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domenica 20 agosto 2017

La Voce della Morte (Romania), Traduzione Mia

Tanto tanto tempo fa, accadde qualcosa.
Se non fosse mai accaduto, non sarebbe mai stato raccontato.
C'era una volta un uomo che pregava Dio ogni santo giorno perché gli concedesse la ricchezza.
Un giorno, le sue innumerevoli e pressanti preghiere trovarono Nostro Signore dell'umore giusto perché gli prestasse ascolto ed esaudisse il suo desiderio. Quando l'uomo divenne molto ricco, non accettò più di morire. Così, decise di mettersi in viaggio e di stabilirsi laddove fosse risaputo che la gente vivesse per sempre. Si preparò per il viaggio, raccontò alla moglie i suoi progetti e partì.
In ogni paese che raggiungeva chiedeva se là gli uomini morivano, e ripartiva immediatamente non appena riceveva una risposta affermativa. Infine, giunse in una terra i cui abitanti gli risposero che non sapevano cosa significasse la parola "morire". Al colmo della gioia, il viaggiatore chiese:
"Ma come mai non vedo un'immensa moltitudine di gente, dal momento che nessuno muore?"
"Vedi, il paese non è sovraffollato - fu la risposta - perché, di tanto in tanto, arriva qualcuno che chiama gli abitanti uno per uno, e chiunque decida di seguirlo non ritorna mai più"
"E gli abitanti possono vedere la persona che li chiama?"
"Perché non dovrebbero?" fu la risposta.
L'uomo non finiva di meravigliarsi della stupidità di coloro che seguivano la persona che li chiamava, benché sapessero che sarebbero stati obbligati a restare là dove li avrebbe condotti.
Ritornò a casa, radunò i suoi beni, e, con la moglie e i figli, andò a stabilirsi nel paese in cui la gente non moriva mai, ma, che, se seguiva il richiamo di un essere misterioso, non tornava più.
Aveva preso l'incrollabile decisione che né lui né la sua famiglia avrebbero mai seguito alcun richiamo, da chiunque provenisse.
Così, dopo che si fu ben sistemato ed ebbe avviato i suoi affari, avvertì moglie e figli che, se non volevano morire, avrebbero dovuto guardarsi dal seguire qualsiasi richiamo. E trascorsero diversi anni in pace, godendosi la vita.
Un giorno, mentre erano tutti riuniti nella loro bella casa, sua moglie, improvvisamente, prese a gridare:
"Arrivo, arrivo..."
E, intanto, si guardava intorno, cercando la sua giacca di pelliccia. Immediatamente, il marito balzò in piedi, le afferrò la mano e la rimproverò:
"Non tieni in alcun conto il mio avvertimento, quindi? Rimani qui se non vuoi morire!"
"Ma non senti che mi chiama? Andrò solo a vedere cosa vuole da me e tornerò subito indietro"
E lottava per liberarsi dalla stretta del marito. L'uomo, però, la teneva con mano ferma e ordinò che venissero sprangate tutte le porte della stanza. Allora, la moglie si calmò e disse:
"Lasciami sola, marito, non m'importa più di uscire".
L'uomo pensò che fosse rinsavita e avesse rinunciato al suo folle impulso, ma, pochi istanti più tardi, la moglie si precipitò verso la porta più vicina, la spalancò precipitosamente e corse fuori. Il marito la seguì, la trattenne per la pelliccia, supplicandola di non andare poiché non sarebbe mai più tornata. Lei abbandonò le braccia lungo il corpo, si piegò leggermente indietro, poi, al'improvviso, si slanciò in avanti, scivolando fuori dalla pelliccia che abbandonò nelle mani del marito, il quale rimase là, impietrito, mentre la donna correva via gridando:
"Arrivo! Arrivo!"


H.J. Ford


Quando la moglie sparì alla sua vista, l'uomo rientrò in sé, tornò a casa e disse:
"Se sei pazza e vuoi morire, allora va', in nome di Dio, non posso farci nulla. Infinite volte ho detto di non seguire alcun richiamo, da chiunque provenga!".
E passarono i giorni, e poi le settimane, i mesi e gli anni, e la pace della casa non fu più turbata.
Un giorno, mentre era, come tutte le mattine, nella bottega del barbiere per farsi radere e aveva già il mento insaponato, e il negozio era pieno di gente, l'uomo incominciò a urlare:
"Non vengo - mi senti? - Non vengo!"
Il barbiere e gli avventori erano sbalorditi. L'uomo, guardando verso la porta, riprese a gridare:
"Una volta per tutte: non ho alcuna intenzione di seguirti! Quindi, vattene!"
E dopo un po':
"Vattene - mi ascolti? - se vuoi salvare la pelle, perché ti ho ripetuto mille volte che non voglio venire!"
Poi, come se sull'uscio ci fosse qualcuno che continuava incessantemente a chiamarlo, l'uomo montò su tutte le furie e gli rivolse frasi deliranti perché non si decideva a lasciarlo in pace. Infine, balzò in piedi, e strappò il rasoio dalle mani del barbiere gridando:
"Dammi qua, ché gli mostri cosa succede a chi infastidisce la gente!"
E si precipitò all'inseguimento di colui che - diceva - continuava a chiamarlo, ma che nessun altro vedeva. Il povero barbiere, che non voleva perdere il suo rasoio, gli andò dietro. L'uomo correva, il barbiere correva finché uscirono dalle porte della città, e, appena fuori dalle mura, l'uomo precipitò in una voragine da cui non riemerse più. Così anche lui, nonostante la sua resistenza, aveva condiviso il destino di chi rispondeva al richiamo della Voce.
Il barbiere ritornò nella sua bottega senza fiato per la gran corsa, e raccontò a tutti ciò che era accaduto. In breve, per il paese si diffuse il convincimento che precipitare nella voragine fosse la sorte toccata a tutti quelli che avevano seguito il richiamo della Voce.
Quando una folla di cittadini si recò sul luogo della disgrazia, per vedere la voragine che aveva ingoiato tutta quella gente, e, tuttavia, non ne aveva mai abbastanza, non trovò nulla: pareva come se dall'inizio dei tempi, al posto del precipizio, si estendesse un'ampia pianura. E, da quel giorno, gli abitanti del paese incominciarono a morire proprio come tutti gli altri esseri umani  di questo mondo.


