'era una volta, e adesso non c'è più, un ricco possidente terriero, che era sposato e aveva sia una suocera, sia una figlia, tanto bella che chi la vedeva restava a bocca aperta.
Sua moglie, chissà per quale motivo, un giorno si ammalò molto gravemente.
Essendo in punto di morte, fece venire il marito al suo capezzale, gli diede un anello che portava al dito e gli disse:”Marito, tu sei giovane e non resterai senza risposarti; quando ti risposerai, non prendere nessun'altra moglie all'infuori di quella che potrà infilarsi al dito il mio anello!”
Eh, sì, il marito cercò di farle coraggio come poteva; le disse che non sarebbe morta, che le sarebbe passato tutto, e questo e quello; ma lei, poveretta, non ne ebbe più per molto e, quando arrivò la sua ora, rese l'anima a Dio.
Suo marito pianse disperato: diceva che era bella (la figlia assomigliava a lei), che era buona e così via. Ma anche lui pianse finché pianse, poi smise.
Non era trascorso un anno che al vedovo venne in mente di risposarsi; di villaggio in villaggio, di città in città, andò alla ricerca di una ragazza o di una vedova che potesse infilarsi al dito l'anello datogli da sua moglie moribonda.
L'uomo girò molto, moltissimo, dicono che abbia girato per anni; ma una ragazza o una vedova cui andasse bene l'anello non c'era.
E così tornò a casa triste.
Quando arrivò e posò il piede sulla soglia di casa, sua figlia stava lavorando al telaio. Dalla soglia, gettò con rabbia l'anello sul pavimento, dicendo:”Che tu sia maledetto, perché chi ti ha fatto ti ha fatto male!”.
La ragazza, vedendo l'anello cadere per terra, andò a raccoglierlo e se lo infilò al dito. Ed ecco il prodigio del diavolo, ché non sarà stato certo di Dio: le si adattò perfettamente, come se lo avesse sempre portato al dito!
“Ah, babbo!- disse – Dallo a me questo bell'anello! Guarda come si adatta perfettamente al mio dito!”
Vedendo ciò, il possidente rimase di sasso.
Che fare? Doveva sposare sua figlia, no? L'ultima volontà di sua moglie, sul letto di morte, era stata che il marito dovesse sposare quella cui si sarebbe adattato l'anello. Meglio non si poteva adattare, sembrava che fosse sempre stato su quel dito!
Allora l'uomo disse:” Che il diavolo ti porti, anello! Mi hai fatto fare il giro del mondo per tutto questo tempo!”
Burne Jones E.
Poi disse alla ragazza:” Figlia mia, preparati per le nozze, perché devo prenderti in moglie. Sul letto di morte, tua madre mi disse così e così”. E riferì alla ragazza quello che gli aveva detto sua madre.
La ragazza era terrorizzata.
Come era possibile che suo padre la prendesse in moglie? Non era una cosa da esseri umani! Perciò andò da sua nonna a dirglielo e a chiederle che cosa doveva fare per evitare una tale sciagura.
“ Bambina mia, io non so proprio che cosa tu possa fare – disse la vecchia dopo essersi fatta il segno della croce, all'udire una cosa del genere – Per adesso digli che non lo sposerai finché non ti avrà portato un vestito che non possa essere tagliato dalle forbici né punto dall'ago.”
Il possidente fece fare un vestito di metallo e glielo portò.
“ Che facciamo, nonna?” chiese la ragazza, vedendo che suo padre le aveva portato il vestito.
“Che cosa dobbiamo fare? Digli che ti porti un altro vestito, con la luna sul dorso, il sole davanti e le stelle tutto intorno, proprio come la luna, il sole e le stelle del cielo; e anche questo, che non possa essere tagliato dalle forbici né punto dall'ago.”
Il possidente, di soldi ne aveva in abbondanza. Le fece fare un vestito; poi pagò un orefice perché facesse sole, luna e stelle d'oro, d'oro puro, in modo che assomigliassero perfettamente al sole, la luna e alle stelle del cielo; quindi le portò il vestito, così come lei aveva chiesto.
Anche stavolta la ragazza corse dalla nonna. “Che facciamo, nonna?”
