Supponiamo che in un romanzo inglese un personaggio dica "It’s Raining Cats and Dogs".
Sciocco sarebbe quel traduttore che, pensando di dire la stessa cosa, traducesse letteralmente "piove cani e gatti".
Si tradurrà "piove a catinelle" o "piove come Dio la manda".
Ma se il romanzo fosse di fantascienza, scritto da un adepto di scienze dette “fortiane”, e raccontasse che davvero piovono cani e gatti? Si tradurrebbe letteralmente, d’accordo.
Ma se il personaggio stesse andando dal dottor Freud per raccontargli che soffre di una curiosa ossessione verso cani e gatti, da cui si sente minacciato persino quando piove? Si tradurrebbe ancora letteralmente, ma si sarebbe perduta la sfumatura che quell’Uomo dei Gatti è ossessionato anche dalle frasi idiomatiche.
E se in un romanzo italiano chi dice che stanno piovendo cani e gatti fosse uno studente della Berlitz, che non riesce a sottrarsi alla tentazione di ornare il suo discorso con anglicismi penosi? Traducendo letteralmente, l’ignaro lettore italiano non capirebbe che quello sta usando un anglicismo. E se poi quel romanzo italiano dovesse essere tradotto in inglese, come si renderebbe questo vezzo anglicizzante? Si dovrebbe cambiare nazionalità al personaggio o farlo diventare un inglese con vezzi italianizzanti, o un operaio londinese che ostenta senza successo un accento oxoniense? Sarebbe una licenza insopportabile.
E se "It’s Raining Cats and Dogs" lo dicesse, in inglese, un personaggio di un romanzo francese? Come si tradurrebbe in inglese? Vedete come è difficile dire quale sia la cosa che un testo vuole trasmettere, e come trasmetterla.
Umberto Eco
Lo Specchio-Cielo
venerdì 23 marzo 2018
giovedì 8 marzo 2018
Dèe Dominano Altere in Solitudine
Mefistofele
Svelo di malavoglia segreto così alto. Dèe dominano altere in solitudine. Non Luogo intorno ad esse e meno ancora Tempo. Parlarne è arduo. Sono le Madri!
Faust (rabbrividendo)
Madri!
M.
Ti dà i brividi
F.
Le Madri! Madri!... Come suona strano!
M.
E strano è. A voi mortali Dèe ignote, da noi non volentieri nominate. Sulla via delle loro dimore dovrai esplorare gli abissi. Ne hai colpa tu, se ne abbiamo bisogno.
Dal "Faust" di Goethe
Svelo di malavoglia segreto così alto. Dèe dominano altere in solitudine. Non Luogo intorno ad esse e meno ancora Tempo. Parlarne è arduo. Sono le Madri!
Faust (rabbrividendo)
Madri!
M.
Ti dà i brividi
F.
Le Madri! Madri!... Come suona strano!
M.
E strano è. A voi mortali Dèe ignote, da noi non volentieri nominate. Sulla via delle loro dimore dovrai esplorare gli abissi. Ne hai colpa tu, se ne abbiamo bisogno.
Dal "Faust" di Goethe
Oggi, 8 Marzo
Oggi vorrei ricordare, ricordarvi, Anna Goldi, l'ultima "strega" suppliziata in Europa.
... E la Papessa Giovanna, la donna che volle farsi papa.
... E, ancora una volta la mia Signora, apparentemente così debole, così passivamente vittima, e, in realtà, regale e dignitosa e struggentemente coraggiosa nell'accettazione del proprio Destino.
Uno fra i tanti dipinti che J.W.Waterhouse ha dedicato alla "Lady of Shalott". Waterhouse è un tardo preraffaellita ed i Preraffaelliti sono, giustappunto, uno dei miei "amori".
Waterhouse si è ispirato all'omonima poesia di A.Tennyson.
Tennyson, a sua volta, ha cantato una leggenda legata alla "materia di Bretagna" che mi interessa da vicino poiché il suo antico nucleo è di origine celtica.
La Signora di Shalott - si narra - fu colpita da una terribile maledizione ad opera della sua implacabile carnefice, Morgana, sorellastra di Artù, ritenuta una potente Incantatrice (in realtà, propendo selvaggiamente per la teoria che la vede come una di quelle Druidesse celtiche sconfitte e demonizzate dal Cristianesimo vincente). Grazie alle sue Arti, Morgana sapeva che, se la Signora di Shalott e Lancillotto del Lago si fossero incontrati, si sarebbero amati follemente impedendo così la nascita di quella travolgente relazione amorosa tra il Cavaliere e Ginevra, moglie del Re, le cui conseguenze rovinose, secondo le previsioni di Morgana, avrebbero decretato la fine dell'era di Artù e dei suoi Cavalieri... Così Morgana la maledisse mentre era ancora nel ventre materno: se mai avesse guardato verso la "towered Camelot"- la turrita Camelot - la Città del Re, sarebbe morta.
E la Signora di Shalott viveva sulla sua "silent isle", chiusa in una torre, e volgeva sempre le spalle alle finestre, e guardava il Mondo, le Ombre del mondo, in un grande specchio appeso davanti a lei e tesseva una magica tela con tutti i colori e le immagini di cui coglieva il riflesso... I mietitori al lavoro nei campi d'orzo udivano, a volte, il suo canto fluire lungo l'Avon nelle fredde ore dell'alba e pensavano che non fosse una creatura di Dio come tutti, ma un Essere dotato di strani poteri. "Ecco la Maga, la Signora di Shalott!" bisbigliavano fra loro.
E, intanto, nello specchio terso, passavano Cavalieri, funerali di Signori, coppie di amanti, sposi, tutti diretti a Camelot.
Un giorno, ella vide un bellissimo Cavaliere dai riccioli neri, Lancillotto, e desiderò guardarlo nella realtà del mondo, poiché "era stanca delle Ombre", dice Tennyson.
Dalla sua alta finestra, lo cercò tra coloro che si recavano alla Città del Re. Quando il suo sguardo si rivolse verso la "turrita Camelot", il grande specchio si spezzò da cima a fondo e la tela veleggiò lontano... e lei seppe che doveva morire.
Scese, allora, sulle rive dell'Avon, salì su di una barca che la attendeva sotto un salice, scrisse intorno alla prua il suo nome e si abbandonò alla corrente... Alto si levo' il suo canto di addio, simile a un inno sacro. Fisso lo sguardo.
Chi la vide disse che pareva una Veggente.
E, man mano che il sangue le si ghiacciava nelle vene, la voce si affievoliva, il canto diventava un sospiro sulle acque. E poi fu silenzio.
Giunse morta sull'altra riva. E in un silenzio reverente e attonito, Signori e popolani, dame e contadine, seguivano dalle rive del fiume, la barca con la bianca Signora addormentata che sfilava lentamente sotto i muri infiorati dei giardini, sotto i balconi degli alti palazzi...
Le genti di Camelot accorsero a raccogliere il suo bianchissimo corpo e ne conobbero il nome leggendolo sulla prua della barca.
Anche i Cavalieri del Re si affollarono sulla riva, e, fra loro era Lancillotto, che nulla sapeva, e mai avrebbe saputo, del destino comune e della maledizione, e si soffermò a guardarla e disse: "Invero, aveva un volto bellissimo la Signora di Shalott! Che il Signore misericordioso l'accolga nella Sua Grazia".
Mab's Copyright
On either side of the river lie
Long fields of barley and of rye,
That clothe the world and meet the sky;
And thro' the field the road run by
To many-towered Camelot;
And up and down the people go,
Gazing where the lilies blow
Round an island there below,
The island of Shalott.
Willows whiten, aspens quiver,
Little breezes dusk and shiver
Thro' the wave that runs for ever
By the island in the river
Flowing down to Camelot.
Four grey walls, and four grey towers,
Overlook a space of flowers,
And the silent isle imbowers
The Lady of Shalott.
Only reapers, reaping early,
In among the bearded barley
Hear a song that echoes cheerly
From the river winding clearly
Down to tower'd Camelot;
And by the moon the reaper weary,
Piling sheaves in uplands airy,
Listening, whispers
"'tis the fairy
The Lady of Shalott."
There she weaves by night and day
A magic web with colours gay,
She has heard a whisper say,
A curse is on her if she stay
To look down to Camelot.
She knows not what the curse may be,
And so she weaveth steadily,
And little other care hath she,
The Lady of Shalott.
And moving through a mirror clear
That hangs before her all the year,
Shadows of the world appear.
There she sees the highway near
Winding down to Camelot;
And sometimes thro' the mirror blue
The Knights come riding two and two.
She hath no loyal Knight and true,
The Lady Of Shalott.
But in her web she still delights
To weave the mirror's magic sights,
For often thro' the silent nights
A funeral, with plumes and lights
And music, went to Camelot;
Or when the Moon was overhead,
Came two young lovers lately wed.
"I am half sick of shadows,"
said The Lady Of Shalott.
A bow-shot from her bower-eaves,
He rode between the barley sheaves,
The sun came dazzling thro' the leaves,
And flamed upon the brazen greaves
Of bold Sir Lancelot.
A red-cross knight for ever kneel'd
To a lady in his shield,
That sparkled on the yellow field,
Beside remote Shalott.
His broad clear brow in sunlight glow'd;
On burnish'd hooves his war-horse trode;
From underneath his helmet flow'd
His coal-black curls as on he rode,
As he rode back to Camelot.
From the bank and from the river
he flashed into the crystal mirror,
"Tirra Lirra," by the river
Sang Sir Lancelot.
She left the web, she left the loom,
She made three paces taro' the room,
She saw the water-lily bloom,
She saw the helmet and the plume,
She looked down to Camelot.
Out flew the web and floated wide;
The mirror cracked from side to side;
"The curse is come upon me,"
cried The Lady of Shalott.
In the stormy east-wind straining,
The pale yellow woods were waning,
The broad stream in his banks complaining.
Heavily the low sky raining
Over towered Camelot;
Down she came and found a boat
Beneath a willow left afloat,
And round about the prow
she wrote The Lady of Shalott
And down the river's dim expanse
Like some bold seer in a trance,
Seeing all his own mischance -
With a glassy countenance
Did she look to Camelot.
And at the closing of the day
She loosed the chain and down she lay;
The broad stream bore her far away,
The Lady of Shalott.
Heard a carol, mournful, holy,
Chanted loudly, chanted lowly,
Till her blood was frozen slowly,
And her eyes were darkened wholly,
Turn'd to towered Camelot.
For ere she reach'd upon the tide
The first house by the water-side,
Singing in her song she died,
The Lady of Shalott.
Under tower and balcony,
By garden-wall and gallery,
A gleaming shape she floated by,
Dead-pale between the houses high,
Silent into Camelot.
Out upon the wharfs they came,
Knight and Burgher,
Lord and Dame,
And round the prow they read her name,
The Lady of Shalott.
Who is this?
And what is here?
And in the lighted palace near
Died the sound of royal cheer;
And they crossed themselves for fear,
All the Knights at Camelot;
But Lancelot mused a little space
He said, "She has a lovely face;
God in his mercy lend her grace,
The Lady of Shalott."
... E la Papessa Giovanna, la donna che volle farsi papa.
... E, ancora una volta la mia Signora, apparentemente così debole, così passivamente vittima, e, in realtà, regale e dignitosa e struggentemente coraggiosa nell'accettazione del proprio Destino.
Waterhouse W.J.
Uno fra i tanti dipinti che J.W.Waterhouse ha dedicato alla "Lady of Shalott". Waterhouse è un tardo preraffaellita ed i Preraffaelliti sono, giustappunto, uno dei miei "amori".
Waterhouse si è ispirato all'omonima poesia di A.Tennyson.
Tennyson, a sua volta, ha cantato una leggenda legata alla "materia di Bretagna" che mi interessa da vicino poiché il suo antico nucleo è di origine celtica.
La Signora di Shalott - si narra - fu colpita da una terribile maledizione ad opera della sua implacabile carnefice, Morgana, sorellastra di Artù, ritenuta una potente Incantatrice (in realtà, propendo selvaggiamente per la teoria che la vede come una di quelle Druidesse celtiche sconfitte e demonizzate dal Cristianesimo vincente). Grazie alle sue Arti, Morgana sapeva che, se la Signora di Shalott e Lancillotto del Lago si fossero incontrati, si sarebbero amati follemente impedendo così la nascita di quella travolgente relazione amorosa tra il Cavaliere e Ginevra, moglie del Re, le cui conseguenze rovinose, secondo le previsioni di Morgana, avrebbero decretato la fine dell'era di Artù e dei suoi Cavalieri... Così Morgana la maledisse mentre era ancora nel ventre materno: se mai avesse guardato verso la "towered Camelot"- la turrita Camelot - la Città del Re, sarebbe morta.
E la Signora di Shalott viveva sulla sua "silent isle", chiusa in una torre, e volgeva sempre le spalle alle finestre, e guardava il Mondo, le Ombre del mondo, in un grande specchio appeso davanti a lei e tesseva una magica tela con tutti i colori e le immagini di cui coglieva il riflesso... I mietitori al lavoro nei campi d'orzo udivano, a volte, il suo canto fluire lungo l'Avon nelle fredde ore dell'alba e pensavano che non fosse una creatura di Dio come tutti, ma un Essere dotato di strani poteri. "Ecco la Maga, la Signora di Shalott!" bisbigliavano fra loro.
E, intanto, nello specchio terso, passavano Cavalieri, funerali di Signori, coppie di amanti, sposi, tutti diretti a Camelot.
Un giorno, ella vide un bellissimo Cavaliere dai riccioli neri, Lancillotto, e desiderò guardarlo nella realtà del mondo, poiché "era stanca delle Ombre", dice Tennyson.
Dalla sua alta finestra, lo cercò tra coloro che si recavano alla Città del Re. Quando il suo sguardo si rivolse verso la "turrita Camelot", il grande specchio si spezzò da cima a fondo e la tela veleggiò lontano... e lei seppe che doveva morire.
Scese, allora, sulle rive dell'Avon, salì su di una barca che la attendeva sotto un salice, scrisse intorno alla prua il suo nome e si abbandonò alla corrente... Alto si levo' il suo canto di addio, simile a un inno sacro. Fisso lo sguardo.
Chi la vide disse che pareva una Veggente.
E, man mano che il sangue le si ghiacciava nelle vene, la voce si affievoliva, il canto diventava un sospiro sulle acque. E poi fu silenzio.
Giunse morta sull'altra riva. E in un silenzio reverente e attonito, Signori e popolani, dame e contadine, seguivano dalle rive del fiume, la barca con la bianca Signora addormentata che sfilava lentamente sotto i muri infiorati dei giardini, sotto i balconi degli alti palazzi...
Le genti di Camelot accorsero a raccogliere il suo bianchissimo corpo e ne conobbero il nome leggendolo sulla prua della barca.
Anche i Cavalieri del Re si affollarono sulla riva, e, fra loro era Lancillotto, che nulla sapeva, e mai avrebbe saputo, del destino comune e della maledizione, e si soffermò a guardarla e disse: "Invero, aveva un volto bellissimo la Signora di Shalott! Che il Signore misericordioso l'accolga nella Sua Grazia".
Mab's Copyright
Waterhouse W.J.
Long fields of barley and of rye,
That clothe the world and meet the sky;
And thro' the field the road run by
To many-towered Camelot;
And up and down the people go,
Gazing where the lilies blow
Round an island there below,
The island of Shalott.
Willows whiten, aspens quiver,
Little breezes dusk and shiver
Thro' the wave that runs for ever
By the island in the river
Flowing down to Camelot.