"Romanian Fairy Tales", Mite Kremnitz.
Traduzione: Mab's Copyright.
Andrew Lang ha incluso questa storia ne "The Red Fairy Book".


lunedì 6 ottobre 2014

L'Ombra della Principessa (Puglia)

'era una volta un Re, che aveva una figlia di nome Maria. Questa fu assalita da violenta malattia, ed i medici disperavano di salvarla; sentendosi in fine di vita, con l'ultimo fiato rimasto, si raccomandò al padre: "Mio Sire... Padre mio, dopo la mia morte... ti prego... manda ogni notte una sentinella a vigilare sulla mia tomba e...", e il suo corpo zittì. Non una mosca ruppe il silenzio per lungo tempo in quella stanza senza vita. Poi un lamento regale dette il via ad un pianto di popolo per quella giovane principessa.
I funerali tennero impegnata tutta la corte e la chiesa era gremita di sguardi pietosi. Dopo alcuni giorni il Re si ricordò del giuramento fatto alla testata del letto principesco e, subito, ordinò che ogni notte una sentinella montasse la guardia alla tomba dov'era seppellita la speranza del reame, figlia di Re e futura Regina. Tutte le guardie, però, non si sa perché, avevano paura. Le notti erano buie e l'ambiente era troppo ampio e ad ogni minimo scricchiolio il cuore sobbalzava. Le guardie cominciarono a passarsi la voce e speravano in un ripensamento, ma nel frattempo dovevano ubbidire.
Un giorno... anzi, una notte, a mezzanotte, mentre il soldato incaricato di fare la guardia passeggiava, uscì dalla tomba l'ombra della principessa e disse: "All'erta sentinella". Il soldato a quella voce ebbe un tuffo al cuore e si sentì prendere per i capelli e trascinare nella fossa.


Beatriz Martin Vidal


Il mattino seguente il Re volle sapere che ne fosse della guardia e nessuno seppe dire nulla sulla causa della sua scomparsa; la sera fu messa di guardia un'altra sentinella, alla quale capitò la stessa sorte, e per più giorni di seguito avvenne lo stesso. Una notte capitò un soldato che non aveva arrecato mai male a nessuno, ed era bravo e valoroso. Anch'egli tremava per la sorte che l'aspettava, e nell'andare al camposanto si fermò dinanzi ad una chiesetta, che era nel vicinato, e si mise a pregare. In quel mentre gli apparve un vecchio che era Gesù, il quale gli diede il consiglio di non andare nella tomba dove giaceva il corpo della principessa, ma nella cappella vicina. Egli così fece; a mezzanotte, uscì l'ombra della principessa, e disse la solita frase: "All'erta, sentinella". Ma il soldato non uscì dalla cappella, né profferì parola.
L'ombra con voce rabbiosa esclamò: "Maledetto sia mio padre che non mi ha mandato la guardia, come aveva promesso!"
La mattina il Re, come il solito, andò al camposanto, e vedendo il soldato vivo, gli domandò: "Che ti ha detto la mia Maria?"
"Niente!" rispose il militar soldato.
Al Re la cosa destò meraviglia: perché tutti gli altri che avevano fatto la guardia in precedenza erano scomparsi? Allora ognuno tornò alla propria casa pensando e ripensando a tutti i perché. La notizia di questo fatto si diffuse subito fra tutti i soldati, e mentre prima ognuno tremava d'essere incaricato di montar la guardia sulla tomba della principessa, pensando che la sua morte era certa, come seppero che un loro compagno era uscito salvo, aprirono l'animo alla speranza.
La sera seguente fu designato un altro soldato a far la sentinella; egli corse subito dal compagno, che lo aveva preceduto in quell'ufficio, e gli propose di pagargli una somma di danaro purché volesse sostituirlo. Il buon soldato, rassicurato da quanto era avvenuto la notte precedente, accettò. Difatti la sera andò un'altra volta a pregare nella chiesetta, e trovò il vecchio, il quale gli dette un altro consiglio, cioè quello di mettersi presso l'altare. Detto, fatto: egli così fece. Quando a mezzanotte uscì l'ombra e dette il solito comando, nessuno le rispose; l'ombra indispettita entrò nella cappella e cominciò a fare la matta, guastando tutto, ma non toccò l'altare; poi scomparve.
Il mattino seguente il Re domandò alla sentinella: "Che hai sentito questa notte?" "Nulla", gli rispose, ed il Re, impensierito, se ne tornò alla reggia.
L'altro soldato che ebbe l'ordine di montar di guardia quella notte si recò dal compagno che aveva sfidato per due volte la morte e con regali lo indusse a sostituirlo. Egli accettò e, nel recarsi al cimitero, incontrò il vecchio il quale gli dette una boccettina di acqua misteriosa dicendogli che doveva versare qualche goccia sull'ombra della principessa quando quella fosse uscita dalla tomba.


Beatriz Martin Vidal


Egli così fece e... l'acqua misteriosa compì il miracolo: subito l'ombra prese forma e si sostanziò in una fanciulla in carne e ossa. Il giovane militare, superato il momento di meraviglia, prese coraggio e scese nella tomba della principessa dove erano stati trascinati tutti i suoi compagni. Versò poche gocce su quei cadaveri e li fece risuscitare. La mattina, quando il Re andò a far la solita visita, e vide la figlia viva, l'abbracciò e le diede per sposo il suo salvatore.

Puglia (Trani)
Raccolta e Scritta da Lino Di Turi

Classificazione: AaTh 307 [La Principessa nel Sudario]
Le varianti - più belle e sontuose - le avevo trovate nella raccolta di Afanas'ev (Russia), e in raccolte di fiabe e leggende rumene. Lì, la Principessa è dichiaratamente un vampiro e il soldato affronta sevizie e tormenti di ogni genere per vegliarla notte dopo notte. Non sempre con l'esito felice di questa fiaba.

lunedì 18 novembre 2013

Il Principe Dracula nel Leggendario Rumeno

La Giustizia di Dracula


l tempo di Vlad l'Impalatore, un mercante che viaggiava nelle nostre terre fece gridare ai banditori la notizia che aveva perduto un sacchetto con mille lei e che prometteva cento lei a chi lo avesse trovato e restituito. Non trascorse molto tempo che un cristiano, un uomo timorato di Dio come erano molti romeni al tempo dell'Impalatore, si presentò da lui e gli disse:" Signor mercante, mentre stavo camminando vicino all'angolo dell'incrocio dietro il mercato del pesce, ho trovato questo sacchetto. Credo che sia vostro, perché ho sentito gridare che avete perduto un sacchetto con del denaro".
"In effetti è mio, e ti ringrazio tanto per avermelo riportato."
Mentre contava il denaro, il mercante pensava come potesse trovare il modo per non dargli i cento lei che aveva promesso. Finito che ebbe di contare il denaro, lo ripose nel sacchetto e poi disse all'uomo che glielo aveva portato:
"Ho contato, mio caro, e ho visto che ti sei trattenuto il compenso. Anziché mille lei, ne ho trovati novecento. Hai fatto bene, perché era tuo diritto!"
"Signor mercante - rispose il cristiano - vi sbagliate se dite che dal sacchetto mancano cento lei. Io non l'ho nemmeno aperto per vedere quanti soldi ci sono dentro. Come l'ho trovato, così ve l'ho portato!"
" Ti ho detto - replicò il mercante tagliando corto - che ho perso il sacchetto con mille lei e che me lo hai portato con soli novecento. Così è!"

