martedì 11 giugno 2013

Le Mie Tre Belle Corone, e un Altro Reuccio Stregato - Giuseppe Pitrè

na volta c'era una lavandara che aveva una figlia. Questa lavandara un giorno andò a consegnare la biancheria; tornò a casa, ma prese freddo; prima di mettersi a letto prese un pane rotondo e una bottiglia d'olio, li diede alla figlia e le disse: "Figlia mia, io me ne vado all'ospedale; qui c'è il pane e l'olio per mangiare." La chiuse dentro a chiave e si infilò la chiave in tasca. All'ospedale l'assalirono le febbri; si confessò e durante la confessione consegnò la chiave al confessore, dicendogli:
"Padre, io ho una figlia e muoio disperata ché resta in mezzo alla strada".
"Figlia mia, non dubitare, a tua figlia ci penso io; me la porto a casa e starà con mia madre e mia sorella."
Morì. A tutto pensò il prete, fuorché di andare ad aprire alla ragazza. Venne il sabato: la madre svuotò le tasche al prete e vide la chiave: " Figlio mio - disse - e questa chiave?"
"Ih! Me ne sono scordato!" disse il prete.
Pigliò la chiave e corse ad andare ad aprire alla ragazza. Come mise la chiave nel buco la ragazza disse: "Mamma!" ma vide il prete.
"Zitta, figlia mia - disse lui - che tua madre è a casa mia." E se la portò a casa . Lei arrivò a casa del prete e chiamò: "Mamma! Mamma!" Ma la madre non comparve. Alla fine le dissero che la madre era in Paradiso. La povera ragazza non si poteva dar pace ché voleva sua madre. Fece dietrofront e scappò via per i campi.
Cammina di qua, cammina di là, vide un palazzo tutto annerito a lutto cominciando dal portone fino alle finestre. Entrò e vide delle grandi camere. Entrò in cucina e vide ogni ben di Dio. Andò in un'altra camera e vide ogni cosa gambe all'aria; prese una scopa e cominciò a pulire l'entrata. Pulite le camere, lucidò i lampioni, sbatté i materassi, tirò fuori la biancheria, preparò i letti e fece diventare il palazzo come d'oro. Poi entrò in cucina, pigliò una gallina e si mise a fare un po' di brodo; illuminò le camere e si andò a nascondere. A mezzanotte in punto sentì una voce:
"Oh! Le mie tre belle corone! Oh! Le mie tre belle corone!" La voce si avvicinava a palazzo.
Quando fu vicina entrò una signora : "Oh! Che bene!- disse - E da dove viene tutto 'sto bene?! Oh! Vieni qua, figlio mio! Oh! Vieni qua, figlia mia! Se sei uomo ti prendo per figlio! Se sei femmina che il Signore ti ripaghi!" E chiamava.
La ragazza sentendo queste parole uscì e le si gettò ai piedi. Quando la vide:
"Oh! Figlia! Il Signore ti ripaghi questo ristoro che mi hai dato. Io esco la mattina in cerca delle mie tre belle corone. Tu qua, figlia mia, sei padrona; le chiavi sono attaccate, fa tutto ciò che vuoi."
Un giorno che era sola la ragazza si mise a girare per il gran palazzo; girando vide una porticina; aprì e vide tre bei giovanotti: gli occhi aperti, senza parlare. Chiuse presto, presto:
'Aveva ragione la signora ! Credo che questi siano i suoi figli.'
La sera la signora ritornava, sempre gridando: "Oh! Le mie tre belle corone!" Poi quando arrivava a palazzo, diceva:" Figlia mia, che il Signore ti ripaghi 'sto bene che mi fai!"
Un giorno la ragazza era affacciata al finestrone e si annoiava: guardò in terra nel giardino e vide tre serpicine; venne un'altra serpe che ammazzò le serpicine. Tornò la madre serpe e vide i tre figli morti. L'animaletto si mise a torcersi, a sbattersi di qua e di là, alla fine andò, pigliò una certa erba e si mise a sfregare la prima serpe, e la serpe rivisse; sfregò le altre due e rivissero tutte e tre.


Alexander J.W.


