'era una volta un re che aveva tre figli. I due più grandi, belli e cresciuti, erano forti e robusti per la loro giovane età e non si intimidivano di fronte a nessuno. Il piccolo invece era gentile e delicato. Docile di natura, non sapeva difendersi dalle prepotenze degli altri due.
Una volta capito che avrebbe sempre avuto la peggio, si rifugiò accanto al fuoco a rimestare la cenere. Per questo i fratelli lo avevano soprannominato Vulcanello.
Con il passare del tempo, i tre principi divennero tre baldi giovani. Un giorno il re li convocò e disse loro:
“ Avete raggiunto l'età in cui conviene prender moglie. Mettetevi dunque in viaggio e tentate la fortuna. Eccovi una mela d'oro a testa, che dovrete offrire alla vostra futura sposa”.
E diede a ognuno di loro una bella mela dorata. I due fratelli maggiori pretesero dal re anche un corredo degno della loro missione e ottennero cavallo, sella e un seguito adeguato. Ma il piccolo rimase a piedi, tanto gli altri ritenevano che non sarebbe stato in grado di trovarsi una fidanzata.
I due principi partirono a cavallo in direzioni opposte, ognuno in testa a un drappello di soldati e notabili, fieri del loro equipaggio, percorrendo larghe strade che li menarono ad altri regni. Qui giunti, chiesero la mano della figlia del re e la loro richiesta venne soddisfatta, così lasciarono ognuno la propria mela d'oro in pegno alla fidanzata.
Le cose andarono in modo assai diverso per Vulcanello. Camminò e camminò per strade secondarie, senza incontrare nessuno, né vedere nulla di rilevante, e più andava avanti più si sentiva avvilito. Di fidanzate non c'era neanche l'ombra.
Dopo giorni di cammino giunse a un bosco e qui la strada si trasformò in un sentiero tortuoso, che si snodava nel folto degli alberi. Il principe non sapeva che direzione prendere. Mentre vagava senza meta, non poteva fare a meno di pensare all'ingiustizia che lo voleva solo e sperduto nella foresta, mentre ben altro destino doveva arridere ai fratelli che erano partiti con tutti gli onori e sicuramente, a quel punto, erano vezzeggiati dalle fidanzate in qualche sontuoso castello. Mentre procedeva in preda a questi tristi pensieri, tirò fuori la mela dorata e cominciò a giocarci, facendola roteare con il piede. Ma questa non sempre aspettava di essere colpita e presto cominciò a muoversi per conto suo, come spinta da una forza magica. Rincorrendola, Vulcanello giunse alla fine del sentiero e qui la mela sparì in un fitto cespuglio.
Il principe s'infilò a quattro zampe sotto il cespuglio, alla ricerca del frutto prezioso, ma come spesso succede al mondo quel che si trova non è quel che si cerca e invece della mela trovò una porticina che conduceva sottoterra.
Quando aprì la porta, si trovò in una capanna di fango. Tutto era liscio e ordinato come come nella più lussuosa delle dimore. Le pareti erano ricoperte di preziose tappezzerie, il soffitto si reggeva su travi bianche e sui banchi erano stese bellissime stoffe tessute a mano. Un fuoco ardeva nel camino e la tavola era apparecchiata. Ma non c'era presenza umana.
Il principe non badò alla tavola imbandita e si diede da fare per trovare la sua mela d'oro che sembrava scomparsa.
Spirin G.
Il principe si fece cupo in volto: come poteva rientrare a casa senza né mela, né sposa? In quello stesso istante si accorse della presenza di una topolina così aggraziata, che non aveva mai visto l'uguale.
Saltò sul tavolo, proprio dirimpetto al principe, e lo salutò:
“ Benvenuto, bell'amico! Perché sei così triste?”
E cantò:
"Vuoi mangiare, mangia!
Vuoi bere, bevi!
Vuoi sedere, siedi!"
“ No – rispose Vulcanello – non ho né fame né sete. Ho ben altre preoccupazioni, credimi.”
