( J.-S.Favre, “La légende de la Dente du Géant”)
anti tanti anni fa la valle d'Aosta era infestata da spiriti malvagi di ogni specie, che causavano continui disastri. Tendevano agguati ai viandanti, schiacciandoli sotto enormi massi che rotolavano lungo i fianchi dei monti, o toglievano loro la terra sotto i piedi, per farli precipitare in un burrone; stracolmavano laghi e torrenti, dando poi stura d'improvviso alle acque, che travolgevano messi rigogliose, mutando fertili terre in forre desolate, erano capaci persino di scalzare una becca, per seppellire sotto il suo crollo un paese. La gente viveva in continuo terrore, perché ogni giorno quelli esseri maligni inventavano qualcosa di nuovo, per dare sfogo al loro istinto perverso. Un giorno qualcuno portò la notizia che in un paese lontano viveva un mago sapiente capace di imporsi con le sue arti magiche alle forze del male. Andarono dunque a chiamarlo, perché liberasse la valla dagli spiriti che continuavano ad imperversare, senza che alcuno potesse ostacolarli in qualche modo. E tanto lo supplicarono che infine, impietosito, accondiscese a seguirli.
Quando fu a Pont-Saint-Martin, dove ha inizio la valle, il mago si fermò e, tratto fuori il suo libro di magia, vi lesse incomprensibili parole. Gli spiriti cattivi dei dintorni subito gli si fecero attorno, docili al suo comando, mentre dalla valle del Lys, attratti dall'irresistibile richiamo, i geni dei monti scendevano a frotte, uscendo come un nugolo di corvi da boschi e da radure, sbucando dagli anfratti rocciosi e abbandonando le gore tenebrose dei torrenti.
Il mago impose a tutti di seguirlo, e riprese il cammino, di tanto in tanto pronunciando le sue formule fatate.
Le potenze maligne sbucarono a caterve dalla valle di Champorcher e da quella di Ayas, e a Montjovet si unì alla schiera, con spaventoso clangore, l'orda malvagia che affluiva dalla vallata del Marmore.
Quando giunse ad Aosta, il mago attese che dalla Coumba Frèida scendesse la nuvola nera che vi si andava formando; poi riprese il cammino verso l'alta valle, tra il tumultuoso volo degli spiriti, che, man mano gonfiandosi, aveva finito con l'oscurare il cielo.
Ubbidendo al richiamo, i geni del male scesero da Cogne, Valsavarenche e Rhémes; lo stuolo della Valgrisenche si congiunse alla schiera, che s'ingrossò ancora a La Salle e La Thuile.
A Courmayeur, dopo aver chiamato i dispettosi folletti dell'Allèe Blanche e della val Ferret, il mago convogliò la turba tumultuante verso la gigantesca prigione che l'attendeva, nel deserto di ghiacci del Monte Bianco. Ad uno ad uno gli spiriti vi entrarono, piegandosi ad un'invincibile forza: e dietro l'ultimo si richiuse, per sempre, la porta di roccia.
Da allora, l'ardita torre del Dente del Gigante regge all'urto dei geni cattivi, che disperatamente, invano, tentano di uscire, spezzando l'incantesimo del mago.
Da "Le più belle fiabe popolari italiane”, a cura di Cecilia Gatto Trocchi, Newton Compton.
Il bello di essere ammaliati dalle tradizioni popolari, dal folklore, dalla mitologia, dalle leggende e dalle fiabe è il continuo fluire di collegamenti, più o meno misteriosi, influssi, impulsi, istinti, immagini, che se, da una parte, ti conducono un po' per conto loro, dall'altra, offrono uno stimolo incessante a tentar di dipanare relazioni sotterranee, insospettabili intrecci, fino a leggere con occhi diversi non solo la storia, suscettibile da sempre a pencolare pericolosamente tra mito e leggenda, ma addirittura la cronaca recente.
Mab
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