L'uomo non disse più nulla, ma si allontanò e andò dal Principe per dolersi dell'accaduto. "Altezza - disse - non mi ha dato i cento lei promessi; ma non è tanto per i cento lei che sono indispettito, quanto per il fatto che sospetta che io non sono stato onesto. Io sono stato corretto e non mi è neppure passato per la testa di toccare la roba di un altro."  Il principe comprese l'inganno del mercante e ordinò che lo portassero davanti a lui. Dopo aver ascoltato l'uno e l'altro e soppesate le loro parole sulla bilancia della giustizia, vide da che parte questa pendeva. Poi, guardando il mercante dritto negli occhi, disse:" Se tu, mercante, hai perduto un pacchetto con mille lei e quest'uomo ne ha trovato uno con novecento, allora è chiaro che questo sacchetto non è il tuo. Tu, cristiano, prendi il sacchetto che hai trovato e consegnalo a chi dimostrerà di aver perduto un sacchetto con novecento lei; tu, mercante, aspetta che venga ritrovato il sacchetto coi mille lei che dici di aver perduto!".
E così si fece, perché non c'era modo di fare altrimenti. Il principe Vlad l'Impalatore aveva dato il giudizio. Il mercante dovette fare buon viso a cattiva sorte e si dolse per tutta la vita dell'azione disonesta che aveva commesso.


Dracula e i Mendicanti


i tramanda che al tempo del principe Vlad l'Impalatore [Vlad Tepes] si erano straordinariamente moltiplicate le persone pigre. Per vivere dovevano mangiare, perché il ventre impietoso lo richiedeva. E per mangiare andavano a chiedere l'elemosina, Mendicavano e così vivevano senza lavorare. Se qualche insolente a cui piaceva immischiarsi nelle vicende altrui domandava a qualcuno di questi mendicanti perché non esercitasse anche lui un lavoro, gli veniva risposto:
"Come? Non mi do da fare tutta la giornata? E se non trovo da lavorare, che colpa ne ho io?" Altri cercavano il pelo nell'uovo: " Il farsettaio si arrabatta giorno e notte, ma non guadagna nulla; il sarto lavora tutta la vita e il suo gruzzolo è grande quanto l'ombra di un ago; il ciabattino quando è vecchio è diventato gobbo, e per fargli i funerali bisogna fare la colletta..." E così via, su ogni mestiere avevano da ridire.
Tutto ciò giunse agli orecchi del Principe e lui stesso vide coi propri occhi quella folla di accattoni, tutta gente in grado di lavorare. Restò pensieroso e disse fra sé e sé: ' Solo col sudore della sua fronte, dice la Scrittura, l'uomo si guadagnerà il pane. Costoro vivono del sudore altrui, quindi sono inutili all'umanità. Questa è una sorta di rapina. Il bandito di strada ti chiede la borsa o la vita. Se sei più svelto di mano e più coraggioso, ne scampi. Questi invece ti portano via i beni un po' alla volta e supplicando, ma te li portano via continuamente. Perciò sono peggio dei ladroni. Questa razza di individui deve essere estirpata dalla mia terra!'
Dopo aver così riflettuto, ordinò che venisse dato dappertutto questo avviso: tutti i mendicanti si dovevano radunare, in un certo giorno e in un certo luogo, perché il principe doveva distribuire tra loro dei vestiti e doveva invitarli a un banchetto straordinario. Nel giorno stabilito, Targoviste era piena zeppa di pitocchi.
I servi del principe distribuirono tra loro gli abiti, uno a ciascuno; poi li portarono in certe case grandi dove erano apparecchiate delle mense. I mendicanti si meravigliarono della generosità del principe e dicevano l'uno all'altro:
" Una vera benevolenza principesca!".
"Anche questa carità proviene dal sudore del popolo! Pensate che provenga dalle tasche del principe?"
"Il principe è cambiato; non è più come lo conoscevate voi!"
"Il lupo perde il pelo, ma non il vizio." Si sedettero a tavola. Che cosa c'era? Piatti da mensa principesca. Vini, di quelli che ti fanno girare la testa. I pidocchi fecero una baldoria indimenticabile. Mangiarono a quattro ganasce; bevvero fino ad ubriacarsi, tanto che molti andarono a finire sotto la tavola. Quando ormai farfugliavano e non riuscivano più a comprendersi tra loro, si ritrovarono circondati dal fuoco. Il Principe aveva ordinato ai suoi servi di appiccare fuoco alla casa. Si precipitarono tutti contro le porte, per uscire, ma le porte erano state sprangate. Il fuoco avanzava, le fiamme si levavano in alto come giganti infuocati. Grida, urla, lamenti uscivano dalla gola dei mendicanti rinchiusi là dentro. Ma la fiamma non poteva ascoltare i loro lamenti. Si gettavano gli uni sopra gli altri. Si abbracciavano. Chiedevano aiuto. Ma non c'era orecchio umano che li ascoltasse. Cominciarono a dimenarsi in mezzo alla fiamma che li bruciava. Il fumo ne soffocò alcuni, la brace ne incenerì altri, le fiamme li bruciarono tutti. Quando il fuoco si spense, non c'era più anima viva. Ma voi credete che sia stata estirpata la razza dei pitocchi? Macché! Non credete alle chiacchiere! Guardate intorno a voi! Oggi è come allora. I mendicanti spariranno quando sparirà il mondo.


Christensen J.


Da: "Storie e Leggende della Transilvania", di Claudio Mutti.