“Adesso, bambina mia, ecco che cosa ho pensato che dobbiamo fare, perché non c'è altro modo per saltarne fuori, ma sarà difficile.”
“Sia come sia, piuttosto che un sacrilegio di questo genere!”
“Andiamo da un bravo falegname, uno che conosco io, e commissioniamogli un baule di legno, ben decorato, nel quale nel quale tu possa entrare e coricarti, e che si chiuda dall'interno.”
“E che cosa ci dovrò fare?”
“Tu ti ci chiuderai dentro e io lo getterò nel torrente e sarà quel che Dio vorrà, perché per te è meglio morire, piuttosto che fare quello che vorrebbe quel demonio di tuo padre.”
La povera ragazza sospirò, poverina perché dopo tutto era giovane, amava la vita e non avrebbe voluto morire; ma che cosa poteva fare?
Decise di fare quello che sua nonna le consigliava.
Il falegname le portò il vestito proprio il giorno in cui suo padre aveva deciso di celebrare le nozze.
Poco prima del matrimonio, la ragazza indossò il vestito con il sole e la luna, entrò nel baule, e si chiuse dentro.
Quando si fu chiusa dentro, sua nonna cominciò a urlare e a gridare che alla ragazza era successo qualcosa di brutto, che era scomparsa di casa.
Il possidente la sentì, fece cercare la ragazza, corse dappertutto, sarà qua, sarà là...
La ragazza era nel baule, con il cuore che le batteva forte per la paura di essere scoperta.
Ma non la scoprì, perché non lo sfiorò neanche di lontano il sospetto che poteva essere là dentro. Anzi, camminando in fretta per la stanza, ci andò a sbattere contro e stava quasi per cadere.
”Che cos'è questa roba qui?” gridò allora irritato.
La nonna della ragazza, che era lì, gli disse:" È un baule, lo aveva comprato la ragazza. Non saprei che farne!".
" Buttatelo nel fuoco, che sia maledetto!" gridò lui.
La vecchia non aspettava altro. Chiamò un servo e gli disse:" Prendi questo baule e seguimi, dài!".
Il servo lo prese e andò dietro di lei, che si incamminò verso il torrente.
Quando vi giunsero, ordinò al servo di gettar dentro il baule e il servo lo gettò.
Il torrente trasportò rapidamente il baule a valle e la vecchia tornò a casa piangendo.
Intanto il baule galleggiava sul torrente e viaggiò finché arrivò vicino ad alcuni pescatori che stavano pescando. Come lo videro, lo presero.
Lo guardarono, lo trassero a riva, lo rigirarono.
" Che sarà mai?" chiese uno di loro.
" È un baule, non vedi?"
" Ma che baule meraviglioso!- fece un altro - Non vedi che fiori ci sono sul legno? Questo è un baule da imperatore!".
“ Giusto! Lo sai che facciamo?- disse quello che aveva parlato per primo – Lo portiamo come omaggio all'imperatore e ci dividiamo il compenso che lui ci darà.”
“ Ben detto, compare! Portiamolo!”
Ritirarono le reti, si allontanarono dalla riva e andarono a casa ad abbigliarsi con i vestiti migliori che avevano, poi si recarono con il baule alla corte dell'imperatore.
L'imperatore era giovane. Come vide il baule, gli piacque; diede ai pescatori una ricompensa e lo fece mettere in una stanza dove egli dormiva e mangiava.
Come d'abitudine, la sera gli apparecchiavano la mensa e gli preparavano il letto; poi lui andava a mangiare e si coricava quando gliene veniva voglia.
Ma alla sera di quella giornata in cui aveva fatto mettere il baule nella propria stanza, andando a mangiare non trovò le vivande sulla tavola e il letto era tutto un groviglio, tanto era disfatto.
Che diavoleria era questa?
L'imperatore incominciò a chiamare i servi e a sgridarli duramente: che razza di letto gli avevano preparato, che razza di vivande gli avevano portato?
Le sue grida furono udite da sua madre, la quale gli voleva molto bene e non voleva che si arrabbiasse; perciò gli disse che il giorno dopo sarebbe andata a vedere lei, quando gli avrebbero portato da mangiare e gli avrebbero fatto il letto.
Così l'imperatore si calmò.
