julia lo avrebbe accolto se le avesse confessato di essere ritornato nella foresta. A dispetto di tutto, però, quel canto gli risuonava nelle orecchie, e si faceva ogni giorno più forte.
La quarta notte, l’attrazione della foresta divenne irresistibile tanto che né il pensiero di Julia né le promesse che le aveva fatto ebbero la forza di trattenerlo. Alle ventitré in punto si immerse nella fresca ombra degli alberi e s'inoltrò per il sentiero che conduceva al fiume. Tuttavia, per la prima volta, scoprì che gli ammonimenti di Julia - sebbene lì per lì ne avesse riso - gli erano rimasti impressi, tanto che scrutava fra i cespugli con un senso di timore che prima gli era del tutto sconosciuto.
Una volta raggiunto il fiume, si fermò e si guardò intorno per un attimo per essere ben certo che la strana sensazione di essere osservato fosse unicamente frutto della sua immaginazione. La luna splendeva luminosa su ogni albero e lui non vedeva altro che la propria ombra, e non udiva altro che lo sciabordio dei flutti. Si tolse gli abiti, ed era sul punto di tuffarsi, quando qualcosa - non sapeva dire cosa - all’improvviso, lo costrinse a guardarsi intorno.
In quel momento, i raggi della luna forarono una nube cadendo su una bellissima donna dai capelli d’oro che se ne stava mezza nascosta tra le felci. Con un balzo, Alonzo afferrò il mantello, e si slanciò su per il sentiero che aveva percorso, e, ad ogni passo, temeva di sentire una mano posarsi sulla sua spalla.
Soltanto quando si lasciò dietro gli ultimi alberi della foresta e si ritrovò in campo aperto, osò voltarsi a guardare e credette di vedere una bianca figura che continuava ad agitare le braccia avanti e indietro. Era troppo! Corse a perdifiato e non si fermò finché non fu sano e salvo nella propria camera.
Alle prime luci dell'alba, ritornò nella foresta per vedere se gli rusciva di trovare qualche traccia della Iara, ma, per quanto frugasse in ogni cespuglio e ispezionasse ogni albero, non scoprì nulla e l’unico suono che udiva era lo starnazzare dei pappagalli, così sgradevole che sarebbe bastato, da solo, a tener lontano chiunque.
'Devo essere impazzito - si disse - ed è stato solo un sogno'.
E andò in città, a lavorare. Ma o il lavoro era più faticoso del solito o lui doveva essere malato, perché non riusciva a concentrarsi, e chiunque lo incontrasse, vedendolo pallido e spaventato, finiva per chiedergli se gli fosse accaduto qualcosa di grave.
'Devo avere la febbre - si disse - si sa, è pericoloso fare un bagno freddo con questo gran caldo'.
Tuttavia, sapeva, mentre si ripeteva queste parole, che stava contando le ore che mancavano al calar della notte per poter tornare nella foresta. La sera, come sempre, si recò nella casa avviluppata dai rampicanti, ma avrebbe fatto meglio a starsene lontano perché il suo viso era così pallido e il suo comportamento così strano che la povera Julia si accorse che gli era accaduto qualcosa di terribile.
Alonzo si rifiutò di rispondere a qualsiasi domanda e tutto ciò che lei ottenne fu la promessa che avrebbe saputo ogni cosa il giorno seguente. Fingendo un violento mal di testa, si congedò prima del solito e si affrettò verso casa.
Prese una pistola, la caricò e se l’infilò nella cintura. Poi, poco prima di mezzanotte, uscì in punta di piedi, per non svegliare nessuno.
Si precipitò giù per la strada che conduceva alla foresta e non si fermò finché non ebbe raggiunto lo stagno presso il fiume. Impugnata la pistola, prese a guardarsi intorno. Ad ogni minimo rumore - la caduta di una foglia, la corsa di un animale tra i cespugli, il grido di un uccello notturno - sussultava e puntava la pistola in quella direzione. Ma, nonostante la luna risplendesse, non riuscì a scorgere nulla, e poco a poco, gli parve di scivolare in uno stato più simile al sogno che alla realtà, tanto che si appoggiò contro un albero. Non avrebbe saputo dire quanto fosse rimasto in quelle condizioni, ma si scosse di soprassalto sentendo pronunciare sommessamente il proprio nome.
