sabato 1 giugno 2013

Sulla Fiaba Rumena

Quello che oggi risulta evidente, è che la favolistica dei popoli della Transilvania ha custodito, attraverso i secoli, non solo la memoria di eventi e di personaggi storici più o meno trasfigurati in senso leggendario, ma anche una serie preziosissima di elementi mitici e rituali che talvolta risalgono addirittura al neolitico. Non esagerava dunque Ananda K. Coomaraswamy (1877-1947), allorché scriveva che le fate e gli eroi delle fiabe “erano in origine, in gran numero o per la maggior parte, degli dèi”, per cui “un autentico studioso di folclore dovrà essere non tanto uno psicologo, quanto un teologo e un metafisico” . Né esagerava Mircea Eliade (1907-1986), affermando che miti, simboli e rituali del folclore romeno “affondano (…) le loro radici in un universo di valori spirituali che preesiste all’apparizione delle grandi civiltà del Vicino Oriente antico e del Mediterraneo”, sicché il rigoglioso patrimonio delle tradizioni popolari romene avrebbe conservato non solo elementi della cultura geto-dacica, ma addirittura “frammenti mitologici e rituali scomparsi, nell’antica Grecia, già prima di Omero”. Infatti, per citare Vasile Lovinescu, che fu tra l’altro un esegeta del folclore di quest’area, le tradizioni popolari dei Romeni (in Transilvania e altrove) “offrono al ricercatore un campo d’indagine di un’importanza e di un’antichità poco comuni, un campo così vasto, che ci vorrebbero volumi interi per riassumere e interpretare i racconti e le leggende”. D’altronde Lovinescu si muoveva sulle tracce di René Guénon, il quale aveva scritto: “Quando una forma tradizionale è sul punto di estinguersi, i suoi ultimi rappresentanti possono benissimo affidare volontariamente alla memoria collettiva ciò che altrimenti andrebbe irrimediabilmente perduto” . Per rendersi conto della fondatezza di tali affermazioni, sarebbe sufficiente leggere una raccolta di favole romene e osservare come tra le figure caratteristiche vi siano, per esempio, le zâne. Il vocabolo romeno zâna rimanda al teonimo latino Diana e quindi alle numerose iscrizioni latine della Dacia dedicate a Diana regina, vera et bona, mellifica, con la quale era stata probabilmente identificata una divinità geto-tracica. Esiste una categoria particolare di zâne, le sânziene (da Sanctae Dianae) alla quale appartiene Ileana Cosinzeana, personaggio principale del folclore romeno. Se talvolta è alle zâne che viene attribuita la funzione di fissare la sorte di un essere umano al momento della sua nascita, tale funzione è altre volte assegnata alle ursitoare o ursitori, personaggi nei quali sopravvive il ruolo delle Parche latine e delle Moire greche, come è d’altronde attestato dall’etimologia stessa di ursitoare, che rinvia al verbo horìzein e richiama l’espressione horìzein moîran, usata in un frammento di Euripide col significato di “determinare il destino individuale”. Un altro motivo di notevole interesse presente in alcune fiabe romene, è quello dell’eroe (o dell’eroina) rinchiuso in una cassa e gettato in balia delle onde. È questo un motivo che si ricollega ad un archetipo attestato sia nell’Europa antica sia nel Vicino Oriente e perfino in Siberia; il Propp lo ha esemplificato tramite le storie di Mosè e di Sargon. A queste storie però se ne potrebbero aggiungere molte altre: ci limitiamo a citare quella di Danae e Perseo, quella di Auge e Telefo, quella di Neleo e Pelia, quella di Penta narrata in un cunto del Basile. Lo schema è sostanzialmente il medesimo e non staremo a rievocarlo; faremo invece notare come in tutte queste storie ricorra, accanto al motivo della regalità, il simbolismo della luce, che allude alla presenza dello spirito divino accanto al futuro regnante . Ebbene, questo simbolismo si ritrova puntualmente [...] nella "Ragazza nel Baule". Infatti la protagonista, che diventerà imperatrice, possiede un attributo specifico e significativo: allorchè entra nel baule, essa reca indosso un abito su cui sono ricamati, in oro puro, il sole, la luna e le stelle. L'eroina della fiaba romena è dunque un alter ego  di Auge e della figlia di Karaty-Khan, i cui nomi, in greco e in soioto, significano entrambi "splendore"; ma ricorda soprattutto, più che la Cortesia con le mani mozzate delle Sorelle invidiose, "La Bella dalle mani mozze" del cunto del Basile, e quella Penta che viene descritta come assai più bella della luna allorchè risplende in tutta la sua luce.


Vogeler H.


Dalla postfazione di Claudio Mutti a "Storie e Leggende della Transilvania", Mondadori.


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