venerdì 7 giugno 2013

La Ragazza nel Baule, la Pelle d'Asino Rumena

'era una volta, e adesso non c'è più, un ricco possidente terriero, che era sposato e aveva sia una suocera, sia una figlia, tanto bella che chi la vedeva restava a bocca aperta.
Sua moglie, chissà per quale motivo, un giorno si ammalò molto gravemente. Essendo in punto di morte, fece venire il marito al suo capezzale, gli diede un anello che portava al dito e gli disse:”Marito, tu sei giovane e non resterai senza risposarti; quando ti risposerai, non prendere nessun'altra moglie all'infuori di quella che potrà infilarsi al dito il mio anello!”
Eh, sì, il marito cercò di farle coraggio come poteva; le disse che non sarebbe morta, che le sarebbe passato tutto, e questo e quello; ma lei, poveretta, non ne ebbe più per molto e, quando arrivò la sua ora, rese l'anima a Dio.
Suo marito pianse disperato: diceva che era bella (la figlia assomigliava a lei), che era buona e così via. Ma anche lui pianse finché pianse, poi smise.
Non era trascorso un anno che al vedovo venne in mente di risposarsi; di villaggio in villaggio, di città in città, andò alla ricerca di una ragazza o di una vedova che potesse infilarsi al dito l'anello datogli da sua moglie moribonda. L'uomo girò molto, moltissimo, dicono che abbia girato per anni; ma una ragazza o una vedova cui andasse bene l'anello non c'era. E così tornò a casa triste.
Quando arrivò e posò il piede sulla soglia di casa, sua figlia stava lavorando al telaio. Dalla soglia, gettò con rabbia l'anello sul pavimento, dicendo:”Che tu sia maledetto, perché chi ti ha fatto ti ha fatto male!”.
La ragazza, vedendo l'anello cadere per terra, andò a raccoglierlo e se lo infilò al dito. Ed ecco il prodigio del diavolo, ché non sarà stato certo di Dio: le si adattò perfettamente, come se lo avesse sempre portato al dito! “Ah, babbo!- disse – Dallo a me questo bell'anello! Guarda come si adatta perfettamente al mio dito!”
Vedendo ciò, il possidente rimase di sasso. Che fare? Doveva sposare sua figlia, no? L'ultima volontà di sua moglie, sul letto di morte, era stata che il marito dovesse sposare quella cui si sarebbe adattato l'anello. Meglio non si poteva adattare, sembrava che fosse sempre stato su quel dito!
Allora l'uomo disse:” Che il diavolo ti porti, anello! Mi hai fatto fare il giro del mondo per tutto questo tempo!”


Burne Jones E.

Poi disse alla ragazza:” Figlia mia, preparati per le nozze, perché devo prenderti in moglie. Sul letto di morte, tua madre mi disse così e così”. E riferì alla ragazza quello che gli aveva detto sua madre. La ragazza era terrorizzata. Come era possibile che suo padre la prendesse in moglie? Non era una cosa da esseri umani! Perciò andò da sua nonna a dirglielo e a chiederle che cosa doveva fare per evitare una tale sciagura. “ Bambina mia, io non so proprio che cosa tu possa fare – disse la vecchia dopo essersi fatta il segno della croce, all'udire una cosa del genere – Per adesso digli che non lo sposerai finché non ti avrà portato un vestito che non possa essere tagliato dalle forbici né punto dall'ago.”
Il possidente fece fare un vestito di metallo e glielo portò.
“ Che facciamo, nonna?” chiese la ragazza, vedendo che suo padre le aveva portato il vestito.
“Che cosa dobbiamo fare? Digli che ti porti un altro vestito, con la luna sul dorso, il sole davanti e le stelle tutto intorno, proprio come la luna, il sole e le stelle del cielo; e anche questo, che non possa essere tagliato dalle forbici né punto dall'ago.” Il possidente, di soldi ne aveva in abbondanza. Le fece fare un vestito; poi pagò un orefice perché facesse sole, luna e stelle d'oro, d'oro puro, in modo che assomigliassero perfettamente al sole, la luna e alle stelle del cielo; quindi le portò il vestito, così come lei aveva chiesto.
Anche stavolta la ragazza corse dalla nonna. “Che facciamo, nonna?”
“Adesso, bambina mia, ecco che cosa ho pensato che dobbiamo fare, perché non c'è altro modo per saltarne fuori, ma sarà difficile.”
“Sia come sia, piuttosto che un sacrilegio di questo genere!”
“Andiamo da un bravo falegname, uno che conosco io, e commissioniamogli un baule di legno, ben decorato, nel quale nel quale tu possa entrare e coricarti, e che si chiuda dall'interno.”
“E che cosa ci dovrò fare?”
“Tu ti ci chiuderai dentro e io lo getterò nel torrente e sarà quel che Dio vorrà, perché per te è meglio morire, piuttosto che fare quello che vorrebbe quel demonio di tuo padre.”
La povera ragazza sospirò, poverina perché dopo tutto era giovane, amava la vita e non avrebbe voluto morire; ma che cosa poteva fare? Decise di fare quello che sua nonna le consigliava. Il falegname le portò il vestito proprio il giorno in cui suo padre aveva deciso di celebrare le nozze. Poco prima del matrimonio, la ragazza indossò il vestito con il sole e la luna, entrò nel baule, e si chiuse dentro. Quando si fu chiusa dentro, sua nonna cominciò a urlare e a gridare che alla ragazza era successo qualcosa di brutto, che era scomparsa di casa. Il possidente la sentì, fece cercare la ragazza, corse dappertutto, sarà qua, sarà là...
La ragazza era nel baule, con il cuore che le batteva forte per la paura di essere scoperta. Ma non la scoprì, perché non lo sfiorò neanche di lontano il sospetto che poteva essere là dentro. Anzi, camminando in fretta per la stanza, ci andò a sbattere contro e stava quasi per cadere.
”Che cos'è questa roba qui?” gridò allora irritato.
La nonna della ragazza, che era lì, gli disse:" È un baule, lo aveva comprato la ragazza. Non saprei che farne!".
" Buttatelo nel fuoco, che sia maledetto!" gridò lui. La vecchia non aspettava altro. Chiamò un servo e gli disse:" Prendi questo baule e seguimi, dài!".
Il servo lo prese e andò dietro di lei, che si incamminò verso il torrente. Quando vi giunsero, ordinò al servo di gettar dentro il baule e il servo lo gettò. Il torrente trasportò rapidamente il baule a valle e la vecchia tornò a casa piangendo.