”Chi è là?” gridò, balzando in piedi, ma gli rispose solo un’eco. Poi i suoi occhi furono sempre più attratti dall'acqua scura dello stagno lì accanto, e sembrava che non avrebbe mai potuto distoglierne lo sguardo. Guardava fisso nelle profondità dello stagno da qualche minuto, quando si accorse che, laggiù, un barbaglio di luce si faceva strada nell'oscurità, e diventava sempre più grande e brillante. Fu nuovamente colto da un senso di terrore e tentò inutilmente di staccare lo sguardo dallo stagno, ma qualcosa che era più forte di lui lo costringeva a fissare l'acqua. Infine, essa si spartì delicatamente e Alonzo vide fluttuare sulla superficie dello stagno la bellissima donna da cui era fuggito solo poche notti prima. Si voltò per scappare, ma i suoi piedi erano come inchiodati al suolo.
La donna gli sorrise e  gli tese le braccia, ma quel gesto gli rammentò Julia, come l’aveva vista solo poche ore prima, i suoi ammonimenti e la sua paura per il grave pericolo in cui lui si trovava. La figura si faceva sempre più vicina; con un violento sforzo, Alonzo si scosse dal suo torpore e premette il grilletto. Il colpo provocò un'eco soffocata e si propagò per tutta la foresta, ma la figura continuava a sorridere e ad avanzare verso di lui. Alonzo sparò una seconda volta, e, per la seconda volta, il proiettile fischiò nell’aria, mentre la figura si faceva ancòra più vicina. Un attimo e sarebbe stata al suo fianco. Allora, afferrò la canna della pistola scarica con entrambe le mani e si tenne pronto ad usarla come fosse una mazza se la Iara si fosse avvicinata di più.
Ora sembrava che fosse il turno della Iara di avere paura, perché esitò un istante mentre lui si preparava a sferrare il colpo, la pistola sollevata sulla testa con entrambe le mani. Nella concitazione del momento, lui aveva dimenticato il fiume finché l’acqua gelida non gli sfiorò i piedi, e, allora, si arrestò d’istinto.
La Iara vide la sua esitazione, e, dondolandosi dolcemente, avanti e indietro, sulla superficie dello stagno, incominciò a cantare.
Il canto fluttuava tra gli alberi, ora lontano, ora vicino, nessuno avrebbe potuto dire da dove venisse, tutta l’aria ne sembrava ricolma. Alonzo sentì venire meno i sensi e la volontà. Le braccia gli ricaddero pesantemente lungo i fianchi, ma, ricadendo, urtarono la conchiglia che, come aveva promesso a Julia, aveva sempre portato nell’abito. La sua mente offuscata fu lucida abbastanza per ricordare le parole di Julia, e, con dita tremanti, quasi incapaci di muoversi e afferrare, la tirò fuori. E il canto divenne più dolce e più tenero di prima, ma Alonzo non lo ascoltò e chinò la testa sulla conchiglia: dalle sue profondità, emerse la voce di Julia che cantava per lui come aveva fatto quando gli aveva donato la conchiglia, e, sebbene sul principio le note risuonassero fievoli, esse divennero sempre più alte e sonore finché le nebbie che lo avvolgevano furono spazzate via. Allora, rialzò la testa, sentendo di aver attraversato strani luoghi nei quali non avrebbe vagato mai più, e si mantenne eretto e forte guardandosi intorno: non si vedeva altro che lo scintillio del fiume e le cupe ombre degli alberi; non si udiva altro che il ronzio degli insetti che sfrecciavano nella notte.







Da: "The Brown Fairy Book", di A. Lang
Traduzione: Mab's Copyright

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