lunedì 15 agosto 2016

Il Ragazzo-Pesce Nichola de Bar, o Colapesce, Papi che Odiano i Grandi Re, 'E Figlie 'e Nettuno...

La storia di "Nichola de Bar", il ragazzo-pesce di origine pugliese, compare nelle cronache grazie ad un trovatore provenzale vissuto alla fine del 1100, Raimon Jordan, libero pensatore, oserei dire. Nichola de Bar era un nuotatore prodigioso, in grado di resistere in mare, anzi, sotto le onde del mare, per giorni.
Walter Map (chi legge spesso i post lo avrà già incontrato più volte), interessante uomo di lettere gallese nonché arcidiacono di Oxford, "scopritore" dei Valdesi e arguto e sprezzante critico dei Benedettini e di Bernardo di Chiaravalle, (ispiratore dei monaci-guerrieri, leggi Templari, e sponsor di Crociate), gli fa eco parlando di "Nicolaus", soprannominato Pipe, ormai più pesce che uomo, e della fatale visita a Messina di Guglielmo II, che porterà alla sua morte.
Anche Gervàsio di Tilbury autore degli Otia Imperialia (altra frequentazione nei post, vedi Virgilio Mago) vissuto a cavallo del dodicesimo e tredicesimo secolo, parla di un pescatore pugliese, "Nicolaus", soprannominato "Papa", famoso per la sua abilità di nuotatore, ma soprattutto, di sommozzatore, che esplora i fondali del mare di Messina dal Porto al Faro e ne descrive le meraviglie.
Qui, il Re è Ruggero II, non più incolpevole, in quanto spinge Nicolaus ad esplorazioni sempre più lunghe e ardite fino a provocarne la morte.








Quindi, dal dodicesimo al tredicesimo secolo, Nichola de Bar o Nicolaus detto Pipe è pugliese, vive a Messina, o meglio, nel mare di Messina, e ne esplora le grotte in cerca di tesori, essendo dotato di una prodigiosa capacità respiratoria.



Il "Colapesce" di Guttuso



Parentesi: il primo Re che entra nella storia di "Nichola de Bar" è, dunque, Guglielmo II, re normanno di Sicilia, morto giovane, bello di fattezze e generoso d'animo, nonché illuminato, come si usa dire. Famoso e popolare per la sua tolleranza nella vulgata storica, di fatto, sembra un uomo di pace, di cultura e di senno. Ricompone le lotte intestine richiamando gli esuli, accoglie alla sua Corte le menti più brillanti dell'epoca, senza distinzione di razza e religione, pur dichiarandosi cristianissimo. Né la sua tolleranza è riservata ai saggi, agli studiosi e agli scienziati. l'Islam era praticato liberamente dai suoi sudditi, rispettato e onorato anche come espressione di una comunità culturale.
Il Papato - che lo dico a fare? - lo odiava. Ma, tornando a "Nichola de Bar", o Cola Pesce, la figura del Re in questa prima fase è incolpevole. Ha sentito parlare dello strano ragazzo-pesce capace di resistere sott'acqua per giornate intere, corteggiatore corteggiato di esseri mitologici e grande esploratore di grotte marine in cerca di favolosi tesori. Sa della sua lenta mutazione fisica, è curioso, vorrebbe vederlo. Ansiosi di compiacere il Re, i popolani portano a forza il ragazzo-pesce alla sua presenza, ma Guglielmo non può che raccoglierlo morente poiché Nichola de Bar, ormai, non può sopravvivere molto a lungo lontano da quello che è diventato il suo habitat.
La leggenda della "colpa del Re" ha inizio con Ruggero il Normanno, sovrano di Puglia, Sicilia e Calabria riconosciuto dall'Antipapa, e, a denti stretti e coda tra le gambe dopo un paio di mazziatoni militari, anche dal Papa, Innocenzo II, che aveva proclamato ed organizzato sante quanto inutili alleanze, con il valido aiuto di Bernardo di Chiaravalle (rieccolo!), contro il sedicente re "mezzo pagano". Perché "mezzo pagano"? Anche Ruggero non discriminava in base al colore, alla razza e alla religione professata, conosceva benissimo la lingua araba, si circondava non solo di uomini di lettere. ma anche di consiglieri e dignitari di ogni fede e nazionalità.

La leggenda del ragazzo-pesce Nichola de Bar, come sempre, si svilisce nel rancoroso Cristianesimo onnivoro che ha devastato le belle menti del Sud. Perché "rancoroso"? Perché l'ultima versione della leggenda, quella che narra del ragazzo innamorato del mare, e, per questo, maledetto dalla madre (le maledizioni genitoriali, spesso legate a reali o supposte disobbedienze sono un delizioso must delle leggende cristiane e/o cristianizzate) e, quindi, trasformato in un curioso ibrido ittico-ominide, introduce anche la figura del suo carnefice.
Già re Ruggero si accostava alla sorprendente creatura con stupore e ammirazione, e con una colpevole ed egoistica curiosità che lo porterà alla morte, ma perché non dare la palma del sovrano dittatore crudele e senza cuore, assassino per arroganza e spregio, a Federico II, il più grande Re che il Sud abbia mai avuto, amato dalle popolazioni, che riamò, fondatore dell'unica ombra di Camelot storicamente esistita, dove le menti più sagge e brillanti del suo Tempo erano accolte con rispetto e gratitudine ed enorme curiosità. Ed erano di tutte le sfumature di colore e professavano tutte le religioni ammesse e non ammesse. Naturalmente, nessuno fu odiato dal Papato quanto lui. E quest'odio implacabile e omicida si conservò e autoalimentò nei secoli dei secoli. Nessuna meraviglia che il Re della leggenda sia diventato l'assassino del ragazzo-pesce, e che tale assassino sia diventato Federico.