Intanto il baule galleggiava sul torrente e viaggiò finché arrivò vicino ad alcuni pescatori che stavano pescando. Come lo videro, lo presero. Lo guardarono, lo trassero a riva, lo rigirarono.
" Che sarà mai?" chiese uno di loro.
" È un baule, non vedi?"
" Ma che baule meraviglioso!- fece un altro - Non vedi che fiori ci sono sul legno? Questo è un baule da imperatore!".
 “ Giusto! Lo sai che facciamo?- disse quello che aveva parlato per primo – Lo portiamo come omaggio all'imperatore e ci dividiamo il compenso che lui ci darà.”
“ Ben detto, compare! Portiamolo!”
Ritirarono le reti, si allontanarono dalla riva e andarono a casa ad abbigliarsi con i vestiti migliori che avevano, poi si recarono con il baule alla corte dell'imperatore.
L'imperatore era giovane. Come vide il baule, gli piacque; diede ai pescatori una ricompensa e lo fece mettere in una stanza dove egli dormiva e mangiava. Come d'abitudine, la sera gli apparecchiavano la mensa e gli preparavano il letto; poi lui andava a mangiare e si coricava quando gliene veniva voglia. Ma alla sera di quella giornata in cui aveva fatto mettere il baule nella propria stanza, andando a mangiare non trovò le vivande sulla tavola e il letto era tutto un groviglio, tanto era disfatto. Che diavoleria era questa? L'imperatore incominciò a chiamare i servi e a sgridarli duramente: che razza di letto gli avevano preparato, che razza di vivande gli avevano portato?
Le sue grida furono udite da sua madre, la quale gli voleva molto bene e non voleva che si arrabbiasse; perciò gli disse che il giorno dopo sarebbe andata a vedere lei, quando gli avrebbero portato da mangiare e gli avrebbero fatto il letto. Così l'imperatore si calmò.
Il giorno dopo, alla solita ora, la mamma dell'imperatore andò coi servi a vedere come gli rifacevano il letto e come gli sistemavano le vivande. Ma al momento della cena, il cibo non c'è più e il letto è ancora più disfatto che il giorno prima.
' Qui c'è sotto qualcosa – pensò l'imperatore – non c'è altra possibilità.' Tanto più che sua madre gli aveva detto che era stata presente quando i servi avevano portato da mangiare e gli avevano rifatto il letto. Allora decise che il terzo giorno sarebbe rimasto di guardia per vedere chi era a mangiargli il cibo e a disfargli il letto. E così fece.
Il giorno dopo, si nascose per benino sotto il letto e restò là fino al momento della cena. Vide che i servi portavano in tavola quello che dovevano portare, facevano pulizia nella stanza e rassettavano il letto. E dopo, un po' più tardi, cosa vide? Vide che il baule si apriva e ne usciva una fanciulla meravigliosa, così bella che l'imperatore dovette stropicciarsi gli occhi, perché non sapeva che cosa pensare: era un'allucinazione o che cosa? I capelli, come fili d'oro, toccavano il pavimento, al di sopra del vestito con la luna sul dorso, il sole davanti e le stelle tutt'intorno. Ma non restò sbalordito per lungo tempo e si riebbe. E riavutosi, la osservò. Per prima cosa essa mangiò per bene e bevve tutto quello che trovò sulla tavola; poi andò verso il letto, vi si coricò sopra e dormì un poco. Allora l'imperatore uscì pian piano da sotto il letto e andò a baciarla. Lei se ne accorse e, accorgendosene, si svegliò. Svegliandosi e vedendo l'imperatore vicino a sé, volle precipitarsi dentro il baule, ma l'imperatore pensò che volesse fuggire e la afferrò per il vestito. Lei cercò di sottrarsi a forza, ma non poté evitare che lui la afferrasse per bene; d'altronde il vestito non si poteva strappare, perché non lo tagliavano le forbici né lo forava l'ago. Visto che non poteva fuggire, rimase ferma; che altro poteva fare? Allora l'imperatore le domandò in che modo era venuta a trovarsi dentro quel baule nel torrente. Lei gli raccontò tutto quella che era successo. E lui si innamorò moltissimo di lei e tosto le disse che l'avrebbe presa in moglie. Lei acconsentì, badate bene, e fecero un matrimonio bello e grandioso, un matrimonio imperiale!
Dopo che si furono sposati, un anno dopo, l'imperatrice fece un figlio, un bambino bellissimo che le assomigliava.
Passò del tempo. Il bambino aveva ormai tre anni. Il padre dell'imperatrice, il possidente terriero, era decaduto, era precipitato nella totale povertà e pensava di andare a fare il servo per guadagnarsi il pane. Capitò che al palazzo dell'imperatore venne a mancare un servo e che lui lo venne a sapere; corse dunque subito a farsi assumere. E lo misero a badare alle galline. Con le galline rimase molto tempo, ci rimase all'incirca nove anni. Dopo questi nove anni accadde che si ammalò un altro servo che era al servizio dell'imperatore e dell'imperatrice e che aveva la sua stanza accanto alla loro. Chi mettere al suo posto? ” Mettiamoci quello delle galline, che si è comportato bene e ha fatto il suo lavoro come si deve.” E ci misero lui. Egli fu molto contento, perché, entrato nel palazzo dell'imperatore e veduta l'imperatrice, aveva riconosciuto in lei sua figlia e si era messo in testa che le avrebbe fatto pagare di essersene andata di casa nel giorno delle nozze. E così aveva pazientato, pensate un po', per nove anni; a lei non si era potuto avvicinare, ma quel pensiero diabolico non lo aveva abbandonato. Prendendo il posto del servo ammalato, non esitò.
Dopo due o tre giorni riuscì a rimanere solo durante la giornata; unse per bene le porte affinché non cigolassero e di notte aprì quella stanza in cui dormiva l'imperatrice con il bambino. Tagliò il collo del bambino con un coltello, asciugò il coltello insanguinato sulla camicia da notte dell'imperatrice, le infilò il coltello sotto il cuscino e poi andò a dormire.
Che successe il mattino dopo? Urla e strepiti per tutto il palazzo, ché non si sapeva chi avesse ucciso il figlio dell'imperatore. Cominciarono le indagini. Su chi doveva cadere il primo sospetto? Sul servo ultimo arrivato.

