Morì, lasciando soli, marito e figlie.
Gysis Nikolaos
La maestra, vedendo che a queste bambine era morta la madre, cominciò a far loro mille carezze. Dopo un po', disse alla più grandicella:
"Rusidda, tu mi vuoi bene? Se mi vuoi bene, diglielo a tuo padre che mi prenda per moglie e io diventerò tua madre".
Le rispose la picciridda:
"Io vi voglio bene, ma mia madre ha lasciato detto che mio padre potrà riammogliarsi solo quando un certo paio di scarpe cadrà a pezzi!"
"Stupida! - le disse la maestra - tu piglia le scarpe, bagnale e poi appendile. Le scarpe marciranno in fretta e io diventerò tua madre".
La bambina ci credette e lo raccontò alle sorelline. Si arrampicarono su per una scala. Presero le scarpe, le inzupparono per bene e le appesero. In un amen, le scarpe marcirono e caddero a pezzi. Allora, la maggiore disse all'uomo:
"Padre, ora che le scarpe sono cadute, perché non vi prendete per moglie la maestra, che stravede per noialtre?"
Il padre fece finta di non sentire, ma, dopo poco, si risposò con la maestra.
Von Blaas Eugene
Lasciamoli stare, e andiamo a raccontare che c'erano un Re ed una Regina, e la Regina era gravida. Dopo nove mesi, le vengono le doglie e il Re manda a chiamare una mammana. Arriva la mammana per assisterla: infila una mano... e si ritrova senza mano! Mandano a chiamare un'altra mammana, e anche quella infila una mano e pure lei si ritrova senza mano. La terza, lo stesso.
Emanarono un bando: chi si fosse presentato per assistere la Regina nel parto avrebbe avuto una grossa ricompensa.
Non appena la matrigna di quelle picciridde - che, intanto, erano cresciute - sente il bando, chiama il banditore, spinge la figliastra verso di lui, e dice:
"Questa fa la mammana. Pigliatevela, ché la fa figliare in fretta alla Regina!"
La picciotta, più morta che viva, non sapeva che fare, e, camminando, piangeva e piangeva, dicendo:
"E adesso, che faccio? Quando mai ho fatto la mammana?"
"Ih, figlia! - dicevano i servi - in che cattive mani sei capitata!"
La picciotta, non sapendo a chi raccomandarsi, chiese che la portassero sulla tomba della madre, e lì si mise a piangere e a implorare aiuto. Dopo un po', si solleva la lapide, la madre si alza e le dice:
"Ci hai colpa tu, figlia mia, che pagasti a caro prezzo la sua benevolenza! Ma, adesso, sai che devi fare? Va' a Palazzo e fatti portare una tinozza di latte e una d'acqua; mettiti un grembiule, entra nella stanza della partoriente, infila una mano e di' alla creatura: "Esci fuori! Vieni qua, piccolino mio!". Non appena quello viene fuori, tu lo prendi e lo lavi nella tinozza d'acqua, poi, gettalo nella tinozza del latte".
La povera Rusinedda salì a Palazzo e si fece preparare ciò che le aveva detto sua madre morta.
Come attacca a dire: "Esci fuori, piccolino mio!", invece di un bambino, vede uscire un serpente.
Lo lava nell'acqua fresca e poi lo getta nella tinozza piena di latte. La Regina, contenta d'aver scampato la morte, prende duecent'onze e le regala alla picciotta.
Quando se la vede tornare a casa, alla matrigna va il sangue al cervello. Non se ne capacitava.
"Non sei morta?", dice.
"E perché dovevo morire?"
Quell'infame della matrigna le piglia i denari e la tratta peggio di prima.
Torniamo al Serpente. Dopo qualche giorno, pretendeva di poppare il latte. Ci va una balia. Il Serpente si attacca al seno, ma si mangia la mammella tutta intera e amen. Ci va un'altra balia: il Serpente s'attacca al petto e le mangia la mammella sana sana. Va una terza balia: stessa cosa. Nessuna balia accettava più di andare ad allattarlo.
Il Re fa gridare un bando: chi andrà a Palazzo ad allattare il figlio del Re avrà una grossa ricompensa.
La matrigna chiama il banditore e gli spinge incontro la figliastra, che era ancòra ragazza: "Prendetela. Questa ne ha di latte".
