lunedì 5 maggio 2014

La Mortella, Pentamerone, Prima Giornata, Secondo Cunto

Questa è la nobile antenata della "Rosmarina" del Pitrè e di quelle fiabe affini, in Italia e in Europa, che vedono come protagonista una fanciulla misteriosa - una fata, uno spirito agreste - partorita da una donna mortale sotto forma di pianta, amata da un principe (che già ha avuto un inspiegabile colpo di fulmine quando era ancòra "in vaso"), uccisa e fatta a brandelli da femmine gelose, rinata altrettanto misteriosamente dai propri miseri resti reimpiantati nel vecchio vaso. Personalmente, non includerei nel novero delle eredi della fata della
mortella molte delle fiabe che vengono proposte come varianti.
Tornando alla "ragazza-pianta", è indubbio che sia un motivo - diciamo -mediterraneo. Una variante originale nel Nord Europa non l'ho trovata . Ne esistono, invece, nel mondo arabo e nordafricano.
Resta il fatto che Basile sia la fonte di tutte le moderne varianti delle grandi fiabe europee, sottovalutato o ignorato solo in Italia. Apparentemente, nella Madre di Tutte le Fiabe, Lo Cunto de li Cunti, soltanto "Biancaneve" mancherebbe all'appello.
Primo. Sarebbe l'eccezione che conferma la regola. Anche se si tratta di una delle fiabe più famose, in realtà, esistono pochissime varianti, sia in Italia, che in Europa, che nel resto del mondo.
Secondo. In realtà, il tema principale, la proppiana "la Bella nella Bara",è presente nel capolavoro del Basile: rileggete "La Schiavotta".

La Mortella: ovvero il Mirto, la pianta sacra ad Afrodite, ma anche alla consorella Ishtar, e quindi simbolo di fecondità, ma anche simbolo di amore e fedeltà coniugale perché con il mirto venivano incoronati gli sposi [Myrtus coniugalis, Plinio XV,122-6].

(Basile I,2 - traduzione dal Napoletano di B.Croce)


urono già al casale di Milano un marito e una moglie, che, non avendo germogli di figliuoli, desideravano con tutta l'anima un erede; e la moglie particolarmente sospirava sempre: "Oh Dio, partorissi qualcosa al mondo, e non m'importerebbe che fosse una frasca di mortella!". E tanto disse questa canzone e tanto infastidì il Cielo, che, ingrossatele la pancia, le si fece il ventre rotondo, e, a capo di nove mesi, invece di partorire in braccio alla mammana qualche maschietto o femminuccia, mise fuori dai campi elisi del ventre una bella frasca di mortella. Questa, con suo piacere grande, piantò in un vaso da fiori, lavorato con tanti bei mascheroni, e la collocò sul davanzale della finestra, governandola mattina e sera con maggior diligenza che non fa il contadino un quadro di broccoli, dal quale spera di ricavare il fitto dell'orto. Ma, passando per quella casa il figlio del re, che andava a caccia, s'incapricciò fuor di misura di quella bella frasca, e mandò a chiedere alla padrona di vendergliela, ché l'avrebbe pagata un occhio. La quale, dopo molti no e molti contrasti, all'ultimo, presa da ingordigia per le offerte, uncinata dalle promesse, sbigottita dalle minacce, vinta dalle preghiere, gli dié il vaso con la mortella, pregandolo di tenerla cara perché l'amava più che figlia e la stimava come se fosse uscita dalle sue reni. Il principe, col maggior giubilo del mondo, fatta portare la mortella nel proprio appartamento, la pose a una terrazza e con le proprie mani la zappettava e l'innaffiava. Ora accadde che, andato una sera questo principe a letto e spente le candele, quando il silenzio si fu steso tutt'intorno e la gente era nel primo sonno, sentì stropiccìo di scarpe per la casa e una persona venire a tentone verso il letto. Pensò subito che fosse o qualche mozzo di camera [1], che voleva alleggerirgli la borsa, o qualche monachetto [2], che gli voleva togliere di dosso le coperte; pure, com'uomo ardito che neanche il brutto inferno gli metteva paura, fece la gatta morta, aspettando l'esito del negozio [3]. Ma quando sentì presso di sé quella persona, e, tastando, s'accorse del morbido, e dove pensava di toccar pungoli d'istrice, trovò cosa più sottile e molle della lana barbaresca [4], più pastosa e soffice della coda di martora, più delicata e tenera delle piume del cardellino, si lanciò ad abbracciarla, e stimandola (qual era in effetto) una fata, le si attaccò come polpo e, giocando a "passera muta", fecero a "pietra in grembo" [5]. Senonché, innanzi che il Sole uscisse come protomedico [6] a passar la visita ai fiori che la Notte aveva resi malati e languidi, l'amica si levò e se la svignò, lasciando il principe pieno di dolcezza, pregno di curiosità, carco di meraviglia.