Four grey walls, and four grey towers,
Overlook a space of flowers,
And the silent isle imbowers
The Lady of Shalott.
Only reapers, reaping early,
In among the bearded barley
Hear a song that echoes cheerly
From the river winding clearly
Down to tower'd Camelot;
And by the moon the reaper weary,
Piling sheaves in uplands airy,
Listening, whispers
"'tis the fairy
The Lady of Shalott."
There she weaves by night and day
A magic web with colours gay,
She has heard a whisper say,
A curse is on her if she stay
To look down to Camelot.
She knows not what the curse may be,
And so she weaveth steadily,
And little other care hath she,
The Lady of Shalott.
And moving through a mirror clear
That hangs before her all the year,
Shadows of the world appear.
There she sees the highway near
Winding down to Camelot;
And sometimes thro' the mirror blue
The Knights come riding two and two.
She hath no loyal Knight and true,
The Lady Of Shalott.
But in her web she still delights
To weave the mirror's magic sights,
For often thro' the silent nights
A funeral, with plumes and lights
And music, went to Camelot;
Or when the Moon was overhead,
Came two young lovers lately wed.
"I am half sick of shadows,"
said The Lady Of Shalott.
A bow-shot from her bower-eaves,
He rode between the barley sheaves,
The sun came dazzling thro' the leaves,
And flamed upon the brazen greaves
Of bold Sir Lancelot.
A red-cross knight for ever kneel'd
To a lady in his shield,
That sparkled on the yellow field,
Beside remote Shalott.
His broad clear brow in sunlight glow'd;
On burnish'd hooves his war-horse trode;
From underneath his helmet flow'd
His coal-black curls as on he rode,
As he rode back to Camelot.
From the bank and from the river
he flashed into the crystal mirror,
"Tirra Lirra," by the river
Sang Sir Lancelot.
She left the web, she left the loom,
She made three paces taro' the room,
She saw the water-lily bloom,
She saw the helmet and the plume,
She looked down to Camelot.
Out flew the web and floated wide;
The mirror cracked from side to side;
"The curse is come upon me,"
cried The Lady of Shalott.
In the stormy east-wind straining,
The pale yellow woods were waning,
The broad stream in his banks complaining.
Heavily the low sky raining
Over towered Camelot;
Down she came and found a boat
Beneath a willow left afloat,
And round about the prow
she wrote The Lady of Shalott
And down the river's dim expanse
Like some bold seer in a trance,
Seeing all his own mischance -
With a glassy countenance
Did she look to Camelot.
And at the closing of the day
She loosed the chain and down she lay;
The broad stream bore her far away,
The Lady of Shalott.
Heard a carol, mournful, holy,
Chanted loudly, chanted lowly,
Till her blood was frozen slowly,
And her eyes were darkened wholly,
Turn'd to towered Camelot.
For ere she reach'd upon the tide
The first house by the water-side,
Singing in her song she died,
The Lady of Shalott.
Under tower and balcony,
By garden-wall and gallery,
A gleaming shape she floated by,
Dead-pale between the houses high,
Silent into Camelot.
Out upon the wharfs they came,
Knight and Burgher,
Lord and Dame,
And round the prow they read her name,
The Lady of Shalott.
Who is this?
And what is here?
And in the lighted palace near
Died the sound of royal cheer;
And they crossed themselves for fear,
All the Knights at Camelot;
But Lancelot mused a little space
He said, "She has a lovely face;
God in his mercy lend her grace,
The Lady of Shalott."
domenica 15 ottobre 2017
Il Dragone, Pentamerone, G.B. Basile (Giornata Quarta, Trattenimento Quinto)
Miuccio è mandato, per opera di una regina, a diversi pericoli, e da tutti,
per l'aiuto di un uccello fatato, esce con onore. Alla fine, la regina
muore, ed esso, scoperto figlio del re, fa liberare la propria madre,
che diventa moglie di quella corona.
'era una volta un re d'Altamarina, al quale, per le crudeltà e tirannie che usava, fu, mentre con la moglie era andato per diletto a un castellotto lontano dalla città, occupato il seggio reale da una maga. Egli fece allora pregare una statua di legno, che dava oracoli per enigmi, e ne ebbe per risposta che allora ricupererebbe lo stato quando la maga perdesse la vista.
Ma la maga non solo si era circondata di buona guardia, si anche conosceva al fiuto la gente che quegli le mandava contro per insidiarla, e ne eseguiva subito giustizia spietata.
Ciò vedendo, il re entrò in disperazione, e quante femmine di quella città poteva avere tra le mani, a tutte, per dispetto della maga, toglieva l'onore, e con l'onore la vita. E, tra le cento e cento, che la loro cattiva sorte portò a rimanere sturate di riputazione e sfasciate dei giorni loro, capitò una giovane chiamata Porziella, che era la più gentile cosa che si potesse vedere sopra tutta la terra. I suoi capelli erano vere manette degli sbirri di amore; la fronte, tavola dove stava scritta la tariffa alla bottega delle grazie dei gusti amorosi; gli occhi, due fanali che assicuravano i vascelli dei desideri a voltare la prora al porto dei contenti; la bocca, un'arnia di miele tra due siepi di rose.
Caduta in potere del re, questi, dopo che l'ebbe passata in rivista come le altre, la volle ammazzare; ma, nell'atto che alzava il pugnale, un uccello gli fece cascare sul braccio non so quale radice, e gliene venne tale un tremito che l'arma gli scorse di mano. Era l'uccello una fata, che, pochi giorni innanzi, dormendo in un bosco, dove sotto la tenda delle ombre si giocava l'ardore alla galera dello spavento, stava per subire l'onta da un satiro, quando fu svegliata da Porziella; e per questo beneficio seguiva sempre i suoi passi, pronta a rendergliene ricambio.
Il re, all'inatteso impedimento, pensò che la bellezza di quella faccia avesse messo il sequestro al braccio e ingiunto un mandato al pugnale, vietandogli di trafiggerla come di tante altre aveva fatto. Considerò dunque che bastava un pazzo per casa e che non conveniva tingere di sangue l'ordigno della morte come ne aveva tinto Io strumento della vita; e dispose che Porziella fosse murata in una soffitta del suo palazzo, e lasciata colà, l'afflitta e dolorosa giovane, senza aver né da mangiare né da bere, affinché perisse d'inedia.
L'uccello, che la vide a questi cattivi termini, la confortò con parole umane, che stesse di buon animo perché esso, per gratitudine di un favore da lei ricevuto, l'avrebbe aiutata col proprio sangue. Non volle, peraltro, quantunque assai Porziella ne lo pregasse, svelarle mai chi fosse; e soltanto le ripetè che le si sentiva obbligato, e tornò ad assicurarla che non avrebbe tralasciato cosa per servirla.
E poiché la povera giovane languiva per la fame, volò fuori e tornò con un coltello appuntito, che tolse dal riposto del re, e le disse di aprire a poco a poco un buco in un angolo del solaio, che sarebbe andato a rispondere nella cucina, dalla quale avrebbe preso sempre qualcosa per sostentarle la vita. Porziella ubbidì, e, affaticatasi per un buon pezzo, tanto scavò che apri l'entrata all'uccello; il quale, profittando del momento che il cuoco era andato ad attingere una secchia d'acqua alla fontana, discese pel buco e si portò via un pollastro, che stava in caldo, e lo dette a Porziella. Non sapendo poi come rimediare alla sete, volò alla dispensa, dove era appesa molta uva, e gliene porse un grappolo. Cosi continuò per più giorni.
Più tardi, Porziella, che era rimasta incinta, diè alla luce un bel figlio maschio, che essa allattò e crebbe con la continua assistenza dell'uccello. E, diventato il figliuolo grandicello, l'uccello consigliò alla madre di allargare l'apertura del solaio, levandone altrettante assicelle, in modo che potesse entrarvi Miuccio (tale era il nome che essa aveva dato al figliuolo) e di calarlo, per mezzo di certe cordicelle che esso stesso le aveva procurate, rimettendo a loro posto i panconcelli in guisa che non si vedesse per dove era disceso.
Cosi fece Porziella, e comandò al figlio di non dir mai donde fosse venuto, né di chi fosse figlio. Quando il cuoco, che era uscito per faccende, tornò e vide in mezzo alla cucina quel bel garzoncello, gli domandò chi era, come era entrato e che cosa era venuto a fare in quel luogo; e Miuccio, ricordando l'istruzione della madre, rispose che si era sperduto e che andava cercando padrone.
Tra questo dialogo sopravvenne lo scalco, che, veduto un fanciullo di tanto spirito, pensò che sarebbe stato adatto per paggio del re, e lo condusse nelle camere regali. Piacque subito al re, che lo vide cosi bello e grazioso, e lo tenne al servigio per paggio, al cuore per figlio, e gli fece insegnare tutti gli esercizi che convengono a un cavaliere; tanto che diventò il più virtuoso della corte.
Il re gli voleva bene più che al figliastro; onde la regina cominciò a prenderlo in uggia e a guardarlo con occhio di odio. L'invidia e la malevolenza guadagnavano tanto maggior terreno quanto più spianavano loro la strada i favori e le grazie che il re faceva a Miuccio. E la regina si propose di mettere tanto sapone alla scala della fortuna di quel giovane che alfine sdrucciolasse dall'alto giù al fondo.
Una sera che, dopo aver accordato in pieno i loro strumenti musicali, facevano una musica di discorsi tra loro, la regina disse al re che Miuccio si era vantato di poter fare tre castelli nell'aria. Il re, sia perché era curioso, sia per dar gusto alla moglie, quando al mattino la Luna, maestra delle Ombre, concede feria alle discepole per la festa del Sole, chiamò a sé Miuccio e gli ordinò che, per ogni conto, avesse fatto i tre castelli in aria, come se n'era vantato; altrimenti, avrebbe fatto fare a lui tre salti in aria. Miuccio, a tale richiesta, se ne andò nella sua camera e cominciò un amaro lamento sulla grazia dei principi, fragile come vetro, e sulla poca durata dei loro favori; e, mentre piangeva a calde lacrime, ecco l'uccello, che gli disse:
"Fa' cuore, o Miuccio, e non dubitare, perché hai con te persona come son io, capace di cavarti dal fuoco".
E gli ordinò di prendere molto cartone e colla, e, lavorati a quel modo tre grandi castelli, fece venire tre grossi grifoni, e a ciascuno legò ai piedi un castello, e quelli volarono per l'aria.
Miuccio chiamò il re, che accorse con tutta la corte a questo spettacolo, e che, ammirando l'ingegno del giovane, gli pose maggiore affetto e gli fece feste e carezze dell'altro mondo. Ciò fu aggiunta di neve all'invidia e di fuoco allo sdegno della regina, che, vedendo che il colpo non le era riuscito, non vegliava il giorno che non cercasse modo, e non dormiva la notte che non pensasse maniera, di levarsi dinanzi questo stecco degli occhi suoi, sicché, dopo pochi altri giorni, disse al re:
"Marito mio, ora è tempo di tornare alle grandezze passate e ai piaceri degli anni lontani, perché Miuccio si è offerto di accecare la fata e, con una spesa di occhi, farti ricomprare il regno perduto".
II re, che si senti toccare sul punto doloroso, immediatamente chiamò Miuccio e gli parlò:
"Resto assai meravigliato, o Miuccio, che, volendoti tanto bene e potendomi tu rimettere nel seggio dal quale sono capitombolato, te ne stai cosi spensierato e non procuri di togliermi dalla miseria in cui mi trovo, ridotto come sono da un regno a un bosco, da una città a un povero castelluccio e dal comandare a tanti ad esser appena servito da pochi domestici affamati, che affettano pane e scodellano broda. Perciò, se non vuoi cadere in disgrazia presso di me, corri subito ad accecare la maga che è in possesso della roba mia; e tu, serrando le botteghe di quegli occhi, aprirai il fondaco delle grandezze mie; spegnendo quelle lucerne, accenderai le lampade dell'onor mio, che stanno ora smorzate e fumose".
A questa proposta, Miuccio stava per rispondere che il re era mal informato e l'aveva tolto in iscambio, che egli non era corvo che cavasse gli occhi, né latrinaio che sturasse buchi; quando il re concluse:
"Non più parole! Cosi voglio, cosi sia fatto. Fa' conto che alla zecca del mio cervello ho messo in bilico la bilancia: di qua il premio, se fai quello che devi; di là il castigo, se lasci di fare quello che ti comando".
Miuccio, che non poteva cozzare con un sasso e aveva da fare con un uomo che guai a chi ci capitava, se ne andò a gemere in un angolo.
Ma sopraggiunse l'uccello e gli disse:
"È possibile, Miuccio, che ti perdi sempre in un bicchier di acqua? E, se io fossi stato ucciso, potresti fare un lamento pari a questo? Non sai che io ho più cura della tua vita che della mia stessa? Perciò, non ismarrirti e vienimi dietro, che vedrai che cosa sa fare Meniello",
E, preso a volare, con Miuccio che lo seguiva, si fermò in un bosco; e là si mise a cinguettare, e subito fu attorniato da una schiera di uccelli. Come se li vide intorno, esso domandò chi tra loro si confidasse di spegnere la vista alla maga; che gli avrebbe dato una salvaguardia contro gli artigli degli sparvieri e degli astori, e una carta franca contro gli schioppi, gli archetti, le balestre e i vischi dei cacciatori. Tra quegli uccelli. c'era una rondine, che, avendo fatto il suo nido a una trave della casa reale, aveva preso ad aborrire la maga, la quale, per eseguire i suoi maledetti incantamenti, più volte l'aveva cacciata dalla camera sua coi suffumigi. E quella, in parte per vendetta, in parte allettata dal premio che 1'uccello prometteva, si offerse ad eseguire la cosa.
Volò, dunque, la rondine, come una folgore, alla città, entrò nel palazzo reale, e qui vide la maga, che se ne stava distesa sopra un lettuccio, facendosi fare fresco col ventaglio da due damigelle. Subito la rondine le si mise a perpendicolo sugli occhi, e, lasciandovi cascare dentro il suo sterco, le tolse la vista. La maga, che vide a mezzogiorno la notte, e ben sapeva che con quella serrata di dogana terminava la mercanzia del suo regno, gettò strida da anima dannata e rinunziò allo scettro, correndo a rintanarsi in certe grotte, dove tanto batté la testa nella roccia, che fini i suoi giorni.
Andata via la maga, i consiglieri inviarono ambasciatori al re, che venisse a godere la casa propria, perché l'accecamento di quella gli aveva dato la luce del buon giorno; e, nello stesso punto che gli ambasciatori arrivarono, giunse anche Miuccio, che, istruito dall'uccello, cosi disse:
"T'ho servito di buona moneta: la maga è accecata, il regno è tuo; ma, se io merito ricompensa per il servigio che ti ho reso, non ne voglio altra se non che tu mi lasci stare coi miei malanni senza mettermi un'altra volta a pericoli".
Il re, dopo averlo abbracciato con grande amorevolezza, lo fece coprire e sedere accanto a sé; e se la regina ne crepò di rabbia, ve lo dica il Cielo, tanto che nell'arcobaleno di diversi colori, che si mostrò sul suo volto, si conobbe il vento delle rovine che macchinava nel cuore contro il povero Miuccio. Poco lungi dal castello, era un dragone ferocissimo, che nacque allo stesso parto con la regina, e gli astrologi, chiamati dal padre a strologare questo fatto, sentenziarono che tanto sarebbe campata la figlia sua quanto campava il dragone, e che, morendo l'uno, sarebbe morta necessariamente anche l'altra; e solo una cosa avrebbe potuto risuscitarla, cioè se le avessero unto le tempie, lo sterno, le nari e i polsi col sangue dello stesso dragone.
