mercoledì 28 agosto 2013

Il Corvo, Fiaba Calabrese su una Fanciulla, un Principe Trasformato in Corvo e l'Ingratitudine

iveva una figlia  d'un ricco mercante bellissima come nessun'altra donna. Era nel primo sbocciare della giovinezza quando l'infanzia muore e la femminilità, vaga e fantasiosa, nasce con un desiderio prepotente di amore e di gioia.
La mattina, sorgendo dal letto tiepido, andava verso lo specchio mentre dalle finestre aperte il sole entrava sorridendo sui riccioli dorati e sulle pareti dipinte con fiorami arabescati. Davanti allo specchio, indossando un accappatoio bianco, prendeva un pettine d'avorio e scioglieva le chiome che il sonno aveva scomposto per intrecciarle in nuovi nodi e viluppi. Poi si avvolgeva nella veste bianca e leggera dal fruscio di seta e, infine, si metteva a lavorare di ricamo dietro il verone.
Da lontano, si disegnavano, a perdita d'occhio, la selva di case, le cupole leggere, le ombre della città e, lontana lontana, sfumata nell'azzurro, la cresta frastagliata dei monti.
Così trascorrevano i giorni pieni d'incanto. Ma avvennero eventi che ruppero la tranquillità e accrebbero il senso di mistero.

Cowper F.C.


Una mattina, mentre era alla toeletta, un corvo entrò dalla finestra aperta e le ghermì il pettine che teneva tra le mani e volò via. La bella giovinetta gridò di spavento e accorsero i familiari e i servi. Ma quando si affaccìarono videro il corvo lontano lontano come un punto perduto nel verde di smeraldo del cielo.
Trascorsero molti giorni e non si pensava più all'accaduto, quando, una seconda volta, mentre era intenta al ricamo, il corvo entrò per il balcone e, calato sul ricamo, prese nel becco le forbici e volò via.
La questione si ripeté ancora una volta. Dopo pochi giorni, infatti, il corvo involò il ditale mentre la bella, smesso il cucito, riguardava l'orlatura.
Ma se la prima volta lo spavento prese il cuore, la seconda e la terza volta un senso vivo di rispettoso timore si impossessò di lei. In questi avvenimenti le sembrava di scorgere un segno.
Erano forse lontani presagi di chissà quali Destini vaghi e fantasiosi?
Le storie udite da fanciulla, nelle quali si narrava di strani amori ed avventure misteriose, le tornavano alla mente. E, in questo vago ondeggiare, trascorreva il tempo.
Ora avvenne cbe una donna che andava da paese a paese a chiedere l'elemosina la sorprese piangente. Alle prime domande non rispose e tentò di dissimulare, ma, alle ripetute insistenze della vecchia, raccontò tutta la storia del corvo pregandola di non raccontarla.
La leggenda continua dicendo che quella donna si recò a chiedere l'elemosina fuori di città in un magnifico palazzo nel quale, per l'uscio aperto, si introdusse un corvo. La vecchia lo seguì su per la scala principesca e per le stanze. Vide il corvo tuffarsi in una vasca marmorea piena di acqua profumata e di là uscire trasformato in un bel cavaliere. La vecchia ebbe paura ma si nascose dietro un uscio. Osservò il giovane il quale, tolto da un cofano cesellato un pettine d'avorio, un ditale e le forbici, piangendo prese a inveire contro il destino che lo condannava ad essere corvo mentre la bella giovinetta da lui amata se ne stava lontana ed inconsapevole del suo grande amore. Poi, il figlio del re, vinto dal dolore, si addormentò.
La vecchia piano piano si allontanò e corse dalla figlia del mercante e raccontò quanto aveva visto e udito.
Trascorsero i giorni e una sera la giovane, non sapendo più resistere all'attrazione e al segreto desiderio, guidata dalla vecchia lasciò la casa natia e andò nel palazzo dove il Destino la conduceva.
Si incantò della bellezza e della dolcezza del figlio del re e quando il giovane cominciò a lamentarsi gli apparve splendida e consolatrice. Dopo il primo smarrimento si abbracciarono e tra dolci carezze e abbandoni confidenti, il principe raccontò del suo destino che lo dannava a esser corvo fino al giorno che una donna venuta da lontano non avesse riempite di lacrime un'anfora.
Allora la giovane cominciò a piangere mentre scoloriva e la persona perdeva la delicata bellezza. Già l'ultima stilla era caduta nell'anfora quando il giovane, divenuto per sempre uomo, disse a lei che raggiante si asciugava il viso:
 "Troppo sei stata ingiusta a lasciare la tua famiglia, a donarti a me e a piangere per me. Non posso più amarti. Addio".***
E subito il palazzo scomparve per incanto e la giovane, sola e addolorata, si ritrovò in mezzo ai campi, timida e paurosa.
Allora - dice la leggenda -le apparve un vecchio e le domandò perché fosse così sciupata e triste. La donna, che aveva bisogno di confidarsi, tutto gli disse. Il vecchio consolandola le consegnò una verga che le ridonò la bellezza. Poi il vecchio, che era San Martino, le disse che con la verga poteva ordinare, in un istante, tutto ciò che avesse voluto e disparve. La donna rimase confusa, ma subito comandò alla verga di trasportarla di fronte al palazzo del principe redento. E ordinò che sorgesse il più bel palazzo del mondo. Vi andò ad abitare e dai balconi, dalle terrazze, dai giardini, nello sfolgorio degli abiti e delle gemme, bella ed altera, la bellissima donna si faceva vedere dal principe che se ne innamorò e cercò di averla in sposa offrendo doni preziosi.
Inviò, ad esempio, in una scatola di fine cesellatura su di un vassoio d'oro, le perle orientali che sua madre metteva nelle circostanze solenni.
La giovane fece lungamente attendere colui che presentava il dono, e poi con i segni del più gran disgusto, ordinò che le perle si dessero in pasto alle oche.
E i doni continuarono a pervenire ancora ma non vennero accolti con maggiore fortuna. Una corona tempestata di gemme venne mandata e venne usata come tripode in cucina; una veste serica di valore e antica, fu adibita a stracci.
Per questo disprezzo l'animo del giovane rimaneva sempre più preso d'amore, quasi alla follia...
Finalmente un giorno il re la invitò a una festa. La bellissima accettò a patto che dalle logge di casa sua a quelle del re, ch'eran dirimpetto, sorgesse un ponte e sul ponte si allungasse un vasto tappeto di bottoni di rose, non ancora sbocciate.
Era d'inverno e le rose non avevano messo che qua e là qualche bottone e il tempo stringeva. Ma il ponte sorse subito e il tappeto di bottoni non ancora sbocciati venne steso.