Ford H.J.

Dopo che lo ebbero portato ed egli vide che era condannato a morte, disse:” Voi mi condannate, ma non fate bene perché io sono innocente. Cercate meglio le prove per vedere chi ha commesso questo crimine; oppure lasciate che sia io a cercarle, per difendere la mia vita”. L'imperatore acconsentì. Così quello andrò dritto al letto dell'imperatrice e tirò fuori, da sotto il cuscino, il coltello insanguinato: e furono viste anche le macchie di sangue sulla camicia da notte. Così lui si salvò e tutte le colpe ricaddero sulla povera imperatrice.
Lei, poverina, cominciò a piangere e a gridare che non era colpevole, che non ci guadagnava niente a restare senza il suo bambino; e dovevano anche accusarla di averlo ucciso? Ma tutto fu vano. L'imperatore e i suoi consiglieri le diedero questa condanna: che le fossero tagliate le mammelle e le mani, che fossero messe dentro a una bisaccia, che gliela appendessero al collo e la abbandonassero in una grande foresta in preda alle bestie selvagge, perché la divorassero. La condanna venne eseguita. Dopo che le ebbero tagliate le mani e le mammelle, le misero dentro a una bisaccia, gliela appesero al collo e la consegnarono a un servo, il quale la portò in una fitta boscaglia e ve la lasciò.
Là la povera donna piangeva disperatamente e aspettava che il dolore o la fame la facessero morire, oppure che venisse qualche fiera e la sbranasse.
Ma Dio non dormiva. Lui venne a sapere, fate attenzione, che cosa le era accaduto.
Si mosse dal cielo e venne sulla terra.
Arrivato sulla terra, fece finta di passare per caso, nelle sembianze di un vecchio, per la boscaglia in cui si trovava l'imperatrice; e le domandò che cosa le era successo, per trovarsi in quelle condizioni. Lei gli raccontò tutto. Ma, raccontando, non fece come altri che bestemmiano Dio; al contrario, diceva:” Se Dio ha voluto così, io che posso farci? Dio sa che cosa deve fare con ciascuno!”.
Questo piacque molto a Dio, il quale tirò fuori dalla bisaccia le mani della donna, sputò sul punto in cui erano state tagliate e poi le riattaccò al loro posto, sicché sembrava che fossero sempre rimaste lì. Poi fece lo stesso anche con le mammelle. Poi sputò anche sul collo del bambino e prese la sua testa, perché nella bisaccia c'era anche la testa del bambino, e la attaccò al collo; poi soffiò su di lui e lo resuscitò. Quindi diede un ordine ed apparve, come se fosse uscito dalla terra, un palazzo meraviglioso, in una bella radura, al posto della fitta boscaglia.
Passò il tempo che passò ed ecco che l'imperatore andò a caccia e si recò proprio nella foresta dove si trovava il palazzo che Dio aveva fatto per quella donna innocente.
Caccia a destra, caccia a sinistra, alla fine ebbe fame. Quando ebbe fame, il suo sguardo cadde sul palazzo meraviglioso della radura in mezzo alla foresta.
“ Che cos'è quello?” chiese a un servo che era con lui.
“ Non lo so, maestà; non sapevo che in questa foresta ci fosse un palazzo.”
“ Che meraviglia! Sai che ti dico? Siccome ho fame, prendi due o tre cacciatori, vai laggiù e di' che l'imperatore di questo paese ha fame e chiede al padrone del palazzo di lasciargli arrostire due o tre uccelli nella sua cucina.”
Il servo andò e batté alla porta. La porta gli domandò:” Chi sei?”
“ Un uomo buono” rispose il servo.
“ Che cosa vuoi?” L'uomo disse quello che l'imperatore mandava a dire al padrone del palazzo. Allora la porta chiamò l'imperatrice.
L'imperatrice disse che non c'era bisogno che si affaticasse ad arrostire la selvaggina; gli rispondesse che la padrona del palazzo lo invitava e che il cibo mandato da Dio era sufficiente.
Quando gli dissero che era invitato, l'imperatore andò.
Nella padrona egli non riconobbe sua moglie. D'altronde, rifletteteci bene, come poteva pensare che quella donna lì, che aveva le mani intere e tutto quanto, era la stessa che lui aveva fatto mutilare davanti ai suoi occhi?
Adesso, nel palazzo, la mensa si apparecchiava da sola, i cibi arrivavano da soli, i tovaglioli sporchi se ne andavano via ed altri puliti arrivavano pure da soli, perché avevano un potere dato da Dio, sicché l'imperatore era rimasto a bocca aperta per lo stupore. Finalmente si mise a mangiare e dopo aver mangiato per bene rimase a far quattro chiacchiere con la padrona del palazzo. Parlando, ella lo invitò a venire ancora alla sua mensa quella settimana stessa, con tutti quelli di casa sua; con la moglie se era sposato, con i genitori se erano ancora vivi. Ma che portasse con loro anche un qualche servo vecchio e fedele, il quale possa fare ciò di cui vi sia bisogno, perché lei non aveva servi.
L'imperatore promise che sarebbe venuto con sua madre, perché altri congiunti non ne aveva, essendo vedovo. E difatti, tre giorni dopo, l'imperatore venne con sua madre; e come servo aveva preso quello che faceva la guardia alla sua camera, il padre della donna alla quale aveva fatto tagliare le mani!
Si misero a tavola a mangiare e, mentre loro mangiavano, la padrona del palazzo uscì un attimo fuori. Ordinò ad un cucchiaio, uno di quelli prodigiosi che andavano da soli, di andarsi a nascondere nello stivale dell'imperatore. Poi entrò di nuovo nella sala in cui gli ospiti stavano parlando e cominciò a parlare con loro.
Quando l'imperatore e gli altri si alzarono per andarsene, si levò un chiasso assordante. Che cosa era successo? Tutti i cucchiai si urtavano tra loro e gridavano che quel forestiero giovane aveva rubato un loro compagno.
“ Io? Dio me ne guardi Non ho mai rubato da quando sono al mondo! Come potrei mettermi a rubare cucchiai, adesso?”
“ Sia perquisito, così vediamo se ha rubato o no!” gridarono all'unisono tutti i cucchiai.
“ Perquisitemi pure!” disse l'imperatore.
Allora entrò dalla porta il figlioletto della padrona del palazzo e sua madre gli fece perquisire l'imperatore. L'imperatore non riconobbe nemmeno il bambino: primo perché era stato cresciuto da Dio, secondo perché non poteva pensare che quello potesse essere suo figlio, dato che suo figlio lo aveva visto come tutti i morti, col collo tagliato e con la testa staccata dal corpicino.
Il ragazzino lo perquisì e trovò il cucchiaio nello stivale. L'imperatore giurò di non saperne nulla, di non essere stato lui a rubare il cucchiaio, di non sapere che cosa fosse successo...
Allora suo figlio gli disse:” Allo stesso modo non è stata mia madre a uccidermi, eppure tu hai dato ascolto a un farabutto e l'hai fatta straziare, babbo!”.
Così l'imperatore venne a sapere chi erano quella donna e quel ragazzino; cadde in ginocchio e rese glorie a Dio perché li aveva aiutati col suo potere, facendoglieli ritrovare sani e salvi; baciò le mani della moglie chiedendole perdono e diede a suo figlio centinaia di migliaia di baci.
Dopo di ciò mandò a morte il vecchio servo, del quale sua moglie gli raccontò tutto per filo e per segno.
E io una nocciola mangiai 
e una fandonia vi raccontai. 

Storie e Leggende della Transilvania, a cura di Claudio Mutti, per la Mondadori

Non so cosa ci sia di prettamente rumeno in una fiaba che ricalca la Penta Manomozza (III, 2) del Basile, ma la grandissima parte delle fiabe europee deriva dal Pentamerone, che, in questo caso, si rifa, a sua volta, ad una leggenda edificante medievale, la leggenda di Sant'Uliva.