“ Quali preoccupazioni?” chiese la topolina.
“ Ho di che rattristarmi. Mio padre mi ha dato una mela d'oro e mi ha chiesto di andare in cerca di una fidanzata. Ho perso la mela e non ho trovato la fidanzata, così quando tornerò a casa mi toccherà essere umiliato da lui e dai miei fratelli.”
“ Tutto qui?- fece la topolina – C'è senz'altro un rimedio e se vuoi prendermi come fidanzata ti aiuterò io.”
Il principe rimase un attimo perplesso, ma alla fine decise di accettare quella bizzarra proposta. Non aveva altra scelta. La topolina filò via di corsa e ritornò un istante dopo con la mela in bocca. Vulcanello si rasserenò in volto e dimentico di ogni mestizia si mise a tavola e mangiò e bevve di gusto mentre la topolina si dava da fare a servirlo. Gli sembrava di non essere mai stato così felice in vita sua. Giunta la sera, gli venne preparata una coltre di seta imbottita di piume. Vi si distese e si addormentò beato, più felice di quanto non fosse mai stato alla corte di suo padre.
La mattina seguente Vulcanello doveva fare ritorno a casa. Si accomiatò dalla topolina, ringraziò per l'ospitalità e promise di restarle sempre fedele. Poi riprese il viottolo che lo portava alla grande strada, proprio quando i due fratelli maggiori stavano rientrando a cavallo. Ma questi erano così fieri e pieni di sé, che fecero finta di non vederlo. Quando i tre principi giunsero a casa, il re li fece chiamare e domandò com'era andato il viaggio. I due maggiori non la smettevano di vantarsi ed elogiare la bellezza e le ricchezze delle fidanzate.
“ E tu, Vulcanello?- chiese il re – Come te la sei cavata? Hai anche tu una fidanzata?”
“ Certo che ce l'ho – disse il principe – ma non può stare all'altezza delle fidanzate dei miei fratelli.”
Subito i fratelli maggiori lo derisero. “Vulcanello – dissero – ha una fidanzata che cova sotto la cenere!”
Il principe non osava rispondere, ma sperava che un giorno la fortuna l'avrebbe aiutato a contrapporre l'orgoglio al disprezzo dei fratelli.
Trascorse del tempo e in tutto il regno si parlava soltanto dei due principi e delle loro nobili fidanzate. Ma nessuno menzionava Vulcanello, né alludeva alla sua futura sposa.
Un bel giorno il re convocò i tre figli e disse:
“ Vorrei sapere se l'abilità delle vostre fidanzate nelle faccende femminili è pari alla loro bellezza e ricchezza; perciò vorrei che le andaste a trovare e chiedeste a ciascuna di fare un dolce che mi porterete, perché io possa giudicare qual è il migliore”.
I principi si apprestarono al viaggio, i due maggiori a cavallo e con un ricco seguito e il minore, come sempre, a piedi, ma felice di sfuggire per un po' ai motteggi e dileggi. Mentre i due andavano ciascuno per la propria strada, riccamente bardati, il piccolo cominciò il suo viaggio solitario nel bosco. Camminava e camminava e il desiderio di rivedere la sua topolina si faceva sempre più cocente. Capiva allo stesso tempo com'era assurdo pretendere che lei fosse capace di impastare e sfornare un dolce, e al pensiero di essere nuovamente umiliato dai fratelli agli occhi del padre stava per arrendersi e tornare indietro. Ma riuscì a farsi coraggio e proseguì.
Giunto alla piccola dimora sotterranea, la topolina gli andò incontro salutandolo affettuosamente: "Benvenuto, mio diletto! Perché sei così triste?
Vuoi mangiare, mangia!
Vuoi bere, bevi!
Vuoi sedere, siedi!"
Rispose il principe:” Non ho né fame, né sete. Ho ben altre preoccupazioni, credimi”.
“ Quali preoccupazioni?” chiese la topolina.