Abbey E.A.

La festa era stata indetta e i cavalieri più brillanti e le più belle dame eran raccolte nel salone reale a ricevere la regina della festa. Già la giovane era avviata ed era giunta a metà cammino quando un bottone per incanto sbocciò in una bella rosa proprio davanti ai suoi piedi. La donna allora con spietato sdegno si volse indietro e si allontanò dalla festa.
Il principe infelice allora le scrisse una lettera nella quale dichiarava di essere pronto a ogni sacrificio che ella volesse imporgli. Ed ella rispose che doveva fingersi morto, farsi trasportare in una bara per la città e passare dinanzi al suo balcone. Il principe accettò. La città fu pavesata a lutto. In un lungo ordine passarono i frati salmodiando, seguivano le truppe e in mezzo ai dignitari della corte, su di un sarcofago, era il principe, mentre una folla di popolo assisteva alla strana cerimonia...
Il corteo percorse la città e passò sotto Il suo balcone. La donna bellissima e astuta vedendo la scena dette in uno scoppio di risa e disse:
"Quante ne fa un uomo per una donna!".
Il principe fece fermare il corteo e, riconosciutala, le chiese perdono e confessò il suo errore. E la donna amante e generosa perdonò e divenne sua sposa. Tra canti e musica.





*** Nella versione di Italo Calvino, "La Colomba Ladra", fiaba n.153 della sua raccolta, tratta dal testo in Siciliano del Pitrè, "La Palumma", che spero di riuscire a tradurre presto, il Principe ex-stregato è ancòra più violento e arrogante. La fanciulla , per liberarlo, trascorre un anno e un mese e un giorno con il viso esposto al sole e alle intemperie, rivolto alla montagna dove è prigioniero:
"E a poco a poco diventava scura, sempre più scura, finché non fu nera come la pece. Così passò un anno e un mese e un giorno e la colomba ridiventò uomo e scese dalla montagna. Appena vide che la Reginella era diventata così nera, esclamò: 'Ppuh! Come sei brutta! Non ti vergogni di farti vedere così imbruttita per un uomo! Va' via!', e le sputò."
Frase che fa perfettamente pendant con la frase della ragazza nel finale.

Da:
"Leggende e Racconti popolari della Calabria", a cura di Grisi F.

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