sabato 1 giugno 2013

Sulla Fiaba Rumena

Quello che oggi risulta evidente, è che la favolistica dei popoli della Transilvania ha custodito, attraverso i secoli, non solo la memoria di eventi e di personaggi storici più o meno trasfigurati in senso leggendario, ma anche una serie preziosissima di elementi mitici e rituali che talvolta risalgono addirittura al neolitico. Non esagerava dunque Ananda K. Coomaraswamy (1877-1947), allorché scriveva che le fate e gli eroi delle fiabe “erano in origine, in gran numero o per la maggior parte, degli dèi”, per cui “un autentico studioso di folclore dovrà essere non tanto uno psicologo, quanto un teologo e un metafisico” . Né esagerava Mircea Eliade (1907-1986), affermando che miti, simboli e rituali del folclore romeno “affondano (…) le loro radici in un universo di valori spirituali che preesiste all’apparizione delle grandi civiltà del Vicino Oriente antico e del Mediterraneo”, sicché il rigoglioso patrimonio delle tradizioni popolari romene avrebbe conservato non solo elementi della cultura geto-dacica, ma addirittura “frammenti mitologici e rituali scomparsi, nell’antica Grecia, già prima di Omero”. Infatti, per citare Vasile Lovinescu, che fu tra l’altro un esegeta del folclore di quest’area, le tradizioni popolari dei Romeni (in Transilvania e altrove) “offrono al ricercatore un campo d’indagine di un’importanza e di un’antichità poco comuni, un campo così vasto, che ci vorrebbero volumi interi per riassumere e interpretare i racconti e le leggende”. D’altronde Lovinescu si muoveva sulle tracce di René Guénon, il quale aveva scritto: “Quando una forma tradizionale è sul punto di estinguersi, i suoi ultimi rappresentanti possono benissimo affidare volontariamente alla memoria collettiva ciò che altrimenti andrebbe irrimediabilmente perduto” . Per rendersi conto della fondatezza di tali affermazioni, sarebbe sufficiente leggere una raccolta di favole romene e osservare come tra le figure caratteristiche vi siano, per esempio, le zâne. Il vocabolo romeno zâna rimanda al teonimo latino Diana e quindi alle numerose iscrizioni latine della Dacia dedicate a Diana regina, vera et bona, mellifica, con la quale era stata probabilmente identificata una divinità geto-tracica. Esiste una categoria particolare di zâne, le sânziene (da Sanctae Dianae) alla quale appartiene Ileana Cosinzeana, personaggio principale del folclore romeno. Se talvolta è alle zâne che viene attribuita la funzione di fissare la sorte di un essere umano al momento della sua nascita, tale funzione è altre volte assegnata alle ursitoare o ursitori, personaggi nei quali sopravvive il ruolo delle Parche latine e delle Moire greche, come è d’altronde attestato dall’etimologia stessa di ursitoare, che rinvia al verbo horìzein e richiama l’espressione horìzein moîran, usata in un frammento di Euripide col significato di “determinare il destino individuale”. Un altro motivo di notevole interesse presente in alcune fiabe romene, è quello dell’eroe (o dell’eroina) rinchiuso in una cassa e gettato in balia delle onde. È questo un motivo che si ricollega ad un archetipo attestato sia nell’Europa antica sia nel Vicino Oriente e perfino in Siberia; il Propp lo ha esemplificato tramite le storie di Mosè e di Sargon. A queste storie però se ne potrebbero aggiungere molte altre: ci limitiamo a citare quella di Danae e Perseo, quella di Auge e Telefo, quella di Neleo e Pelia, quella di Penta narrata in un cunto del Basile. Lo schema è sostanzialmente il medesimo e non staremo a rievocarlo; faremo invece notare come in tutte queste storie ricorra, accanto al motivo della regalità, il simbolismo della luce, che allude alla presenza dello spirito divino accanto al futuro regnante . Ebbene, questo simbolismo si ritrova puntualmente [...] nella "Ragazza nel Baule". Infatti la protagonista, che diventerà imperatrice, possiede un attributo specifico e significativo: allorchè entra nel baule, essa reca indosso un abito su cui sono ricamati, in oro puro, il sole, la luna e le stelle. L'eroina della fiaba romena è dunque un alter ego  di Auge e della figlia di Karaty-Khan, i cui nomi, in greco e in soioto, significano entrambi "splendore"; ma ricorda soprattutto, più che la Cortesia con le mani mozzate delle Sorelle invidiose, "La Bella dalle mani mozze" del cunto del Basile, e quella Penta che viene descritta come assai più bella della luna allorchè risplende in tutta la sua luce.


Vogeler H.


Dalla postfazione di Claudio Mutti a "Storie e Leggende della Transilvania", Mondadori.


Il Bosco nelle Leggende Rumene

I motivi leggendari rumeni non mancano di particolari curiosi.
In una storia, dall'antefatto comune a tante altre, come quella di Hansel e Gretel, un fratello e una sorella vengono più volte abbandonati nel bosco da una matrigna e nonostante lo stratagemma della cenere lungo il percorso, rimangono nel bosco per tre giorni e tre notti.
A un certo punto i due incontrano un drago che si allea o si sposa con la sorella del ragazzo; in seguito a questa curiosa unione il drago e la ragazza trovano che il fratello di lei è di troppo e decidono di sopprimerlo.
Il ragazzo, salvatosi grazie all'aiuto di una volpe, di un lupo e di un orso, uccide il drago e punisce la sorella.[1]

La storia di Bussuioc e Siminoc è invece una specie di versione del principe e il povero (un servo).
I due entrano nel bosco per gioco e ne rimangono affascinati: Quando videro la bellezza dei boschi rimasero a bocca aperta.
Non avevano visto simili meraviglie da quando erano al mondo.
Quando il vento soffiava e le foglie frusciavano sembrava di sentire il vestito di seta di una principessa sfiorare l'erba del prato....
I ragazzi si sdraiano sotto un albero a contemplare quell'atmosfera di sogno.
Ma il ritorno alla realtà è molto duro.
Bussuioc scompare durante una battuta di caccia. Siminoc, geloso perché pensa che sia fuggito con la fanciulla del bosco, va a cercarlo e quando trova l'amico morto in fondo a un pozzo, muore di crepacuore. Alla fine i ragazzi si trasformano in due stelle.

Tugulea è un povero ragazzo disgraziato senza gambe che un giorno chiede ai fratelli di portarlo a caccia nel bosco con loro e si dimostra sorprendentemente abile nel colpire le prede.
I ragazzi continuano a cacciare nella boscaglia per tre giorni e l'ultima notte Tugulea fa un sogno in cui supplica una fata di farlo guarire.
All'insaputa dei fratelli egli acquisisce dei poteri magici e parte alla ricerca delle sue vene rubategli da un drago.
Dopo una serie di vicissitudini Tugulea uccide il drago, guarisce e sposa una principessa.[2]

Vi è poi il motivo ricorrente del padre che vuole che i figli veglino la sua tomba dopo la sua morte.
I primi due riescono a scacciare lo spirito della notte, il terzo invece lotta contro di lui tutta la notte e al mattino, quando il gallo canta, si ritrova in un bosco e si smarrisce.
Dopo varie peripezie egli riesce a sconfiggere sette draghi e a liberare la solita principessa. [3]

Nelle leggende rumene compaiono spesso le tre vecchie divinità del destino, simili alle Moire greche; queste vecchie appaiono quando nasce un figlio da un'anziana coppia e gli predicono avversità e fortuna.
Il ragazzo, grazie all'aiuto di un libro magico, riesce a superare varie disavventure e a ritrovare la via dopo essersi smarrito in un bosco.[4]

In un'altra leggenda ricorre il motivo della freccia del destino.
I figli di un re tirano dall'alto di una torre una freccia; nel punto in cui cadrà si compirà la sorte di ognuno di loro.
Il terzogenito colpisce un albero in un bosco lontano; dopo una lunga ricerca lo trova grazie all'aiuto della regina delle Fate, che egli poi sposerà.[5]