Ora la regina, che conosceva la forza e la furia di quest'animale, pensò di mandargli Miuccio nelle granfie, sicura che se ne sarebbe fatto un sol boccone, e gli sarebbe stato come la fragola in bocca all'orso. Cominciò, dunque, a dire al re:
"Affé, che Miuccio è il tesoro della casa tua, e saresti ingrato se non l'amassi; tanto più che ha lasciato intendere di voler ammazzare il dragone, il quale, quantunque mi sia fratello, ti è cosi nemico, che io voglio piuttosto un pelo di mio marito che cento fratelli".
Il re, che odiava mortalmente il dragone e non sapeva come liberarsene, subito chiamò di nuovo Miuccio:
"So - gli disse - che tu metti il manico dovunque vuoi, e perciò, avendo fatto tanto e tanto per me, bisogna che mi faccia un altro piacere, e poi disponi di me a tua voglia. Va' in questo punto stesso e ammazza il dragone, che mi renderai un servigio segnalato e io te ne darò buon merito".
Miuccio stava per uscire fuori di sé, e, appena potè spiccicare parola, rispose:
"Cotesta, ora, è doglia di testa; ora, mi avete preso a vessare; è forse, la mia vita, latte di capra nera, che si può farne strapazzo? Non si tratta di una pera sbucciata, che mi si metta dinanzi alla bocca: si tratta di un dragone, che con le branche sbrana, con la testa sfonda, con la coda fracassa, coi denti stritola, con gli occhi infetta, col fiato uccide. Ora, perché volete mandarmi a morte? E questa la provvisione che mi è data per avervi dato un regno? Chi è quell'anima dannata che ha gettato sulla tavola questo dado? Chi è stato il figlio dell'inferno, che vi ha spinto a questi salti e gonfiato di queste parole?".
Il re, che era leggero come pallone a farsi balzare, ma duro più d'una pietra a sostenere quello che aveva detto una volta, puntò i piedi e disse:
"Hai fatto e fatto, e ora ti perdi al meglio. Ma non più parole! Va', togli questa peste dal regno mio; se no, ti tolgo la vita"
Miuccio sventurato, che si sentiva fare ora un favore ora una minaccia, ora una carezza alla faccia ora un calcio al deretano, ora una calda e ora una fredda, considerò quanto mutevoli fossero le fortune delle corti, e avrebbe voluto esser più che digiuno della conoscenza del re. Ma, sapendo che replicare agli uomini grandi è cosa da bestia, ed è come se si volesse pelare la barba al leone, si ritirò in disparte, maledicendo la sorte sua che l'aveva ridotto alla corte per fare corte le ore della propria vita. E, mentre, seduto sul gradino di una porta, con la faccia in mezzo alle ginocchia, lavava le scarpe col pianto e scaldava i contrappesi coi sospiri, ecco l'uccello con in becco un'erba, che gli gettò in grembo, dicendogli:
"Alzati, Miuccio, e assicurati che non giocherai a scarica l'asino dei giorni tuoi, ma a sbaraglino della vita del dragone. Prendi quest'erba e, arrivato alla grotta di quel brutto animale, gettala dentro, che subito gli verrà tal sonno sbardellato, che si piegherà a dormire; e tu, con un bel coltellaccio sotto le anche, fagli subito la festa, e vieni via, che le cose ti riusciranno meglio che non pensi. Basta, io so bene quel che dico, e abbiamo più tempo che danaro, e chi ha tempo ha vita".
Miuccio si alzò e, postosi tra i panni un grosso coltello e presa l'erba, si avviò alla grotta, la quale si apriva sotto una montagna di cosi buona statura che i tre monti, che fecero scala ai giganti, non le sarebbero arrivati alla cintura. E, quando fu all'entrata, gettò l'erba e, appiccato il sonno al dragone, cominciò a tagliare.
Nel tempo stesso che batteva col coltellaccio le carni dell'animale, la regina si sentiva intaccare il cuore; e, vistasi a mal termine, si accorse del suo errore, per essersi comprata a danari contanti la morte. Chiamò allora il marito e gli disse quello che avevano prognosticato gli astrologi, e che dalla vita del dragone pendeva la vita sua, e come sospettava che Miuccio avesse ucciso il dragone, giacché essa si sentiva mancare a poco a poco.
"Se sapevi - le disse il re - che la vita del dragone era puntello della tua e radice dei tuoi giorni, perché mi facesti mandare Miuccio? Chi ne ha la colpa? Tu ti sei fatto il male e tu lo piangi; tu hai rotto il gotto e tu lo paghi!".
"Non credevo mai - rispose la regina - che un mingherlino avesse tant'arte e tanta forza da gettare a terra un animale che faceva poca stima d'un esercito; e avevo in mente che vi avrebbe lasciato gli stracci. Ma, poiché ho fatto il conto senza l'oste e la barca dei miei disegni è andata a picco, fammi un piacere, se mi vuoi bene. Appena sarò morta, prendi una spugna, intrisa nel sangue del dragone, e ungimi tutte le estremità della persona prima di seppellirmi".
"Questa è poca cosa all'amore che ti porto - disse il re - e, se non basterà il sangue del dragone, vi metterò il mio per darti soddisfazione".
La regina voleva ringraziarlo, ma gli usci lo spirito con le parole, perché, in quel momento stesso, Miuccio aveva terminato il macello del dragone.
Quando egli giunse innanzi al re per dargli l'annunzio dell'opera eseguita, il re gli comandò che fosse tornato a raccogliere il sangue del dragone; e, curioso di vedere da vicino la prova che quello aveva compiuta con le mani, gli tenne dietro non visto.
All'uscita dal palazzo, l'uccello si fece incontro a Miuccio e gli domandò:
"Dove vai?".
"Vado dove mi manda il re, che mi fa andar su e giù come spola, e non mi lascia riposare un'ora".
"A che fare?".
"A prendere il sangue del dragone".
"Oh sciagurato te per cotesto sangue di dragone, il quale sarà per te sangue di toro, che ti creperà dentro! Con quel sangue rinascerà la mala semenza di tutti i tuoi travagli; che colei ti ha posto sempre a nuovi pericoli affinché tu vi lasci la vita; e il re, che si fa mettere la barda da una brutta strega, ti manda, come un trovatello, ad arrischiare la persona, che pure è sangue suo, che pure è broccolo di quella pianta. Lo scuso, perché non ti conosce, ma pure il moto del cuore dovrebbe essere spia della parentela, e i servigi che gli hai resi, e il guadagno che ora egli farebbe di un bello erede, dovrebbero costringerlo a prendere in grazia quella sventurata di Porziella, tua madre, che da quattordici anni oramai sta murata in una soffitta, dove sembra un tempio di bellezza, fabbricato in un camerino".
Il re, che aveva ascoltato ogni cosa, si trasse subito innanzi per udire con più particolarità come il fatto era andato, e, appreso che Miuccio era figlio di Porziella, rimasta incinta di lui, e che Porziella era ancora viva nella soffitta, subito ordinò che fosse smurata e condottagli davanti.
E, quando la vide più bella che mai per la buona cura che ne aveva avuta l'uccello, l'abbracciò con amore grande e non si saziava di stringere ora la madre ora il figlio, chiedendo perdono a quella del crudele trattamento che le aveva usato, e a questo dei pericoli a cui lo aveva posto.
E fece subito rivestire Porziella con le più ricche vesti della regina morta, e la prese per moglie. Offerse poi lo stato e tutto se stesso all'uccello, che aveva mantenuto in vita la povera giovane procurandole il cibo, e che aveva col consiglio aiutato il figliuolo a uscire dai pericoli.
Ma l'uccello disse che non voleva altro premio che Miuccio per marito, e si trasformò, nel dir cosi, in una bellissima giovane.
La richiesta fu accolta con grande gioia dal re e da Porziella, e, mentre la regina morta fu gettata in un tumulo, la coppia degli sposi colse piaceri a tomoli, e, per celebrare in modo più solenne le feste, si avviarono al loro regno, dove erano aspettati con gran desiderio.
E sempre riconobbero che la loro buona fortuna era venuta dalla fata pel beneficio resole da Porziella, perché alla fine delle fini:
Mai non si perde il bene che s'è fatto
Dalle note della traduzione dal Napoletano di Benedetto Croce:
"Una particolare attenzione - scrive Iacopo Grimm - merita la somiglianza che questa fiaba del Basile ha con la saga di Siegfried. La nascita secreta di Mluccio e il suo umile ufficio presso il cuoco ricordano la fanciullezza dell'eroe; l'uccello, che lo assiste di aiuto, ricorda quegli uccelli, dei quali il nordico Sigurd intende il linguaggio e da cui riceve e accetta consigli. La regina nemica si confronta con Brunhild, ed è insieme Reigen, che eccita alla lotta col dragone. Il dragone è anche qui il fratello della regina, la cui vita è legata alla sua. Essa vuole essere appunto spalmata col sangue di lui, al modo stesso che Reigen aspira al sangue del cuore di Dafner"
Il testo in lingua originale è nella Pagina: "G.B. Basile".
'era una volta un re d'Altamarina, al quale, per le crudeltà e tirannie che usava, fu, mentre con la moglie era andato per diletto a un castellotto lontano dalla città, occupato il seggio reale da una maga. Egli fece allora pregare una statua di legno, che dava oracoli per enigmi, e ne ebbe per risposta che allora ricupererebbe lo stato quando la maga perdesse la vista.
Ma la maga non solo si era circondata di buona guardia, si anche conosceva al fiuto la gente che quegli le mandava contro per insidiarla, e ne eseguiva subito giustizia spietata.
Ciò vedendo, il re entrò in disperazione, e quante femmine di quella città poteva avere tra le mani, a tutte, per dispetto della maga, toglieva l'onore, e con l'onore la vita. E, tra le cento e cento, che la loro cattiva sorte portò a rimanere sturate di riputazione e sfasciate dei giorni loro, capitò una giovane chiamata Porziella, che era la più gentile cosa che si potesse vedere sopra tutta la terra. I suoi capelli erano vere manette degli sbirri di amore; la fronte, tavola dove stava scritta la tariffa alla bottega delle grazie dei gusti amorosi; gli occhi, due fanali che assicuravano i vascelli dei desideri a voltare la prora al porto dei contenti; la bocca, un'arnia di miele tra due siepi di rose.
Caduta in potere del re, questi, dopo che l'ebbe passata in rivista come le altre, la volle ammazzare; ma, nell'atto che alzava il pugnale, un uccello gli fece cascare sul braccio non so quale radice, e gliene venne tale un tremito che l'arma gli scorse di mano. Era l'uccello una fata, che, pochi giorni innanzi, dormendo in un bosco, dove sotto la tenda delle ombre si giocava l'ardore alla galera dello spavento, stava per subire l'onta da un satiro, quando fu svegliata da Porziella; e per questo beneficio seguiva sempre i suoi passi, pronta a rendergliene ricambio.
Il re, all'inatteso impedimento, pensò che la bellezza di quella faccia avesse messo il sequestro al braccio e ingiunto un mandato al pugnale, vietandogli di trafiggerla come di tante altre aveva fatto. Considerò dunque che bastava un pazzo per casa e che non conveniva tingere di sangue l'ordigno della morte come ne aveva tinto Io strumento della vita; e dispose che Porziella fosse murata in una soffitta del suo palazzo, e lasciata colà, l'afflitta e dolorosa giovane, senza aver né da mangiare né da bere, affinché perisse d'inedia.
L'uccello, che la vide a questi cattivi termini, la confortò con parole umane, che stesse di buon animo perché esso, per gratitudine di un favore da lei ricevuto, l'avrebbe aiutata col proprio sangue. Non volle, peraltro, quantunque assai Porziella ne lo pregasse, svelarle mai chi fosse; e soltanto le ripetè che le si sentiva obbligato, e tornò ad assicurarla che non avrebbe tralasciato cosa per servirla.
E poiché la povera giovane languiva per la fame, volò fuori e tornò con un coltello appuntito, che tolse dal riposto del re, e le disse di aprire a poco a poco un buco in un angolo del solaio, che sarebbe andato a rispondere nella cucina, dalla quale avrebbe preso sempre qualcosa per sostentarle la vita. Porziella ubbidì, e, affaticatasi per un buon pezzo, tanto scavò che apri l'entrata all'uccello; il quale, profittando del momento che il cuoco era andato ad attingere una secchia d'acqua alla fontana, discese pel buco e si portò via un pollastro, che stava in caldo, e lo dette a Porziella. Non sapendo poi come rimediare alla sete, volò alla dispensa, dove era appesa molta uva, e gliene porse un grappolo. Cosi continuò per più giorni.
Più tardi, Porziella, che era rimasta incinta, diè alla luce un bel figlio maschio, che essa allattò e crebbe con la continua assistenza dell'uccello. E, diventato il figliuolo grandicello, l'uccello consigliò alla madre di allargare l'apertura del solaio, levandone altrettante assicelle, in modo che potesse entrarvi Miuccio (tale era il nome che essa aveva dato al figliuolo) e di calarlo, per mezzo di certe cordicelle che esso stesso le aveva procurate, rimettendo a loro posto i panconcelli in guisa che non si vedesse per dove era disceso.
Cosi fece Porziella, e comandò al figlio di non dir mai donde fosse venuto, né di chi fosse figlio. Quando il cuoco, che era uscito per faccende, tornò e vide in mezzo alla cucina quel bel garzoncello, gli domandò chi era, come era entrato e che cosa era venuto a fare in quel luogo; e Miuccio, ricordando l'istruzione della madre, rispose che si era sperduto e che andava cercando padrone.
Tra questo dialogo sopravvenne lo scalco, che, veduto un fanciullo di tanto spirito, pensò che sarebbe stato adatto per paggio del re, e lo condusse nelle camere regali. Piacque subito al re, che lo vide cosi bello e grazioso, e lo tenne al servigio per paggio, al cuore per figlio, e gli fece insegnare tutti gli esercizi che convengono a un cavaliere; tanto che diventò il più virtuoso della corte.
Il re gli voleva bene più che al figliastro; onde la regina cominciò a prenderlo in uggia e a guardarlo con occhio di odio. L'invidia e la malevolenza guadagnavano tanto maggior terreno quanto più spianavano loro la strada i favori e le grazie che il re faceva a Miuccio. E la regina si propose di mettere tanto sapone alla scala della fortuna di quel giovane che alfine sdrucciolasse dall'alto giù al fondo.
Una sera che, dopo aver accordato in pieno i loro strumenti musicali, facevano una musica di discorsi tra loro, la regina disse al re che Miuccio si era vantato di poter fare tre castelli nell'aria. Il re, sia perché era curioso, sia per dar gusto alla moglie, quando al mattino la Luna, maestra delle Ombre, concede feria alle discepole per la festa del Sole, chiamò a sé Miuccio e gli ordinò che, per ogni conto, avesse fatto i tre castelli in aria, come se n'era vantato; altrimenti, avrebbe fatto fare a lui tre salti in aria. Miuccio, a tale richiesta, se ne andò nella sua camera e cominciò un amaro lamento sulla grazia dei principi, fragile come vetro, e sulla poca durata dei loro favori; e, mentre piangeva a calde lacrime, ecco l'uccello, che gli disse:
"Fa' cuore, o Miuccio, e non dubitare, perché hai con te persona come son io, capace di cavarti dal fuoco".