Continuò questo traffico per sette giorni e il principe si struggeva e scioglieva dalla voglia di conoscere quale era questo bene che gli pioveva dalle stelle, e quale nave, ricca delle più care gioie dell'amore, veniva a gettar l'àncora nel letto suo. Onde una notte, che la bella nenna [7] faceva la nanna, legatasi una delle trecce di lei al braccio, perché non potesse svignarsela, chiamò un cameriere, e, fatte accendere le candele, vide il fiore delle belle, lo stupore delle donne, lo specchio, il cocco pinto di Venere [8], l'incanto d'Amore; vide una bamboletta, una leggiadra colombella, una fata Morgana, un gonfalone splendente, un ramoscello d'oro; vide una feritrice di cuori, un occhio di falcone, una luna in quintadecima [9], un piccioncello, un boccone da re, un gioiello; vide, a dir breve, uno spettacolo da mandare in visibilio. E, mirandola e rimirandola, egli esclamò:



"Ora, va' t'inforna, Dèa Ciprigna [10] ! Va' t'impicca, o Elena! Tornatene a casa tua, o Fiorella [11] ! Le bellezze vostre sono inezie a fronte di questa bellezza a doppia suola, bellezza compita, intera, assodata, massiccia, ben piantata; di questa grazia meravigliosa, grazia di Siviglia [12], eccellente, incantevole, solenne, dove non trovi pecca alcuna, non da correggere un sol punto! O sonno, o dolce sonno, versa altri papaveri sugli occhi di questa bella gioia! Non mi guastare il gusto di contemplare, a lungo quanto io desidero, questo trionfo di bellezza! O bella treccia, che mi annoda! O begli occhi, che mi scaldano! O belle labbra, che mi ristorano! O bel petto, che mi consola! O bella mano, che mi trafigge! Dove, dove, in quale officina delle meraviglie della natura si scolpì questa viva statua? Quale India fornì l'oro per lavorare questi capelli? Quale Etiopia l'avorio per fabbricare questa fronte? Quale maremma i carbonchi per comporre questi occhi? Quale Tiro la porpora da invermigliar questa faccia? Quale Oriente le perle per formare questi denti? E da quali montagne si prese la neve da spargere su questo petto? Neve contro natura, che mantiene i fiori e scalda i cuori!".
Così dicendo, le fe' vite delle braccia per consolare la vita. E, nel cingerle il collo, essa si sciolse dal sonno, rispondendo con un grazioso sbadiglio a un sospiro del principe innamorato. Ed egli, vedendola desta, le disse:
"O bene mio, se io, guardando senza candela questo tempio d'amore, stavo quasi per morire, che sarà della vita mia ora che vi hai acceso due lampade? O begli occhi , che con un trionfetto di luce fate giocare a banco fallito [13] le stelle, voi soli, voi, avete traforato questo cuore, voi soli potete come uova fresche comporgli una stoppata [14]. E tu, bella medichessa mia, muoviti a compassione di un malato d'amore, che, per aver cangiato aria dal fosco della notte alla luce di questa bellezza, si è guadagnata una febbre! Mettimi la mano al petto, toccami il polso , ordinami la ricetta! Ma quale ricetta cerco, anima mia? Gettami cinque ventose alle labbra con la tua bella bocca; non voglio altra frizione che una passata di questa manina, ché io son certo che, con l'acqua cordiale [15] di questa bella grazia e con la radice di questa linguabova [16], mi rifarò libero e sano".
A tali detti, rossa come vampa di fuoco, la bella fata rispose:
"Non tante lodi, signor principe; io ti sono serva, e, per servire questa faccia di re, volentieri andrei perfino a vuotare il necessario [17], e stimo gran fortuna che, da ramo di mortella piantato in un testo di creta [18], sia diventata frasca di lauro [19] attaccata all'osteria di un cuore di carne, e di un cuore dov'è tanta grandezza e tanta virtù".
Il principe, liquefacendosi come candela di sego, e tornando ad abbracciarla e suggellando la lettera con un bacio, le porse la mano, dicendo:
"Eccoti la fede, tu sarai mia moglie, tu sarai padrona dello scettro, tu avrai la chiave di questo cuore, come già tieni il timone di questa vita".
E dopo questa e cento altre amorevolezze e discorsi , levatisi di letto, si accertarono che le budella erano sempre in buon ordine [20]; e a questo modo se le goderono per un certo numero di giorni. Ma, perché la fortuna, guastafeste e spartimatrimoni, è sempre intoppo ai passi di Amore, è sempre cane nero che va a insudiciare i diletti di chi vuol bene, accadde che il principe fu chiamato alla caccia di un gran porco selvaggio, che devastava quel paese. Fu costretto perciò a lasciar la moglie, anzi due terzi del suo cuore; e poiché l'amava più della vita, e la vedeva bella sopra tutte le cose belle, da quest'amore e da questa bellezza germogliò quella terza specie [21], che è una tempesta al mare dei piaceri amorosi, una pioggia al bucato delle gioie d'amore, una fuliggine che casca dentro alla pignatta grassa [22] dei gusti degli innamorati; quella, dico, che è un serpente che morde e un tarlo che rode, un fiele che attossica, una gelata che intirizzisce; quella per la quale la vita sta sempre sospesa, la mente sempre instabile, il cuore sempre sospettoso. Chiamata dunque la fata, le disse:
"Sono costretto, cuor mio, a stare due o tre notti fuori di casa: Dio sa con qual dolore mi stacco da te, che sei l'anima mia; sa il Cielo se, innanzi di prendere il primo trotto, io non darò l'ultimo tratto! Ma, non potendo fare a meno di andare per soddisfazione di mio padre, è forza che io ti lasci. Però ti prego, per quanto amore mi porti, a entrartene dentro il testo e non uscirne finché io non torni, che sarà quanto prima".
"Così farò - rispose la fata - perché non so, non voglio, né posso replicare a quello che ti piace. Va', dunque, con la mamma della buon'ora, perché ti servirò nel modo più fino. Ma fammi un piacere: lascia attaccato alla cima della mortella un filo di seta con un campanello, e, quando torni, tira il filo e suona, ché io subito esco e dico: 'Eccomi!' ".
Il principe fece così, e raccomandò a un suo cameriere:
"Vieni qua, vieni qua tu, apri le orecchie, rifa' sempre questo letto ogni sera, come se dovesse dormirvi la persona mia, innaffia sempre questo vaso, e sta' attento, ché ho contato le fronde, e, se ne trovo una di meno, ti tolgo la via del pane".
Ciò detto, si mise a cavallo, e andò, come pecora portata al macello, a correr dietro a un porco. In questo mezzo, sette femmine di mala vita, che il principe aveva tenute ai suoi diletti, accortesi che egli s'era intepidito e raffreddato in amore e aveva sospeso di lavorare ai terreni loro [23], entrarono in sospetto che , per qualche intrigo nuovo, si fosse smenticato dell'amicizia antica. Bramose di scoprir paese, chiamarono un muratore, e a suon di danaro gli fecero scavare un sotterraneo, che dalle case loro corrispondeva nella camera del principe. Penetrate colà, queste ammorbate malvage, per vedere se un nuovo ripesco, un'altra civetta avesse loro tolto l'impiego e incantato il cliente, aprirono e non trovarono nessuno. E, avendo visto la bellissima mortella, ne spiccarono una foglia ciascuna; ma la più giovane prese tutta la cima, alla quale era attaccato il campanello, e questo, toccato appena, squillò, e la fata, credendo che fosse il principe, venne subito fuori. Ma le brutte arpie, come videro quella gentile persona, subito le misero le unghie addosso, urlando:
"Sei tu quella che tiri al mulino tuo l'acqua delle speranze nostre? Sei tu quella che ci ha tolto di mano il bell'avanzo della grazia del principe? Sei tu quella magnifica donna, che ti sei posta in possesso delle carni che ci appartenevano? Sii la benvenuta: va' che sei giunta all'ultimo passo! Meglio che tua madre non t'avesse figliata! Va', che stai fresca! Hai trovato quello che non volevi! Ci sei capitata! Ch'io non sia nata di nove mesi se la scappi!".
Così dicendo, le assestarono un colpo di mazza alla testa, e, subito tagliandola in cento pezzi, ciascuna ne prese la parte sua. Solo la più giovane non volle partecipare a questo scempio, e, invitata dalle sorelle a imitarle, tolse solo una ciocca di quei capelli d'oro. Ciò eseguito, dileguarono pel medesimo sotterraneo. Sopravvenne intanto il cameriere per rifare il letto e innaffiare il vaso, secondo l'ordine del padrone, e, trovato questo sterminio, ebbe a morir di spavento.
Si morse le mani; e poi radunò i rimasugli della carne e delle ossa, e, raschiato il sangue da terra, fece di tutte quelle cose un mucchietto nello stesso testo, lo innaffiò, spianò il letto, chiuse, e, posta la chiave sotto la porta, si avviò in fretta fuori di quella terra. Al ritorno dalla caccia, il principe tirò il capo di seta e suonò il campanello; ma suona pure, ché prendi quaglie [24]; suona pure, ché passa il vescovo [25]! Poteva suonare a martello: la fata faceva la stordita. Va allora in furia alla camera, e, non avendo la flemma di chiamare il cameriere e cercare la chiave, dà una spallata alla serratura, spalanca la porta, si caccia dentro, apre la finestra, e, vedendo la mortella sfrondata, cominciò a fare un gran piagnisteo [26], gridando, strillando, vociando:
"O amaro me, o scuro me, o tristo me! E chi mi ha fatto questa barba di stoppa? E chi mi ha fatto questo trionfo di coppe [27]? O rovinato, sconquassato, sprofondato principe! O mortella mia sfrondata, o fata mia perduta, o vita mia dolente, o gusti miei andati in fumo, o piaceri miei andati in aceto! Che farai, o Cola Marchionne [28] sventurato? Che farai , infelice? Salta ora questo fosso; stràppati da questa morsa! Sei scaduto da ogni bene, e non ti scanni? Sei alleggerito di ogni tuo tesoro, e non ti sveni? Sei abbandonato dalla vita, e non dai di volta? Dove sei, dove sei, mortella mia? E quale anima più dura di un piperno mi ha devastato questo bel testo? O maledetta caccia, che mi hai cacciato da ogni contento! Oimè, sono spedito, son distrutto, son morto, ho finito i giorni miei! Non è possibile che io campi per sperimentare questa sorta di vita senza la mia vita! È forza che stenda i piedi, perché senza il mio bene il sonno mi sarà tribolo, il mangiare tossico, il piacere stitico, la vita acerba!".
Queste e altrettali parole, da impietosire le pietre della strada, diceva il principe; e, dopo lunga nenia [29] e amaro pianto, pieno di angoscia e di rabbia, non chiudendo mai occhio per dormire, né aprendo mai bocca per mangiare, tanto si lasciò invadere dal dolore, che la sua faccia, prima di minio [30] orientale, diventò d'orpimento [31], e il roseo prosciutto delle labbra si fece rancida sugna.
La fata, che da quegli avanzi raccolti nel vaso era tornata a germogliare, vedendo il povero innamorato che si dibatteva, si strappava i capelli ed era diventato piccino e meschino con un colore di spagnuolo malato [32], di lucertola verminara [33], di succo di cavolo, d'itterizia, di melo pero, di culo di beccafico e di scorreggia di lupo, si mosse a compassione; e, uscita di balzo dal testo, come raggio di candela da una lanterna cieca [34], apparve agli occhi di Cola Marchionne, e, stringendolo fra le braccia, gli disse:
"Su, su, principe mio, basta! Cessa questa nenia, asciùgati questi occhi, lascia la collera, spiana questo volto contratto! Eccomi viva e bella, a dispetto di quelle male femmine, che, spaccatomi il cranio, fecero delle mie carni quel che Tifone del povero fratello!".[35]
Il principe, a questa vicenda che accadeva mentre meno si pensava, risuscitò da morte a vita, e, tornatogli il colore alle guance, il calore al sangue, lo spirito al petto, dopo averle fatto mille carezze, vezzi e tenerezze [36], volle sapere per filo e per segno come era andato il caso. E, appreso che il cameriere non ci aveva alcuna colpa, lo fece richiamare e, ordinato un gran convito, col buon consenso del padre sposò la fata. Al convito, oltre che tutti i principali del regno, volle che, in prima linea, fossero presenti le sette arpie, che avevano fatto macello di quella vitelluzza di latte. Sparecchiate le mense, il principe interrogò uno per uno tutti i convitati:
"Che cosa meriterebbe chi facesse male a questa bella giovinetta ?", indicando col dito la fata, così bella che saettava i cuori come folgore, tirava le anime come argano e trascinava le voglie come carro. E tutti quelli che sedevano a mensa, a cominciar dal re, dissero uno che meritava la forca, un altro che era degno di ruota, chi di tenaglia, chi di precipizio, chi di una pena e chi di un'altra. In ultimo, toccò di parlare alle sette cernie [37], alle quali, sebbene questo discorso non troppo andasse a sangue e già si sognavano la mala morte, tuttavia, poiché la verità sta dove tresca il vino [38], risposero che chi avesse animo di solo toccare quella delizia dei gusti d'amore, sarebbe stato meritevole di esser sepolto vivo in una chiavica. A questa sentenza, pronunziata con la propria loro bocca, il principe disse: "Voi stesse vi siete fatte il processo, voi stesse avete firmato il decreto. Resta che io faccia eseguire l'ordine vostro, perché voi siete quelle che, con un cuore di Nerone, con una crudeltà di Medea, faceste una frittata di questa bella testolina e trinciaste come carne da salsiccia queste belle membra. Dunque, su, presto, non si perda tempo: che siano gittate sul momento in una chiavica maestra, dove finiscano miseramente la vita".
Posta la cosa subito a effetto, il principe maritò la più giovane sorella di quelle sgualdrine col cameriere, dandole buona dote. E, fornendo da vivere comodamente al padre e alla madre della mortella, egli visse lieto con la fata; e quelle figlie dell'inferno, chiudendo con amaro stento la vita loro, avverarono il proverbio degli antichi savi :
"Passa la capra zoppa , 
Se non trova chi la intoppa [39]."