Il giorno dopo, alla solita ora, la mamma dell'imperatore andò coi servi a vedere come gli rifacevano il letto e come gli sistemavano le vivande.
Ma al momento della cena, il cibo non c'è più e il letto è ancora più disfatto che il giorno prima.
' Qui c'è sotto qualcosa – pensò l'imperatore – non c'è altra possibilità.' Tanto più che sua madre gli aveva detto che era stata presente quando i servi avevano portato da mangiare e gli avevano rifatto il letto.
Allora decise che il terzo giorno sarebbe rimasto di guardia per vedere chi era a mangiargli il cibo e a disfargli il letto. E così fece.
Il giorno dopo, si nascose per benino sotto il letto e restò là fino al momento della cena. Vide che i servi portavano in tavola quello che dovevano portare, facevano pulizia nella stanza e rassettavano il letto.
E dopo, un po' più tardi, cosa vide?
Vide che il baule si apriva e ne usciva una fanciulla meravigliosa, così bella che l'imperatore dovette stropicciarsi gli occhi, perché non sapeva che cosa pensare: era un'allucinazione o che cosa? I capelli, come fili d'oro, toccavano il pavimento, al di sopra del vestito con la luna sul dorso, il sole davanti e le stelle tutt'intorno.
Ma non restò sbalordito per lungo tempo e si riebbe. E riavutosi, la osservò.
Per prima cosa essa mangiò per bene e bevve tutto quello che trovò sulla tavola; poi andò verso il letto, vi si coricò sopra e dormì un poco.
Allora l'imperatore uscì pian piano da sotto il letto e andò a baciarla. Lei se ne accorse e, accorgendosene, si svegliò.
Svegliandosi e vedendo l'imperatore vicino a sé, volle precipitarsi dentro il baule, ma l'imperatore pensò che volesse fuggire e la afferrò per il vestito. Lei cercò di sottrarsi a forza, ma non poté evitare che lui la afferrasse per bene; d'altronde il vestito non si poteva strappare, perché non lo tagliavano le forbici né lo forava l'ago.
Visto che non poteva fuggire, rimase ferma; che altro poteva fare?
Allora l'imperatore le domandò in che modo era venuta a trovarsi dentro quel baule nel torrente.
Lei gli raccontò tutto quella che era successo.
E lui si innamorò moltissimo di lei e tosto le disse che l'avrebbe presa in moglie.
Lei acconsentì, badate bene, e fecero un matrimonio bello e grandioso, un matrimonio imperiale!
Dopo che si furono sposati, un anno dopo, l'imperatrice fece un figlio, un bambino bellissimo che le assomigliava.
Passò del tempo.
Il bambino aveva ormai tre anni.
Il padre dell'imperatrice, il possidente terriero, era decaduto, era precipitato nella totale povertà e pensava di andare a fare il servo per guadagnarsi il pane.
Capitò che al palazzo dell'imperatore venne a mancare un servo e che lui lo venne a sapere; corse dunque subito a farsi assumere.
E lo misero a badare alle galline.
Con le galline rimase molto tempo, ci rimase all'incirca nove anni.
Dopo questi nove anni accadde che si ammalò un altro servo che era al servizio dell'imperatore e dell'imperatrice e che aveva la sua stanza accanto alla loro.
Chi mettere al suo posto? ” Mettiamoci quello delle galline, che si è comportato bene e ha fatto il suo lavoro come si deve.”
E ci misero lui. Egli fu molto contento, perché, entrato nel palazzo dell'imperatore e veduta l'imperatrice, aveva riconosciuto in lei sua figlia e si era messo in testa che le avrebbe fatto pagare di essersene andata di casa nel giorno delle nozze.
E così aveva pazientato, pensate un po', per nove anni; a lei non si era potuto avvicinare, ma quel pensiero diabolico non lo aveva abbandonato.
Prendendo il posto del servo ammalato, non esitò.
Dopo due o tre giorni riuscì a rimanere solo durante la giornata; unse per bene le porte affinché non cigolassero e di notte aprì quella stanza in cui dormiva l'imperatrice con il bambino. Tagliò il collo del bambino con un coltello, asciugò il coltello insanguinato sulla camicia da notte dell'imperatrice, le infilò il coltello sotto il cuscino e poi andò a dormire.
