lunedì 19 maggio 2014

La Schiavotta, G. B. Basile, Pentamerone, Seconda Giornata, Cunto Ottavo (Prima Parte)

Mi avvicino a Biancaneve risalendo alle origini: questo Cunto di G.B. Basile, almeno per quanto riguarda la prima parte, è la Madre di Biancaneve (AaTh 709). Ma, per chi abbia voglia di fermarsi a riflettere e disponga degli strumenti appropriati, è una finestra spalancata anche su La Bella Addormentata e Barbablu.


Hacker A.



'era una volta un barone di Selvascura, che aveva una sorella zitella, la quale andava sempre, con le altre giovinette della sua stessa età, a far salti in un giardino. Un giorno, trovando una bella rosa tutt'aperta, posero pegno tra loro che chi la saltasse netta, senza toccarle una foglia, guadagnerebbe un tanto. E, saltandovi molte di quelle ragazze a cavalcioni di sopra, tutte vi urtavano e nessuna la scavalcava netta. Ma, quando fu la volta di Lilla, che era la sorella del barone, essa, tolto un po' di vantaggio, prese tale rincorsa che saltò di peso di là dalla rosa. Pure una foglia cadde, ed essa fu così accorta e destra che, cogliendola di terra, senza lasciarsi scorgere, la inghiottì e guadagnò la scommessa.
Non passarono tre giorni e Lilla si sentì incinta; per la qual cosa ebbe a morir dal dolore, ben sapendo di non aver fatto né imbrogli nè disonestà e non comprendendo perciò come le si fosse potuta gonfiare la pancia.
Corse, dunque, a certe fate sue amiche, le quali, udito il caso, le dissero che stesse tranquilla, perché la causa n'era stata la foglia di rosa, che aveva ingoiata.
Lilla, saputo ciò, attese a celare quanto più poté la sua condizione e, giunta l'ora di sgravarsi del peso, partorì in segreto una bella bambina, alla quale pose nome Lisa, e la mandò alle fate. Tutte esse, allora, le dettero la loro fatagione; ma l'ultima, accorrendo a vedere questa bambina, si slogò così malamente il piede che, per l'acuto dolore, le gettò la bestemmia che, ai sette anni, la madre, nel pettinarla, dimenticasse il pettine nei capelli, ficcato nella testa, e di ciò la fanciulla morisse.


Remnev A.

Al compirsi dei sette anni [1], accadde la disgrazia, e la disperata madre, dopo fatto un amaro lamento, la chiuse in sette casse di cristallo, l'una dentro l'altra, e la collocò nella stanza estrema del palazzo, mettendosi in tasca la chiave. Senonché, dopo qualche tempo, consumata a morte dal dolore, sentendosi presso alla fine, chiamò il fratello e gli disse:
"Fratello mio, io mi sento a poco a poco tirare dall'uncino della morte. Ti lascio tutte le carabattole mie, che ne sii signore e padrone; ma mi devi dar la parola che non aprirai mai l'ultima stanza di questa casa, serbandone gelosamente la chiave nello scrigno".
In capo ad alcuni anni, questo signore, che intanto aveva preso moglie, fu invitato a una caccia e, nel raccomandare alla moglie la cura della casa, la pregò soprattutto di non aprire quella stanza, della quale serbava la chiave nello scrigno. Ma, non così presto ebbe volto le spalle, che quella, tirata dal sospetto, sospinta dalla gelosia, e scannata dalla curiosità, che è la prima dote della donna, prese la chiave e andò ad aprirla.


Jüttner Franz


E, vedendo dalle casse di cristallo trasparire la giovinetta, le dischiuse a una a una, e trovò che quella pareva che dormisse.
Essa era cresciuta come ogni altra donna, e con lei s'erano ingrandite le casse, man mano che cresceva.
Al vedere questa bella creatura, la femmina gelosa pensò subito:
'Bravo, per la vita mia! Chiave in cintura e corna in natura! Questa era tutta la diligenza di non lasciar aprire la camera, per non far vedere il Maometto [2], che adorava dentro le casse!'.
E, nel così dire, la afferrò dai capelli, traendola fuori e, in quello sforzo, il pettine cadde a terra e l'assopita si risentì, strillando; "Mamma, mamma mia!".
"Va', che ti voglio dare mamma e tata!" esclamò la baronessa e, tutta fiele come schiava, rabbiosa come cagna che ha partorito, velenosa come serpe, le tagliò subito i capelli, le aggiustò una bastonatura coi fiocchi, le mise un vestito stracciato, e ogni giorno le scaricava bernoccoli alla testa, melanzane agli occhi, marchi alla faccia, facendole la bocca come se avesse mangiato piccioni crudi [3].

Dalle Note al Testo:

[1] Croce corregge l'originale  "'n capo dell'anno", giudicandolo una svista di Basile (Lisa muore a sette anni); ma la crescita straordinaria è un topos della letteratura popolare: oltre che nelle fiabe, compare spesso nei miti e nelle agiografie.

[2] Il corpo di Maometto che, secondo una favola che correva per l'Europa, era serbato a Medina in una cassa sospesa in aria dalla forza di un magnete.
(B. Croce)

[3] Cioè, tutta lorda di sangue. (B. Croce)]

La nascita straordinaria di Lisa è una variazione del motivo della gravidanza magica; l'insolita modalità è ispirata, forse, dalla favola ovidiana che attribuisce il concepimento di Marte all'aver Flora toccato Giunone con un fiore.

Le fate, chiamate a dar la loro fatagione alla neonata, con la maledizione della fata indispettita, ricordano l'inizio de La Bella Addormentata nel Bosco; entrambi i motivi compaiono, prima che in Perrault, anche nella Vajassa Fedele di Sarnelli.

Il pettine che provoca la morte apparente della bambina e le sette casse di cristallo in cui il suo corpo viene custodito evocano la fiaba di Biancaneve, Grimm 53, mentre il divieto di aprire una porta compare in molti intrecci, e in particolare in quello di Barbablu.

Testo e note a cura di Anna Buia


"Zefiro e Flora", Waterhouse J.W.


Sia Zefiro che Flora fanno parte di intrecci piuttosto confusi (non credo di essere influenzata dalla mia antipatia per la mitologia latina...), resta il fatto che, nelle fiabe, spesso, "un gran vento" ingravida la vergine regale, oppure lo fa un fiore, che l'eroina scavalca o ingerisce, come in questo caso, o, più prosaicamente, un fiore in vaso (in cui si cela un bellissimo principe) e che la principessa ama svisceratamente e cura nella sua camera. Il "gran vento" è spesso la causa di quella che Propp chiama la Disgrazia iniziale e che mette in moto l'intreccio fiabesco.
Il vento rapisce la principessa - in genere, la sorella del principe, che corre alla sua ricerca. Oppure il padre della rapita la promette in sposa a chi gliela riporterà sana e salva. Ma il "gran vento" rapisce anche gli uomini. Rapisce lo sposo e l'eroina patisce sventure ed umiliazioni pur di ritrovarlo. Del resto, Zefiro ha amato una ninfa rendendola Dèa, ma ha conteso Giacinto ad Apollo, arrivando ad ucciderlo pur di non lasciarlo al rivale.

Mab

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