E gli ordinò di prendere molto cartone e colla, e, lavorati a quel modo tre grandi castelli, fece venire tre grossi grifoni, e a ciascuno legò ai piedi un castello, e quelli volarono per l'aria.
Goble W.
Miuccio chiamò il re, che accorse con tutta la corte a questo spettacolo, e che, ammirando l'ingegno del giovane, gli pose maggiore affetto e gli fece feste e carezze dell'altro mondo. Ciò fu aggiunta di neve all'invidia e di fuoco allo sdegno della regina, che, vedendo che il colpo non le era riuscito, non vegliava il giorno che non cercasse modo, e non dormiva la notte che non pensasse maniera, di levarsi dinanzi questo stecco degli occhi suoi, sicché, dopo pochi altri giorni, disse al re:
"Marito mio, ora è tempo di tornare alle grandezze passate e ai piaceri degli anni lontani, perché Miuccio si è offerto di accecare la fata e, con una spesa di occhi, farti ricomprare il regno perduto".
II re, che si senti toccare sul punto doloroso, immediatamente chiamò Miuccio e gli parlò:
"Resto assai meravigliato, o Miuccio, che, volendoti tanto bene e potendomi tu rimettere nel seggio dal quale sono capitombolato, te ne stai cosi spensierato e non procuri di togliermi dalla miseria in cui mi trovo, ridotto come sono da un regno a un bosco, da una città a un povero castelluccio e dal comandare a tanti ad esser appena servito da pochi domestici affamati, che affettano pane e scodellano broda. Perciò, se non vuoi cadere in disgrazia presso di me, corri subito ad accecare la maga che è in possesso della roba mia; e tu, serrando le botteghe di quegli occhi, aprirai il fondaco delle grandezze mie; spegnendo quelle lucerne, accenderai le lampade dell'onor mio, che stanno ora smorzate e fumose".
A questa proposta, Miuccio stava per rispondere che il re era mal informato e l'aveva tolto in iscambio, che egli non era corvo che cavasse gli occhi, né latrinaio che sturasse buchi; quando il re concluse:
"Non più parole! Cosi voglio, cosi sia fatto. Fa' conto che alla zecca del mio cervello ho messo in bilico la bilancia: di qua il premio, se fai quello che devi; di là il castigo, se lasci di fare quello che ti comando".
Miuccio, che non poteva cozzare con un sasso e aveva da fare con un uomo che guai a chi ci capitava, se ne andò a gemere in un angolo.
Ma sopraggiunse l'uccello e gli disse:
"È possibile, Miuccio, che ti perdi sempre in un bicchier di acqua? E, se io fossi stato ucciso, potresti fare un lamento pari a questo? Non sai che io ho più cura della tua vita che della mia stessa? Perciò, non ismarrirti e vienimi dietro, che vedrai che cosa sa fare Meniello",
E, preso a volare, con Miuccio che lo seguiva, si fermò in un bosco; e là si mise a cinguettare, e subito fu attorniato da una schiera di uccelli. Come se li vide intorno, esso domandò chi tra loro si confidasse di spegnere la vista alla maga; che gli avrebbe dato una salvaguardia contro gli artigli degli sparvieri e degli astori, e una carta franca contro gli schioppi, gli archetti, le balestre e i vischi dei cacciatori. Tra quegli uccelli. c'era una rondine, che, avendo fatto il suo nido a una trave della casa reale, aveva preso ad aborrire la maga, la quale, per eseguire i suoi maledetti incantamenti, più volte l'aveva cacciata dalla camera sua coi suffumigi. E quella, in parte per vendetta, in parte allettata dal premio che 1'uccello prometteva, si offerse ad eseguire la cosa.
Volò, dunque, la rondine, come una folgore, alla città, entrò nel palazzo reale, e qui vide la maga, che se ne stava distesa sopra un lettuccio, facendosi fare fresco col ventaglio da due damigelle. Subito la rondine le si mise a perpendicolo sugli occhi, e, lasciandovi cascare dentro il suo sterco, le tolse la vista. La maga, che vide a mezzogiorno la notte, e ben sapeva che con quella serrata di dogana terminava la mercanzia del suo regno, gettò strida da anima dannata e rinunziò allo scettro, correndo a rintanarsi in certe grotte, dove tanto batté la testa nella roccia, che fini i suoi giorni.
Andata via la maga, i consiglieri inviarono ambasciatori al re, che venisse a godere la casa propria, perché l'accecamento di quella gli aveva dato la luce del buon giorno; e, nello stesso punto che gli ambasciatori arrivarono, giunse anche Miuccio, che, istruito dall'uccello, cosi disse:
"T'ho servito di buona moneta: la maga è accecata, il regno è tuo; ma, se io merito ricompensa per il servigio che ti ho reso, non ne voglio altra se non che tu mi lasci stare coi miei malanni senza mettermi un'altra volta a pericoli".
Il re, dopo averlo abbracciato con grande amorevolezza, lo fece coprire e sedere accanto a sé; e se la regina ne crepò di rabbia, ve lo dica il Cielo, tanto che nell'arcobaleno di diversi colori, che si mostrò sul suo volto, si conobbe il vento delle rovine che macchinava nel cuore contro il povero Miuccio. Poco lungi dal castello, era un dragone ferocissimo, che nacque allo stesso parto con la regina, e gli astrologi, chiamati dal padre a strologare questo fatto, sentenziarono che tanto sarebbe campata la figlia sua quanto campava il dragone, e che, morendo l'uno, sarebbe morta necessariamente anche l'altra; e solo una cosa avrebbe potuto risuscitarla, cioè se le avessero unto le tempie, lo sterno, le nari e i polsi col sangue dello stesso dragone.
Von Bayros
Ora la regina, che conosceva la forza e la furia di quest'animale, pensò di mandargli Miuccio nelle granfie, sicura che se ne sarebbe fatto un sol boccone, e gli sarebbe stato come la fragola in bocca all'orso. Cominciò, dunque, a dire al re:
"Affé, che Miuccio è il tesoro della casa tua, e saresti ingrato se non l'amassi; tanto più che ha lasciato intendere di voler ammazzare il dragone, il quale, quantunque mi sia fratello, ti è cosi nemico, che io voglio piuttosto un pelo di mio marito che cento fratelli".
Il re, che odiava mortalmente il dragone e non sapeva come liberarsene, subito chiamò di nuovo Miuccio:
"So - gli disse - che tu metti il manico dovunque vuoi, e perciò, avendo fatto tanto e tanto per me, bisogna che mi faccia un altro piacere, e poi disponi di me a tua voglia. Va' in questo punto stesso e ammazza il dragone, che mi renderai un servigio segnalato e io te ne darò buon merito".
Miuccio stava per uscire fuori di sé, e, appena potè spiccicare parola, rispose:
"Cotesta, ora, è doglia di testa; ora, mi avete preso a vessare; è forse, la mia vita, latte di capra nera, che si può farne strapazzo? Non si tratta di una pera sbucciata, che mi si metta dinanzi alla bocca: si tratta di un dragone, che con le branche sbrana, con la testa sfonda, con la coda fracassa, coi denti stritola, con gli occhi infetta, col fiato uccide. Ora, perché volete mandarmi a morte? E questa la provvisione che mi è data per avervi dato un regno? Chi è quell'anima dannata che ha gettato sulla tavola questo dado? Chi è stato il figlio dell'inferno, che vi ha spinto a questi salti e gonfiato di queste parole?".
Il re, che era leggero come pallone a farsi balzare, ma duro più d'una pietra a sostenere quello che aveva detto una volta, puntò i piedi e disse:
"Hai fatto e fatto, e ora ti perdi al meglio. Ma non più parole! Va', togli questa peste dal regno mio; se no, ti tolgo la vita"
Miuccio sventurato, che si sentiva fare ora un favore ora una minaccia, ora una carezza alla faccia ora un calcio al deretano, ora una calda e ora una fredda, considerò quanto mutevoli fossero le fortune delle corti, e avrebbe voluto esser più che digiuno della conoscenza del re. Ma, sapendo che replicare agli uomini grandi è cosa da bestia, ed è come se si volesse pelare la barba al leone, si ritirò in disparte, maledicendo la sorte sua che l'aveva ridotto alla corte per fare corte le ore della propria vita. E, mentre, seduto sul gradino di una porta, con la faccia in mezzo alle ginocchia, lavava le scarpe col pianto e scaldava i contrappesi coi sospiri, ecco l'uccello con in becco un'erba, che gli gettò in grembo, dicendogli:
"Alzati, Miuccio, e assicurati che non giocherai a scarica l'asino dei giorni tuoi, ma a sbaraglino della vita del dragone. Prendi quest'erba e, arrivato alla grotta di quel brutto animale, gettala dentro, che subito gli verrà tal sonno sbardellato, che si piegherà a dormire; e tu, con un bel coltellaccio sotto le anche, fagli subito la festa, e vieni via, che le cose ti riusciranno meglio che non pensi. Basta, io so bene quel che dico, e abbiamo più tempo che danaro, e chi ha tempo ha vita".
Miuccio si alzò e, postosi tra i panni un grosso coltello e presa l'erba, si avviò alla grotta, la quale si apriva sotto una montagna di cosi buona statura che i tre monti, che fecero scala ai giganti, non le sarebbero arrivati alla cintura. E, quando fu all'entrata, gettò l'erba e, appiccato il sonno al dragone, cominciò a tagliare.
Nel tempo stesso che batteva col coltellaccio le carni dell'animale, la regina si sentiva intaccare il cuore; e, vistasi a mal termine, si accorse del suo errore, per essersi comprata a danari contanti la morte. Chiamò allora il marito e gli disse quello che avevano prognosticato gli astrologi, e che dalla vita del dragone pendeva la vita sua, e come sospettava che Miuccio avesse ucciso il dragone, giacché essa si sentiva mancare a poco a poco.
"Se sapevi - le disse il re - che la vita del dragone era puntello della tua e radice dei tuoi giorni, perché mi facesti mandare Miuccio? Chi ne ha la colpa? Tu ti sei fatto il male e tu lo piangi; tu hai rotto il gotto e tu lo paghi!".
"Non credevo mai - rispose la regina - che un mingherlino avesse tant'arte e tanta forza da gettare a terra un animale che faceva poca stima d'un esercito; e avevo in mente che vi avrebbe lasciato gli stracci. Ma, poiché ho fatto il conto senza l'oste e la barca dei miei disegni è andata a picco, fammi un piacere, se mi vuoi bene. Appena sarò morta, prendi una spugna, intrisa nel sangue del dragone, e ungimi tutte le estremità della persona prima di seppellirmi".
"Questa è poca cosa all'amore che ti porto - disse il re - e, se non basterà il sangue del dragone, vi metterò il mio per darti soddisfazione".
La regina voleva ringraziarlo, ma gli usci lo spirito con le parole, perché, in quel momento stesso, Miuccio aveva terminato il macello del dragone.
Quando egli giunse innanzi al re per dargli l'annunzio dell'opera eseguita, il re gli comandò che fosse tornato a raccogliere il sangue del dragone; e, curioso di vedere da vicino la prova che quello aveva compiuta con le mani, gli tenne dietro non visto.
All'uscita dal palazzo, l'uccello si fece incontro a Miuccio e gli domandò:
"Dove vai?".
"Vado dove mi manda il re, che mi fa andar su e giù come spola, e non mi lascia riposare un'ora".
"A che fare?".
"A prendere il sangue del dragone".
"Oh sciagurato te per cotesto sangue di dragone, il quale sarà per te sangue di toro, che ti creperà dentro! Con quel sangue rinascerà la mala semenza di tutti i tuoi travagli; che colei ti ha posto sempre a nuovi pericoli affinché tu vi lasci la vita; e il re, che si fa mettere la barda da una brutta strega, ti manda, come un trovatello, ad arrischiare la persona, che pure è sangue suo, che pure è broccolo di quella pianta. Lo scuso, perché non ti conosce, ma pure il moto del cuore dovrebbe essere spia della parentela, e i servigi che gli hai resi, e il guadagno che ora egli farebbe di un bello erede, dovrebbero costringerlo a prendere in grazia quella sventurata di Porziella, tua madre, che da quattordici anni oramai sta murata in una soffitta, dove sembra un tempio di bellezza, fabbricato in un camerino".
Il re, che aveva ascoltato ogni cosa, si trasse subito innanzi per udire con più particolarità come il fatto era andato, e, appreso che Miuccio era figlio di Porziella, rimasta incinta di lui, e che Porziella era ancora viva nella soffitta, subito ordinò che fosse smurata e condottagli davanti.
E, quando la vide più bella che mai per la buona cura che ne aveva avuta l'uccello, l'abbracciò con amore grande e non si saziava di stringere ora la madre ora il figlio, chiedendo perdono a quella del crudele trattamento che le aveva usato, e a questo dei pericoli a cui lo aveva posto.
E fece subito rivestire Porziella con le più ricche vesti della regina morta, e la prese per moglie. Offerse poi lo stato e tutto se stesso all'uccello, che aveva mantenuto in vita la povera giovane procurandole il cibo, e che aveva col consiglio aiutato il figliuolo a uscire dai pericoli.
Ma l'uccello disse che non voleva altro premio che Miuccio per marito, e si trasformò, nel dir cosi, in una bellissima giovane.
La richiesta fu accolta con grande gioia dal re e da Porziella, e, mentre la regina morta fu gettata in un tumulo, la coppia degli sposi colse piaceri a tomoli, e, per celebrare in modo più solenne le feste, si avviarono al loro regno, dove erano aspettati con gran desiderio.
E sempre riconobbero che la loro buona fortuna era venuta dalla fata pel beneficio resole da Porziella, perché alla fine delle fini:
Mai non si perde il bene che s'è fatto
Dalle note della traduzione dal Napoletano di Benedetto Croce:
"Una particolare attenzione - scrive Iacopo Grimm - merita la somiglianza che questa fiaba del Basile ha con la saga di Siegfried. La nascita secreta di Mluccio e il suo umile ufficio presso il cuoco ricordano la fanciullezza dell'eroe; l'uccello, che lo assiste di aiuto, ricorda quegli uccelli, dei quali il nordico Sigurd intende il linguaggio e da cui riceve e accetta consigli. La regina nemica si confronta con Brunhild, ed è insieme Reigen, che eccita alla lotta col dragone. Il dragone è anche qui il fratello della regina, la cui vita è legata alla sua. Essa vuole essere appunto spalmata col sangue di lui, al modo stesso che Reigen aspira al sangue del cuore di Dafner"
Il testo in lingua originale è nella Pagina: "G.B. Basile".
domenica 24 settembre 2017
Da Il Silmarillion di Tolkien - Ted Nasmith
L'Avvento degli Elfi alla Luce delle Stelle
Le Navi dei Teleri
Alqualondë, il Porto dei Teleri
L'Incendio delle Navi
Aulë, il Fabbro di Arda, Distrugge i Primi
Turin Scopre Nienor al Tumulo di Finduilas
sabato 16 settembre 2017
Bridget Cleary, l'Ultima Strega Uccisa in Irlanda - Changeling
Are you a witch, or are you a fairy
Or are you the wife of Michael Cleary?{1}
Bridget Boland (Bríd Ní Chléirigh) nacque nel 1869 a Ballyvadlea, Contea di Tipperary, in Irlanda. Incontrò il futuro marito, Michael Cleary, più grande di nove anni, a Clonmel, dove lui lavorava come bottaio e lei come apprendista sarta. Subito dopo le nozze, Bridget ritornò nel paese natìo e a vivere con i suoi genitori. Era una donna ambiziosa - come poteva esserlo una ragazza nata e cresciuta in un villaggio irlandese olezzante di fuoco di torba - e desiderava migliorare le proprie condizioni di vita. Prese ad allevare nidiate di pulcini e vendeva le uova ai vicini. Comprò una Singer, inaudita e rara modernità, e lavorò come sarta. Quando Michael, finalmente, si ricongiunse alla moglie, la trovò cambiata.