Che successe il mattino dopo? Urla e strepiti per tutto il palazzo, ché non si sapeva chi avesse ucciso il figlio dell'imperatore.
Cominciarono le indagini. Su chi doveva cadere il primo sospetto? Sul servo ultimo arrivato.
Ford H.J.
Dopo che lo ebbero portato ed egli vide che era condannato a morte, disse:” Voi mi condannate, ma non fate bene perché io sono innocente. Cercate meglio le prove per vedere chi ha commesso questo crimine; oppure lasciate che sia io a cercarle, per difendere la mia vita”.
L'imperatore acconsentì.
Così quello andrò dritto al letto dell'imperatrice e tirò fuori, da sotto il cuscino, il coltello insanguinato: e furono viste anche le macchie di sangue sulla camicia da notte. Così lui si salvò e tutte le colpe ricaddero sulla povera imperatrice.
Lei, poverina, cominciò a piangere e a gridare che non era colpevole, che non ci guadagnava niente a restare senza il suo bambino; e dovevano anche accusarla di averlo ucciso?
Ma tutto fu vano.
L'imperatore e i suoi consiglieri le diedero questa condanna: che le fossero tagliate le mammelle e le mani, che fossero messe dentro a una bisaccia, che gliela appendessero al collo e la abbandonassero in una grande foresta in preda alle bestie selvagge, perché la divorassero.
La condanna venne eseguita.
Dopo che le ebbero tagliate le mani e le mammelle, le misero dentro a una bisaccia, gliela appesero al collo e la consegnarono a un servo, il quale la portò in una fitta boscaglia e ve la lasciò.
Là la povera donna piangeva disperatamente e aspettava che il dolore o la fame la facessero morire, oppure che venisse qualche fiera e la sbranasse.
Ma Dio non dormiva.
Lui venne a sapere, fate attenzione, che cosa le era accaduto.
Si mosse dal cielo e venne sulla terra.
Arrivato sulla terra, fece finta di passare per caso, nelle sembianze di un vecchio, per la boscaglia in cui si trovava l'imperatrice; e le domandò che cosa le era successo, per trovarsi in quelle condizioni.
Lei gli raccontò tutto. Ma, raccontando, non fece come altri che bestemmiano Dio; al contrario, diceva:” Se Dio ha voluto così, io che posso farci? Dio sa che cosa deve fare con ciascuno!”.
Questo piacque molto a Dio, il quale tirò fuori dalla bisaccia le mani della donna, sputò sul punto in cui erano state tagliate e poi le riattaccò al loro posto, sicché sembrava che fossero sempre rimaste lì. Poi fece lo stesso anche con le mammelle. Poi sputò anche sul collo del bambino e prese la sua testa, perché nella bisaccia c'era anche la testa del bambino, e la attaccò al collo; poi soffiò su di lui e lo resuscitò. Quindi diede un ordine ed apparve, come se fosse uscito dalla terra, un palazzo meraviglioso, in una bella radura, al posto della fitta boscaglia.
Passò il tempo che passò ed ecco che l'imperatore andò a caccia e si recò proprio nella foresta dove si trovava il palazzo che Dio aveva fatto per quella donna innocente.
Caccia a destra, caccia a sinistra, alla fine ebbe fame.
Quando ebbe fame, il suo sguardo cadde sul palazzo meraviglioso della radura in mezzo alla foresta.
“ Che cos'è quello?” chiese a un servo che era con lui.
“ Non lo so, maestà; non sapevo che in questa foresta ci fosse un palazzo.”
“ Che meraviglia! Sai che ti dico? Siccome ho fame, prendi due o tre cacciatori, vai laggiù e di' che l'imperatore di questo paese ha fame e chiede al padrone del palazzo di lasciargli arrostire due o tre uccelli nella sua cucina.”
Il servo andò e batté alla porta.
La porta gli domandò:” Chi sei?”
“ Un uomo buono” rispose il servo.
“ Che cosa vuoi?”
L'uomo disse quello che l'imperatore mandava a dire al padrone del palazzo.
Allora la porta chiamò l'imperatrice.
