'era una volta un vedovo che si sposò in seconde nozze: aveva già una figlia di primo letto, e la seconda moglie gliene diede un'altra. La maggiore, che si chiamava Euphrosine, diventò così bella che, quando passava, tutti si voltavano a guardarla, mentre la sorella era piccola e brutta.
La matrigna, invidiosa della bellezza della figliastra, cominciò a perseguitarla approfittando del fatto che il marito, essendo capitano di lungo corso, trascorreva pochissimo tempo a casa.
A. Stegg
Una volta che lui partì per un lungo viaggio, sua moglie tagliò le mani di Euphrosine, la condusse in una foresta lontana, la costrinse a salire su un biancospino alto come un melo e minacciò di ucciderla se solo avesse osato scendere. La crudele matrigna voleva liberarsi di Euphrosine perché sua figlia rimanesse l'unica erede; tuttavia non aveva il coraggio di lasciarla morire di fame e ogni otto giorni le portava del cibo. Facendo salire Euphrosine sull'albero, le si era però conficcata una spina in un ginocchio; la ferita, anziché guarire, andò sempre peggiorando, ed ella fu presto obbligata a rimanere a letto.
Euphrosine, che non aveva più niente da mangiare, cominciò a piangere e disperarsi, e proprio allora una gazza venne a portarle del cibo. Con dolcezza Euphrosine addomesticò l'animale, che, da quel giorno, tornò regolarmente a portarle da mangiare. Quando il padre tornò dal viaggio, fu sorpreso di non trovare la figlia maggiore, e domandò alla moglie che cosa le fosse successo; ella rispose che Euphrosine era una libertina e se ne era andata con dei soldati per seguire l'armata. Il capitano la cercò a lungo senza risultato, e alla fine si rassegnò all'idea di averla perduta.
Un giorno. un soldato, tornato a casa in licenza, andò a caccia nella foresta, e vide con sorpresa i suoi cani abbaiare ai piedi di un biancospino. Per quanto lui fischiasse e chiamasse, loro restavano vicino all'albero. Incuriosito si avvicinò e scorse Euphrosine, che era ancora più bella di quando la sua matrigna l'aveva abbandonata; come la vide il giovane se ne innamorò.
"Che cosa fate sulla cima di quest'albero?", chiese.
"Ahimè, signore, sono tre anni che sto su questo biancospino, e che vivo grazie a una gazza che mi porta da mangiare".
"Una gazza?" chiese il giovane tutto sorpreso.
"Sì, signore - rispose Euphrosine - è soltanto la gazza che mi porta del cibo".
"E chi vi ha messo sulla cima di questo albero?" domandò il giovanotto.
"E' stata la mia matrigna, e penso che abbia fatto credere a tutti che io fossi morta".
"Non resterò a lungo in questo paese - disse il soldato - ma fino a quando vi rimarrò, vi porterò io da mangiare, e parlerò di voi a mia madre".
Thomas Canty
Tornato a casa, il soldato raccontò a sua madre di quella fanciulla senza mani, bella come la Vergine.
"Ah, povera ragazza! - gridò la madre - Bisogna andare a cercarla: figlio mio, prendi la nostra migliore carrozza, di' a un domestico di accompagnarti, e conducila qui; la sua compagnia mi distrarrà durante la tua assenza".
Il giovane fece così apprestare una carrozza e andò a cercare Euphrosine. Quando la trovò gli sembrò ancora più bella della prima volta che l'aveva vista.
"Sono venuto per condurvi al castello - le disse - mia madre vuole che restiate con lei".
"Vi ringrazio molto, mio bel signore, ma non voglio più tornare nel mondo. Non ho più le mani e non posso perciò guadagnarmi da vivere; qui almeno ho una piccola bestia che si occupa di me".
"Venite da noi, signorina, non sarà più la gazza a prendersi cura di voi, ma una serva che farà tutto ciò che vorrete. Vi prego, non rifiutate".
A queste parole Euphrosine acconsenti ad andare al castello; la madre del giovane soldato era entusiasta di quella fanciulla così buona e bella:
"Mia buona madre - disse il soldato - non ti annoierai più mentre sarò in guerra; ti ho portato una compagna che ti rallegrerà e ti consolerà".
Il giovane dovette ben presto raggiungere l'esercito e restò lontano da casa sei mesi; in tutto quel tempo non fece che pensare a Euphrosine, ma poiché era senza mani, non aveva il coraggio di dire alla madre che avrebbe voluto sposarla. Al suo ritorno, tuttavia, si decise e domandò:
"Come trovi Euphrosine, madre mia?"
"E' una ragazza meravigliosa, piena di qualità"
"Anch'io sono di questo parere e voglio prenderla in moglie".
Appena la madre udì queste parole gridò che non avrebbe mai acconsentito a prendere per nuora una donna senza mani.
"Se Euphrosine non diventerà mia moglie io mi ucciderò!" replicò il ragazzo.
La madre fu così costretta a dare il suo consenso alle nozze, ma in segreto cominciò a odiare Euphrosine. Quando il giovane ripartì Euphrosine aspettava un bimbo. La vecchia cominciò a scrivere a suo figlio delle lettere piene di calunnie sul conto della moglie, e quando lei partorì due gemelli - un maschio e una femmina - la suocera scrisse che erano nati un cane e una giovenca.