Morta la madre, il padre di Bridget andò a vivere con la figlia: aveva lavorato molti anni come operaio e i due coniugi ebbero l'opportunità di acquistare la più bella casa del villaggio tra quelle che noi chiameremmo di edilizia popolare. Pare che la casa fosse costruita su un forte delle Fate, circostanza contro la quale in Irlanda ci si tutela sempre e scrupolosamente. Ricordiamo che l'Irlanda era poverissima, che il livello di istruzione era indecente, e che la suddetta istruzione era dominata da un Cattolicesimo oscurantista, ma vessillo identitario per un popolo ansioso di affrancarsi dal dominio dagli occupanti inglesi e protestanti.
Una piccola prosperità poteva attirare la malevolenza e l'invidia non solo del vicinato, ma di un intero villaggio. La personalità indipendente e intraprendente di Bridget, la sua bellezza di cui cominciò ad avere più cura, e il fatto che, in otto anni di matrimonio, non fosse stata benedetta dalla nascita di un figlio, fecero il resto. Certamente si chiacchierava, certamente si sussurrava, ed è altamente probabile che anime buone avessero messo sull'avviso lo "sfortunato" marito, che, ignorante quanto e più dei compaesani, e, con ogni probabilità, affetto anche da turbe mentali [2], si convinse che la moglie non fosse la donna che aveva sposato, ma un changeling.
Nel marzo del 1895, il padre e il marito denunciarono la scomparsa di Bridget, all'epoca ventiseienne.
Giorni prima, Bridget si era recata, con il suo cestino di uova, al cottage di un cugino. Faceva molto freddo, il cottage era lontano e Bridget, non trovando nessuno in casa, aveva atteso a lungo, fuori, al gelo. Si era ammalata, pare si trattasse di una forte bronchite, e, dopo una settimana senza alcun miglioramento, era stato chiamato il medico del villaggio, che non ci capì nulla, ma che, evidentemente, aveva comunque constatato la gravità delle sue condizioni, poiché arrivò anche il prete, padre Ryan, per somministrarle l'Estrema Unzione. La povera Bridget, che era lucida anche se arsa dalla febbre, si spaventò presagendo la fine imminente, ma persino il suo naturale terrore di morire venne interpretato dai parenti come ripugnanza nei confronti dei sacramenti.
Nei due giorni che seguirono, il capezzale della povera donna fu molto frequentato: amici e parenti le somministrarono, senza successo, ogni sorta di rimedi popolari. Il famoso cugino del cottage, Jack, era uno stimato guaritore e, con il consenso di Michael Cleary, che non aveva alcuna fiducia nella medicina ufficiale, fece la sua parte, non solo rispetto a pozioni e quant'altro, ma appoggiando con fervore il padre e il marito che avevano incominciato a dichiararsi certi che l'ammalata fosse, in realtà un changeling: di conseguenza, dopo esser costretta ad ingurgitare erbe e pozioni, Bridget fu anche sottoposta al rito del "bagno" di urina. Benché debole e fiaccata dalla febbre e dal digiuno, Bridget si ribellò con tutte le sue forze e lottò contro "la cura". Quindi, venne trasportata accanto al fuoco del caminetto e minacciata con le molle del focolare (stringere il naso del changeling con le molle incandescenti era una pratica in uso per stanarlo) per costringere il malefico rappresentante del Piccolo Popolo che aveva sostituito la vera Bridget a manifestarsi. Oltre il marito, almeno nove persone la terrorizzarono e la torturarono, le sue grida disumane vennero udite in tutto il villaggio, ma nessuno intervenne. Anzi, i compaesani parteciparono come pubblico. E non ho dubbi che scattò il famigerato "Lo dicevo io!". Pare che Bridget si fosse rivolta audacemente al marito dicendo che, se qualcuno era stato sostituito dagli Elfi, quella era certamente sua madre. Pare che Michael Cleary avesse dato fuoco accidentalmente alla sua camicia da notte minacciandola con un tizzone, ma che avesse completato l'opera versandole addosso l'olio della lampada.
Quando Bridget, improvvisamente, scomparve, la polizia attenzionò il marito, il cui convincimento di avere a che fare con un changeling era di pubblico dominio. Mentre erano in corso le indagini, venne rinvenuto il corpo di Bridget, il 22 marzo, in una fossa scavata non lontano dalla sua casa. Il coroner dichiarò che era morta bruciata viva. Il marito e altre nove persone che avevano collaborato con lui alla "cura" vennero arrestati.
Il processo, naturalmente, ebbe grande eco non solo in Irlanda, ma in tutta la Gran Bretagna.
Nel 1893, il primo ministro britannico, William E. Gladstone, Liberale, aveva sostenuto per la seconda volta, con l'Home Rule Bill, le richieste di autonomia irlandesi e la nascita di un Parlamento autonomo a Dublino, progetto di legge che aveva già appoggiato nel 1886, e, per la seconda volta, ne uscì sconfitto. Il processo Cleary piombò in un'atmosfera politicamente pesantissima (lo stesso Partito Liberale si era spaccato subendo una scissione), in cui si metteva in discussione la capacità del popolo irlandese, oppresso dall'ignoranza, da un superstizioso Cattolicesimo e mai svincolato da profonde radici contadine, di autogovernarsi.
Se ne parlò anche in America. Il New York Times ne discusse più volte. In generale, si appoggiava la tesi della difesa: Michael Cleary era uno dei tanti Irlandesi rozzi ed ignoranti e non aveva mai avuto intenzione di uccidere la moglie, ma, credendo nel changeling, l'aveva pubblicamente torturata ed arsa viva nel tentativo di riavere indietro la "vera Bridget".
Non fu un processo simile a quelli dell'Inquisizione, non fu un processo alle streghe, né a chi le torturava ed uccideva, ma le credenze popolari ne furono parte integrante, e vennero usate dai difensori per spiegare la perversa condotta di Michael Cleary - che continuò a dichiararsi convinto di aver ucciso il changeling e non la propria moglie - e degli altri accusati.
Venne chiamato a testimoniare padre Ryan, il quale dichiarò che aveva trovato Bridget molto agitata ma lucida, e che il marito gli aveva confidato di non averle mai somministrato le medicine prescritte dal medico perché convinto che i rimedi popolari sarebbero stati più efficaci nel caso della moglie.
Altri, fra compaesani, parenti e vicini, testimoniarono dichiarandosi incerti se Bridget fosse già morta quando il marito le aveva dato fuoco, ma tutti concordarono che Michael Cleary aveva reagito violentemente ai loro tentativi di salvarla, gridando che, se lo avessero fatto, il Piccolo Popolo non gli avrebbe mai restituito la sua vera moglie.
Il tentativo degli avvocati della difesa di certificare, se non la veridicità del fenomeno del changeling, la "buona fede" di Cleary era comprensibile e legittimo. Purtroppo, la loro tesi venne in parte accolta: Cleary fu condannato a soli quindici anni di lavori forzati per omicidio colposo, scontati i quali, si trasferì a Liverpool, e, successivamente - si disse - in Canada. Degli altri nove imputati, solo quattro furono dichiarati colpevoli, ma di lesioni gravi, non di omicidio.
In Irlanda, Bridget Clairy non è ricordata, nell'immaginario popolare, come una vittima, ma come una strega che morì bruciata viva. E, poiché la partenza di Michael Cleary per il Canada rimase solo un'ipotesi riguardo la sua scomparsa dopo il soggiorno a Liverpool, si diffuse la credenza che fosse stato rapito dal Piccolo Popolo affinché subisse il castigo per aver ucciso "una di loro".
Come sempre, il Cristianesimo
si è appropriato di credenze antichissime.
In questo dipinto,
il Nemico sostituisce il neonato
con un piccolo diavolo.
si è appropriato di credenze antichissime.
In questo dipinto,
il Nemico sostituisce il neonato
con un piccolo diavolo.
[1] Come risulta evidente anche da questa celebre filastrocca irlandese, il sospetto che portò all'omicidio di Bridget Cleary riguardava il presunto changeling, sospetto che la credulità popolare ampliò, in alternativa, ad una supposta natura malefica della donna. Raccontando questa storia vera, spesso si falsano le principali circostanze, l'omicidio viene descritto come un esorcismo, come se nel corpo della povera Bridget coabitassero la sua anima e un intruso soprannaturale; in breve, il changeling, ovvero la sostituzione di un essere umano con un folletto che ne assume le sembianze, diventa una possessione. Invece, come risulta dai verbali del processo, lo stesso Michael Cleary ai pochi che tentarono di spegnere le fiamme che avvolgevano la moglie gridava:"Non lo fate! Altrimenti i folletti non mi rimanderanno mai indietro Bridget!"
Oppure, benevolmente o malevolmente, si continua a parlare di Bridget come dell'ultima "strega" bruciata in Irlanda. Marito, parenti e compaesani si erano convinti che quella non fosse Bridget, ma un changeling, un essere certamentr maligno, ma che nulla aveva a che fare con lei, se non averla sostituita. Mai si è parlato di traffici di Bridget con il Nemico.
La sottolineatura di certi comportamenti "audaci", della relativa prosperità spiegano il terreno fertile per ciò che sarebbe accaduto in seguito.
[2] A proposito di Michael Cleary, si è ipotizzato che fosse affetto dalla Sindrome di Capgras, o delirio del Sosia.
"Nel 1923 Jean Marie Josef Capgras e Reboul-Lachaux, descrissero una sindrome delirante atipica: l'illusion des sosies (Capgras J, Reboul-lachaux J, 1923) nominata in seguito Sindrome di Capgras (SC). Il fenomeno psicopatologico patognomonico della SC è rappresentato dalla convinzione delirante che le persone affettivamente significative per il paziente siano state sostituite da sosia impostori e in rari casi è il paziente stesso a sentirsi sostituito. [...] e il sosia assume spesso aspetti ostili e minacciosi.
La Sindrome di Capgras si presenta in associazione a disturbi psichiatrici: Schizofrenia Paranoidea, Disturbi dell’Umore, o in associazione a disturbi organici: demenze Alzheimer, a corpi di Lewy, Parkinson, malattie cerebrovascolari-ictus, epilessia, alcolismo, encefaliti.
E' comunque comunque sempre presente una marcata componente paranoidea, indipendentemente dalla patologia clinica cui si associa."
Da:www.neuroscienze.it.
***
Ovviamente, per saperne di più sul changeling, basta consultare le etichette o tags, ma segnalo qualche post particolarmente attinente.
"Quante Ultime Streghe Sono State Uccise in Italia?"
"Le Fate di Rahonain ed Elizabeth Shea", Jeremiah Curtin
"... La storia venne richiamata da una domanda riguardo ad una pratica in uso tra le Fate (e che pare essere abbastanza comune), quella del portare via delle persone e lasciare dei sostituti al loro posto.
Pare che questi sostituti siano cadaveri, quando le persone rapite sono giovani donne in età da marito. Quando viene presa una donna sposata, viene messo al suo posto il simulacro di un defunto. Quando viene rapito un bambino, ne viene posta nella culla una imitazione vivente. Il sostituto appare ai genitori come il proprio figlio, ma a chiunque abbia la visione fatata l'inganno appare nella sua vera forma...
Il che si evince dalle parole della stessa Elizabeth Shea:
'Ho passato - disse - tre mesi a Rahonain, all'inizio nutrendo un bambino che vi era dentro, ma in seguito sono stata portata al Forte nel luogo dove vivo ora, a Lismore. Non ho ancora assaggiato cibo nel Forte - disse - ma, trascorsi sette anni sarò costretta a mangiare e bere, a meno che qualcuno non mi salvi. Non posso fuggire da sola.'"
"Jamie Freel e la Fanciulla Rapita"
Da: "Fiabe Irlandesi", (Fairy and Folk Tales of Ireland), W.B.Yeats.
Nel corso di una scorribanda al seguito del Piccolo Popolo, Jamie Freel assiste al rapimento di una giovane, che riesce a sottrarre agli Elfi.
... La compagnia smontò da cavallo vicino a una finestra e Jamie vide un volto meraviglioso adagiato sul cuscino in un letto. Vide la fanciulla che veniva sollevata e portata via, mentre il ciocco che era stato poggiato al suo posto nel letto ne prendeva in tutto e per tutto la forma...
Dopo la liberazione e il suo soggiorno, in casa di Jamie Freel, la fanciulla viene riportata a casa sua, a Dublino, ma i genitori non la riconoscono.
"Caro padre - disse lei - non mi riconoscete?"
"Ma come osate chiamarmi padre? - gridò irato l'anziano gentiluomo - Siete una bugiarda. Io non ho una figlia."
"Guardate il mio viso, padre, e certamente vi ricorderete di me."
"Mia figlia è morta e sepolta. È scomparsa molto tempo fa.".
In genere, dopo l'agnizione finale, viene riaperta la tomba della persona rapita, e si scopre che, al suo interno, c'è solo un ceppo. Inoltre, il più delle volte, l'essere umano liberato non sopravvive comunque, "non è mai più lo stesso", e si spegne lentamente.
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lunedì 11 settembre 2017
Hänsel e Gretel, Grimm n.15 (versione integrale) - Traduzione Mia
Non lontano da una grande foresta abitava un povero taglialegna che riusciva a stento a sfamare se stesso, sua moglie e i suoi due bambini, Hänsel e Gretel. Infine, la carestia si abbatté sul paese e l'uomo non poté più procurarsi neanche il pane quotidiano, e non sapeva a che santo votarsi. Una notte, mentre si voltava e rivoltava nel letto in preda all'angoscia, la moglie gli disse:
"Ascolta, marito mio, domattina all'alba, prendiamo i bambini e conduciamoli nel bosco, là dov'è più fitto. Accendiamo un fuoco, diamo loro un pezzetto di pane e poi ci allontaneremo per lavorare, e li abbandoneremo laggiù. Non ce la facciamo più a nutrirli."
"No, moglie - disse l'uomo - non ho il cuore di abbandonare i miei amati bambini nel bosco. Le bestie feroci non tarderebbero ad arrivare e li sbranerebbero."
"Sciocco! - disse la donna - Se non lo fai, non ti resta che piallare le tavole per le nostre bare poiché moriremo tutti e quattro di fame".
E non lo lasciò in pace finché l'uomo non acconsentì. Ma la compassione per i suoi poveri bambini gli spezzava il cuore.
Anche i bambini erano svegli - non riuscivano a dormire perché avevano troppa fame - e udirono le parole della madre. Gretel pensò che per loro fosse finita e incominciò a piangere disperatamente, ma Hänsel le disse:
"Non piangere più, Gretel, non angosciarti, ci penso io."
Si alzò, si infilò la giacchetta, aprì lo sportello inferiore della porta di casa e scivolò fuori. La luna splendeva chiara e i sassolini bianchi brillavano come monete nuove di zecca. Hänsel se ne riempì le tasche della giacchetta e tornò a casa.
"Chetati, Gretel e dormi tranquilla", disse. Si rimise di nuovo a letto e si addormentò.
Ai primi chiarori dell'alba, la madre andò a svegliarli:
"Alzatevi pigroni, vogliamo andare a far legna nel bosco. Eccovi un pezzetto di pane, ma serbàtelo per il pranzo perché non avrete altro."