“ Mio padre vuole che io gli porti un dolce fatto dalle mani della mia fidanzata. Quando tornerò a mani vuote, dovrò subire di nuovo lo scherno dei miei fratelli.”
“ E' tutto qui?- disse la topolina – Lascia fare a me. Basta che tu mi sia fedele e ti verrò in aiuto.”
Il principe giurò di mantenere fede alla parola data.
Senza porre indugio, la topolina uscì fuori, salì in cima a una roccia e gridò:
“ Venite a me, topolini fedeli! Che ognuno porti in bocca un chicco di grano!”
Aveva appena pronunciato queste parole che il luogo fu invaso da una moltitudine di topolini che correvano ciascuno con il suo chicco in bocca e lo depositavano in una macina, da cui presto uscì una farina bianca come la neve. Poi la topolina accese un fuoco sotto la piastra rocciosa e fu tutto un impastare, spianare, lievitare, cuocere finché la pasta informe non diventò un dolce gonfio, liscio e dal profumo appetitoso.
Ora Vulcanello si sentiva pienamente soddisfatto e di tutto cuore ringraziò la topolina; poi sedette a tavola e mangiò e bevve di gusto, mentre la topolina si dava da fare per servirlo. Infine, calata la notte, si distese sulla coltre di seta imbottita di piume e cadde in un sonno profondo, popolato da sogni lieti. La mattina dopo si accomiatò dalla topolina ringraziandola di tutto e promettendole di non lasciarla mai. Percorse un'altra volta il sentiero nella foresta e incrociò il corteo dei fratelli a cavallo che, sulla strada principale, stava tornando al castello del padre. Ed erano tanto pieni di sé che finsero di non vederlo.
Giunti a casa, il re li fece chiamare per informarsi sull'esito del viaggio. I fratelli più grandi mostrarono subito il dolce fatto dalle loro fidanzate, che era bello e chiaro e ottenne subito l'approvazione di tutti.
“ E tu, Vulcanello?- chiese il re – Come t'è andata? Hai portato un dolce fatto dalle mani della tua fidanzata?”
“ Certamente che ce l'ho – rispose il principe – ma non posso competere con i miei fratelli.”
Subito i fratelli presero a farsi gioco di lui. Ma il principe non si lasciò intimidire e poggiò sul tavolo il dolce fatto dalla sua topolina. Il re e i suoi figli più grandi e tutti i gentiluomini sgranarono tanto d'occhi, perché nessuno aveva mai visto un dolce di pasta più fine e colore più dorato.
Così il re lo giudicò il migliore, ad onta dei fratelli di Vulcanello, che tanto si erano vantati.
A corte non si fece che parlare di Vulcanello e della sua fidanzata. Il principe non disse nulla e manifestò solo la gioia di essere in pace con i suoi fratelli.
Passò un altro po' di tempo e il re convocò nuovamente i figli.
“ Finora – disse – ho constatato la bravura in cucina delle vostre fidanzate. Ora vorrei verificare la loro abilità al telaio. Portatemi dunque una stoffa tessuta da loro.”
I fratelli più grandi si misero in viaggio con il loro seguito, al suono delle fanfare e il piccolo s'incamminò come sempre con il suo sacco in spalla.
All'idea del futuro incontro con la topolina aveva il cuore il cuore gonfio di gioia, ma allo stesso tempo lo consumava l'ansia per come la topolina se la sarebbe cavata con un lavoro di tessitura.
Era incerto se proseguire, ma dopo aver riflettuto decise di non arrendesi.
Giunto alla capanna d fango, la topolina gli venne incontro felice e gli disse:
“Benvenuto, amato mio! Perché sei così triste?
Vuoi mangiare? Mangia!
Vuoi bere? Bevi!
Vuoi sedere? Siedi!”
Rispose il principe:” Non ho né fame né sete. Ho altre preoccupazioni, credimi”.
“ Quali preoccupazioni?”chiese la topolina.