Il ragazzo, infuriato e sconvolto, ordinò di uccidere il cane e la giovenca ma di non fare alcun male alla moglie. La suocera allora diffuse la notizia che Euphrosine era morta, fece costruire una cassa di legno, vi mise un tronco e fece celebrare un funerale in memoria della nuora. Poi, in gran segreto, sistemò i due bambini in una cesta che caricò sulle spalle di Euphrosine, e li condusse in un bosco lontano. Lì giunti, minacciò la nuora, dicendole che, se avesse osato uscire dalla foresta, l'avrebbe uccisa e poi avrebbe abbandonato i due piccoli nel bosco. Dopodiché se ne andò.
Per tre giorni e tre notti, Euphrosine si abbandonò al più profondo sconforto.
La mattina del terzo giorno, mentre cercava di far bere il bambino al ruscello, tenendolo con i denti, il piccolo le sfuggi e cadde nell'acqua. Alle grida della madre, comparve una donna bellissima che le ordinò:
"Immergi il tuo moncherino nell'acqua!"
Euphrosine ubbidì e come d'incanto le rispuntò la mano e poté afferrare il bambino.
Un attimo dopo anche la bimba cadde nell'acqua; seguendo gli ordini della donna, Euphrosine immerse il secondo moncherino, recuperò anche l'altra mano e riuscì a ripescare la figlia. Ora non era più una povera menomata! La bellissima donna accompagnò quindi Euphrosine e i suoi figli in una grotta dove si trovava ancora lo scheletro dell'eremita che vi aveva abitato, le disse che la gazza del biancospino si sarebbe presa nuovamente cura di lei e scomparve.
Ogni giorno. la gazza portava a Euphrosine tutto ciò che le occorreva: pane, acqua, vestiti e persino del fuoco. I bambini crescevano bene, il maschio assomigliava al padre mentre la femmina era il ritratto della madre.
Quando il marito di Euphrosine tornò dalla guerra, la madre gli disse che sua moglie era morta di crepacuore, dopo che il cane e la giovenca erano stati uccisi, come lui aveva ordinato. Egli la pianse moltissimo, e, per distrarsi, riprese a cacciare con degli amici.
Un giorno andarono in una foresta lontana e il marito di Euphrosine, rimasto un po' indietro, incontrò i due bambini che, fatta provvista di radici e di legno, stavano tornando alla grotta. Egli li guardò e notò che la ragazzina aveva gli stessi tratti di Euphrosine.
"Dove abitate, bambini miei?" chiese loro.
"In una casetta, piuttosto lontana dal centro del bosco".
"Mi ci potete condurre?"
"Sì, signore, volentieri".
Durante il cammino chiese loro:
"Che cosa cercavate nella foresta?"
"Delle radici per mangiare e della legna per scaldarci".
In quel momento si accorse di una gazza che, portando qualcosa nel becco, seguiva i bambini.
"Che uccello è? - chiese allora - E' senza dubbio addomesticato".
"E' la nostra nutrice, signore".
"La vostra nutrice?"
"Sì, è così che nostra madre ci ha detto di chiamarla".
Quando arrivarono alla grotta, egli vide Euphrosine che, malgrado la miseria in cui viveva, era ancora bella come quando l'aveva lasciata, parecchi anni prima.
"Ah! - gridò l'uomo - Se non vedessi le vostre mani, direi che siete mia moglie!"
Euphrosine gli raccontò tutto, e si fece riconoscere; allora il marito esclamò:
"Ah! Euphrosine, sono stato ingannato, sono stato ingannato!"
Si abbracciarono piangendo, e anche i bambini, vedendo le lacrime della madre, piansero.
L'uomo suonò il suo corno da caccia, gli altri cacciatori accorsero e tutti insieme tornarono al castello; la gazza li seguiva e i due bambini si voltavano spesso a guardarla.
Qui giunti, il marito di Euphrosine disse a sua madre:
"Ah, madre crudele, riconosci Euphrosine e i suoi due bambini?"
"Figlio mio - rispose- come ha fatto a tornare? E' senza dubbio un miracolo del buon Dio, tanto più che ha anche le mani!"
"Donna crudele - replicò il figlio - non ti condurrò nella foresta come meriteresti; ma ti terrò rinchiusa in un sotterraneo fino alla fine dei tuoi giorni".
E così fece, nonostante le preghiere di Euphrosine, che era talmente buona da perdonare anche chi le aveva fatto del male. Euphrosine pensava spesso a suo padre e alla sua crudele matrigna e avrebbe voluto sapere che cosa ne era stato di loro. Così un giorno parti con suo marito alla loro ricerca, e trovò la matrigna costretta a letto: la spina che le si era conficcata nel ginocchio il giorno che aveva abbandonato Euphrosine nella foresta, era cresciuta come se fosse stata piantata nella terra ed era diventata grande come un albero, aveva sfondato il tetto della casa, e dall'esterno la si vedeva ricoperta di fiori bianchi. Nessuno era mai riuscito a toglierla.
Quando Euphrosine vide la donna, ebbe pietà di lei e le estrasse la spina dal ginocchio; immediatamente la matrigna guarì. Il padre di Euphrosine, che l'aveva creduta morta, fu molto felice di ritrovarla viva e sposata e tutti insieme tornarono al castello di suo marito. Euphrosine volle condurvi anche la matrigna, che in fondo era stata indirettamente la causa della sua felicità.
Da quel giorno i tormenti di Euphrosine finirono ed ella visse felice, continuando a fare del bene a tutti.
Charles Van Sandwyk
"La Fanciulla dalle Mani Tagliate" (Francia), da: "Contes populaires de la haute Bretagne" di Paul Sèbillot.
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