Gretel conservò i due tozzi di pane sotto il grembiule perché Hänsel aveva le tasche piene di sassolini, e si incamminarono alla volta della grande foresta. Dopo un po', Hänsel si fermò e si voltò a guardare verso casa; e continuò a farlo per un bel pezzetto di strada.
Il padre disse:
"Hänsel, ma che fai? Perché ti fermi a guardare indietro? Muoviti!"
"Ah, padre, guardo solo il mio gattino bianco che è salito sul tetto per dirmi addio."
E la madre:
"Sciocco, non è il tuo gattino, ma il primo sole che brilla sul comignolo".
Hänsel non guardava il suo gattino, ma, di tanto in tanto, si fermava per lasciar cadere lungo il sentiero i sassolini bianchi e lucenti che nascondeva in tasca.
Quando giunsero nel folto del bosco, il padre disse:
"Ora raccogliete un po' di legna, bambini, voglio accendere un bel fuoco, così non congelerete".
Hänsel e Gretel raccolsero dei rami secchi e ne fecero un mucchietto. Accesero il fuoco, e, quando la fiamma divampò, la madre disse:
"Coricatevi accanto al fuoco e dormite, noi andiamo a spaccar legna più in là. Aspettate finché non torniamo a prendervi".
Hänsel e Gretel rimasero accanto al fuoco fino a mezzogiorno, poi ognuno mangiò il proprio pezzetto di pane. Aspettarono e aspettarono, e, infine, le loro palpebre si chiusero, e, quando si svegliarono, era già notte [1]. Gretel scoppiò a piangere, ma Hänsel le disse:
"Aspetta, tra un po' sorgerà la luna."
E, quando la luna si levò alta nel cielo, prese Gretel per mano: i ciottoli bianchi brillavano come monetine nuove di zecca e indicavano loro il cammino.
Camminarono per tutta la notte, e, la mattina dopo, tornarono a casa. Il padre si rallegrò sinceramente quando vide i suoi bambini poiché abbandonarli gli aveva spezzato il cuore, mentre la madre finse di rallegrarsi, ma, segretamente, era furiosa [2].
Non passò molto tempo che il pane tornò a scarseggiare in casa, e, una sera, Hänsel e Gretel udirono la madre che, a letto, diceva al padre:
"La prima volta i bambini hanno ritrovato la strada di casa e io ho fatto buon viso, ma adesso siamo di nuovo alle strette: nella dispensa c'è solo una mezza pagnotta rafferma. Domani dobbiamo condurli ancòra più lontano nel bosco perché non ritrovino la strada. Non c'è altro rimedio".
L'uomo si sentì stringere il cuore e pensò che sarebbe stato meglio dividere l'ultimo boccone di pane con i suoi bambini, ma, dal momento che aveva già ceduto una volta, non poté dire di no.
I bambini udirono la conversazione dei genitori. Hänsel si alzò per raccogliere di nuovo i sassolini bianchi, ma, quando raggiunse la porta, scoprì che la madre l'aveva chiusa a chiave. Tuttavia, consolò Gretel e disse:
"Dormi, mia cara Gretel, il buon Dio ci aiuterà".
Il mattino dopo, all'alba, la madre li svegliò e diede loro due tozzi di pane ancòra più piccoli della volta precedente. Strada facendo, Hänsel sbriciolava il pezzetto di pane, che teneva in tasca, e si attardava per lasciarne un po' lungo il sentiero.
"Hänsel, perché ti fermi a guardare indietro? - disse il padre - Muoviti!"
"Ah, padre, guardo solo il mio piccioncino che si è posato sul tetto per dirmi addio."
E la madre:
"Sciocco, non è il tuo piccioncino, ma il primo sole che brilla sul comignolo".
Ma Hänsel sbriciolò l'intero tozzo di pane e gettò le molliche lungo il sentiero.
La madre li condusse ancòra più addentro nel bosco, là dove i bambini non erano mai stati in vita loro. Accesero il fuoco e la madre disse:
"Bambini, sdraiatevi accanto al fuoco, e, se avete sonno, dormite pure. Stasera, quando avremo finito di lavorare, verremo a prendervi"
A mezzogiorno, Gretel divise il suo tozzo di pane con Hänsel, che aveva sbriciolato il suo lungo il sentiero. Si addormentarono, e calò la sera, ma nessuno venne a prendere i poveri bambini. Si svegliarono che era notte. Hänsel confortò Gretel e le disse:
"Aspetta, tra un po' sorgerà la luna: e potrò vedere le briciole di pane che ho sparso e che ci mostreranno la via di casa".
La luna si levò alta nel cielo, ma, quando Hänsel cercò le briciole non le trovò: le migliaia di uccellini che volavano nel bosco le avevano viste e le avevano mangiate. Hänsel disse a Gretel:
"Non preoccuparti, troveremo ugualmente il sentiero"
Ma si persero nella grande foresta: camminarono tutta la notte e poi tutto il giorno seguente, dalla mattina alla sera, ed erano affamati poiché si erano nutriti solo di poche bacche. Erano esausti, le gambe non li reggevano più, così si sdraiarono sotto un albero e si addormentarono.
Il terzo giorno - era ormai mezzogiorno - giunsero a una casina fatta di pane e ricoperta di dolci, e aveva le finestre di zucchero trasparente [3].
"Forza, finalmente potremo sfamarci - disse Hänsel - Io mangerò un pezzo di tetto, e tu, Gretel, assaggia un pezzo di finestra: sembra molto buona"
Quando Gretel incominciò a rosicchiare lo zucchero, una voce gentile gridò dall'interno:
E, all'improvviso, la porta della casetta si aprì e una vecchia decrepita uscì zoppicando e
appoggiandosi ad una gruccia.
Hänsel e Gretel si spaventarono moltissimo, tanto che lasciarono cadere il cibo che avevano in mano. Ma la vecchia tentennò il capo e disse:
"Ah, cari bambini, come siete arrivati fin qui? Venite, venite. Non vi accadrà nulla di male".
Li prese per mano e li condusse all'interno della casina.
Offrì loro latte e frittelle ricoperte di zucchero, mele e noci, poi li accompagnò a due bei lettini candidi, e Hänsel e Gretel si coricarono e pensavano di essere in Paradiso.
Ma la vecchia, nonostante la gentilezza dei modi, era una strega cattiva che attendeva avidamente l'arrivo di qualche sfortunato bambino, e che, proprio per attirare i bambini, aveva costruito la casetta di pane e dolciumi. Quando un bambino cadeva nelle sue mani, lo uccideva, lo cucinava e lo mangiava, e per lei quello era un giorno di festa grande, ed era felicissima che Hänsel e Gretel fossero capitati lì.
L'indomani mattina, alle prime luci dell'alba, si alzò e andò accanto ai lettini, e, quando vide i bambini dormire tranquilli, si rallegrò pensando che avrebbe banchettato sontuosamente.
Poi afferrò Hänsel e lo rinchiuse in una stia. Quando questi si svegliò, si trovò circondato da una grata, come un pollo all'ingrasso, e non poteva muovere che pochi passi. Quindi, la vecchia svegliò Gretel scuotendola rudemente e gridò:
"Alzati, pigrona, attingi l'acqua, e va' in cucina a preparare qualcosa di buono per tuo fratello che ho messo all'ingrasso nella stia, e, quando sarà più in carne, me lo mangerò".
Gretel si spaventò e pianse amaramente, ma dovette fare quello che voleva la strega.
E così ogni giorno venivano cucinati per Hänsel i manicaretti più squisiti poiché doveva ingrassare, mentre a Gretel non toccavano che gusci di gambero. E ogni giorno Hänsel doveva sporgere un dito per saggiare se fosse ingrassato, ma Hänsel tendeva sempre un ossicino e la strega si meravigliava che non volesse proprio saperne di ingrassare.
Dopo quattro settimane, la strega disse a Gretel:
"Vai ad attingere l'acqua, svelta: grasso o magro che sia, domani ammazzerò il tuo fratellino e lo cucinerò a fuoco lento; nel frattempo impasterò il pane da cuocere nel forno".
Con il cuore pesante, Gretel portò l'acqua nella quale doveva essere cucinato Hänsel. Il mattino dopo, dovette alzarsi all'alba, accendere il fuoco e appendere al gancio il paiolo pieno d'acqua.
"Adesso - disse la strega - Accendo il fuoco nel forno per cuocere il pane".
Gretel era in cucina e piangeva lacrime di sangue e pensava: 'Ah, ci avessero divorato le bestie feroci nel bosco! Almeno saremmo morti insieme e non avrei dovuto sopportare la pena di far bollire l'acqua che deve servire per uccidere mio fratello. Che il buon Dio ci aiuti, poveri infelici!'
La vecchia gridò: "Gretel, vieni subito qui, vicino al forno! - e, quando Gretel arrivò, disse - Da' un'occhiata dentro per controllare se il pane è ben cotto e dorato, io ci vedo poco e non ci riesco. Siedi sulla pala e ti spingerò dentro, così potrai guardare da vicino".
La strega malvagia meditava, una volta che Gretel si fosse seduta sulla pala, di spingerla nel forno di chiudere lo sportello alle sue spalle e di farla arrostire, per mangiare anche lei. Ma, ispirata da Dio, Gretel chiese ala strega di mostrarle come fare. La vecchia si sedette sula pala e Gretel la spinse più in fondo possibile; poi chiuse in fretta lo sportello del forno e mise il paletto di ferro. Allora la strega incominciò a gridare e a lamentarsi nel forno rovente, ma Gretel scappò via, e la vecchia malvagia arse miseramente.
Gretel corse da Hänsel, aprì la porticina della stia e lo liberò, e i due bambini si abbracciarono, piangendo di gioia. La casa della strega era piena di perle e di pietre preziose, Hänsel e Gretel se ne riempirono le tasche e corsero a casa. Il padre, che non aveva avuto un'ora di serenità da quando li aveva abbandonati nel bosco, li accolse con grande gioia. La madre, nel frattempo, era morta.
[1] Nell'edizione definitiva, i bambini credono che i genitori siano ancòra nel bosco perché un ramo legato ad un albero, e mosso dal vento, ricorda il rumore dell'ascia. Non è specificato che sia un inganno dei genitori, ma è sottinteso.
[2] Nell'edizione definitiva, la madre non si limita a far buon viso a cattivo gioco, ma accusa i bambini di aver bighellonato in giro.
[3] Nell'edizione definitiva:
"Il terzo giorno, verso mezzogiorno, scorsero un bellissimo uccellino bianco come la neve, che, posato su un ramo, cantava così melodiosamente che si fermarono per ascoltare. Quando il canto cessò, spiegò le ali e spiccò il volo e i bambini lo seguirono. L'uccellino li guidò fino ad una casina...".
Avrei voluto tradire la traduzione del 1812 e inserire questo episodio. Nella mitologia e nella tradizione popolare, dal nord dell'Europa al Medio Oriente pre-islamico ed islamico, le anime dei bambini morti si incarnano in un uccellino bianco, azzurro o verde (v. Il Ginepro). Che un bambino presumibilmente vittima della strega guidi Hänsel e Gretel verso lo stesso destino sembra improbabile, a meno che non si tenga presente il fenomeno dell'Inversione.
[4] Nell'edizione definitiva:
"I bambini risposero:
"E' solo il vento,
Il fanciullo celeste".
E continuarono tranquillamente a mangiare. Hänsel staccò un bel pezzo di dolce dal tetto e lo lasciò cadere per Gretel, che, seduta sul prato, gustava un vetro rotondo che aveva staccato dalla finestra..."
[5] Nell'edizione definitiva:
"... Giunsero a un grande fiume e non sapevano come attraversarlo. La sorellina scorse un'anatrella bianca e le gridò: 'Ah, anatrella cara, portaci sul tuo dorso!'
A queste parole, l'anatra bianca si avvicinò nuotando e trasportò prima Gretel e poi Hänsel sull'altra sponda del fiume... "
E con questo si chiude il cerchio. L'uccello bianco che li conduce nella casa della padrona degli animali, della vecchia nel bosco, il grande fiume (il fiume Giordano nelle fiabe italiane) che è il confine tra il mondo dei Morti e il mondo dei Vivi, e di nuovo un uccello bianco che rivela la sua funzione di psicopompo e traghetta i bambini sull'altra riva.
Grimm n.15, "Hänsel und Gretel".
Classificazione: AaTh 327A [Hansel and Gretel] Aa Th 1121, [Burning the Witch in Her Own Oven].
Traduzione e note: Mab's Copyright
Il testo in lingua originale è nella Pagina: "Brüder Grimm".
"Ascolta, marito mio, domattina all'alba, prendiamo i bambini e conduciamoli nel bosco, là dov'è più fitto. Accendiamo un fuoco, diamo loro un pezzetto di pane e poi ci allontaneremo per lavorare, e li abbandoneremo laggiù. Non ce la facciamo più a nutrirli."
Russian Artist (I don't know his name)
"No, moglie - disse l'uomo - non ho il cuore di abbandonare i miei amati bambini nel bosco. Le bestie feroci non tarderebbero ad arrivare e li sbranerebbero."
"Sciocco! - disse la donna - Se non lo fai, non ti resta che piallare le tavole per le nostre bare poiché moriremo tutti e quattro di fame".
E non lo lasciò in pace finché l'uomo non acconsentì. Ma la compassione per i suoi poveri bambini gli spezzava il cuore.
Anche i bambini erano svegli - non riuscivano a dormire perché avevano troppa fame - e udirono le parole della madre. Gretel pensò che per loro fosse finita e incominciò a piangere disperatamente, ma Hänsel le disse:
"Non piangere più, Gretel, non angosciarti, ci penso io."
Si alzò, si infilò la giacchetta, aprì lo sportello inferiore della porta di casa e scivolò fuori. La luna splendeva chiara e i sassolini bianchi brillavano come monete nuove di zecca. Hänsel se ne riempì le tasche della giacchetta e tornò a casa.
"Chetati, Gretel e dormi tranquilla", disse. Si rimise di nuovo a letto e si addormentò.
Jeffers Susan
Ai primi chiarori dell'alba, la madre andò a svegliarli:
"Alzatevi pigroni, vogliamo andare a far legna nel bosco. Eccovi un pezzetto di pane, ma serbàtelo per il pranzo perché non avrete altro."
Gretel conservò i due tozzi di pane sotto il grembiule perché Hänsel aveva le tasche piene di sassolini, e si incamminarono alla volta della grande foresta. Dopo un po', Hänsel si fermò e si voltò a guardare verso casa; e continuò a farlo per un bel pezzetto di strada.
Il padre disse:
"Hänsel, ma che fai? Perché ti fermi a guardare indietro? Muoviti!"
"Ah, padre, guardo solo il mio gattino bianco che è salito sul tetto per dirmi addio."
E la madre:
"Sciocco, non è il tuo gattino, ma il primo sole che brilla sul comignolo".
Hänsel non guardava il suo gattino, ma, di tanto in tanto, si fermava per lasciar cadere lungo il sentiero i sassolini bianchi e lucenti che nascondeva in tasca.
Quando giunsero nel folto del bosco, il padre disse:
"Ora raccogliete un po' di legna, bambini, voglio accendere un bel fuoco, così non congelerete".
Hänsel e Gretel raccolsero dei rami secchi e ne fecero un mucchietto. Accesero il fuoco, e, quando la fiamma divampò, la madre disse:
"Coricatevi accanto al fuoco e dormite, noi andiamo a spaccar legna più in là. Aspettate finché non torniamo a prendervi".
