martedì 21 ottobre 2014

La Principessa nel Globo di Terra (Svezia)

nticamente c'era al mondo un Re, che abitava in un certo reame ai confini della terra. Aveva una figlia così bella e rosea e con la pelle così trasparente che le si poteva vedere il midollo passare da un osso all'altro come le perle quando si sfilano. Quando crebbe, molti principi e cavalieri si contesero la sua mano, e tra loro c'era il figlio di un re. Si incontrarono, si parlarono a lungo e subito si giurarono reciproco amore.
D'improvviso scoppiò una guerra e il reame fu travolto da quel tragico evento. I nemici occuparono il Paese con un possente esercito e il Re fece costruire un gran globo di terra dove nascondere la Principessa e proteggerla dai pericoli dell'invasione. Le diede un'ancella per servirla, un cane per difenderla e un gallo per aiutarla a distinguere la notte dal giorno. Nel globo vennero immagazzinati viveri che bastassero per un lungo periodo.
Poi il Re riunì la sua armata e si preparò alla battaglia, accompagnato dal giovane Principe che aveva deciso di stargli a fianco. Separarsi fu molto difficile per i due giovani rampolli reali, soprattutto per la Principessa.


Stokes M.


"Ho il presentimento - disse al Principe - che non ci vedremo per molto tempo. Devo perciò rivolgerti una preghiera, che ti chiedo di non rifiutare. Devi giurarmi di sposare solo chi sarà capace di lavare le macchie dal mio asciugamano e tessere fino alla fine questo panno dorato". Con queste parole diede al Principe un asciugamano e un pezzo di tessuto, riccamente ricamato di seta e oro. Il Principe accettò questi due pegni e giurò di non dimenticare mai le parole della sua cara. Così si dissero addio.
La Principessa si chiuse nel suo globo di terra, e il Principe e il vecchio Re partirono  per difendere il Paese dal nemico.
Quando i due eserciti si scontrarono, ci fu un'aspra battaglia all'ultimo sangue.
La stella della fortuna non protesse il Re che cadde in combattimento, e il giovane Principe fu costretto a battere in ritirata e rifugiarsi nella sua terra. I nemici invasero il Paese e misero tutto a ferro e fuoco. Il castello del Re venne incendiato e, dopo il loro passaggio, il reame divenne una terra desolata. Non c'erano tracce della figlia del Re, e non si sapeva se fosse morta o fosse finita prigioniera.
Intanto la Principessa viveva nel suo globo di terra con l'ancella e aspettava che il Re tornasse a casa, ma i giorni passavano, uno dopo l'altro, e nessuno veniva a liberarle dalla loro prigionia. In tal modo trascorsero sette lunghi anni. Le provviste erano finite e le due donne, non avendo di che sopravvivere, furono costrette ad ammazzare il gallo. Da quel giorno vissero nell'oscurità del globo, ignorando il trascorrere dei giorni e non distinguendo più l'alba dal tramonto.
Poco dopo l'ancella morì e la Principessa rimase tutta sola nella sua cella. La poveretta non sapeva come sfuggire alla morte che sicuramente l'aspettava. Spinta dalla disperazione, prese un coltello e cominciò a scavare un buco fra le travi di legno del soffitto, lavorando giorno e notte senza interruzione.
All'alba del terzo giorno era sfinita, ma, a forza di intaccare il legno delle travi, spaccò la terra che ricopriva il globo e all'improvviso apparve uno spiraglio di cielo azzurro. Allargando la fessura, scivolò all'aperto, e dopo tanti anni l'aria fresca colorò di rosa le sue pallide gote.
Senza indugiare, indossò gli abiti dell'ancella e, con il cane alla corda, prese a vagare in quel terreno deserto. Dopo aver camminato a lungo senza incontrare anima viva, vide un film di fumo levarsi tra gli alberi e si imbattè in un uomo che bruciava legna per far carbone.
Si avvicinò al carbonaio, gli chiese qualcosa da mangiare e disse che lo avrebbe aiutato volentieri nel suo lavoro. L'uomo le diede un boccone di pane e in cambio lei lo aiutò a bruciar carbone.
Lavorando, cominciarono a parlare e la Principessa interrogò il vecchio sulle sorti della guerra e sugli ultimi avvenimenti. Venne così a sapere della sconfitta subita dall'esercito del suo Paese e della morte del Re.
Provò una profonda tristezza, capì di essere sola al mondo e mai come in quel momento le parve vero il vecchio proverbio che diceva che ha pochi amici chi può contare molte verdi tombe.
Passò qualche tempo e, quando fu pronta una bella provvista di carbone, l'uomo consigliò alla ragazza di andare a cercar lavoro in qualche castello, dato che gli sembrava non fosse abituata ai lavori pesanti. La Principessa ringraziò e disse:
"Se mi benedici, vado, e, se non mi benedici, vado lo stesso!"