Note

[1] "Cioè un servitorello, un piccolo cameriere; spagn. 'Mozo de camera'." B.Croce

[2] "Il moine bourru dei francesi e il frayle degli spagnuoli [...] folletto o spirito familiare, che s'immagina in Napoli vestito da chierichetto e con uno zucchetto rosso sul capo. Di lui corrono, nel Napoletano, le stesse storie che si narrano dappertutto ..." B.Croce.
Vedi, fra gli altri, il "munaceddu" pugliese.

[3] Fece finta di niente.

[4] "Lana di Tunisi, oggi ancora reputata per la sua morbidezza " B.Croce

[5] "A passera muta e a  A presta nsino... due giochi fanciulleschi, i cui nomi sono qui adoperati in senso lubrico." B.Croce

[6] " Il Protomedico a Napoli, oltre a dar le licenze a medici e chirurgi, non dottorati in Napoli o in Salerno, riconosce tutte le drogherie e droghieri et spetiali di medicina, e barbieri e mammane per tutto il Regno; ministra in sua casa giustizia, con l'appellationi al Consiglio, esercita per tre anni, eletto da S.M., né può essere d'altre parti che Napolitano o del Regno (Capaccio....)" B.Croce

[7] "Dialettale per  fanciulla" B.Croce

[8] "Di Cupido dice il Pino (... 1530) 'Costui era il figlio caro, costui era l'uovo pinto di sua mamma Venerella' .
Uova dipinte con vari colori si solevano mandare in dono nelle feste ." B.Croce 

[9] "Luna piena" B.Croce

[10] Vai a nasconderti, Venere.