Piangendo, la picciotta se ne va sulla tomba della madre, e la madre le dice:
"Come arrivi a Palazzo, fatti portare una mezzina piena di latte con un tubicino che termina a forma di poppatoio; questo poppatoio te lo applichi alla mammella, e lo dai in bocca al Serpente. E non aver paura".
La ragazza andò a Palazzo, si fece fare la mezzina piena di latte e cominciò ad allattare. Il Serpente si attaccò, e dàlli e dàlli a succhiare. Per due anni, Rusinedda fece 'sta vita, e, dopo due anni:
"Non voglio più la tetta!"
Disse il Serpente con una voce da paura.
Le regalarono quattrocent'onze a Rusinedda, che se ne venne a casa.
La matrigna, come la vede:
"E tu? Ancòra qua stai?"
"Perché? Non è forse casa mia? Tenete, vi ho portato quattrocento onze"
"E che me ne faccio?" Ribatté la matrigna e se le prese.
Dopo qualche anno, al Serpente venne lo sfizio di ammogliarsi. E lo fecero sposare poiché, fuori dalla Corte, nessuno sapeva che il Reuccio era un serpente. Così, la mattina dopo le nozze, vanno e trovano la moglie morta. E tornarono a farlo ammogliare, ma, per quante mogli prendeva, tante ne trovavano morte. Si gridò un bando.
La matrigna chiamò il banditore:
"Venite qua e pigliatevela: essa l'ha tirato fuori dal grembo della madre, essa lo ha allattato, essa se l'ha a prendere in sposo".
Povera figlia! Non appena rimase con i servi, chiese di essere portata sulla tomba della madre.
"Ahi, madre! E adesso che faccio?"
La madre s'affaccia dal suo sepolcro e le dice:
"Sai che devi fare? Come arrivi a Palazzo, prendi e sposatelo il Serpente. Quando ti fanno sedere a tavola, tutto ciò che ti trovi davanti offrilo a lui. Quando sarà ora d'andare a letto, di' alle dame di Corte che ti spogli da te. Quando resterai sola con il Serpente, lui ti dirà: 'Spogliati e va' a coricarti' - Tu non ti spogliare! Anzi, gli devi dire: 'Spogliatevi e andate a coricarvi' - E, come gli dici così, lui getterà via la prima pelle. Dopo, ti dice: 'Spogliati e va' a coricarti' - E tu gli rispondi: 'Spogliatevi e andate a coricarvi' - E vedrai che getterà anche la seconda pelle. Più tardi, ti dirà ancòra: 'Adesso spogliati e va' a coricarti' - E tu ripeti sempre la stessa cosa e non ti spogliare mai. La settima volta, lui getterà via l'ultima pelle e diventerà un giovane bello come il sole. Due ore più tardi, mentre sarete a letto, lui dirà. 'Rusina, Rusina, che ora è?' - E tu gli dici: 'E' l'ora che il mio papà tornava dal teatro' - Dopo un altro po': 'Rusina, Rusina, che ora è?' - 'L'ora che il mio papà cenava', gli rispondi tu - E prima dell'alba: 'Rusina, Rusina, che ora è?' - 'L'ora che il mio papà chiamava per il caffé' - E allo spuntar del sole: 'Rusina, Rusina, che ora è?' - 'L'ora che il mio papà chiamava per la colazione' - Allora il Reuccio ti abbraccerà e ti dirà: 'Tu sei mia moglie! Ma sta' attenta a non raccontare niente ché saresti perduta!"
E così, ben indottrinata, Rusidda lasciò la chiesa dov'era seppellita sua madre e salì a Palazzo, si maritò con il Serpente; a tavola, gli offrì tutto ciò che le mettevano davanti; poi, la sera:
"Spogliati!"
"Spogliatevi".
"Che ora è?"
"L'ora che il mio papà tornava dal teatro".
"Tu sei mia moglie!"
"Tu sei mio marito!"
E finis.
E, l'indomani, Rusidda era bella e soddisfatta.
Durante il giorno, il Reuccio era un serpente, e, la notte, un bel giovane che si godeva l'amore della moglie.
Alvaro Tapia
Passano i mesi, ma la Regina madre non si poteva capacitare che la Reginella fosse così contenta di vivere con il Serpente: si arrovellava su 'sta cosa, ma non diceva una parola. Un giorno, la Reginella chiese a suo marito la grazia che si facesse vedere una sola volta in forma di uomo. Lui acconsentì e le disse:
"Domani, affacciati al balcone: passerà un Cavaliere che ti saluterà con il cappello. Sarà tuo marito, ma bada bene che, se appena appena fiati con qualcuno, ci perdi il marito; e allora solo potrai trovarmi, quando mi cercherai tra fiabe e novelle".