Hänsel e Gretel rimasero accanto al fuoco fino a mezzogiorno, poi ognuno mangiò il proprio pezzetto di pane. Aspettarono e aspettarono, e, infine, le loro palpebre si chiusero, e, quando si svegliarono, era già notte [1]. Gretel scoppiò a piangere, ma Hänsel le disse:
"Aspetta, tra un po' sorgerà la luna."
Jeffers Susan
E, quando la luna si levò alta nel cielo, prese Gretel per mano: i ciottoli bianchi brillavano come monetine nuove di zecca e indicavano loro il cammino.
Camminarono per tutta la notte, e, la mattina dopo, tornarono a casa. Il padre si rallegrò sinceramente quando vide i suoi bambini poiché abbandonarli gli aveva spezzato il cuore, mentre la madre finse di rallegrarsi, ma, segretamente, era furiosa [2].
Andrew Simanchuk
Non passò molto tempo che il pane tornò a scarseggiare in casa, e, una sera, Hänsel e Gretel udirono la madre che, a letto, diceva al padre:
"La prima volta i bambini hanno ritrovato la strada di casa e io ho fatto buon viso, ma adesso siamo di nuovo alle strette: nella dispensa c'è solo una mezza pagnotta rafferma. Domani dobbiamo condurli ancòra più lontano nel bosco perché non ritrovino la strada. Non c'è altro rimedio".
L'uomo si sentì stringere il cuore e pensò che sarebbe stato meglio dividere l'ultimo boccone di pane con i suoi bambini, ma, dal momento che aveva già ceduto una volta, non poté dire di no.
I bambini udirono la conversazione dei genitori. Hänsel si alzò per raccogliere di nuovo i sassolini bianchi, ma, quando raggiunse la porta, scoprì che la madre l'aveva chiusa a chiave. Tuttavia, consolò Gretel e disse:
"Dormi, mia cara Gretel, il buon Dio ci aiuterà".
Il mattino dopo, all'alba, la madre li svegliò e diede loro due tozzi di pane ancòra più piccoli della volta precedente. Strada facendo, Hänsel sbriciolava il pezzetto di pane, che teneva in tasca, e si attardava per lasciarne un po' lungo il sentiero.
"Hänsel, perché ti fermi a guardare indietro? - disse il padre - Muoviti!"
"Ah, padre, guardo solo il mio piccioncino che si è posato sul tetto per dirmi addio."
E la madre:
"Sciocco, non è il tuo piccioncino, ma il primo sole che brilla sul comignolo".
Don Daily
Ma Hänsel sbriciolò l'intero tozzo di pane e gettò le molliche lungo il sentiero.
La madre li condusse ancòra più addentro nel bosco, là dove i bambini non erano mai stati in vita loro. Accesero il fuoco e la madre disse:
"Bambini, sdraiatevi accanto al fuoco, e, se avete sonno, dormite pure. Stasera, quando avremo finito di lavorare, verremo a prendervi"
A mezzogiorno, Gretel divise il suo tozzo di pane con Hänsel, che aveva sbriciolato il suo lungo il sentiero. Si addormentarono, e calò la sera, ma nessuno venne a prendere i poveri bambini. Si svegliarono che era notte. Hänsel confortò Gretel e le disse:
"Aspetta, tra un po' sorgerà la luna: e potrò vedere le briciole di pane che ho sparso e che ci mostreranno la via di casa".
La luna si levò alta nel cielo, ma, quando Hänsel cercò le briciole non le trovò: le migliaia di uccellini che volavano nel bosco le avevano viste e le avevano mangiate. Hänsel disse a Gretel:
"Non preoccuparti, troveremo ugualmente il sentiero"
Ma si persero nella grande foresta: camminarono tutta la notte e poi tutto il giorno seguente, dalla mattina alla sera, ed erano affamati poiché si erano nutriti solo di poche bacche. Erano esausti, le gambe non li reggevano più, così si sdraiarono sotto un albero e si addormentarono.
Jeffers Susan
Il terzo giorno - era ormai mezzogiorno - giunsero a una casina fatta di pane e ricoperta di dolci, e aveva le finestre di zucchero trasparente [3].
"Forza, finalmente potremo sfamarci - disse Hänsel - Io mangerò un pezzo di tetto, e tu, Gretel, assaggia un pezzo di finestra: sembra molto buona"
Quando Gretel incominciò a rosicchiare lo zucchero, una voce gentile gridò dall'interno:
"Rosicchia, rosicchia, topolina,
Chi rosicchia la mia casina?"
E, all'improvviso, la porta della casetta si aprì e una vecchia decrepita uscì zoppicando e
appoggiandosi ad una gruccia.
Vogel
Hänsel e Gretel si spaventarono moltissimo, tanto che lasciarono cadere il cibo che avevano in mano. Ma la vecchia tentennò il capo e disse:
"Ah, cari bambini, come siete arrivati fin qui? Venite, venite. Non vi accadrà nulla di male".
Li prese per mano e li condusse all'interno della casina.
Offrì loro latte e frittelle ricoperte di zucchero, mele e noci, poi li accompagnò a due bei lettini candidi, e Hänsel e Gretel si coricarono e pensavano di essere in Paradiso.
Lucia Campinoti
Ma la vecchia, nonostante la gentilezza dei modi, era una strega cattiva che attendeva avidamente l'arrivo di qualche sfortunato bambino, e che, proprio per attirare i bambini, aveva costruito la casetta di pane e dolciumi. Quando un bambino cadeva nelle sue mani, lo uccideva, lo cucinava e lo mangiava, e per lei quello era un giorno di festa grande, ed era felicissima che Hänsel e Gretel fossero capitati lì.
L'indomani mattina, alle prime luci dell'alba, si alzò e andò accanto ai lettini, e, quando vide i bambini dormire tranquilli, si rallegrò pensando che avrebbe banchettato sontuosamente.
Don Daily
Poi afferrò Hänsel e lo rinchiuse in una stia. Quando questi si svegliò, si trovò circondato da una grata, come un pollo all'ingrasso, e non poteva muovere che pochi passi. Quindi, la vecchia svegliò Gretel scuotendola rudemente e gridò:
"Alzati, pigrona, attingi l'acqua, e va' in cucina a preparare qualcosa di buono per tuo fratello che ho messo all'ingrasso nella stia, e, quando sarà più in carne, me lo mangerò".
Gretel si spaventò e pianse amaramente, ma dovette fare quello che voleva la strega.
Don Daily
E così ogni giorno venivano cucinati per Hänsel i manicaretti più squisiti poiché doveva ingrassare, mentre a Gretel non toccavano che gusci di gambero. E ogni giorno Hänsel doveva sporgere un dito per saggiare se fosse ingrassato, ma Hänsel tendeva sempre un ossicino e la strega si meravigliava che non volesse proprio saperne di ingrassare.
Dopo quattro settimane, la strega disse a Gretel:
"Vai ad attingere l'acqua, svelta: grasso o magro che sia, domani ammazzerò il tuo fratellino e lo cucinerò a fuoco lento; nel frattempo impasterò il pane da cuocere nel forno".
Con il cuore pesante, Gretel portò l'acqua nella quale doveva essere cucinato Hänsel. Il mattino dopo, dovette alzarsi all'alba, accendere il fuoco e appendere al gancio il paiolo pieno d'acqua.
"Adesso - disse la strega - Accendo il fuoco nel forno per cuocere il pane".
Gretel era in cucina e piangeva lacrime di sangue e pensava: 'Ah, ci avessero divorato le bestie feroci nel bosco! Almeno saremmo morti insieme e non avrei dovuto sopportare la pena di far bollire l'acqua che deve servire per uccidere mio fratello. Che il buon Dio ci aiuti, poveri infelici!'
La vecchia gridò: "Gretel, vieni subito qui, vicino al forno! - e, quando Gretel arrivò, disse - Da' un'occhiata dentro per controllare se il pane è ben cotto e dorato, io ci vedo poco e non ci riesco. Siedi sulla pala e ti spingerò dentro, così potrai guardare da vicino".
Don Daily
La strega malvagia meditava, una volta che Gretel si fosse seduta sulla pala, di spingerla nel forno di chiudere lo sportello alle sue spalle e di farla arrostire, per mangiare anche lei. Ma, ispirata da Dio, Gretel chiese ala strega di mostrarle come fare. La vecchia si sedette sula pala e Gretel la spinse più in fondo possibile; poi chiuse in fretta lo sportello del forno e mise il paletto di ferro. Allora la strega incominciò a gridare e a lamentarsi nel forno rovente, ma Gretel scappò via, e la vecchia malvagia arse miseramente.
Gretel corse da Hänsel, aprì la porticina della stia e lo liberò, e i due bambini si abbracciarono, piangendo di gioia. La casa della strega era piena di perle e di pietre preziose, Hänsel e Gretel se ne riempirono le tasche e corsero a casa. Il padre, che non aveva avuto un'ora di serenità da quando li aveva abbandonati nel bosco, li accolse con grande gioia. La madre, nel frattempo, era morta.
Don Daily
[1] Nell'edizione definitiva, i bambini credono che i genitori siano ancòra nel bosco perché un ramo legato ad un albero, e mosso dal vento, ricorda il rumore dell'ascia. Non è specificato che sia un inganno dei genitori, ma è sottinteso.
[2] Nell'edizione definitiva, la madre non si limita a far buon viso a cattivo gioco, ma accusa i bambini di aver bighellonato in giro.
[3] Nell'edizione definitiva:
"Il terzo giorno, verso mezzogiorno, scorsero un bellissimo uccellino bianco come la neve, che, posato su un ramo, cantava così melodiosamente che si fermarono per ascoltare. Quando il canto cessò, spiegò le ali e spiccò il volo e i bambini lo seguirono. L'uccellino li guidò fino ad una casina...".
Avrei voluto tradire la traduzione del 1812 e inserire questo episodio. Nella mitologia e nella tradizione popolare, dal nord dell'Europa al Medio Oriente pre-islamico ed islamico, le anime dei bambini morti si incarnano in un uccellino bianco, azzurro o verde (v. Il Ginepro). Che un bambino presumibilmente vittima della strega guidi Hänsel e Gretel verso lo stesso destino sembra improbabile, a meno che non si tenga presente il fenomeno dell'Inversione.
Lin Wang
[4] Nell'edizione definitiva:
"I bambini risposero:
"E' solo il vento,
Il fanciullo celeste".
E continuarono tranquillamente a mangiare. Hänsel staccò un bel pezzo di dolce dal tetto e lo lasciò cadere per Gretel, che, seduta sul prato, gustava un vetro rotondo che aveva staccato dalla finestra..."
[5] Nell'edizione definitiva:
"... Giunsero a un grande fiume e non sapevano come attraversarlo. La sorellina scorse un'anatrella bianca e le gridò: 'Ah, anatrella cara, portaci sul tuo dorso!'
A queste parole, l'anatra bianca si avvicinò nuotando e trasportò prima Gretel e poi Hänsel sull'altra sponda del fiume... "
E con questo si chiude il cerchio. L'uccello bianco che li conduce nella casa della padrona degli animali, della vecchia nel bosco, il grande fiume (il fiume Giordano nelle fiabe italiane) che è il confine tra il mondo dei Morti e il mondo dei Vivi, e di nuovo un uccello bianco che rivela la sua funzione di psicopompo e traghetta i bambini sull'altra riva.
Grimm n.15, "Hänsel und Gretel".
Classificazione: AaTh 327A [Hansel and Gretel] Aa Th 1121, [Burning the Witch in Her Own Oven].
Traduzione e note: Mab's Copyright
Il testo in lingua originale è nella Pagina: "Brüder Grimm".
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Traduzione Mia
mercoledì 6 settembre 2017
Il Changeling (Scandinavia)
ivevano un tempo, vicino al lago di Tiis, due persone sole che erano tristemente tormentate da un changeling dato loro dal popolo sotterraneo al posto del loro vero figlio, che non era stato battezzato in tempo. Questo changeling si comportava in maniera molto strana e insolita, perché quando non c‟era nessuno in giro era molto vigoroso, saltava sui muri come un gatto, sedeva sotto il tetto e urlava e gridava con forza; ma quando qualcuno era nella stanza con lui sedeva sonnecchiando alla fine della tavola. Era capace di mangiare per quattro e non gli importava di ciò che gli veniva messo davanti da mangiare; ma, pur non importandogli la qualità del suo cibo, come quantità non era mai soddisfatto e dava eccessivo disturbo a tutti in casa.
Quando per lungo tempo avevano cercato invano la maniera migliore per sbarazzarsi di lui, visto che con lui in casa non si viveva, una furba fanciulla disse che lo avrebbe scacciato dalla casa.
Mentre dunque lui era fuori nei campi, lei prese un maiale e lo uccise e ne mise la pelle, i peli e tutto in un budino nero, quindi glielo mise davanti quando tornò a casa. Egli cominciò, come suo uso, a trangugiarlo ma, quando ne ebbe mangiato per un po', cominciò a rallentare gli sforzi ed infine divenne calmo, con il coltello in mano, e si mise a guardare il budino. Alla fine, dopo essere rimasto così per un po', cominciò:
"Un budino con della pelle! Ed un budino con dei peli! Un budino con degli occhi! Ed un budino con delle zampe dentro! Bene, tre volte ho visto un giovane bosco presso il lago di Tiis, ma non ho mai visto un budino del genere! Il diavolo stesso potrebbe stare qui ora al mio posto!"
Dicendo ciò fuggì e non tornò mai più indietro.
Maurice Sendak
Di un altro changeling se ne sbarazzarono nel modo che segue.
La madre, sospettando che fosse tale perché rifiutava il cibo e cresceva così male, riscaldò il forno al massimo. La domestica, come da istruzioni, le chiese perché lo facesse.
"Per bruciare mio figlio in esso fino alla morte", fu la risposta.
Quando la domanda e la risposta furono pronunciate per tre volte, ella mise il bambino sulla pala da fornaio e lo stava mettendo dentro al forno quando una donna Troll entrò spaventatissima con il vero bambino e prese via il proprio dicendo:
"Eccoti il tuo bambino. L'ho trattato meglio di quanto tu abbia trattato il mio."
Ed invero era grasso e gioioso.
Da "Fate nordiche, francesi e medioevali", Thomas Keightley.
martedì 22 agosto 2017
domenica 20 agosto 2017
La Voce della Morte (Romania), Traduzione Mia
Tanto tanto tempo fa, accadde qualcosa.
Se non fosse mai accaduto, non sarebbe mai stato raccontato.
C'era una volta un uomo che pregava Dio ogni santo giorno perché gli concedesse la ricchezza.
Un giorno, le sue innumerevoli e pressanti preghiere trovarono Nostro Signore dell'umore giusto perché gli prestasse ascolto ed esaudisse il suo desiderio. Quando l'uomo divenne molto ricco, non accettò più di morire. Così, decise di mettersi in viaggio e di stabilirsi laddove fosse risaputo che la gente vivesse per sempre. Si preparò per il viaggio, raccontò alla moglie i suoi progetti e partì.
In ogni paese che raggiungeva chiedeva se là gli uomini morivano, e ripartiva immediatamente non appena riceveva una risposta affermativa. Infine, giunse in una terra i cui abitanti gli risposero che non sapevano cosa significasse la parola "morire". Al colmo della gioia, il viaggiatore chiese:
"Ma come mai non vedo un'immensa moltitudine di gente, dal momento che nessuno muore?"
"Vedi, il paese non è sovraffollato - fu la risposta - perché, di tanto in tanto, arriva qualcuno che chiama gli abitanti uno per uno, e chiunque decida di seguirlo non ritorna mai più"
"E gli abitanti possono vedere la persona che li chiama?"