Stokes M.


Decise così di partire e, come una viandante, si mise in cammino con una borsa a tracolla. Allegri gli uccelli cantavano, minacciosi i leoni ruggivano, finché giunse alla costa. Sedette afflitta lungo la riva del mare spumeggiante ed ecco che dal bosco sbucò un lupo. E disse:

"Dammi il tuo cane,
e in cambio scanserai le fiere
quando usciranno dalle tane!"

 A malincuore, la Principessa si vide costretta ad assecondare il desiderio del lupo e gli diede il cane. Mangiato che ebbe a sazietà, il lupo le disse:

"Tu siedimi sul dorso,
che verso un altro reame drizzerò il mio corso!"

La Principessa sedette sul dorso del lupo che la portò in un altro reame, mentre la giovane, vivida luna nasceva in cielo.
Lungo la riva sorgeva un castello.



Laurel Long


Dalle insegne sulla bandiera che svettava sulla torre più alta la Principessa lo riconobbe per quello del Principe che un tempo le aveva giurato eterno amore e fedeltà.
Mentre la Principessa era stata prigioniera nel suo globo di terra, il padre del Principe era morto e lui a sua volta era diventato Re. Con il passare degli anni, i baroni volevano che il nuovo Re prendesse moglie, ma questi non li ascoltava: pensava alla bella Principessa alla quale aveva giurato fedeltà in gioventù.
Erano passati sette anni da allora e non aveva saputo nulla di lei, tanto che ormai la riteneva morta. Si lasciò convincere dunque ad emanare un editto che diceva che sarebbe diventata sua sposa chi era capace di smacchiare alla perfezione un asciugamano e di portare a termine la tessitura di un panno ricamato di seta e oro. Giunsero in lunghe file molte fanciulle da Oriente e Occidente, perché tutte volevano diventare la sua regina. Ma nessuna fu capace né di lavare né di tessere a dovere.
Proprio in quei giorni era arrivata una nobile fanciulla che voleva tentare la fortuna. La Principessa disse di chiamarsi Asa, si offrì come ancella e venne assunta dalla giovane straniera. Nessuno immaginava chi fosse lei in realtà.
La padrona di Asa tentò di ultimare la tessitura del panno, ma fallì come tutte le altre. Era disperata e non sapeva cosa fare.
Un giorno che la padrona era fuori, la falsa Asa sedette al telaio e compose con arte un bel pezzo di tessuto. Quando la padrona tornò a casa e se ne accorse, le chiese chi l'avesse aiutata nel lavoro. All'inizio la Principessa non voleva rivelare la verità, ma dovette ammettere di essere lei l'artefice dell'opera. La padrona si rallegrò e le disse di andare avanti. Nessuno avrebbe immaginato che in realtà era l'ancella a tessere la stoffa per la padrona.
Al castello si diffuse la voce che la forestiera era capace di intrecciare con maestria i fili dell'ordito, con un mirabile risultato, e si riparlò del progetto di matrimonio. Lo stesso Re andava spesso in camera della fanciulla a vedere come procedeva la tessitura. Ma, quando entrava, il telaio era sempre fermo e nessuna mano di donna intrecciava i fili d'oro. Al Re pareva bizzarro, e chiese alla fanciulla perché non sedesse mai al telaio in sua presenza.
"Signore, sono troppo timida per lavorare al suo cospetto", rispondeva con malizia la fanciulla.
Il Re dovette accontentarsi di questa risposta e, entro breve tempo, il tessuto fu pronto.
Come secondo compito, toccava ora alla fanciulla lavare l'asciugamano macchiato, ma più strofinava, più le macchie scurivano. Era disperata e non sapeva cosa fare.
Un giorno che la padrona era fuori, Asa, ovvero la Principessa travestita, si mise a lavare l'asciugamano.
Appena la toccò con le sue abili mani, la stoffa cominciò a sbiancare. Quando la padrona tornò a casa e se ne accorse, le chiese chi l'avesse aiutata a lavare. All'inizio, la Principessa non voleva rivelare la verità, ma dovette poi ammettere di essere lei l'artefice del lavoro. La Principessa si rallegrò e le disse di andare avanti. Nessuno sospettava che in realtà fosse l'ancella a lavare la stoffa per la padrona.
Al castello si diffuse la voce che la forestiera era anche capace di lavare a dovere, e si riparlò del progetto di matrimonio. Lo stesso Re andava spesso in camera della fanciulla a vedere come procedeva la prova. Ma quando entrava, nessuno aveva le mani in acqua. Al Re parve bizzarro, e chiese alla fanciulla perché non lavasse mai in sua presenza. Il Re ottenne la stessa risposta elusiva e dovette accontentarsi. Entro breve tempo, la stoffa risultò completamente pulita.
Al diffondersi di questa notizia, si fece festa nel Reame, e si apprestarono i preparativi per le nozze del Re.
Ma il giorno del matrimonio la sposa si ammalò improvvisamente e non fu in grado di compiere, alla testa del suo seguito, la lunga cavalcata fino alla chiesa. Tenne segreta la sua malattia, e si confidò soltanto con la sua ancella, pregandola di andare lei in sua vece. La Principessa accettò e indossò l'abito da sposa. A cavallo aveva un nobile portamento eretto e nessuno poteva mettere in dubbio che si trattasse della futura sposa. Il corteo nuziale percorreva le strade intorno al castello, secono una vecchia usanza, accompagnato dal tripudio della folla. Poi si sarebbero allontanati verso la chiesa, che era la stessa chiesa dove la Principessa si recava prima della guerra. Suoni e canti non servivano ad attutire il dolore della poverina, che doveva sostituire la sposa alle nozze con l'uomo che un tempo le aveva giurato fedeltà e amore.
La Principessa sedeva pallida sul suo destriero con la corona d'oro in testa, e accanto a lei cavalcava lo sposo ignaro del dolore che le spaccava il cuore. Quando ebbero percorso un tratto di strada, giunsero a un ponte che, secondo una profezia, sarebbe caduto se l'avessero attraversato sposi che non erano di sangue reale. La Principessa pronunciò le seguenti parole:

Bel ponticello, reggi quando cavalcando
due nobili rampolli ti stanno attraversando.

"Cosa dici, mia cara fidanzata?", domandò il Re.
"Niente, niente! - replicò la sposa - Parlavo con Asa, la mia ancella."
Cavalcarono per un po' finché giunsero al castello dove la Principessa aveva abitatato. Ma l'edificio era bruciato, e al suo posto crescevano sterpi e rovi. Lì la Principessa disse:

Crescono spini e cardi
dove prima era oro fino;
ci sarà cibo per porci più tardi,
dove un tempo versavo idromele e vino!

"Cosa dici, mia cara fidanzata?", domandò nuovamente il Re.
"Niente, niente! Parlavo con Asa, la mia ancella."
Continuarono a cavalcare finché giunsero a un bel tiglio. Lì la Principessa disse:

Sei qui, mio vecchio tiglio
Ai tuoi rami ho legato
anelli d'oro, e mi ha offerto un giglio
il mio amato.

"Cosa dici, mia cara fidanzata?", domandò di nuovo il Re.
Ma la sposa rispose come prima:
"Niente, niente! Parlavo con Asa, la mia ancella."
Il corteo nuziale doveva raggiungere la chiesa. D'un tratto arrivarono al volo due colombe. La sposa disse allora:

Tu voli felice con tuo marito,
ma io lo sto perdendo in questo sito!

"Cosa dici, mia cara fidanzata?", chiese il Re un'altra volta.
"Oh, parlavo con Asa, la mia ancella!", disse la Principessa. Quando ebbero cavalcato ancora un po', cantò il gallo. Allora lei disse:

Il gallo ha cantato sul pino,
nella stalla la sposa ha un bambino.

"Cosa dici, mia cara?", chiese il Re.
"Oh, nulla! - disse la sposa - parlavo solo con Asa, la mia ancella."
Il corteo proseguì finché penetrò nell'oscurità della foresta, dove c'era il globo di terra. Passandoci davanti, il Re domandò alla sua giovane sposa di raccontare una fiaba per accorciare il cammino. La Principessa sospirò e disse:

Nel globo di terra sette anni ho passato,
fiabe e indovinelli ho raccontato,
carbone ho bruciato
e lacrime ho versato,
dolori ho attraversato
e il lupo ho cavalcato.
Per la mia giovane padrona
vado sposa con in testa la corona.