“ Ascoltami. Mio padre vuole che gli porti una stoffa tessuta dalla mia fidanzata. Immagino già come i miei fratelli mi prenderanno di mira, svergognandomi davanti a tutti.”
“ Niente affatto – disse la topolina – C'è rimedio a tutto e il problema può essere facilmente risolto con il mio aiuto. Questo, a patto che tu mi giuri fedeltà.”
“ Te l'ho giurata e te la giuro di nuovo” fece il principe e allora la topolina corse fuori, salì in cima a una roccia e gridò:
“ A me, topolini! E che ciascuno porti in bocca un filo di seta!”
Aveva appena finito di parlare che da tutte le parti sbucarono sciami di topolini che, dirigendosi in un unico punto, depositavano il filo di seta che portavano in bocca. Poi prepararono in ordine i fusi e un piccolissimo telaio e fu tutto un filare, ordire, ronzare e sbattere.
E la fidanzata del principe sedette di persona al telaio introducendo con le sue manine la spola, passandola avanti e indietro, muovendo i pettini e battendo i piedi con incredibile alacrità, e non si diede pace finché non ebbe filato un tessuto più bianco della neve e più sottile di una ragnatela. Vulcanello si rasserenò e riconoscente ringraziò la fidanzata. Poi sedette al tavolo e mentre la topolina correva su e giù a servirlo mangiò e bevve di gusto; e quando fu notte, si distese sulla coltre di seta imbottita di piume e dormì profondamente fino al sorgere del sole.
Il principe si accomiatò dalla fidanzata ringraziandola di ogni cosa, giurandole eterna fedeltà, e riprese il lungo cammino del ritorno. Come già era avvenuto in precedenti occasioni, Vulcanello sbucò dal sentiero del bosco sulla strada principale proprio quando in sella ai loro cavalli stavano rientrando a casa i fratelli maggiori. Anche questa volta finsero di non vederlo.
Alla reggia, il re chiese di vedere le stoffe tessute dalle fidanzate dei suoi figli e i due maggiori distesero ciascuno il proprio tessuto, bianco e sottile e i cortigiani non poterono che elogiare quel pregevole lavoro.
“ E tu, Vulcanello? Che hai combinato? Mi hai portato un tessuto della tua fidanzata?” chiese il re.
“ Sì – disse il principe – ma non so se la mia cara è all'altezza delle fidanzate dei miei fratelli.”
E senza preoccuparsi degli sberleffi dei due maggiori porse al padre una noce. Il re la aprì e all'interno c'era una nocciola che racchiudeva un nocciolo di ciliegia dal quale sgorgarono metri e metri di un tessuto bianchissimo e così fino che ricoprì tutta la sala del trono.
Furono tutti d'accordo nel dichiarare che un tessuto così bello non si era mai visto e i fratelli, invidiosi, si rivalsero dicendo che se la fidanzata di Vulcanello cucinava e tesseva così bene, doveva certamente essere pessima in altre cose.
Passò altro tempo. A corte non si parlava che di Vulcanello e della sua fidanzata, e il principe era salito nella stima di tutti. Da lui non si riusciva a sapere altro, tranne che era felice di essere in pace con i fratelli.
Un giorno il re chiamò i tre figli e disse:
“Adesso che so che le vostre fidanzate sanno impastare e tessere, dobbiamo pensare alle nozze. Desidero dunque che andiate a prendere le vostre promesse e le accompagniate qui, perché io possa giudicare chi è la più bella”.
I due fratelli maggiori furono molto soddisfatti di questa decisione e si prepararono a partire con gli abiti di nozze, gli stendardi e un seguito adeguato. Ma il più giovane dei principi non aveva né cavallo né seguito, e dovette avviarsi solo attraverso la foresta. Cammin facendo provava una pungente nostalgia della sua diletta, ma il suo cuore era anche pesante di angoscia al pensiero di cosa avrebbe detto la famiglia nel vedere la sposa. I due fratelli sarebbero tornati a casa con belle principesse di sangue reale, mentre lui poteva solo presentarsi con una topolina. Non sapeva se proseguire o tornarsene a casa, ma andando avanti e riflettendo finì col trovarsi di fronte all'uscio della capanna di fango.