Ancora il destino è protagonista nella leggenda della giovane figlia di un re alla quale viene predetto che sposerà un principe tramutato in porco.
Dopo il matrimonio però il principe porco scompare.La ragazza lo cerca disperatamente, e chiede aiuto alla madre del vento la quale le dice che il marito si trova in un bosco grande e fitto dove l'ascia non è ancora arrivata, e che si è costruito una specie di capanna fatta di arbusti e rami intrecciati.
La fanciulla entra allora nel bosco e cammina fra gli arbusti fitti fitti per tre giorni e tre notti, senza riuscire a trovare l'amato.
Per un giorno e una notte rimane sdraiata sul terreno erboso a riposare, senza mangiare e bere nulla.
Finalmente quando gli tornano le forze, riprende a camminare, e scorge una specie di capanna, uguale a quella che le aveva descritto la madre del vento.[6]

Tracce indicative del vampiro rumeno si trovano in alcune storie che parlano dello "strigoi", un fantomatico personaggio che si dice compaia spesso avvolto da una specie di nebbia, punteggiata di luci.
D'altra parte il famoso Dracula di Bram Stoker presenta diverse analogie con questa figura leggendaria, e la scelta della Transilvania come sfondo ambientale non è casuale: nella regione di Bistrita viveva infatti una antica famiglia chiamata Szeckler ma soprannominata "Ordog", equivalente ungherese della parola "Dracul", che in rumeno significa "diavolo". [7]
Gli abitanti di questa regione, nel famoso romanzo, pronunciano infatti la parola "ordog", quando il protagonista Jonathan Harker viaggia in carrozza verso il Borgo Pass.
Queste ipotesi trovano una conferma nell'opera "Il ramo d'oro", in cui lo studioso James Frazer fa notare che fra le popolazioni rumene della Transilvania esisteva una vasta documentazione sui vampiri, e osserva tra l'altro che l'aglio, il noto antidoto, era un rimedio naturale tipico di queste zone, e che il modo stesso di uccidere il vampiro (mediante decapitazione, o trafiggendogli il cuore con un cuneo) descritto nel romanzo di Stoker, trova puntuale riscontro nelle varie credenze del folclore rumeno e dell'Est europeo.
Anche la metamorfosi in pipistrello (oltre che in lupo) può essere collegata al vampirismo di un certo folclore transilvano.

Sui vampiri letterari è inutile dilungarsi: da Emily Gerard, a Charles Nodier, a Polidori, alla celebre Carmilla di Le Fanu fino ad altri autori famosi come lo stesso Maupassant.
Letteratura e cinema hanno sfruttato a fondo questo filone, ma il materiale documentario è spesso irreperibile e di difficile consultazione. D'altra parte la stessa collocazione del vampiro tra le creature caratteristiche del bosco risulta dubbia: spesso egli è infatti il signore di un castello situato in cima a una montagna. Il bosco comunque è quasi sempre presente, almeno come sfondo alla vicenda.
Le leggende più antiche sono ricche di esempi di vampirismo: in Mesopotamia e in Egitto erano i morti, che succhiando il sangue potevano tornare in vita; in Perú gli adoratori del demonio succhiavano il sangue ai bambini addormentati; un vampiro indiano, Baital, venne trovato appeso a un albero come un pipistrello; le stesse Cicladi, le famose isole greche, abbondavano di vampiri.
La Transilvania in ogni caso, non smentisce la sua fama di terra di vampiri: all'inizio del secolo scorso i casi segnalati furono numerosi specialmente nel nord, nella zona del famoso romanzo di Stoker.
Una supposizione attendibile è che i mongoli del Tibet, che credevano nel dio pipistrello e nei vampiri, siano emigrati anche in Transilvania.
Tali credenze sono particolarmente vive fra gli Székely della Transilvania che si proclamano discendenti degli unni; secondo la leggenda lo stesso Attila morì in seguito al morso di un pipistrello. Lo "strigoi" femmina pare che sia più terribile del maschio: è uno spirito che può apparire anche con sembianze di lupo, corvo o altro animale; dorme durante il giorno e di notte si incontra con altri spiriti maligni o creature del male.
Le "strigoiche" succhiano il sangue dei bambini, rovinano i matrimoni, danneggiano i raccolti e sono portatrici di disgrazie.
Per completare questa breve esposizione occorre almeno accennare ad altre creature fantastiche come lo "sburator", un bell'uomo che entra nella case attraverso le finestre, come Dracula, per baciare le donne che il giorno dopo si sentono inquiete e turbate.
Lo "zmeu" rapisce invece i figli dei potenti, ha una specie di coda pelosa e come lo "sburator" vola di notte; il "vircolac" è associabile al lupo mannaro: gli si attribuiscono anche poteri di controllo sulle fasi lunari.
La figura del "pricolici", infine, è più vicina a quella del vampiro tradizionale: si tratta di un morto vivente che esce di notte dalla tomba sotto forma di uomo, di lupo o di cane; questo spiegherebbe anche il raggelante ululare dei lupi come segnale della presenza dei vampiri.

Da: "Il Bosco - Miti, Leggende e Fiabe", A.Mari e Ulrike Kindl.



Zhong Biao


[1] E' il motivo "Latte di Fiera", (di cui abbiamo un esempio anche nella raccolta di Calvino), diffuso in tutto il mondo, ma  proveniente dal Medio Oriente. Esistono diverse varianti siriane, palestinesi, ecc.

[2] Sia il motivo dell'Eroe senza gambe che "il furto delle vene" sono molto diffusi nelle fiabe russe (v. la raccolta di Afanas'ev).

[3] Anche la veglia richiesta dal padre sulla propria tomba è diffuso (in Europa). Propp ne parla diffusamente, partendo dalle fiabe russe. E' il prologo di fiabe del tipo "Il Cavallino Gobbo".

[4] E' il motivo de "Il Predestinato".

[5] "La Fata Paribanu", dalle Mille e una Notte.

[6] "Il Re Porco" italiano. Motivo de "Lo Sposo Animale" che discende direttamente da Amore e Psiche.

[7] Credo che il termine abbia a che fare con  "drago" più che con "diavolo". Del resto, se la credenza nel vampirismo era diffusa in Romania, non era legata alla figura di Dracula, "Il Figlio del Drago" o "Il Drago", dal soprannome paterno. Dracula, a lungo prigioniero, da ragazzo, dei Turchi, li combatté strenuamente e crudelmente, ed è popolarmente vissuto come estremo baluardo del nazionalismo rumeno e della libertà europea. E' un po' la sorte ambivalente toccata al "feroce Saladino". Posto due leggende romene a sfondo storico, La Giustizia di Dracula e Dracula e i Mendicanti, che illustrano questa visione del personaggio.

Mab