L'imperatrice disse che non c'era bisogno che si affaticasse ad arrostire la selvaggina; gli rispondesse che la padrona del palazzo lo invitava e che il cibo mandato da Dio era sufficiente.
Quando gli dissero che era invitato, l'imperatore andò.
Nella padrona egli non riconobbe sua moglie. D'altronde, rifletteteci bene, come poteva pensare che quella donna lì, che aveva le mani intere e tutto quanto, era la stessa che lui aveva fatto mutilare davanti ai suoi occhi?
Adesso, nel palazzo, la mensa si apparecchiava da sola, i cibi arrivavano da soli, i tovaglioli sporchi se ne andavano via ed altri puliti arrivavano pure da soli, perché avevano un potere dato da Dio, sicché l'imperatore era rimasto a bocca aperta per lo stupore.
Finalmente si mise a mangiare e dopo aver mangiato per bene rimase a far quattro chiacchiere con la padrona del palazzo.
Parlando, ella lo invitò a venire ancora alla sua mensa quella settimana stessa, con tutti quelli di casa sua; con la moglie se era sposato, con i genitori se erano ancora vivi. Ma che portasse con loro anche un qualche servo vecchio e fedele, il quale possa fare ciò di cui vi sia bisogno, perché lei non aveva servi.
L'imperatore promise che sarebbe venuto con sua madre, perché altri congiunti non ne aveva, essendo vedovo.
E difatti, tre giorni dopo, l'imperatore venne con sua madre; e come servo aveva preso quello che faceva la guardia alla sua camera, il padre della donna alla quale aveva fatto tagliare le mani!
Si misero a tavola a mangiare e, mentre loro mangiavano, la padrona del palazzo uscì un attimo fuori.
Ordinò ad un cucchiaio, uno di quelli prodigiosi che andavano da soli, di andarsi a nascondere nello stivale dell'imperatore.
Poi entrò di nuovo nella sala in cui gli ospiti stavano parlando e cominciò a parlare con loro.
Quando l'imperatore e gli altri si alzarono per andarsene, si levò un chiasso assordante.
Che cosa era successo?
Tutti i cucchiai si urtavano tra loro e gridavano che quel forestiero giovane aveva rubato un loro compagno.
“ Io? Dio me ne guardi Non ho mai rubato da quando sono al mondo! Come potrei mettermi a rubare cucchiai, adesso?”
“ Sia perquisito, così vediamo se ha rubato o no!” gridarono all'unisono tutti i cucchiai.
“ Perquisitemi pure!” disse l'imperatore.
Allora entrò dalla porta il figlioletto della padrona del palazzo e sua madre gli fece perquisire l'imperatore.
L'imperatore non riconobbe nemmeno il bambino: primo perché era stato cresciuto da Dio, secondo perché non poteva pensare che quello potesse essere suo figlio, dato che suo figlio lo aveva visto come tutti i morti, col collo tagliato e con la testa staccata dal corpicino.
Il ragazzino lo perquisì e trovò il cucchiaio nello stivale.
L'imperatore giurò di non saperne nulla, di non essere stato lui a rubare il cucchiaio, di non sapere che cosa fosse successo...
Allora suo figlio gli disse:” Allo stesso modo non è stata mia madre a uccidermi, eppure tu hai dato ascolto a un farabutto e l'hai fatta straziare, babbo!”.
Così l'imperatore venne a sapere chi erano quella donna e quel ragazzino; cadde in ginocchio e rese glorie a Dio perché li aveva aiutati col suo potere, facendoglieli ritrovare sani e salvi; baciò le mani della moglie chiedendole perdono e diede a suo figlio centinaia di migliaia di baci.
Dopo di ciò mandò a morte il vecchio servo, del quale sua moglie gli raccontò tutto per filo e per segno.
E io una nocciola mangiai
e una fandonia vi raccontai.
Storie e Leggende della Transilvania, a cura di Claudio Mutti, per la Mondadori
Non so cosa ci sia di prettamente rumeno in una fiaba che ricalca la Penta Manomozza (III, 2)
del Basile
, ma la grandissima parte delle fiabe europee deriva dal Pentamerone
, che, in questo caso, si rifa, a sua volta, ad una leggenda edificante medievale, la leggenda di Sant'Uliva.