"Perché non dovrebbero?" fu la risposta.
L'uomo non finiva di meravigliarsi della stupidità di coloro che seguivano la persona che li chiamava, benché sapessero che sarebbero stati obbligati a restare là dove li avrebbe condotti.
Ritornò a casa, radunò i suoi beni, e, con la moglie e i figli, andò a stabilirsi nel paese in cui la gente non moriva mai, ma, che, se seguiva il richiamo di un essere misterioso, non tornava più.
Aveva preso l'incrollabile decisione che né lui né la sua famiglia avrebbero mai seguito alcun richiamo, da chiunque provenisse.
Così, dopo che si fu ben sistemato ed ebbe avviato i suoi affari, avvertì moglie e figli che, se non volevano morire, avrebbero dovuto guardarsi dal seguire qualsiasi richiamo. E trascorsero diversi anni in pace, godendosi la vita.
Un giorno, mentre erano tutti riuniti nella loro bella casa, sua moglie, improvvisamente, prese a gridare:
"Arrivo, arrivo..."
E, intanto, si guardava intorno, cercando la sua giacca di pelliccia. Immediatamente, il marito balzò in piedi, le afferrò la mano e la rimproverò:
"Non tieni in alcun conto il mio avvertimento, quindi? Rimani qui se non vuoi morire!"
"Ma non senti che mi chiama? Andrò solo a vedere cosa vuole da me e tornerò subito indietro"
E lottava per liberarsi dalla stretta del marito. L'uomo, però, la teneva con mano ferma e ordinò che venissero sprangate tutte le porte della stanza. Allora, la moglie si calmò e disse:
"Lasciami sola, marito, non m'importa più di uscire".
L'uomo pensò che fosse rinsavita e avesse rinunciato al suo folle impulso, ma, pochi istanti più tardi, la moglie si precipitò verso la porta più vicina, la spalancò precipitosamente e corse fuori. Il marito la seguì, la trattenne per la pelliccia, supplicandola di non andare poiché non sarebbe mai più tornata. Lei abbandonò le braccia lungo il corpo, si piegò leggermente indietro, poi, al'improvviso, si slanciò in avanti, scivolando fuori dalla pelliccia che abbandonò nelle mani del marito, il quale rimase là, impietrito, mentre la donna correva via gridando:
"Arrivo! Arrivo!"
Quando la moglie sparì alla sua vista, l'uomo rientrò in sé, tornò a casa e disse:
"Se sei pazza e vuoi morire, allora va', in nome di Dio, non posso farci nulla. Infinite volte ho detto di non seguire alcun richiamo, da chiunque provenga!".
E passarono i giorni, e poi le settimane, i mesi e gli anni, e la pace della casa non fu più turbata.
Un giorno, mentre era, come tutte le mattine, nella bottega del barbiere per farsi radere e aveva già il mento insaponato, e il negozio era pieno di gente, l'uomo incominciò a urlare:
"Non vengo - mi senti? - Non vengo!"
Il barbiere e gli avventori erano sbalorditi. L'uomo, guardando verso la porta, riprese a gridare:
"Una volta per tutte: non ho alcuna intenzione di seguirti! Quindi, vattene!"
E dopo un po':
"Vattene - mi ascolti? - se vuoi salvare la pelle, perché ti ho ripetuto mille volte che non voglio venire!"
Poi, come se sull'uscio ci fosse qualcuno che continuava incessantemente a chiamarlo, l'uomo montò su tutte le furie e gli rivolse frasi deliranti perché non si decideva a lasciarlo in pace. Infine, balzò in piedi, e strappò il rasoio dalle mani del barbiere gridando:
"Dammi qua, ché gli mostri cosa succede a chi infastidisce la gente!"
E si precipitò all'inseguimento di colui che - diceva - continuava a chiamarlo, ma che nessun altro vedeva. Il povero barbiere, che non voleva perdere il suo rasoio, gli andò dietro. L'uomo correva, il barbiere correva finché uscirono dalle porte della città, e, appena fuori dalle mura, l'uomo precipitò in una voragine da cui non riemerse più. Così anche lui, nonostante la sua resistenza, aveva condiviso il destino di chi rispondeva al richiamo della Voce.
Il barbiere ritornò nella sua bottega senza fiato per la gran corsa, e raccontò a tutti ciò che era accaduto. In breve, per il paese si diffuse il convincimento che precipitare nella voragine fosse la sorte toccata a tutti quelli che avevano seguito il richiamo della Voce.
Quando una folla di cittadini si recò sul luogo della disgrazia, per vedere la voragine che aveva ingoiato tutta quella gente, e, tuttavia, non ne aveva mai abbastanza, non trovò nulla: pareva come se dall'inizio dei tempi, al posto del precipizio, si estendesse un'ampia pianura. E, da quel giorno, gli abitanti del paese incominciarono a morire proprio come tutti gli altri esseri umani di questo mondo.
"Romanian Fairy Tales", Mite Kremnitz.
Traduzione: Mab's Copyright.
Andrew Lang ha incluso questa storia ne "The Red Fairy Book".
Se non fosse mai accaduto, non sarebbe mai stato raccontato.
C'era una volta un uomo che pregava Dio ogni santo giorno perché gli concedesse la ricchezza.
Un giorno, le sue innumerevoli e pressanti preghiere trovarono Nostro Signore dell'umore giusto perché gli prestasse ascolto ed esaudisse il suo desiderio. Quando l'uomo divenne molto ricco, non accettò più di morire. Così, decise di mettersi in viaggio e di stabilirsi laddove fosse risaputo che la gente vivesse per sempre. Si preparò per il viaggio, raccontò alla moglie i suoi progetti e partì.
In ogni paese che raggiungeva chiedeva se là gli uomini morivano, e ripartiva immediatamente non appena riceveva una risposta affermativa. Infine, giunse in una terra i cui abitanti gli risposero che non sapevano cosa significasse la parola "morire". Al colmo della gioia, il viaggiatore chiese:
"Ma come mai non vedo un'immensa moltitudine di gente, dal momento che nessuno muore?"
"Vedi, il paese non è sovraffollato - fu la risposta - perché, di tanto in tanto, arriva qualcuno che chiama gli abitanti uno per uno, e chiunque decida di seguirlo non ritorna mai più"
"E gli abitanti possono vedere la persona che li chiama?"
"Perché non dovrebbero?" fu la risposta.
L'uomo non finiva di meravigliarsi della stupidità di coloro che seguivano la persona che li chiamava, benché sapessero che sarebbero stati obbligati a restare là dove li avrebbe condotti.
Ritornò a casa, radunò i suoi beni, e, con la moglie e i figli, andò a stabilirsi nel paese in cui la gente non moriva mai, ma, che, se seguiva il richiamo di un essere misterioso, non tornava più.
Aveva preso l'incrollabile decisione che né lui né la sua famiglia avrebbero mai seguito alcun richiamo, da chiunque provenisse.
Così, dopo che si fu ben sistemato ed ebbe avviato i suoi affari, avvertì moglie e figli che, se non volevano morire, avrebbero dovuto guardarsi dal seguire qualsiasi richiamo. E trascorsero diversi anni in pace, godendosi la vita.
Un giorno, mentre erano tutti riuniti nella loro bella casa, sua moglie, improvvisamente, prese a gridare:
"Arrivo, arrivo..."
E, intanto, si guardava intorno, cercando la sua giacca di pelliccia. Immediatamente, il marito balzò in piedi, le afferrò la mano e la rimproverò:
"Non tieni in alcun conto il mio avvertimento, quindi? Rimani qui se non vuoi morire!"
"Ma non senti che mi chiama? Andrò solo a vedere cosa vuole da me e tornerò subito indietro"
E lottava per liberarsi dalla stretta del marito. L'uomo, però, la teneva con mano ferma e ordinò che venissero sprangate tutte le porte della stanza. Allora, la moglie si calmò e disse:
"Lasciami sola, marito, non m'importa più di uscire".
L'uomo pensò che fosse rinsavita e avesse rinunciato al suo folle impulso, ma, pochi istanti più tardi, la moglie si precipitò verso la porta più vicina, la spalancò precipitosamente e corse fuori. Il marito la seguì, la trattenne per la pelliccia, supplicandola di non andare poiché non sarebbe mai più tornata. Lei abbandonò le braccia lungo il corpo, si piegò leggermente indietro, poi, al'improvviso, si slanciò in avanti, scivolando fuori dalla pelliccia che abbandonò nelle mani del marito, il quale rimase là, impietrito, mentre la donna correva via gridando:
"Arrivo! Arrivo!"
H.J. Ford
Quando la moglie sparì alla sua vista, l'uomo rientrò in sé, tornò a casa e disse:
"Se sei pazza e vuoi morire, allora va', in nome di Dio, non posso farci nulla. Infinite volte ho detto di non seguire alcun richiamo, da chiunque provenga!".
E passarono i giorni, e poi le settimane, i mesi e gli anni, e la pace della casa non fu più turbata.
Un giorno, mentre era, come tutte le mattine, nella bottega del barbiere per farsi radere e aveva già il mento insaponato, e il negozio era pieno di gente, l'uomo incominciò a urlare:
"Non vengo - mi senti? - Non vengo!"
Il barbiere e gli avventori erano sbalorditi. L'uomo, guardando verso la porta, riprese a gridare:
"Una volta per tutte: non ho alcuna intenzione di seguirti! Quindi, vattene!"
E dopo un po':
"Vattene - mi ascolti? - se vuoi salvare la pelle, perché ti ho ripetuto mille volte che non voglio venire!"
Poi, come se sull'uscio ci fosse qualcuno che continuava incessantemente a chiamarlo, l'uomo montò su tutte le furie e gli rivolse frasi deliranti perché non si decideva a lasciarlo in pace. Infine, balzò in piedi, e strappò il rasoio dalle mani del barbiere gridando:
"Dammi qua, ché gli mostri cosa succede a chi infastidisce la gente!"
E si precipitò all'inseguimento di colui che - diceva - continuava a chiamarlo, ma che nessun altro vedeva. Il povero barbiere, che non voleva perdere il suo rasoio, gli andò dietro. L'uomo correva, il barbiere correva finché uscirono dalle porte della città, e, appena fuori dalle mura, l'uomo precipitò in una voragine da cui non riemerse più. Così anche lui, nonostante la sua resistenza, aveva condiviso il destino di chi rispondeva al richiamo della Voce.
Il barbiere ritornò nella sua bottega senza fiato per la gran corsa, e raccontò a tutti ciò che era accaduto. In breve, per il paese si diffuse il convincimento che precipitare nella voragine fosse la sorte toccata a tutti quelli che avevano seguito il richiamo della Voce.
Quando una folla di cittadini si recò sul luogo della disgrazia, per vedere la voragine che aveva ingoiato tutta quella gente, e, tuttavia, non ne aveva mai abbastanza, non trovò nulla: pareva come se dall'inizio dei tempi, al posto del precipizio, si estendesse un'ampia pianura. E, da quel giorno, gli abitanti del paese incominciarono a morire proprio come tutti gli altri esseri umani di questo mondo.
"Romanian Fairy Tales", Mite Kremnitz.
Traduzione: Mab's Copyright.
Andrew Lang ha incluso questa storia ne "The Red Fairy Book".
venerdì 18 agosto 2017
Il Cavaliere Errante Senza Innamoramento E' Come Arbore Spoglio di Fronde e Privo di Frutte
... Rese di già lucide l’arme sue; fatta del morione una celata; stabilito il nome al ronzino, e confermato il proprio, si persuase che altro a lui non mancasse se non se una dama di cui dichiararsi amoroso. Il cavaliere errante senza innamoramento è come arbore spoglio di fronde e privo di frutte; è come corpo senz’anima, andava dicendo egli a sè stesso.
"Se per castigo de’ miei peccati, o per mia buona ventura m’avvengo in qualche gigante, come d’ordinario intraviene ai cavalieri erranti, ed io lo fo balzare a primo scontro fuori di sella, o lo taglio per mezzo, o vinto lo costringo ad arrendersi, non sarà egli bene d’avere a cui farne un presente? laonde poi egli entri, e ginocchioni dinanzi alla mia dolce signora così s’esprima colla voce supplichevole dell’uomo domato: ' Io, signora, sono il gigante Caraculiambro, dominatore dell’isola Malindrania, vinto in singolar tenzone dal non mai abbastanza celebrato cavaliere don Chisciotte della Mancia, da cui ebbi comando di presentarmi dinanzi alla signoria vostra, affinchè la grandezza vostra disponga di me a suo talento'.
Oh! come si rallegrò il nostro buon cavaliere all’essersi così espresso! ma oh quanto più si compiacque poi nell’avere trovato a chi dovesse concedere il nome di sua dama! Soggiornava in un paese, per quanto credesi, vicino al suo una giovanotta contadina di bell’aspetto, della quale egli era stato già amante senza ch’ella il sapesse, nè se ne fosse avvista giammai, e chiamavasi Aldonza Lorenzo; e questa gli parve opportuno chiamar signora de’ suoi pensieri. Dappoi cercando un nome che non discordasse gran fatto dal suo, e che potesse in certo modo indicarla principessa e signora, la chiamò Dulcinea del Toboso, perchè del Toboso appunto era nativa. Questo nome gli sembrò armonioso, peregrino ed espressivo, a somiglianza di quelli che allora aveva posti a sè stesso ed alle cose sue.
TESTO ORIGINALE
Limpias, pues, sus armas, hecho del morrión celada, puesto nombre a su rocín y confirmándose a sí mismo, se dio a entender que no le faltaba otra cosa sino buscar una dama de quien enamorarse; porque el caballero andante sin amores era árbol sin hojas y sin fruto y cuerpo sin alma. Decíase él a sí: -Si yo, por malos de mis pecados, o por mi buena suerte, me encuentro por ahí con algún gigante, como de ordinario les acontece a los caballeros andantes, y le derribo de un encuentro, o le parto por mitad del cuerpo, o, finalmente, le venzo y le rindo, ¿no será bien tener a quien enviarle presentado y que entre y se hinque de rodillas ante mi dulce señora, y diga con voz humilde y rendido: Yo, señora, soy el gigante Caraculiambro, señor de la ínsula Malindrania, a quien venció en singular batalla el jamás como se debe alabado caballero don Quijote de la Mancha, el cual me mandó que me presentase ante vuestra merced, para que la vuestra grandeza disponga de mí a su talante?
¡Oh, cómo se holgó nuestro buen caballero cuando hubo hecho este discurso, y más cuando halló a quien dar nombre de su dama! Y fue, a lo que se cree, que en un lugar cerca del suyo había una moza labradora de muy buen parecer, de quien él un tiempo anduvo enamorado, aunque, según se entiende, ella jamás lo supo, ni le dio cata dello. Llamábase Aldonza Lorenzo, y a ésta le pareció ser bien darle título de señora de sus pensamientos; y, buscándole nombre que no desdijese mucho del suyo, y que tirase y se encaminase al de princesa y gran señora, vino a llamarla Dulcinea del Toboso, porque era natural del Toboso; nombre, a su parecer, músico y peregrino y significativo, como todos los demás que a él y a sus cosas había puesto.
Dal Capitolo Primo de: "L'ingegnoso idalgo don Chisciotte della Mancia", Miguel de Cervantes.
"El ingenioso hidalgo don Quijote de la Mancha",
Traduzione dallo spagnolo di Bartolommeo Gamba (1818).
Ho aggiunto le illustrazioni di Gustave Dorè.
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