La svolta definitiva avviene verso la fine del tredicesimo secolo e la dobbiamo a Fra' Salimbene de Adam da Parma (sempresialodato) autore di una Cronica considerata, tra l'altro, un vero libello anti-federiciano.

Risultato: Nicola non è più pugliese, è messinese. Il Re è irrimediabilmente Federico II. Il ragazzo è colpito dalla maledizione materna, perché non obbedisce a mammà, non è un bravo lavoratore come il padre e i fratelli, tutti terraferma e chiesa.
La morte del ragazzo-pesce è dovuta alla semplice e cruda cattiveria del Re, che, con la scusa di mettere alla prova la sua abilità, lo costringe a tuffarsi più volte al largo del Faro, per ripescare una coppa d'oro. Naturalmente, il punto in cui il Re ha gettato la coppa è il più martoriato da vortici, gorghi e tempeste sottomarine, una nota tomba di navi. A ogni riemersione, Nicola supplica il Re di non costringerlo a rituffarsi, ma il crudele Federico lancia la coppa ancòra e ancòra fino a causarne la morte. E l'ottimo fra' Qualcosa avverte i lettori che la storia è oro colato, avendola ascoltata con le sue orecchiuzze sante da alcuni confratelli di Messina, e, in paricolare da un suo parente!

E' in questo periodo che Nicola diventa Colas e poi Cola, e che compare il soprannome "pesce", ovvero il Cola Pisci o il pisci-Cola. Secoli dopo, sarà adottato anche dagli Spagnoli come pece Nicolao.

Nelle leggende napoletane, Colapesce ha incontri ravvicinati con le divinità del Golfo, si fa furbescamente inghiottire da enormi pesci per viaggiare gratis e con il minimo sforzo, per poi squarciare il ventre dell'animale con un coltello che porta sempre con sé e tornare in superficie. Anche la sua mutazione fisica è più marcata. L'Orione del bassorilievo di via Mezzocannone è stato ribattezzato Colapesce a furor di popolo.





Ma in una versione siciliana della sua storia, Nichola de Bar, alias Pisci Cola, alias Cola Pisci si reimpossessa della sua probabile origine di divinità minore del Mediterraneo (e per Mediterraneo intendo il Mediterraneo della Grecia e della Magna Grecia, non di Milano Marittima). Tuffatosi più volte in mare per soddisfare il capriccio del Re che vuol sapere cosa c'è sotto l'isola, scopre che la Sicilia poggia su tre pilastri e che uno è incrinato, sul punto di spezzarsi. Da allora Pisci Cola regge sulle spalle il moncone del pilastro, e non può più risalire in superficie.


Il "Colapesce" di Leonardo Lucchi


E, dopo un rincorrersi di ingenue leggende orali e di "croniche" stravolte dal bigottismo e dall'odio, dopo l'addio al Pisci Cola ritornato Dio minore, la realtà storica  riemerge - è il caso di dire - offrendo nuove prospettive.

Da "Napoli Esoterica" di Mario Buonoconto:

"... Ma una ben più interessante verità si è celata per secoli nella memoria del pesce Nicolò, l'incredibile confraternita di sommozzatori che venivano iniziati ad un culto marino sotterraneo del dio delle acque Poseidone: "'e figlie 'e Nettuno". Di origine tardo-pagana, questo culto esclusivamente neapolitano, che aveva come scopo il possesso delle ricchezze marine esistenti nelle grotte più profonde del golfo, conosceva il segreto per resistere in apnea per tempi giudicati impossibili dalla scienza ufficiale. Alcune alghe, particolarmente trattate, rallentavano il ritmo respiratorio come gli esercizi di volontà di alcuni gruppi indiani, volgarizzati dai fachiri in esibizioni spettacolari, come la chiusura ermetica in bare interrate per alcuni giorni fino ad un tempo impossibile da ottenersi anche con le bombole. Lo stato di rallentata respirazione non incideva comunque sulla coscienza di questi uomini-pesce, che potevano operare tranquillamente i recuperi e i più segreti rituali dedicati alla sirena primigenia Partenope, che prevedevano anche l'accoppiamento con rarissimi sirenoidi, poi scomparsi dal golfo di Napoli, forse una varietà della foca monaca - fascino intrigante di un nome! - che ancora, sebbene ridotta a pochissimi esemplari, si può a volte scorgere nei pressi dell'isola di Capri. A questi iniziati marini era dato il nome in codice di pesci Nicolò e con quel nome, e in assoluto segreto, pare che l'ultimo di questa ricreata specie sia stato usato dai servizi segreti alleati per ricerche sul fondo del golfo di Napoli nel corso dell'ultima guerra e dell'immediato dopoguerra. Le notturne sparizioni di alcuni natanti del porto di Napoli, in quel periodo, ed il possesso da parte di alcuni collezionisti stranieri, presenti a Napoli nello sciagurato dopoguerra, di gioielli greco-romani ancora in parte racchiusi in concrezioni dal profondo fondale marino fece raffiorare la memoria dei pesci Nicolò, perchè ad alcuni di loro fu sentito dire - e documentato in una corrispondenza del tempo - con aria complice e segreta che bisognava rivolgersi in una precisa grotta marina del litorale, verso Miseno, all'uomo col colapesce! Divertente confusione tra Cola Pesce, derivato dal Nicola Pesce, e l'attrezzo della cucina napoletana, in origine in terracotta bucherellata, detto scolapesce o colapesce perchè usato per quella necessaria esigenza".

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