A questo punto, il Re fu incuriosito e disse:
"Cosa stai dicendo, mia cara fidanzata?"
"Oh, nulla! Parlavo solo con Asa, la mia ancella."
Stavano arrivando alla chiesa dove il matrimonio avrebbe avuto luogo. La Principessa disse:

Qui mi battezzarono, Maria, Rosa e Stella.
Ora mi chiamo Asa, come la mia ancella.

Il corteo fece il suo ingresso trionfale in chiesa. Lo apriva in testa il suonatore di flauto, seguito dal violinista, dal tamburo e da altri suonatori. Poi venivano i paggi e i cavalieri e ultima la sposa con le damigelle d'onore, accompagnata dal Re. La giovane coppia sedette nel banco riservato agli sposi e la cerimonia si svolse con gran solennità, come si conveniva a gente di stirpe reale. Tutto filò liscio e nessuno sospettò dell'avvenuta sostituzione.


Stokes M.


La sera, il Re era seduto a conversare con la giovane moglie nel suo appartamento. Parlando, il Re le domandò:
"Dimmi, mia bella amica, che hai detto quando attraversavamo il ponte? Vorrei proprio saperlo!"
"Mio caro, l'ho dimenticato, ma aspetta che lo chiedo ad Asa, la mia ancella".
Andò dall'ancella e le chiese cosa aveva  detto strada facendo. Poi tornò pronta dallo sposo e disse:
"M'è venuto in mente. Ecco:

Bel ponticello, reggi quando cavalcando
due nobili rampolli ti stanno attraversando.


"Perché l'hai detto?", chiese il Re.
La sposa tacque. Dopo un attimo, il Re domandò:
"Dimmi, mia bell'amica, che hai detto quando ci siamo avvicinati al castello in rovina? Mi farebbe piacere saperlo."
"L'ho completamente dimenticato, ma lo chiederò ad Asa, la mia ancella."
Ritornò dall'ancella e le chiese cosa aveva detto strada facendo. Poi ritornò dal Re e disse:

Crescono spini e cardi 
dove prima era oro fino; 
ci sarà cibo per porci più tardi, 
dove un tempo versavo idromele e vino! 

"Perché l'hai detto?", chiese il Re.
La sposa tacque. Dopo un po', il Re domandò:
"Dimmi, mia bella amica, che hai detto quando abbiamo sorpassato a cavallo il tiglio? Mi farebbe piacere saperlo!"
La sposa non poteva rispondere neanche a questa domanda, ma dovette rivolgersi all'ancella. Poi ritornò e disse:

Sei qui, mio vecchio tiglio
Ai tuoi rami ho legato
anelli d'oro, e mi ha offerto un giglio
il mio amato.

"Perché lo hai detto?", chiese il Re.
Ma la sposa non rispose.
Tutto questo parve assai strano al Re, che continuò a interrogare la sposa su ciò che era stato detto strada facendo, e ogni volta la fanciulla doveva rivolgersi all'ancella.
Si era fatta notte ed era tempo per gli sposi di andare in camera da letto.
"Dimmi, mia bell'amica, dov'è la cintura che ti ho dato quando siamo usciti dalla chiesa?"
"Quale cintura? - chiese la sposa impallidendo - Beh, ma... l'ho data ad Asa, la mia ancella."
Si mandò a chiamare l'ancella, e quando essa giunse dal Re, aveva la cintura alla vita, chiusa da un lucchetto che solo il Re poteva aprire. La sposa bugiarda si vide scoperta. Sparì dalla stanza e fuggì per sempre dal castello.
Il Re riconobbe la sua vera sposa e la Principessa gli raccontò tutto ciò che le era successo durante i lunghi anni di separazione. Ci fu gaudio tra gli ospiti, e il Re sentì di essere stato ricompensato per tutte le sue sofferenze.
La coppia venne condotta in camera da letto, preceduta da paggi e damigelle che portavano delle candele, come si usava un tempo. Quando il Re e la sua giovane sposa furono a letto, i giovani del corteo nuziale intonarono in coro la vecchia canzone:

Spegni la candela sulla corona
e alla sposa il tuo amore dona.

Ci fu un gran festeggiamento, perché Dio aveva voluto che i due innamorati, che avevano avuto la felicità a portata di mano, finalmente ne entrassero in possesso.

Raccolta e tradotta da Annuska Palme Sanavio.




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