venerdì 4 agosto 2017

Storia del Secondo Vecchio e dei Due Cani, Mille e Una notte


ran Principe dei Djinn, devi sapere che questi due cani ed io siamo fratelli. Morendo, nostro padre ci lasciò mille zecchini ciascuno. Con questa somma, tutti e tre decidemmo di darci al commercio e diventammo mercanti. Il mio fratello maggiore si mise in viaggio per cercar fortuna in terre straniere. Un anno dopo, un uomo male in arnese, che io scambiai per un mendicante, si affacciò all'uscio della mia bottega, e io gli dissi:
"Che Allah ti benedica!"
"E che benedica anche te - mi rispose lui, e aggiunse - Ebbene, non riconosci tuo fratello?"
Allora, lo guardai attentamente e lo riconobbi: era il mio fratello maggiore.
"Ah, fratello mio! - esclamai, abbracciandolo - come avrei potuto riconoscerti ridotto in questo stato?"
Lo feci entrare in casa, e gli domandai notizie del suo viaggio.
"Non chiedere - mi disse - Guardami e avrai le tue risposte".
Al contrario, i miei affari andavano a gonfie vele, tanto che avevo raddoppiato il capitale iniziale, e disponevo di duemila zecchini. Gliene donai la metà dicendo:
"Fratello mio, con questi denari potrai dimenticare le perdite subite".
Egli accettò i mille zecchini con gioia, riprese il suo commercio, e vivemmo insieme, come prima.
Qualche tempo dopo, il mio secondo fratello - l'altro di questi due cani - partì in cerca di fortuna, e non gli andò meglio: ritornò dopo aver perduto tutti i suoi averi. Lo rimisi in sesto, e, poiché gli affari mi andavano bene e avevo nuovamente raddoppiato l'eredità paterna, gli donai mille zecchini. Riaprì la sua bottega, e riprese  la sua attività di mercante.
I miei due fratelli mi facevano continuamente pressioni perché intraprendessi un viaggio in terre straniere con loro. Sulle prime, spaventato dal triste esito dei loro precedenti viaggi, non ne volli sapere, e per cinque anni, rifiutai ogni proposta. Infine, sfinito dalla loro insistenza, mi arresi.
Quando giunse il momento in cui dovevamo comprare le mercanzie, scoprii che avevano nuovamente sciupato i loro averi. Non mossi loro il minimo rimprovero, e poiché il mio capitale ammontava ora a seimila zecchini, ne divisi la metà in parti uguali tra noi, e nascosi i rimanenti tremila zecchini in casa mia.
Comprate le mercanzie, ci imbarcammo. Trascorso un mese, gettammo le àncore in un porto. Vendemmo le nostre merci, e io fui particolarmente fortunato perché, per ogni zecchino speso, ne guadagnai dieci. Conclusi i nostri affari, ci accingevamo ad imbarcarci nuovamente, quando, sulle rive del mare, m'imbattei in una donna molto bella, ma vestita poveramente.


E. Dulac





Ella mi si avvicinò, mi baciò la mano e mi pregò di prenderla in moglie e di condurla per mare con me. Ero molto titubante, ma, a dispetto delle sue povere vesti, era così cortese e persuasiva e sfoggiava maniere così raffinate che mi lasciai convincere. Le comprai belle e dignitose vesti, ne feci la mia legittima sposa e le permisi d'imbarcarsi con me. Durante la navigazione, scoprii in mia moglie tali e tante qualità che l'amavo ogni giorno di più.
Intanto, i miei fratelli, i cui affari non erano andati così bene come a me, furono assaliti da una tremenda invidia per la mia prosperità, tanto che giunsero a tramare la mia morte.
Una notte, mentre io e la mia sposa eravamo profondamente addormentati, ci afferrarono e ci gettarono in mare. Ma, non appena sfiorai l'acqua, mia moglie mi sollevò e mi trasportò in un’isola.



E. Dulac



Allo spuntar del giorno, ella mi disse:
"Sappi che io sono una Fata. Quel giorno, in riva al mare, mi sono presentata a te vestita poveramente per saggiare la generosità del tuo animo.Tu mi hai trattata con grande bontà, e io sono lieta di averti potuto dimostrare la mia riconoscenza, e di averti restituito il bene che mi hai fatto. Ma sono furiosa con i tuoi fratelli, e non sarò soddisfatta se non avrò tolto loro la vita".
Ascoltai attonito le sue parole, e la ringraziai con tutte le mie forze per la grande liberalità che mi aveva mostrato.
"Signora - dissi - devo pregarti di risparmiare i miei fratelli!". E le raccontai la nostra storia dall'inizio, il che la fece infuriare ancòra di più, tanto che voleva far inabissare il battello su cui viaggiavano.
"Ma - aggiunsi - ricordati che sono sempre miei fratelli e che è nostro dovere ricambiare il Male con il Bene!"
A queste parole, la Fata mi trasportò in un istante dall'isola dove eravamo sul tetto della mia casa, e disparve.


E. Dulac



Io scesi, aprii le porte della mia casa, e dissotterrai i tremila zecchini che avevo nascosto. Quindi, mi recai nella piazza dove sorgeva la mia bottega, l'aprii, e ricevetti i saluti e i complimenti dei mercanti miei vicini. Ritornato a casa, vidi venirmi incontro questi due cani neri, che parevano mortificati e sottomessi. Non capivo cosa stesse succedendo, ma apparve subito la Fata che mi spiegò.
"Sposo mio, non essere sorpreso di vedere questi due cani in casa tua: sono i tuoi fratelli".
Mi si agghiacciò il sangue e le chiesi quale tremendo potere ne avesse mutato la forma in quel modo.
"Sono stata io: ho inabissato il loro bastimento con tutte le mercanzie - e, per questa perdita, sarai largamente ricompensato - ho trasformato i tuoi fratelli in due cani neri, e in questa forma resteranno per dieci anni, per pagare il fio della loro grande malvagità".
Quindi, dopo avermi insegnato come avere sue notizie, disparve.
Adesso che è spirato il decimo anno, sono in cammino per andarla a cercare, e, passando di qua, ho incontrato il mercante ed il buon vecchio con la cerva, e mi sono attardato con loro. Ecco, questa è la mia storia, o Principe dei Djinn: non ti sembra delle più straordinarie?"






FINE

Traduzione: Mab's Copyright

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