[11] "... con 'Fiorella' si allude alla storia di Marco e Fiorella, due famosi amanti, storia assai popolare un tempo, ricordata altre volte dai nostri scrittori dialettali e dallo stesso Basile, la quale tuttavia né il Liebrecht (...), né l'Imbriani (...) riuscirono a rintracciare ..." B.Croce

[12] "Molte le cose squisite di Siviglia: il tabacco, le calze, le donne, e via dicendo." B.Croce

[13] Giuoco di carte.

[14] "La stoppata era stoppa intrisa di uova, olio rosato e trementina, che si poneva sulle ferite, come dice il Fasano, nelle note alla sua traduzione napoletana della Gerusalemme (III,19)." B.Croce

[15] Un tonico.

[16] La "lingua di bue" è un tipo di felce dalla cui radice la medicina popolare otteneva vari rimedi .

[17] "Vaso immondo. Allude all'uso delle serve, che andavano allora a gettar fuori di casa i vasi immondi ..." B.Croce

[18] Vaso di terracotta . 

[19] "Le frasche, messe a insegna dell'osteria ." B.Croce

[20] Mangiarono.

[21] La gelosia.

[22] "Pignato grasso  o Pignato maritato: sorta di minestra fatta con cavoli, prosciutto, lardo e altri ingredienti, e considerata allora come il capolavoro della cucina napoletana, e perciò esaltata dagli scrittori dialettali e popolari di quel tempo, che la contrapponevano alla  olla podrida  vantata dagli spagnoli ." B.Croce
[23] Avere rapporti carnali con loro.

[24] "Allusione al campanello attaccato alle reti per le quaglie." B.Croce

[25] Il suono del campanello che apre ritualmente le processioni .

[26] "No trivolo vattuto , tribolo, nenia, piagnisteo sui morti: 'battuto' perché accompagnato da percosse e graffi alla faccia e da strappi di capelli." B.Croce

[27] "Cattivo punto nel giuoco delle carte." B.Croce

[28] "Nicola Melchiorre è il nome del principe ".

[29] Lo stesso che 'trivolo'.

[30] O cinabro, minerale di color rosso scuro. 

[31] Minerale di colore giallo oro.

[32] "Il colore di spagnuolo malato era notato come caratteristico e andava in proverbio. Perfino la tinta di una sorta di stoffa fu chiamata 'color di spagnuolo malato '".  B.Croce

[33] "Il Boccaccio (che potrebbe aver appreso questo traslato a Napoli, dove ancor oggi si usa) chiama (Dec.II,10) 'lucertole verminare' , cioè secche e verdi, le donne di Pisa." B.Croce

[34] " 'lanterna a bota'. Quella sorta di lanternini inventati dai bresciani, che chiudono e scoprono il lume quando si vuole, benché oggi siano proibiti quasi da per tutto', dice il Garzoni... infatti, le nostre prammatiche ne permettevano l'uso solo agli sbirri." B.Croce.
 Naturalmente, questa pratica invenzione era stata immediatamente sfruttata dei ladri, per potersi muovere agevolmente senza esser visti. Da qui, la proibizione di usarle .

[35] "Tifone congiurò contro il fratello Osiride e riuscì con astuzia a farlo entrare in una cassa, sulla quale i congiurati si precipitarono, premendo il coperchio, conficcandovi chiodi, colando piombo dai fori, e poi la gettarono a mare. Si veda Plutarco, De Iside et Osiride, XII." B.Croce.
Tifone è il "Seth"egizio.

[36] " 'Carizze , vierre , gnuóccole e vruóccole ' 'Gnuóccole ' sono gli gnocchi; 'vruóccole ', broccoli e, per traslato, carezze; onde in Napoli i venditori di broccoli, gaiamente bisticciando, danno la voce: 'Broccoli, che son buoni a letto!". B.Croce

[37] "Traslato per indicare persona brutta: qui in senso morale. Il muso della cernia (perca gigas) è bruttissimo ..." B.Croce

[38] "In vino veritas".

[39] "È uno dei proverbi citati da Farinata degli Uberti, quando difese Fiorenza a viso aperto." B.Croce.

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