La ragazza, vedendo così, furba, pigliò una pietra e la tirò sopra l'erba che faceva rivivere le serpi. Scese con un cesto nel giardino e andò a prendere un po' di quest'erba. Salì su, aprì la porticina, e si mise a sfregare il primo dei ragazzi: sfrega, sfrega e il primo rivisse. Quando rivisse, disse: "Sorellina mia! M'hai ridato la vita!" Lei presto lo richiuse dentro, andò in cucina, ammazzò un galletto, fece un po' di brodo e si mise a darlo al ragazzo rivissuto. Preparò il letto e lo fece coricare. Poi andò dagli altri due. Anche gli altri due pronunciarono parole. Lei fece di nuovo il brodo, preparò i letti e li mise a letto. Quando i ragazzi si ripresero, cominciarono a domandarle dov'era la signora imperatrice. Lei disse allora: "Ah! Allora è la signora imperatrice, quella!"
Si rivolse ai ragazzi: "Voialtri non vi muovete da dove siete, che la signora ve la faccio vedere io." Quando la signora ritornò: "Oh! Le mie tre belle corone! Oh! Le mie tre belle corone!"
La ragazza si mise a chiacchierare; poi le domandò: "Ma insomma, perché uscite, Voscienza?"
"Ah! Figlia mia! Io esco per andare a cercare le mie tre belle corone!"
"Ma Voscienza, ditemi, che sono queste tre belle corone?"
"Ascolta: quando c'era mio marito io avevo tre figli maschi, poi sono spariti e io li vado cercando ..."
"Allora, Voscienza, mi volete fare un favore? Voscienza non uscite più, da domani in poi, ché i vostri figli ve li farò trovare io."
"Figlia mia! Dici davvero?"
"Vi do la mia parola: i vostri figli ve li faccio ritrovare io!"
"Quanto tempo vuoi, figlia mia?"
"Otto giorni."
"Otto giorni. Da domani in poi io non esco più."
Allora la ragazza che faceva? Prima dava da mangiare ai figli senza farsi vedere dalla madre, poi serviva l'imperatrice, la pettinava,  la vestiva, e le metteva gli abiti più belli, dicendole che doveva vestirsi bella pulita perché doveva vedere i suoi figli. I figli la vedevano dalle fessure della porta ma non si facevano scorgere. Passarono quattro giorni, poi la ragazza disse all'imperatrice:
"Voscienza, potete mandare gli inviti, perché domenica troverete i vostri figli."
A queste parole l'imperatrice si mise a piangere di tenerezza: "Ah! Figlia mia, e come ti posso ripagare quello che hai fatto per me?"
Prese e invitò tutta la signoria, da imperatrice quale era, e tutta la giornata andava seguendo e baciando la ragazza. Al settimo giorno, contenta perché avrebbe ritrovato i figli, disse alla ragazza:
"Ora senti, figlia mia: se è vero che mi farai ritrovare i miei figli, ti do il più grande per marito."
Nei racconti si fa presto! Passarono gli otto giorni, venne tutta la signoria, la fanteria, i cavalieri, tutti i sudditi dell'imperatrice. Ma l'imperatrice i figli non li aveva ancora visti! Si aprì la camera del trono: l'imperatrice fece vestire la ragazza con un bell'abito, e la prese a braccetto; la mostrava a tutta la signoria, ché lei le avrebbe fatto ritrovare i figli. Mentre aspettava, si aprì una camera e vennero i tre bei giovani. Considerate la contentezza! La madre si gettò e abbracciò i figli, piangendo lacrime di sangue. La banda si mise a suonare a gloria (non mi meraviglio!). Subito mandarono a chiamare il cappellano per fare il matrimonio del figlio grande con la ragazza. Si fece il matrimonio e furono presenti i migliori imperatori (ché lui era diventato imperatore perché il padre era morto ):


"Loro restarono felici e contenti. 
Noialtri qua, che ci puliamo i denti."


"Li Tri Belli Curuni Mei!" 
Raccontata da Agatuzza Messia, Palermo.

Raccolta da Giuseppe Pitrè, Tradotta dalla lingua siciliana da Cecilia Codignola per Savelli Editore.
Il testo in Siciliano è nella Pagina: "Fiabe Popolari - Italia"

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