Quando ne varcò la soglia, la topolina gli si avviò incontro felice come sempre e disse:
“ Benvenuto, mio diletto! Perché sei così triste?
Vuoi mangiare? Mangia!
Vuoi bere? Bevi!
Vuoi sedere? Siedi!”
“ No – disse Vulcanello – non ho né fame, né sete. Ho altre preoccupazioni, credimi.”
“ Quali preoccupazioni?” chiese la topolina.
“ Mio padre ha predisposto ogni cosa per il matrimonio di noi figli e desidera che portiamo a casa le nostre promesse spose. Ma cosa succederà quando i miei parenti vedranno che sono fidanzata con una topolina?”
“ Non devi angustiarti perché tutto si sistemerà; se è questo che ti preoccupa, basta che tu mi sia fedele.”
Le parole della topolina ebbero il potere di rasserenare il principe che, dopo averle promesso ancora eterna fedeltà, mangiò, bevve e rise di gusto.
Venuta la notte, si distese sulla coltre di seta imbottita di piume e dormì e sognò, e nel sonno non aveva ragione di provare invidia per i fratelli.
Quando spuntò il sole, il principe disse che doveva tornare a casa e chiese alla fidanzata se era pronta.
“ Sì – disse la topolina – devo solo indossare il mio abito di nozze.”
A queste parole, Vulcanello non riuscì quasi a trattenere le risa, ma la topolina corse fuori, salì sulla roccia e gridò:
"Venite a me, topolini e che ciascuno porti in bocca una pelle di topo”.
Subito, una folla di topolini circondò la roccia e tutti avevano una pelle di topo in bocca e con queste pelli vestirono la promessa sposa, sovrapponendo pelle a pelle, finché la topolina divenne così grande e grossa che riusciva a malapena a muoversi. Poi, da chissà dove, tirarono fuori un cucchiaio d'argento, al manico legarono dodici scarafaggi e in testa quattordici pulci, sui lati sei topoline per affiancare la sposa.
Quando quello strano tipo di carrozza fu pronto, fecero accomodare la topolina che era gonfia di pelli e gli scarafaggi cominciarono a correre e le pulci a saltare, e attraversarono a tutta velocità montagne e valli.
Vulcanello camminava svelto accanto, attento che tutto filasse per il meglio, ma non sembrava per nulla contento di quel corteo di nozze.
Più si avvicinavano al castello del re e più il principe temeva di incontrare i fratelli e le loro promesse spose; avrebbe preferito morire piuttosto che farsi vedere con quel corteo e tuttavia andava avanti.
Arrivarono a un fiume che scorreva verso nord, attraversato da un ponticello. Il corteo di nozze si fermò e la topolina corse in mezzo al ponte e ordinò a Vulcanello:
“ Sfodera la spada e taglia il manico del cucchiaio!”
Il principe pensò che era una richiesta bizzarra, ma essendo ormai rassegnato al peggio, sfoderò la spada e fece quel che gli era stato chiesto.
Ed ecco che avvenne qualcosa di straordinario. Aveva appena reciso il cucchiaio che improvvisamente dall'altra parte del fiume comparve una carrozza più bella e sontuosa di qualsiasi carrozza che avesse il re. Risplendeva di oro e di argento, era tirata da dodici cavalli, e quattordici paggi nelle più belle uniformi la precedevano a cavallo. Era appena apparsa la carrozza, che la topolina disse a Vulcanello:
“ Adesso tagliami la testa con la spada!”
In un primo momento Vulcanello si rifiutò di di farlo perché, malgrado si trattasse di una topolina, voleva molto bene alla sua promessa sposa, ma l'ordine gli fu ripetuto con tanta insistenza che non ebbe scelta. Nel momento in cui le tagliò la testa, la topolina cadde in acqua con tutto il suo seguito, ma nello stesso istante salì a riva una principessa bella come la più radiosa giornata d'estate, vestita di seta e broccato. Sulla testa aveva una corona d'oro e in mano teneva la mela dorata. Intorno a lei c'erano sei graziose damigelle d'onore.