L'indomani, come finirono di mangiare, il Serpente sparì. La Reginella uscì sul balcone, e la Regina madre le andò dietro. Passa un Cavaliere, si leva il cappello e saluta la Reginella, che ricambia il saluto e gli sorride. La Regina madre entrò in sospetto. L'afferra per i capelli e la tira dentro:
"Ah, traditora! Così tratti mio figlio perché è serpente?"
La povera nuora, vedendosi maltrattare a quel modo, dimenticò gli ordini del marito e disse:
"Maestà, quello che vi pare un estraneo, in realtà, è vostro figlio, che è infatato, e le Fate lo tengono in loro potere: la notte è uomo, e il giorno, è serpente!"
Quella notte, il Serpente non si fece vedere e la Reginella si ricordò delle parole del marito e scoppiò in un pianto dirotto. Poi, prese un po' di denari e se ne andò.
Entrò in un paese. Aprì una locanda e sulla locanda c'era un'insegna che diceva: "Tre giorni di ospitalità gratuita per chi racconta favole e cunti". [1]
E subito incominciò una gran processione di gente verso 'sta locanda. E chi andava e chi veniva.
Un giorno, se ne viene una vecchia e incomincia a raccontare.
"Stamattina ho visto una cosa strana. Ero in aperta campagna, quando vedo un bel giovane uscir fuori da un crepaccio della montagna con un involto di panni da lavare sulla testa. Va al fiume e dice:
'Ah, se ci fosse mia moglie! Le darei questa roba, e lei la porterebbe sopra la montagna e la darebbe alle Fate'".
"E' la verità?- Grida Rusidda che faceva la locandiera - E ve lo ricordate bene il posto? Mi ci portereste?"
"Sissignora!"
E se ne andarono in campagna. Una volta giunte al fiume, Rusidda manda via la vecchia e si nasconde in una macchia. Arriva il marito con l'involto di panni.
"Ah, moglie mia! - dice - Come sono disgraziato! Se ci fosse qui mia moglie! Le darei questi panni e lei andrebbe in cima alla montagna e li darebbe alle Fate!"
Detto fatto, Rusidda salta fuori dalla macchia e si fa riconoscere dal marito, che le racconta quel che aveva patito e ciò che doveva fare per liberarlo. Lei prende i panni, sale in cima alla montagna, entra nella grotta e dice alla Fata più anziana.
"Voscenza (Vostra Eccellenza): ecco qua la roba vostra"
"E voi che volete?"
"Voglio ciò che vuole Voscenza"
"E che ho da darvi?"
"Ciò che Voscenza sa".
E tra un "Che volete?" e un "Ciò che vuole Voscenza" passa la giornata e si stava facendo notte. La Reginella fece pietà alle altre sorelle-Fate, e la più piccola disse alla maggiore:
"Ma non vedi quanto ha patito 'sta poverina? E daglielo ciò che le devi dare, e lasciala andare!"
Disse la Fata più grande alla Reginella: "E pigliatelo a tuo marito e portatelo via!"
Figuratevi la contentezza! Corre al fiume, si piglia il marito, e , in un amen, raggiunsero la locanda. L'indomani mattina, tornarono a Palazzo, e il Reuccio raccontò tutta la storia, di come le Fate l'avessero infatato nel ventre della madre e di come sua moglie gli avesse tolto la fatagione. La Regina madre si pentì del malo modo in cui aveva trattato la nuora e le chiese perdono. Fecero pace e vissero felici e contenti finché vissero,
E noi siamo qui e ci stuzzichiamo i denti! [2]
Palermo. Raccontata dalla Messia.
"Lu Sirpenti", LVI, G. Pitré.
Traduzione: Mab's Copyright
Il testo in lingua originale è nella Pagina: Fiabe Popolari-Italia.
[1] VEDI la palestinese "Il Marito Cammello" e la siriana "Gòmena, il Principe dei Djinn"
[2] Alcune varianti siciliane riportate in nota dal Pitrè, tra cui "Il Principe Scursuni" della Gonzenbach, già postato):
Re Cavallu (Ficarazzelli)
Re Porcu (Montevago)
Re Scursuni (Noto)
Varianti siciliane della nostra fiaba sono la 42 e 43 della Gonzenbach.
Nessun commento:
Posta un commento