Vulcanello rimase a lungo a bocca aperta non credendo a ciò che vedeva e non sapeva se sognava o se era sveglio. Tornò in sé quando la bella principessa si fece avanti e l'abbracciò, ringraziandolo per averla salvata: era la sua fidanzata, la topolina, trasformata in animale da una cattiva matrigna.
Adesso sì che il principe era fiero di presentare la promessa sposa a corte! La prese per mano e la condusse alla carrozza, ve la fece sedere lui stesso restando in piedi sul predellino e partirono a tutta velocità. Con la carrozza che brillava d'oro e pietre preziose come una meteora.
Bunce K.
Nel frattempo, i due fratelli maggiori erano arrivati a corte per presentare le loro fidanzate. Aspettavano Vulcanello, convinti che nessuno potesse star loro a pari. I cortigiani non facevano che elogiarli per la scelta delle due belle fidanzate di sangue reale, ma quale non fu la meraviglia di tutti quando si aprirono i cancelli e avanzò la carrozza dorata della fidanzata di Vulcanello affiancata da paggi e damigelle e guidata da focosi cavalli! Dalla carrozza scese la principessa con la corona d'oro e la mela in mano, con Vulcanello che, fiero, le dava il braccio. Ora i principi persero ogni arroganza e voltarono la faccia, accecati dallo scintillio di tanto oro.
Vulcanello avanzò nella sala, si avvicinò al trono e salutò il padre con deferenza e tutti ammirarono la sua virilità e pacatezza. Non c'era dubbio che la sua fidanzata vincesse in grazia e bellezza le altre principesse, così come il sole batte in splendore tutte le altre costellazioni. I due fratelli avevano avuto una bella lezione e da quel giorno non osarono più vantarsi, né deridere nessuno a corte e, tanto meno, il fratello minore.
Le nozze vennero celebrate con giubilo e solennità e il re fece sedere la sposa di Vulcanello sul banco più alto per dimostrarle quanto grande fosse il rispetto che le portava. Dopo un'intera settimana trascorsa in feste e giochi, il giovane principe si accomiatò dai parenti e partì diretto al regno della sua sposa che per lungo tempo aveva subito un malefico incantesimo. Lì venne eletto re e governò a lungo con giustizia, e non vi fu mai re più saggio, né regina più bella.
Dalla nota al testo:
"
Esistono una cinquantina di annotazioni di questa fiaba...
All'est tratta di una principessa ranocchia; al nord, come in Svezia, di una principessa topo; all'ovest di una principessa gatto. La versione più antica proviene dall'Oriente, dalle Mille e una Notte."
Annuska Palme Sanavio.
Vulcanello parente dell'infantile Ceneraccio russo, ma anche pavido, umiliato, un tantinello ipocrita: cova rancore sotto la cenere (cenere che richiama l'insopportabile sopportazione delle migliaia di Cenerentole), ma "
è felice di essere in pace con i suoi fratelli".
"
Vulcanello avanzò nella sala, si avvicinò al trono e salutò il padre con deferenza e tutti ammirarono la sua virilità e pacatezza". Il matrimonio con la principessa stregata gli ha donato quelle qualità "virili" che gli mancavano. Come sempre, si perde di vista il punto, si scambia la conseguenza per l'energia rigeneratrice del viaggio. Poi, le chiamano fiabe iniziatiche.
Tuttavia, questo Cenerentolo mi piace perché, a differenza dei confratelli fiabeschi che reprimono disgusto e disperazione per la sposa animale, o, nel migliore dei casi, nutrono una mesta gratitudine, si innamora di lei prima dello scioglimento del sortilegio, prova nostalgia per "la sua topolina", è felice e sereno solo nella sua capanna, e le giura fedeltà senza meditare il suicidio.
Mab